L'applicabilita' dell'arbitrato alle controversie
in materia di lavoro subordinato

 

1. La riforma dell'arbitrato ha ulteriormente caratterizzato l'arbitrato avente ad oggetto le materie di cui all'art. 409 c.p.c. Se prima della riforma si poteva infatti discutere persino della legittimità del ricorso all'arbitrato per la materia del diritto del lavoro, a seguito delle novità introdotte con il Dl 40/2006, indiscutibilmente deve ritenersi che siano, pur con i limiti individuati nelle nuove norme in tema di arbitrato, senza dubbio passibili di essere assoggettate ad arbitrato, tutte le controversie aventi ad oggetto:
1) rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di un'impresa;
2) rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari;
3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato;
4) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica;
5) rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico.

La riforma ha infatti, per la prima volta proceduto ad una codificazione dell'arbitrato in tale materia, estendendo esplicitamente l'arbitrabilità ai diritti inerenti le controversie sopra elencate. In tal senso si pronuncia inequivocabilmente il nuovo art. 806 c.p.c., il quale effettua un richiamo integrale dell'art. 409, per cui deve ritenersi che rientrino in tale richiamo anche le limitazioni poste dalla norma richiamata.
Visto tale richiamo espresso deve ritenersi che valgano, anche per l'arbitrato, i limiti posti dall'art. 409, con la conseguenza che le controversie sottratte alla competenza del giudice del lavoro, in linea teorica debbono ritenersi non comprese nel novero delle controversie arbitrabili, con le modalità proprie e con le specificità dettate per l'arbitrato in materia lavoristica. Ciò non significa, pero, che tali controversie non siano comunque arbitrabili, mediante arbitrato ordinario, essendo attualmente, come abbiamo visto, tale limite assai ampio.
Sara quindi necessaria una verifica caso per caso, se la materia rientri, o meno nei diritti disponibili, ma in ogni caso alle controversie che esulano da quelle indicate dall'art. 409, per quanto relative in senso lato a rapporti definibili lavoristici, non risultano applicabili le disposizioni speciali proprie dell'arbitrato in materia di lavoro.

2. L'arbitrato in tema di lavoro si caratterizza per una diversità rispetto all'arbitrato ordinario, per quanto rimangano ferme le norme generali dettate per l'arbitrato (rituale ed irrituale). Permane quindi, anche all'interno di tale particolare categoria o modo di caratterizzarsi dell'arbitrato, le distinzioni proprie tra arbitrato rituale ed irrituale, e le ulteriori distinzioni di ordine sistematico. Da un punto di vista generale deve ritenersi che all'arbitrato in materia di lavoro si applicano, a seconda della tipologia, le norme proprie dell'arbitrato cd. ordinario (rituale o irrituale), se ed in quanto non derogate dalla disciplina speciale. Specialità che peraltro si caratterizza in due sole norme che spiccano pero per la loro importanza. Si tratta dell'art. 806 c.p.c. e dell'art. 829 c.p.c.
L'art. 806 c.p.c. infatti, incidendo sulle concrete modalità di devoluzione da arbitrato di tali particolari controversie, dispone che le controversie in materia di lavoro possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto:
a) dalla legge;
b) nei contratti collettivi di lavoro;
c) negli accordi collettivi di lavoro
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Proprio in ragione della peculiarità degli interessi in gioco viene quindi eliminata in radice ogni possibile contrattazione privatistica, anche in relazione alla clausola arbitrale. La radicale esclusione riguarda non solo la devoluzione preventiva ad arbitrato, ma anche, in ipotesi la devoluzione successiva, a controversia insorta, mediante, un compromesso. L'arbitrabilità delle controversie in tale materia e possibile quindi solo se ed in quanto l'arbitrato sia previsto da queste tre fonti tipiche. Un arbitrato effettuato in difetto di espressa disposizione di legge, contratto o accordo collettivo, sarebbe radicalmente nullo, per difetto di arbitrabilità, incidendo la disposizione proprio sul limite, di ordine pubblico, della stessa arbitrabilità della controversia. La controversia in materia di lavoro e arbitrabile solo se preventivamente indicata come tale dalla legge o dai contratti o accordi collettivi.
Il legislatore ha quindi permesso l'arbitrato (seguendo peraltro una prassi pluriannuale in tal senso), ma l'ha circondato da alcune cautele rilevanti. La stessa arbitrabilità della controversia deve essere oggetto di un giudizio ex ante rimesso alle tre fonti tipiche che dovrebbero, nell'intenzione delle nuove norme, limitare ogni possibile abuso dello strumento arbitrale. Solo se la legge, o la contrattazione o gli accordi collettivi stabiliscono ex ante che eventuali controversie sul rapporto di lavoro possano essere compromesse in arbitri, e possibile utilizzare lo strumento arbitrale.

3. Altra rilevante differenza, rispetto all'arbitrato ordinario, è quella relativa al regime di impugnazione del lodo. Il lodo emesso in materia di lavoro, è sempre impugnabile per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, nonché per violazione dei contratti e accordi collettivi. Se la disposizione, inserita nell'art. 829, non pone particolari problemi interpretativi, per quanto riguarda l'arbitrato rituale, pone invece numerosi interrogativi, per quanto attiene l'arbitrato irrituale o contrattuale.
La norma impone, nell'arbitrato in materia lavoristica, la definizione della controversia secondo diritto e in ossequio ai contratti e accordi collettivi (eliminando, quindi, ogni possibile ricorso all'equità). Il problema non e -tanto- il divieto di fondare la decisione sull'equità , ma l'inserimento di una norma generale nell'ambito delle impugnazioni, proprie ed esclusive dell'arbitrato rituale.
Tale inserimento pare, infatti, riferibile esclusivamente (sia per collocazione sistematica, che per tipologia della norma) all'arbitrato rituale, con la conseguenza che si potrebbe ritenere, visto che la norma che disciplina l'impugnazione dell'arbitrato irrituale nulla prescrive in tema di arbitrato in materia di lavoro, ne impone in subiecta materia di fondare la decisione sul diritto, che l'arbitrato irrituale non costituisca procedimento, in senso ampio, ammissibile per l'arbitrato in materia di lavoro, per il quale risulta ammissibile il ricorso al solo arbitrato rituale.
La scelta, per quanto particolare, può anche apparire logica, tenuto conto della natura e tipologia dell'arbitrato irrituale, che non si conclude con un atto assimilabile ad una sentenza, ma con un atto assimilabile ad un contratto, e come tale non eseguibile se non tramite un giudizio ordinario ulteriore. Depone, inoltre, a favore di tale impostazione anche la stessa lettera dell'art. 808 ter c.p.c., che stabilisce che solo le parti possano, con espressa disposizione scritta, stabilire che la controversia sia definita mediante determinazione contrattuale. Per quanto la legge costituisca fonte gerarchicamente superiore, rispetto alla fonte pattizia, l'art. 808 ter sembra estremamente chiaro nel prevedere e limitare l'arbitrato rituale a quelle sole materie caratterizzate da un maggiore potere dispositivo delle parti.
Non solo. Lo stesso art. 806 c.p.c. stabilisce che le controversie di cui all'art. 409 c.p.c. possono essere decise da arbitri, propendendo per la natura processuale dell'arbitrato.
Ma anche ammesso e non concesso che tale sia l'impostazione più consona al dettato delle norme in materia di arbitrato, occorre tenere conto che, in gran parte dei contratti collettivi in materia di lavoro, stipulati antecedentemente alla riforma, si fa riferimento ad arbitrati c.d. irrituali. Che sorte avranno tali clausole? Ad avviso di chi scrive, dovendosi ritenere ad una prima lettura, chiaramente escluso il ricorso ad arbitrato irrituale, per le controversie in materia di lavoro, si dovrà caso per caso verificare il contenuto della clausola, in quanto l'art. 808 ter, pone dei limiti rigorosi all'arbitrato irrituale, imponendo:
a) la forma scritta ad substantiam;
b) che vi sia disposizione scritta ed espressa della deroga di cui all'art. 824 bis;
c) che vi sia disposizione scritta ed espressa che le parti vogliono che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione contrattuale.
Qualora, quindi, la clausola introdotta nei contratti collettivi o nella legge, per quanto utilizzi il termine "irrituale" o similari, non contenga tale espressa disposizione, si dovrà interpretare la stessa come clausola che devolva la controversia ad arbitrato rituale. Qualora ciò non sia possibile, perché in chiave interpretativa la clausola contiene le disposizione prescritte dall'art. 808 ter, si dovrà ritenere che la clausola sia nulla, con conseguente riemergere della competenza del Giudice del lavoro.

Autore: Avv. Massimo Curti