L' anatocismo bancario ed il problema del parametro di riferimento normativo:
le soluzioni prospettate
dalla giurisprudenza e dalla dottrina

 

1. Il c.d. anatocismo bancario ed il problema del parametro di riferimento normativo. Le soluzioni prospettate dalla giurisprudenza di legittimità e quelle dei giudici di merito e della dottrina

Le due sentenze qui annotate (entrambe I Sez. Civ.) hanno segnato il ritorno in Cassazione del problema del cosiddetto anatocismo bancario[1], dopo la sentenza del novembre 2004 delle Sezioni unite [2], alle quali Tribunali e Corti di merito, salvo alcune significative decisioni[3], si stanno sbrigativamente adeguando, considerata la funzione nomofilattica della pronuncia delle Sezioni unite, ma a dimostrazione di come la soluzione di una questione di massima di particolare importanza, gia oggetto di revirement giurisprudenziale, possa ridursi al rango di semplice citazione di un precedente giudiziario[4].

Le decisioni che si commentano, infatti, anche per la riduttivita delle motivazioni, non si discostano dalla caratteristica di appiattimento dei pronunciati dei giudici di merito, ma si segnalano perche almeno si soffermano sul parametro di riferimento della spinosa questione. Al riguardo le Sezioni unite si limitarono ad affermare che "il parametro di riferimento e costituito dall'art.1283 del c.c. (anatocismo) e, in particolare, dall'inciso 'salvo usi contrari che, in apertura della norma, circoscrive la portata della regola, di seguito enunciata, per cui gli interessi scaduti possono produrre interessi (a) solo dalla domanda giudiziale o (b) per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza ....".

Le sentenze annotate, invece, affrontano la questione, data per scontata dalle Sezioni unite, e gia sorta in dottrina e in giurisprudenza, relativa alla estensione al conto corrente bancario, delle disposizioni che regolano il conto corrente ordinario, sì da escludere per il primo, così come avviene per quest'ulimo, la possibilità stessa di configurare l' anatocismo e con esso di applicare la norma di cui all'art. 1283 c.c.

La soluzione cui tali sentenze pervengono non si discosta da quella delle Sezioni unite, ritenendosi senz'altro applicabile, alla fattispecie in esame, l'art. 1283 c.c. Ciò, pero, in base ad un iter argomentativo che porta ad escludere l'applicazione delle norme relative al conto corrente ordinario.

La sentenza n. 10127 del 14 maggio 2005 rileva che la norma di rinvio dell'art. 1857 c.c., dettata in materia di operazioni regolate in conto corrente bancario, si limita ad estendere a queste ultime soltanto gli articoli 1826, 1829 e 1832 c.c., e non richiama anche l'art. 1831 cod.civ. secondo cui la chiusura del conto corrente ordinario con la relativa liquidazione del saldo avviene alle scadenze stabilite dal contratto ovvero dagli usi (salva, in mancanza, la scadenza semestrale prevista dalla stessa norma).

La Cassazione da pure atto di quella dottrina secondo la quale "la mancanza di un richiamo espresso, da parte dell'art. 1857 c.c. dell'art. 1831 c.c. non impedirebbe l'applicazione analogica di detta ultima disposizione al contratto di conto corrente bancario"; ma afferma di non poterla condividere "per la fondamentale ragione che contratto di conto corrente ordinario e contratto di conto corrente bancario sono contratti notevolmente diversi per struttura e funzione con pochissimi e non decisivi punti di contatto", sui quali la Corte medesima partitamente si sofferma.
A sua volta, Cass. 22 marzo 2005 n. 6187 perviene alla stessa conclusione di ritenere "che non ricorrono le condizioni idonee a legittimare una deroga al dettato dell'art. 1283 c.c.".. "perche gli interessi nelle obbligazioni pecuniarie quali quelle in oggetto si determinano su crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro (art. 1282 c.c.)", ma la esigibilità in questo caso non ricorre fino alla data di approvazione del conto, anche nel modo tacito della non contestazione di cui al citato art. 1832 cod. civ.

L'argomento, pur se risolto negativamente, non poteva, come hanno fatto le Sezioni unite, essere liquidato con una petizione di principio, sicché occorre dar conto di quella giurisprudenza e di quella dottrina che se ne sono occupate e nel cui ambito il problema è stato dibattuto, anche nella prospettiva di un maggiore futuro approfondimento sul punto.
Si intende far riferimento a quella parte della dottrina e della giurisprudenza che si è preoccupata, innanzitutto, di verificare se la regola di cui all'art. 1283 c.c. sia conciliabile con la struttura e la funzione del contratto di conto corrente bancario o, per meglio dire, con le operazioni bancarie in conto corrente.
Tale questione -che appare, ovviamente, preliminare rispetto a quella della effettiva portata della succitata regola- non è stata minimamente sfiorata dalla sentenza 2004/21095 delle Sezioni Unite che evidentemente, risolvendola in modo implicito ed in senso negativo, ha configurato la norma dell'art. 1283 c.c. come esclusivo parametro di riferimento per la individuazione della disciplina legislativa applicabile alla fattispecie concreta.

La giurisprudenza e la dottrina che, già prima delle sentenze qui annotate, si sono occupate di tale questione, sono state sollecitate anche dalla preoccupazione dei riflessi negativi, provocati sulla certezza del diritto, dalla "epocale" svolta interpretativa della Cassazione (il revirement giurisprudenziale del 1999), in un settore vitale, come quello bancario, della vita sociale ed economica[5] .

Ed, invero, l'interrogativo è pure fondato su base normativa, ove si consideri che, per il conto corrente ordinario è previsto che "la chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatto alle scadenze stabilite dal contratto", e solo in mancanza in quella stabilita dagli "usi" od, in estremo subordine, "al termine di ogni semestre computabile dalla data del contratto" (art.1831 c.c.), essendo gia prima stabilito dal codice (art. 1823 c.c. 2° co.) che il "saldo" , non richiesto alla scadenza che ne produce l'esigibilità, "si considera come prima rimessa di un nuovo conto" (su di essa decorrendo gli interessi "nella misura stabilita dal contratto e dagli usi, o, diversamente, in quella "legale": art. 1825 c.c.). Ne deriva che, secondo unanime e consolidata giurisprudenza, rispecchiante conforme dottrina, al conto corente ordinario non si applica l'art. 1283 cod. civ.

La questione, pertanto, è stata (e rimane) quella di stabilire se tale disciplina codicistica sia applicabile per estensione od analogia anche alle "operazioni bancarie in conto corrente" di cui agli artt. 1852 - 1857 del codice civile, considerato che la norma di rinvio dell'art. 1857 si limita a richiamare " gli articoli 1826, 1829 e 1832", e non pure le altre disposizioni sulla base delle quai ha fondamento la capitalizzazione anatocistica degli interessi sulle "rimesse"del conto corrente ordinario.

Le sentenze annotate negano, per le ragioni gia indicate, la possibilia di estendere alle operazioni bancarie in conto corrente il regime codicistico dettato per il conto corrente ordinario[6], facendo referimento al mancato richiamo da parte dell'art. 1857 che neppure consentirebbe l'applicazione analogica delle norme non richiamate. Tale possibilia di applicazione analogica dovrebbe, infatti, escludersi, come gia riferito, perche "il contrattto di conto corrente ordinario ed il contratto di conto corrente bancario sono contratti notevolmente diversi per struttura e funzione con pochissimi e non decisivi punti di contatto".

In senso, pero, contrario, si era formata una costante giurisprudenza di merito, prevalentemente presso il Tribunale di Roma [7], che ha, pure, recentemente affermato come "contrariamente a quanto avviene nel contratto di mutuo contenente clausole anatocistiche, la capitalizzazione degli interessi nel contratto di conto corrente assistito da apertura di credito si produce a favore della banca o del cliente, non in via necessaria ma in via eventuale ed eccezionale, vale a dire nelle sole ipotesi in cui sul conto passivo non siano compiute rimesse ovvero sul conto attivo non vengano effetuati prelievi di importo pari agli interessi maturati nel periodo precedente, atteso che nei conti fisiologicamente movimentati, caratterizzati da pluralita di operazioni di segno contrario la preliminare estinzione degli interessi attivi o passivi, rispettivamente prodotti dai prelievi o dalle rimesse compiuti da correntista fa venire meno il presupposto stesso dell'anatocismo, impedendo la sopravvivenza al termine del periodo, degli interessi che la regolamentazione periodica dovrebbe capitalizzare"[8].

Come si e rilevato, l'argomento e indubbiamente destinato ad uno sviluppo dell'analisi, che gia si riscontra nella sentenza del Tribunale di Napoli 31 marzo 2005, ove e detto che "l'art. 1852 , allorche parla di operazioni bancarie regolate in conto corrente, non puo che riferirsi alla nozione di conto corrente fornita dall'art. 1823 c.c., precisandosi che a tale soluzione non costituisce ostacolo lo stesso art.1852 c.c.che prevede la permanente esigibilita del saldo da parte del correntista, in quanto "anche nel conto corrente bancario le parti annotano in conto le reciproche rimesse e , se non e richiesto il pagamento, il saldo si considera quale prima rimessa del nuovo periodo". Il Tribunale di Napoli, in definitiva, si colloca nell'indirizzo della giurisprudenza di merito citata nella presente nota, ma con una singolare e decisiva variante per cui la problematica relativa all'applicazione per estensione o per analogia degli articoli 1823 e ss. c.c. e superata mediante una prospettiva di applicazione diretta delle stesse disposizioni codicistiche. Occorre solo notare che il Tribunale qui citato e pervenuto, pero, alla conclusione di escludere, poi, l'applicazione, alla fattispecie oggetto di studio, della stessa normativa sulla considerazione per cui in tale fattispecie non e rispettato il principio della pariteticita prevista dalla legge in materia di conto corrente ordinario, siccome "effetto naturale del contratto e l'anatocismo bilaterale , vale a dire in danno o in favore di entrambe le parti ad ogni chiusura del conto, mentre la clausola in contestazione [prevede] a fronte della chiusura annuale dei conti attivi con relativa capitalizzazione degli interessi a credito [del correntista], la chiusura trimestrale del conto anche solo saltuariamente debitore pr capitalizzare con tale cadenza gli interessi a debito "; in tal modo essa rappresenta una pattuizione atipica non riconducibile alla specifica disciplina del rapporto di conto corrente bancario sia pure integrato dalle norme di cui agli artt. 1823 e 1831 c.c. ( la sentenza, cosi, finisce con l'applicare, infine, nuovamente l'art. 1283 c.c. con sanzione di nullita della clausola contrattuale, peraltro, "sostituendo all'applicata capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati sulle somme a debito, la capitalizzazione annuale, come previsto per i tassi creditori)[9].

Le considerazioni suesposte dimostrano come il problema dell'inquadramento normativo del cd. anatocismo bancario, gia ampiamente discusso anteriormente al rivirement giurisprudenziale del 1999 e durante la stessa fase della richiamata evoluzione giurisprudenziale, e sopravvissuto anche alla sentenza delle Sezioni unite del 2004, attraverso una elaborazione proveniente dai giudici di merito, ancorche le decisioni di questi ultimi non abbiano riscontro, se non in senso negativo nel nuovo indirizzo della Corte di Cassazione. Da qui l'esigenza di tener conto, come si e fatto, della problematica mai sopita, avendo, pero, presente che la ripetuta questione dell'anatocismo bancario resta, secondo la piu comune interpretazione, pur sempre legata alla fattispecie codicistica disciplinata dall'art. 1283 del codice civile rispetto alla quale, come sara illustrato nei successivi paragrafi, gia si avverte un fermento di pensiero che neppure le Sezioni unite hanno definitivamente chiuso.

2. Il contratto di conto corrente bancario e la ricognizione degli usi normativi anatocistici

La giurisprudenza e concorde nel definire l'art. 1283 c.c. come norma "suppletiva" in quanto applicabile solo in mancanza di quella consuetudinaria[10] ed a carattere "eccezionale", in considerazione delle forti limitazioni che ne contrassegnano l'operativita [11] e per le numerose deroghe che essa incontra nello stesso codice[12].

E anche pacifico che "gli usi contrari, richiamati dall'art. 1283 Codice civile, il quale consente agli interessi scaduti di produrre interessi solamente dal giorno della domanda o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi, sono usi normativi in quanto operano sullo stesso piano della norma anzidetta (secundum legem) costituendo espressa eccezione al principio generale ivi affermato"[13]. Ed in proposito la giurisprudenza ha successivamente precisato[14] che tali sono gli usi "di cui agli articoli 1 e 8 disp. prel. Codice civile consistenti nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento (non dipendente da mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che gia esiste e che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis)".

E controverso, invece, se l'incipit dell'art. 1283 Codice civile abbia riguardo ai soli usi preesistenti all'entrata in vigore del codice del 1942, oppure anche a quelli che ne risulterebbero successivamente formati, sostenendosi a ragione di tale piu liberale soluzione che, diversamente, si creerebbe "una inammissibile cristallizzazione degli usi, impedendo che se ne formino di nuovi, e cio in contrasto con l'art. 8 delle disp. prel. al cod. civ. , che riguarda soltanto "la fonte e non gia il tempo di produzione normativa". In contrario si e, pero, sostenuto che quando, come nella fattispecie, la materia sia regolata "da una norma imperativa di legge, quale appunto l'art. 1283 Codice civile, il carattere inderogabile della norma costituisce un radicale impedimento alla formazione legittima di una prassi e quindi di un uso diverso, anzi contrario al precetto legislativo: se la norma fa divieto ai privati di stabilire convenzionalmente la produzione di interessi sugli interessi, ogni convenzione che fosse posta in essere sarebbe colpita dall'invalidita e non si vede, quindi, in quale modo, in quale forma, secondo quale legittimita possa venire a formarsi una valida consuetudine che, paradossalmente, avrebbe il suo fondamento nella violazione sistematica della norma"[15].

Con riguardo alla fattispecie in esame, si e posto il problema della validita, ai sensi dell'art. 1283 c.c. della clausola costantemente inserita nei contratti di conto corrente bancario, fino all'entrata in vigore del d.lgs. 343/99, che prevedeva la chiusura trimestrale dei conti a debito del correntista, con conseguente capitalizzazione degli interessi maturati sul saldo passivo[16].

La problematica, dunque, che e alla base di tutto il dibattito relativo alla validita del patto contrattuale, si sintetizza nell'unico quesito, gravido di conseguenze ormai macroeconomiche, sulla corrispondenza di tale clausola ad un uso normativo, ovvero ad un mero uso negoziale.

La questione, ancorche non se ne fissi la decorrenza problematica dalla entrata in vigore del codice civile del 1942, cui si deve la unificazione in sistema unitario delle obbligazioni civili e commerciali, con effetti immediati sul trattamento anatocistico degli interessi nel conto corrente bancario, era gia nota all'epoca del previgente sistema codicistico, dato dal concorso tra codice civile del 1865 e codice commerciale del 1882[17].

Era, infatti, costante giurisprudenza quella per cui "L'art. 41 codice commercio non deroga l'art. 1232 Codice civile e pertanto anche in materia commerciale non sono dovuti gli interessi degli interessi se non si dimostri una consuetudine in tal senso, o in difetto si applica il predetto art. 1232 Codice civile"[18] e cio anche per quanto concerne i termini e modi della loro produzione[19].

Peraltro, tanto la dottrina[20] quanto la giurisprudenza[21] non avevano dubbi sulla ricognizione positiva di una consuetudine relativa alla capitalizzazione degli interessi per i crediti derivanti da , fra i quali, com'e noto, si includevano le .

La dottrina citata precisava anche che "a queste conclusioni, in quanto sono appunto la conseguenza naturale del principio di diritto da noi indicato, si dovrebbe pur pervenire ancorche il legislatore avesse omesso di manifestare la sua intenzione di esimere dalle restrizioni imposte all'anatocismo le materie commerciali, qualora cosi volessero gli usi relativi. E alle stesse conclusioni venne difatti, quasi sempre, la giurisprudenza francese, sebbene l'art. 154 del codice Napoleone, a differenza del nostro art. 1232, non accennasse ad alcuna eccezione pei debiti commerciali. Di guisa che noi troviamo deciso alla Cassazione di Francia: che la capitalizzazione degli interessi nel conto corrente ha luogo di pieno diritto quando si tratti di interessi annuali; che per un periodo semestrale puo esservi capitalizzazione anche senza una convenzione espressa, quando lo consentano gli usi notori e costanti del commercio; ed anche per un periodo trimestrale"[22].

D'altra parte, la dottrina era concorde nel senso che "per patto gli interessi degli interessi possono stipularsi anche retroattivamente" ed altresi che l'origine di tale patto era saldamente ancorato alle consuetudini, precisando "come la piu notevole di queste consuetudini concerne il conto corrente: dove "e lecito pattuire che gli interessi delle somme risultanti a debito, per dirlo con parola commerciale, di un correntista, siano capitalizzati a favore

dell'altro correntista a brevi scadenze periodiche"[23].

Cio posto, e ben evidente che, sulla base di tale tradizione storica, la giurisprudenza non abbia avuto dubbio e si sia consolidata, almeno in una prima ma prolungata formazione, nel senso di ritenere che "l'anatocismo e legittimamente domandato se corrisponde ad una consuetudine ed e notorio, come piu o meno equamente dal punto di vista politico-economico, sussista nella pratica delle prestazioni bancarie la consuetudine, anche superiormente autorizzata dal cartello bancario, di applicare gli interessi sugli interessi scaduti"[24], altresi precisandosi che tale consuetudine opera "sotto forma di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dai clienti alla banca. Si tratta di usi normativi - perche dotati dei caratteri obiettivi della costanza, della generalita e della durata e del carattere soggettivo della opinio juris - che sono propri della norma giuridica consuetudinaria in base alla quale la produzione degli interessi anatocistici prescinde del tutto dai presupposti fissati dall'art. 1283 Codice civile"[25] di cui, peraltro, deve riconoscersi la discutibilita sul piano ricognitivo di riscontro[26], ove non si ritenga assumere a fondamento della scelta decisoria l'indiziarieta del precedente quadro storico e maggiormente di quello normativo, sul quale ci si intratterra piu ampiamente in seguito.

Dopo l'entrata in vigore del codice del '42, la Cassazione, gia sporadica nel vigore del precedente regime, ha taciuto per circa quarant'anni - e cio puo anche essere argomento di sostegno (ma se ne parlera piu approfonditamente in seguito) al riscontro positivo del generale convincimento di un uso normativo di capitalizzazione trimestrale degli interessi nei conti correnti bancari, occupandosene per la prima volta[27], soltanto, ed implicitamente, nel 1980, per sostenere che l'uso esistente in materia bancaria, circa la corresponsione degli interessi composti, in deroga all'art. 1283 Codice civile, non potesse estendersi oltre l'ambito soggettivo di formazione dello stesso uso - e cioe nei rapporti degli istituti di credito e loro clienti - con esclusione, quindi, delle societa finanziarie, "onde evitare che il fine perseguito dal legislatore nel sancire la regola generale venga ad essere frustrato dall'estensione soggettiva dell'uso ad essa contrario".

La sentenza invece con la quale la Cassazione si occupa perspicuamente dell'argomento e quella 15 dicembre 1981 n. 6631[28], ove la S.C., con una articolata motivazione e nell'ambito della enunciazione di concordanti e coerenti principi, fra l'atro, afferma che: "nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare ed avere, l'anatocismo trova generale applicazione in quanto sia le banche sia i clienti chiedono e riconoscono (nel vario atteggiarsi dei singoli rapporti attivi e passivi che possono in concreto realizzarsi) come legittima la pretesa degli interessi da conteggiarsi alla scadenza non solo sull'originario importo della somma versata ma sugli interessi da questa prodotti e cio anche a prescindere dai requisiti richiesti dall'art. 1283 Codice civile". Tanto, sul fondamento di un "uso normativo", di cui la Corte stessa dichiara la esistenza, ascrivendosene il potere di accertamento per effetto della "normativita" dell'uso, e quindi in base al principio iura novit curia.

Fanno seguito a tale sentenza altre dieci decisioni della S.C. alla stessa conformi, senza che, pero, a tale pedissequa uniformazione possa, in verita, attribuirsi il significato "svalutativo" assegnato dalla sentenza 21095/2004 delle Sezioni unite della S.C. ("solo dieci tralaticie pronunzie nell'arco di un ventennio"), in quanto proprio la "sporadicita" e "conformita" del criticato tessuto giurisprudenziale sembra dare conferma della pacificita sociale della regola, generalmente osservata come conforme ad obbligo giuridico al quale bisogna attenersi[29].

Nel 1994 e nel 1998, invece, con due decisioni emesse rispettivamente dal Tribunale di Vercelli e di Busto Arsizio, seguite nel 1996 da una sentenza della Pretura di Roma e nel 1999 da una sentenza del Tribunale di Milano, si e sviluppata la revisione giurisprudenziale che, poi, avrebbe ricevuto consacrazione nel revirement della Cassazione del 1999. Anzi, puo ben dirsi che i giudici di merito anticiparono, pur sul piano del sillogismo decisorio, il percorso logico seguito dalla Suprema Corte negli anni successivi.

Il Tribunale di Vercelli, in particolare, dichiaro "l'illegittimita (radicale nullita) della clausola pretensiva dell'interesse sull'interesse stipulata prima della scadenza di quest'ultimo e la non debenza di alcun altro interesse sull'interesse, per assenza, o - il che processualmente e la stessa cosa - per mancanza di prova sull'esistenza di un uso normativo contrario, che faccia lecita la corresponsione dell'anatocismo".

Ed in effetti, il Tribunale escluse, in concreto, trattarsi di un uso , bensi , sul presupposto di ritenere che, indipendentemente dalla insufficienza della stessa dimostrazione dell'elemento materiale, quello psicologico non coincidesse affatto con l' "opinio juris ac necessitatis", e cioe con la corrispondenza della accettazione della clausola anatocistica per il consapevole adempimento di un obbligo giuridico esistente, ovvero corrispondente ad una astratta doverosita legale, per essere, invece, l'adesione contrattuale condizione ineludibile di accesso al credito, secondo l'imposizione della banca in base alla regola del "prendere o lasciare". Il Trib. di Busto Arsizio, a sua volta, aggiunse che "il meccanismo della capitalizzazione trimestrale, a lungo andare, finisce per falsare il tasso degli interessi applicati - che si trasformano in capitale - portando detti interessi a superare, con il tempo, i tassi soglia stabiliti dalla legge 7 marzo 1996 n. 108"[30].

3. Il revirement della Corte di Cassazione nella primavera del 1999, la giurisprudenza di merito e la sentenza delle Sezioni unite

Le due sentenze dei Trib. di Vercelli (1994) e di Busto Arsizio (1998), rompendo il fronte dell'unanimismo giurisprudenziale, tessutosi attraverso gli anni sul riconoscimento dell'anatocismo bancario, e, nel contempo, l'inversione orientativa di autorevole dottrina, che pur aveva in precedenza costituito la base culturale di quell'indirizzo consolidato, costituirono da presupposto al revirement della Cassazione del 1999.

E noto che la Cassazione degli anni '80 - sebbene per le ragioni che saranno di qui a poco approfondite - cosi, come l'appiattimento fideistico dei giudici di merito sulle sin troppo concise decisioni della giurisprudenza di legittimita - pecco nel senso di non aver saputo dare adeguato conto delle ragioni della perdurata condivisione di un fenomeno, che non appariva piu al corrente con le istanze della societa civile in un quadro normativo che, anche su indirizzo della legislazione comunitaria, si era ormai evoluto verso la privilegiata attenzione di tutela del "contraente debole", cosi come, soprattutto dimostrato dalla legge 154/92, in materia di "trasparenza bancaria", e dalla legge 108/96, in materia di "usura".

Accade inevitabilmente, dunque, che[31] "La suprema Corte, in particolare, raccogliendo alcune sollecitazioni dottrinali (e dando voce al fermento dei giudici di merito n.d.r.), considera rilevante la circostanza che la prassi bancaria di trimestralizzazione nella capitalizzazione e di recente introduzione (1952), ed e stata all'origine alimentata esclusivamente con l'inserimento delle relative clausole nell'ambito di contratti cui il cliente e chiamato ad aderire secondo il modello dell'art. 1342 Codice civile. In particolare, l'acriticita, nello schema in discorso, dell'adesione del cliente al contratto implicherebbe l'impossibilita di una ricorrenza concreta dell'elemento soggettivo integrante l'uso di cui all'art. 8 delle preleggi - l'opinio juris ac necessitatis - e la mera possibilita di una qualificazione della fattispecie nei termini di uso negoziale: categoria, quest'ultima, formata soltanto dall'elemento oggettivo della ripetizione di un comportamento in un dato contesto storico-temporale".

Il nuovo indirizzo giurisprudenziale della Cassazione si apre con la sentenza 16 marzo 1999 n. 2374 (variamente massimata, con accentuazione, nei diversi casi, dei profili di diritto che, di volta in volta, l' "annotatore" ha inteso porre in risalto per far seguire alla pronuncia specifiche osservazioni di consenso o di dissenso), comminante sanzione di nullita della clausola anatocistica contrattuale di capitalizzazione trimestrale degli interessi, sui saldi di conto corrente bancario a debito del correntista, poiche avente origine in un uso negoziale, e non normativo, esclusivamente idoneo, quest'ultimo, a derogare le condizioni alle quali l'anatocismo e ammesso dall'art. 1283 Codice civile, norma imperativa a carattere eccezionale. Ed in effetti, la Corte ha escluso che tali usi fossero rintracciabili al momento della entrata in vigore del codice del 1942, riferendone, invece, la derivazione dalle norme uniformi bancarie diramate dall'ABI nel 1952, come condizioni generali di contratto, il cui inserimento "e acconsentito da parte dei clienti non in quanto ritenuto conforme a norme di diritto oggettivo gia esistenti o che sarebbe auspicabile che fossero esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformita con le direttive della associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituisce al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Atteggiamento ben lontano da quella spontanea adesione ad un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l'opinio juris ac necessitatis se non altro per l'evidente disparita di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca ed interessi dovuti dal cliente"[32].

Fa, quindi, seguito subito dopo la sentenza 30 marzo 1999 n. 3096[33], che sostanzialmente e formalmente reitera la precedente n. 2374 del 16 marzo.

Senonche la sentenza del 17 aprile 1999 n. 3845[34] restringe l'affermazione del principio agli interessi "moratori", in quanto nel caso concreto, come la stessa Corte si preoccupa di predicare, non era contestata dal ricorrente "la legittimita della capitalizzazione (trimestrale) degli interessi durante il rapporto di conto corrente". A ben vedere, tuttavia, quest'ultima sentenza, nella motivazione, non e coerente con le due precedenti, ove, avendo riguardo al fondamento dell' "uso normativo", dedotto a legittimazione della clausola anatocistica per gli interessi "durante il rapporto di conto corrente", afferma che "l'esistenza di un siffatto uso per il periodo successivo alla chiusura (finale) del conto e sicuramente da escludere, dal momento che gli si riferiscono agli interessi maturati nel corso del rapporto (artt. 3 e 8), i quali hanno natura compensativa e sono quindi diversi da quelli (di natura moratoria) dovuti sul saldo finale del conto".

Ed infatti, la sentenza contiene alcune affermazioni di principio che sembrano decisamente discostarla dall'iter argomentativo del nuovo indirizzo, e cio almeno quando si riferisce ad una prospettica differenziazione di trattamento giuridico in tema anatocistico, tra interessi "compensativi" e "moratori", e quando restituisce dignita agli "usi e consuetudini del settore del credito", come fonte, evidentemente, ricognitiva di usi normativi.

Il contenuto della sentenza avrebbe potuto far pensare ad una riflessione critica della Cassazione, almeno sul piano argomentativo, ma questa prospettiva e stata ben presto smentita dalla pronuncia 11 novembre 1999 n. 12507 della S.C.[35] giacche tale sentenza conferma pienamente il nuovo corso, integrando l'elaborazione motivazionale con la sola considerazione del significato, marginale, per vero, a nostro avviso, di una sorta di riconoscimento della insussistenza dell'uso normativo nel fatto stesso dell'inserimento nei contratti di conto corrente di una clausola conforme all'uso consuetudinario: si e sostenuto, cioe, che l'inutilita della clausola anatocistica nei contratti di conto corrente costituirebbe riconoscimento del redattore dell'inesistenza dell'uso normativo, dotato di forza legale indipendentemente da qualsiasi clausola riproduttiva.

La previsione, cioe, si giustificherebbe soltanto perche, le banche, consapevoli o nel dubbio della normativita dell'uso avrebbero inserito (almeno cautelativamente) la clausola per impegnare il cliente con patto contrattuale. All'inverso, invece, e ben evidente la fragilita dell'argomentazione, nulla potendo argomentarsi dalla tuzioristica clausola contrattuale.

Negli anni a seguire il principio ha trovato puntuale conferma in numerose sentenze della Cassazione, che ricorrentemente ribadiscono la massima della nullita della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi, nei conti correnti bancari, come saldo a debito del cliente, in base alle ragioni gia svolte dalle sentenze del marzo 1999 e successive, arricchendone anche, in taluni casi, il conforto argomentativo, e cosi le sentenze: 4 maggio 2001 n. 6263[36]; 28 marzo 2002 n. 4490[37]; 13 giugno 2002 n. 8442[38]; 20 febbraio 2003 n. 2593[39]; 20 agosto 2003 n. 12222[40]; 25 febbraio 2004 n. 3805 ed 11 giugno 2004 n. 11097[41].

Si sarebbe potuto, allora, ritenere che il nuovo corso giurisprudenziale della Cassazione, attraverso il suo consolidamento, avrebbe anche avuto l'effetto di conciliare i pregressi contrasti giurisprudenziali e dottrinari, ove, viceversa, e subito apparso evidente, che la giurisprudenza di merito persisteva nella sua frammentarieta, con decisioni contrapposte, talora in senso affermativo della validita delle clausole anatocistiche, continuando a recepire le ragioni gia enunciate dall'anteriore corso della S.C., ed altre volte in senso di declaratoria della nullita delle clausole suddette, aderendo al nuovo indirizzo segnato dal revirement della Cassazione. Allo stesso modo si atteggiava la dottrina sotto l'impulso delle diverse istanze emergenti dalla societa civile e dalla realta economica, in essa riflettendosi anche, contrapposte posizioni di politica del diritto, che inevitabilmente reagivano in modo diversificato all'innovazione, giustamente definita "epocale", scaturita dal nuovo corso interpretativo, che, indipendentemente dalla scelta di merito, comunque non mancava di arrecare incrinature rilevanti alla certezza del diritto. Anche se a quest'ultimo proposito - e proprio con riferimento alla controversa vicenda che ci riguarda - e stato affermato che "un diritto certo in concreto non e mai esistito, dal momento che la certezza del diritto e solo una aspirazione o un valore tendenziale", aggiungendosi, pero, che "dalla constatazione che determinate garanzie non possono essere agevolmente assicurate ai privati, non puo desumersi la conseguenza che esse debbano essere del tutto disattese"[42].

In senso favorevole ancora alla validita della clausola anatocistica inserita nei contratti di conto corrente bancario si sono pronunciati il Tribunale di Roma con sentenza 26 maggio 1999[43], il Tribunale di Monza con sentenza 2 ottobre 2000, quello di Bari con sentenza 28 febbraio 2001 e di Firenze con sentenza 8 gennaio 2001[44], il Tribunale di Napoli con sentenze 5 novembre 2001 e 18 gennaio 2002[45]; ancora i Tribunali di Napoli, con sentenza 11 ottobre 2002 e Reggio Calabria, con sentenza 28 giugno 2002[46], nonche i Tribunali di Taranto 26 marzo 2001, ancora Napoli 30 giugno 2002 ed 8 gennaio 2003, Torino 20 giugno 2003, Termini Imerese 5 febbraio 2003, Napoli 10 marzo 2003, Viareggio 9 marzo 2004, Palermo 30 aprile 2003, nonche Appello Torino 4 agosto 2003[47].

Si sono, invece, adeguati al nuovo indirizzo giurisprudenziale la Corte di Appello di Lecce, con sentenza 22 ottobre 2001[48], e quella di Milano 6 marzo 2002[49], il Tribunale di Milano 4 luglio 2002 [50], nonche la Corte di Appello di Lecce 9 febbraio 2002, il Tribunale di Bergamo 18 dicembre 2002, la Corte di Appello di Milano 18 gennaio 2003, il Tribunale di Viterbo 29 febbraio e 24 giugno 2003 e quello di Napoli 25 marzo 2004[51].

La posizione della dottrina che, a sua volta, malgrado il consolidamento giurisprudenziale, ha mantenuto aperto il dibattito, e stata gia ricordata in questo paragrafo rinviandosi a quanto gia detto.

Pertanto, ricorrevano le condizioni per cui la questione, a seguito di sopravveniente ricorso in Cassazione fosse rimessa alle Sezioni Unite della Corte, ai sensi del 2? comma dell'art. 374 c.p.c., non tanto per contrasto tra le sezioni semplici [52], quanto per la "soluzione della questione di massima di particolare importanza", nell'esercizio della funzione nomofilattica della Corte medesima, non potendosi ancora ritenere risolta la controversia sul punto coinvolgente, oltre che la stessa Cassazione, le corti di merito e la generalita degli utenti del servizio giustizia.

Le Sezioni Unite della Cassazione[53], su ricorso proposto dal Credito Italiano S.p.a., che aveva impugnato la sentenza della Corte di Appello di Cagliari, per rimessione del Primo Presidente del supremo Collegio il quale, a seguito di istanza della banca ricorrente, aveva ritenuto valido il motivo perche la Corte stessa decidesse in composizione unitaria, con sentenza n. 21095 del 4 novembre 2004, si e pronunziata sulla seguente questione di massima: "incontestata la non attualita di un uso normativo di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario - sia o non esatto escludere che un siffatto uso preesistesse al nuovo orientamento giurisprudenziale (Cass. 1999 n. 2374 e successive conformi) che lo ha negato, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con la precedente giurisprudenza", in contrapposto alla diversa prospettazione per cui "la convinzione degli utenti del servizio bancario della normativita dell'uso di capitalizzazione trimestrale degli interessi, originariamente sussistente, e venuta meno dopo lungo tempo proprio a seguito di quello stesso processo di mutamento di prospettiva che ha indotto la Cassazione medesima a mutare il proprio orientamento"[54].

La Cassazione, nel ripercorrere il processo argomentativo delle sezioni semplici (a partire dal marzo 1999) ha seguito un ragionamento sillogistico articolato su due premesse, di cui la prima, maggiore, esprime il principio secondo cui l'incipit dell'art. 1283 Codice civile fa riferimento esclusivamente agli "usi normativi in senso tecnico" (artt. 1 e 8 disp. prel. Codice civile) come soltanto idonei a legittimare l'anatocismo oltre i limiti e le condizioni rigorosamente fissati dalla norma, e l'altra (minore), fondata sulla "comune esperienza", secondo cui non vi sarebbe corrispondenza, come invece occorre, tra l'adesione del cliente (contraente debole della banca, titolare della posizione dominante), all'obbligo di pagamento degli interessi composti sui saldi a debito nel conto corrente, come corrispondente ad un precetto giuridico, già esistente o che si vorrebbe che fosse presente nell'ordinamento giuridico, e nel quale consiste l'opinio juris ac ncessitatis, elemento soggettivo della norma consuetudinaria.

Le Sezioni Unite riconducono tale processo motivazionale alle sentenze del revirement, ma in effetti lo acquisiscono quando concludono nel senso che "Più semplicemente, di fatto, le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perche già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessita di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la riconducibilita, ab initio, della prassi di inserimento nei contratti bancari, delle clausole in questione, ad un uso negoziale e non gia normativo (per tale profilo in contrasto, dunque, con il precetto dell'art. 1283 Codice civile), come correttamente ritenuto dalla sentenza del 1999 e successive". In realtà, nella sentenza a sezioni unite, la Cassazione, aggiunge soltanto argomentazioni specificamente volte a contraddire la peculiarita dei motivi di ricorso della banca ricorrente, peraltro corrispondenti a diffusa formazione giurisprudenziale (delle corti di merito) e dottrinaria, (a) limitando la funzione dell'evoluzione del quadro normativo prodottosi negli anni '90 (secondo esemplificazione riconducibile, oltre che al legislatore, alla stessa giurisprudenza) alla "ribellione del cliente",a sua volta "occasione del revirement giurisprudenziale", (b) escludendo che la giurisprudenza, nella funzione soltanto ricognitiva e giammai creativa della giuridica, possa essere stata ("ventennio precedente al revirement del 1999") mezzo di del predicato uso normativo, (c) assumendo, quale effetto, la funzione <naturaliter retroattiva> della operata dalla giurisprudenza del 1999, (d) configurando (peraltro, come aveva gia fatto la giurisprudenza del 1999 per la legge 154/92) la norma del  comma 3 dell'art. 25 D. Lgs. 342/99, come disposizione volta ad assicurare la validità ed efficacia delle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina paritetica, in contrappunto soltanto alla considerata valenza retroattiva dell'accertamento di nullita delle clausole anatocistiche.

4. L'opinio juris ac necessitatis ed il ruolo della giurisprudenza

L'indagine sino ad ora svolta porta a concludere che, al di fuori della questione riguardante la ricognizione degli usi di cui all'art. 1283 Codice civile e della quale gia si e dato conto, la centralita del problema risiede nella configurazione dell'elemento soggettivo in base al quale se ne deduca la natura normativa idonea ad integrare la fattispecie legale.

Ed invero, riposa fondamentalmente sulla controversa individuazione di tale profilo <psicologico> la qualificazione del comportamento al quale si assegna il connotato giuridico dell'uso normativo, nel senso definito dall'art. 8 delle disposizioni sulla legge in generale; laddove nella materia oggetto di questo studio, e costantemente affermato dalla giurisprudenza c.d. del "nuovo corso", come dalle Sezioni Unite della Cassazione, cui si adegua la sentenza che si annota, che "dalla comune esperienza", infatti, emerge che l'inserimento nei concreti regolamenti contrattuali di clausole che prevedano la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario , precisandosi dalle Sezioni Unite della S.C. che "tale atteggiamento psicologico [e] ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l'opinio juris ac necessitatis".

Tale posizione corrisponde a quella comunemente accolta in giurisprudenza, ove si afferma che "Gli elementi dell'uso normativo sono l'uno esteriore, consistente nella ripetizione costante di un dato comportamento, l'altro psicologico, costituito dalla generale opinione di osservare, cosi operando, una norma giuridica (opinio juris ac necessitatis)"[55], ma non trova sempre concorde la dottrina[56].

Nè, d'altro canto, la scelta dell'una o dell'altra soluzione e irrilevante ai fini del problema qui trattato, essendo evidente che il convincimento della conformita della clausola anatocistica, inserita nei testi contrattuali predisposti dalle banche, secondo le norme diramate dall'associazione di categoria (ABI), ad un obbligo giuridico costituisce, nella logica della sentenza della Cassazione, il discrimine tra il carattere <normativo> o <negoziale> dell'uso dal quale la condizione contrattuale ha origine, osservandosi, pero, che "Se e gia difficile credere al valore discriminante all'interno degli usi, della cosiddetta opinio juris, ancora meno fondata sarebbe, d'altra parte, l'ulteriore affermazione secondo cui l'opinio stessa dovrebbe essersi formata spontaneamente, senza pressione da parte della piu forte fra le due categorie portatrici di interessi contrapposti in una determinata sfera di rapporti", e cio per la ovvia constatazione per cui, come anche l'esperienza storica dimostra, "gli usi si formano in corrispondenza con gli interessi delle categorie piu forti e meglio organizzate", dovendo, percio, escludersi che "al riconoscimento dell'uso relativo alla capitalizzazione trimestrale possa ostare la disciplina che tale modalita della capitalizzazione e stata prevista dalle cosiddette norme bancarie uniformi del 1951, ossia dalle condizioni generali predisposte dall'Associazione Bancaria Italiana", giacche, "Sul punto, come del resto su altri, le norme bancarie uniformi non hanno fatto che recepire una prassi preesistente, ma anche se cosi non fosse il costante recepimento della clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale nei singoli contratti da parte di tutte le banche e dei loro debitori - anche di quelli, si badi, che avrebbero avuto forza necessaria e sufficiente a consentire la pattuizione di condizioni particolari - avrebbe finito per trasformare in uso, dopo molti decenni di applicazione, quella che pure fosse sorta, in tesi, come condizione generale di contratto"[57].

Ed infatti, e stato osservato che la tesi della incompatibilita tra uso normativo e contratto unilateralmente predisposto "pone un limite eccessivo all'esplicarsi in materia contrattuale della fonte consuetudinaria posto, fra l'altro, che nulla esclude che l'adesione a clausole contenute in formulari sia il frutto del convincimento che tali clausole rispondono a precetti giuridici vincolanti"[58].

In senso del tutto opposto, peraltro, diversa e pur autorevole dottrina, da un canto, sostiene che nel presente sistema socio-economico e giuridico, caratterizzato dalla "prassi" della "contrattazione attraverso condizioni generali di contratto", l'esclusione dell'opinio juris come elemento (soggettivo) concorrente alla formazione della consuetudine, "avrebbe come illogica ed inaccettabile conseguenza che sostanzialmente tutte le regole contenute nei contratti predisposti, solo perche diffusamente e ripetutamente accettati ed eseguiti potrebbero essere considerati usi normativi, in quanto solo per il loro carattere ripetitivo e diffuso sarebbero suscettibili di integrare l'elemento materiale dell'uso", e, dall'altro, afferma che "l'inserimento unilaterale di clausole nel contratto preclude di per se che l'aderente possa giustificare la giuridicita della regola su presupposti diversi dalla stretta vincolativita che deriva dal contratto cui ha dovuto aderire", con "la conseguenza, pertanto, che la pratica della contrattazione attraverso condizioni generali di contratto risulta ostativa alla formazione dell'uso normativo"[59].

Logicamente connesso è il problema del ruolo della giurisprudenza nella tematica della normativistica consuetudinaria.

La questione, in realta, rileva in tesi "astratta" e nella "qualificata fattispecie concreta" della formazione dell'uso normativo - ove si voglia propendere per il suo riconoscimento, alla pari di come si intenda, invece, concludere per la sua esclusione - della capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista nel contratto di conto corrente bancario.

In linea astratta, generalizzando dal caso della concreta decisione, le Sezioni Unite della Cassazione hanno, come è noto, affermato il principio per cui "Anche in materia di usi normativi, cosi come con riguardo a norma di condotta posta da fonti-atto di rango primario, la funzione assolta dalla giurisprudenza nel contesto di sillogismi decisori, non puo essere altra che quella ricognitiva, dell'esistenza e dell'effettiva portata, e non dunque anche una funzione creativa, della regola stessa". Di seguito, poi, le stesse Sezioni Unite hanno applicato il principio alla concreta materia della decisione, facendone derivare il corollario per cui "in presenza di una ricognizione, pure reiterata nel tempo, che si dimostri, poi, pero, erronea nel presupporre l'esistenza di una regola in realta insussistente, la ricognizione correttiva debba avere una portata retroattiva, conseguendone, altrimenti, la consolidazione medio tempore, di una regola che troverebbe la sua fonte esclusiva nella sentenza che, erroneamente presupponendola, l'avrebbe con cio stesso creata" [60].

Orbene, se si tiene conto che, in un ordinamento, come il nostro, fondato sul principio di legalità, la certezza del diritto costituisce la misura del potere del giudice, ne consegue che, pur nell'ambito riconosciuto del c.d. diritto vivente, la funzione del giudice non può andare oltre la dimensione ricognitiva della norma che egli è chiamato ad applicare, nel senso che la "creatività della giurisprudenza non può e non deve significare, nel sistema dell'ordinamento, determinazione della norma bensì ricostruzione del sistema ed inquadramento nell'ambito di questo caso concreto" [61].

Peraltro, quando da tale corretta astrazione di massima si passa alla concreta considerazione di cio che si vuole intendere, ancora in via di principio, del rapporto giudice-consuetudine, e poi, ancora piu in concreto, della funzione svolta dalla giurisprudenza nella specifica materia che ci occupa, la conclusione sembra diversa.

E bene qui rilevare che autorevole dottrina ha affermato che la credenza nel che consiste "l'opinio si forma nel momento in cui l'utente ritiene probabile o addirittura certo che se egli violasse la regola, il suo atto sarebbe considerato illecito dall'organo giudiziario incaricato di mettere in moto l'apparato di coazione>, nel senso, dunque, che "dal punto di vista dell'utente, e giuridica quella consuetudine che egli ha fondata ragione di credere che il giudice applichera"[62].

Ne in contrario senso sembra corretto affermare quanto di recente sostenuto da autorevole dottrina [63] per negare al precedente giurisprudenziale il carattere fondativo della opinio juris ac necessitatis, nel senso, cioe, che "l'apprezzamento di vincolativita giuridica, che puo essere fatto dai consociati in relazione a massime della giurisprudenza, investe infatti pur sempre una attivita di applicazione delle norme giuridiche e non di creazione delle stesse: ciascuno di fronte ad una consolidata giurisprudenza puo ritenere prevedibile l'applicazione da parte del giudice di un principio di diritto gia precedentemente affermato, ma l'opinio che accompagnera tale apprezzamento non puo essere confusa con l'opinio juris ac necessitatis che accompagna solo ed unicamente le norme giuridiche di diritto positivo e consuetudinario, che sono le uniche dotate di quel carattere di obbligatorieta e di doverosita proprio della norma giuridica". E tanto proprio perche di fronte ad un siffatto tipo di discorso sono inevitabilmente premiate le teorie positivistiche del normativismo giuridico, che negano il requisito dell'opinio juris come condizione concorrente alla formazione dell'uso normativo [64], osservandosi che "la sua ammissione implica un circolo vizioso: da un lato, si afferma che la norma giuridica consuetudinaria non si costituisce se non esiste l'opinio; ma, dall'altro lato, l'opinio presuppone che la norma giuridica sia gia costituita. In altre parole, essa presuppone proprio quel diritto che dovrebbe contribuire a costituire. Da questa difficolta si puo uscire con due possibili soluzioni che non sono esse stesse scevre da inconvenienti: o si riconosce che la opinio e fondata sopra un errore, nel senso che la credenza dell'obbligatorieta di un comportamento e derivata dalla falsa credenza che esistesse una norma giuridica che in realta non esiste, oppure si ammette che l'opinio non abbia valore costitutivo del diritto consuetudinario, perche la credenza nell'obbligatorieta di un comportamento presuppone che gia esiste una regola giuridica valida, ma soltanto probativo, e pertanto appartenga non gia al momento della formazione della consuetudine, ma a quello della sua efficacia, dopo che e stata formata".

Sembra quindi corretto affermare che se, come diffusamente sostenuto, gli usi ai quali ha fatto riferimento l'incipit dell'art. 1283 Codice civile sono quelli (normativi) anteriori alla entrata in vigore del codice del 1942, sara sostenibile doversi avere riguardo anche alla giurisprudenza anteriore formatasi in materia, cui deve indubbiamente attribuirsi una maggiore valenza funzionale di ricognizione degli usi in questione, da ritenersi consolidata in senso decisamente affermativo dell'uso anatocistico bancario, e pure di quello specifico di capitalizzazione infrasemestrale [65].

Si ritiene che la situazione di una giurisprudenza conforme alla esistenza di un uso di capitalizzazione, quanto meno a , e quindi anche - a seconda degli indirizzi commerciali che, nel tempo, dovettero susseguirsi - non puo essere ritenuta senza significato nella formazione della "opinio" dell'uso in questione, e tale, percio, da essere non fonte "diretta" di produzione della norma consuetudinaria, ma "fonte indiretta" dell'uso in questione attraverso la indissolubile ed inequivocabile convinzione che esso concorre a ingenerare nella generalita dei consociati.

Di diverso avviso - non, peraltro, sotto gli specifici aspetti che noi abbiamo considerato - e una parte della dottrina[66], la quale prospetta diversa tesi attraverso la quale si dovrebbe pervenire alla negazione di qualsiasi validita al "precedente" giurisprudenziale, giacche "l'efficacia del diritto vivente si misurerebbe sull'ampiezza della condivisione e nel livello di prevedibilita di essere confermato in futuro, mentre tali caratteri sono del tutto estranei alla norma giuridica che esaurisce la sua funzione ed il suo significato nel comando precettivo. L'apprezzamento di vincolativita giuridica, che puo essere fatto dai consociati in relazione a massime della giurisprudenza, investe infatti pur sempre un'attivita di applicazione delle norme giuridiche e non di emanazione delle stesse: ciascuno di fronte ad una consolidata giurisprudenza puo ritenere prevedibile l'applicazione da parte del giudice di un principio di diritto gia precedentemente affermato, ma l'opinio che accompagna tale apprezzamento non puo essere confuso con la opinio juris ac necessitatis che accompagna solo e unicamente le norme giuridiche di diritto positivo e consuetudinario, che sono le uniche dotate di quel carattere di obbligatorieta e di doverosita propria della norma giuridica". Non sembra, pero, che tale prospettazione possa condividersi per l'improprio accomunamento che essa propone tra un dato eminentemente formale, quale il precetto giuridico, ed uno estremamente "spirituale", quale la convinzione individuale della doverosita giuridica di un comportamento, laddove si richiederebbe, secondo la tesi opposta, che il destinatario dell'effetto persuasivo del precedente giurisprudenziale faccia un calcolo distintivo tra "principio" (di diritto) e "norma" (giuridica), che soltanto un tecnico del diritto potrebbe compiere, questi sicuramente non identificabile con l'attore della norma in cui l' "uso" (normativo) si concreta[67].

5. La evoluzione del quadro normativo. Ragioni e conseguenze. Osservazioni conclusive

A nostro avviso, comunque, ancorché sempre nell'ambito ordinamentale seguito, ulteriore ed ancora più pregnante argomento deve proporsi.

A commento della sentenza delle SS. UU. (21095/04) è stato[68] tracciato un dettagliato profilo del quadro normativo del nostro Paese, quanto al rapporto tra la banca e gli utenti del servizio bancario, e ciò, per il limite temporale posto dall'Autore, dal 1918, allorché l'allora ministro del tesoro, F. S. Nitti, introdusse tra le quattro banche italiane il "cartello bancario", in funzione del quale esse convennero la loro politica creditizia, accordandosi "a limitare la reciproca concorrenza stabilendo limiti alle condizioni più favorevoli per il cliente".

Durante tutto tale periodo di tempo la giurisprudenza costante non ha fatto sentire la sua voce con pronunciati in contrasto con l'indirizzo politico e sociale dell'epoca, basti pensare, emblematicamente, che la Cassazione in materia di tassi determinati per "relatio", con rinvio, cioè agli "usi di piazza", fissava il principio per cui "In tema di applicazione di interessi superiori alla misura legale, per i quali l'art. 1284, comma 3 Codice civile richiede la forma scritta ad substantiam sono valide in base ai principi generali sulla determinazione o determinabilità dell'oggetto del contratto, le clausole negoziali che fissino gli interessi dei conti correnti di corrispondenza con riferimento alle condizioni praticate usualmente dalla azienda di credito nella piazza, trattandosi di un criterio di determinabilità oggettivo, certo e di agevole riscontro. Infatti, i tassi attivi praticati dalle aziende di credito sono fissati su scala nazionale con accordi di cartello, non influenzabili dal singolo istituto bancario, ed il correntista è in grado di sapere, usando l'ordinaria diligenza, che gli interessi sono variabili nel tempo, nonché di verificarne l'andamento"[69].

La situazione si è modificata negli anni '90, quando il legislatore italiano e comunitario (basti pensare alla legge 154/92 sulla trasparenza, alla legge 108/96 sull'usura) e la stessa giurisprudenza, come le Sezioni Unite riconoscono hanno concorso alla "evoluzione del quadro normativo", in modo tale da ingenerare la «ribellione del cliente» bancario.

Non si esclude che in tale nuovo contesto, l'utente bancario abbia trovato l'occorrente "coraggio di ribellione", ma, nel contempo, un interrogativo deve porsi: durante questo lunghissimo arco temporale di scarsa (o nessuna) attenzione alla ragione del contraente debole, quest'ultimo, realisticamente, non si è mai avveduto della illegalità della capitalizzazione trimestrale degli interessi? E, così, ancora della sua iniquità?

Nicola Coviello affermò che accertato il requisito della consuetudine il giudice non può indagare se essa corrispose "alla morale o alla ragione", perché "anche la legge può essere in fatto contraria alla morale o alla ragione soggettiva, eppure il giudice deve applicarla senz'altro"[70].

E ciò, come ebbe a notare l'insigne Autore, vale anche per la consuetudine, secondo quanto ha pure dovuto ammettere altra autorevole Dottrina che, oggi, pure si schiera in senso contrario alla concezione della normatività dell'uso bancario anatocistico, proprio nella materia formante oggetto di questo studio[71], osservando: "ci rendiamo conto che diversa poteva essere la sfaccettatura dell'opinio juris in altri passati contesti storici, nei quali l'ordinamento giuridico non conosceva principi, strumenti e tutele per contrastare le regole imposte dal contraente di fatto e di diritto sovraordinato rispetto all'aderente e che oggi con formula sintetica chiamiamo contraente forte: si trattava, infatti, di una società dove subire regole unilateralmente imposte era di per sé una consuetudine, mentre, al contrario, viviamo oggi in una società nella quale sta divenendo sempre più consuetudine rinvenire nell'ordinamento strumenti per contrastare regole imposte e sperequate".

Ma, trattasi, allora, di una questione prospettica (forse ottimistica) di politica del diritto, che fa ritenere più socialmente giusto il quadro normativo in cui attualmente si cala la formazione delle leggi e, quindi, anche degli usi normativi, fermo restando, però, che i superiori principi di certezza del diritto[72]impongono che il Giudice, pur sensibile alle istanze sociali, nella interpretazione del diritto, in sede applicativa dello stesso si attenga alle fonti normative, formali o consuetudinarie, del tempo della loro produzione, fino a quando, sotto l'impulso delle nuove istanze della società, diverse norme vi si sostituiranno, d'altra parte in sintonia con la armonica innovazione dei contesti economici e sociali che vi attengono.

Né sembra si possa in proposito divergere da quanto è stato già autorevolmente sostenuto nel senso che "il Giudice deve ricercare l'esistenza o meno della convinzione degli operatori - dei soggetti agenti- all'epoca; non riferire l'oggetto della sua ricerca all'oggi, men che mai sostituire la propria convinzione attuale a quella dei soggetti agenti all'epoca[73].

D'altra parte, l'anteriore scelta normativa neppure era riprovevolmente considerata dalla dottrina, ed anzi da quella stessa[74] che oggi incolpa di oscurantismo il pregresso sistema, ove essa affermava che "in sostanza, il legislatore preferisce riconoscere al mercato la possibilità di sviluppare le più diverse e penetranti consuetudini anche di contenuto diverso rispetto ai principi dettati dall'art. 1283. E' nel settore bancario che gli usi del tutto opposti si sono da tempo creati ed hanno trovato costante applicazione.

La citazione di questa autorevole corrente di pensiero è emblematica proprio ai fini della nostra indagine, atteso che, in costanza di un differente quadro normativo lo stesso operatore e insigne scrittore ha convintamente sostenuto due contrapposte posizioni in merito alla medesima fattispecie, sotto il segno evidente di diversi quadri normativi nei due momenti storici operanti.

Solo dagli anni '80, evidentemente sollecitato dalle istanze provenienti dai diversi ceti sociali ed economici, tra loro in conflitto, il legislatore si è adoperato per dare un diverso assetto ad una normativa che abbiamo visto trarre origine da un pregresso regime (quello del 1865 - 1882), articolato su una sistematica - civile e commerciale - che, se non più rispondente al disegno integrato del sistema dei rapporti obbligatori, neppure però si adattava senza problemi al definito nuovo processo unitario.

L'incipit "In mancanza di usi contrari", con il quale si apre l'art. 1283 del codice civile, ne costituì l'espressione più controversa, tanto sul piano della certezza del diritto, come sotto il profilo della trasparenza dei rapporti.

Risale al 1983 la prima iniziativa parlamentare dovuta al senatore Murmura, da cui prese nome la relativa proposta di legge al Senato della Repubblica intitolata "Interpretazione autentica dell'art. 1283 del codice in materia di anatocismo"[75]. Oggetto ne era un "Articolo unico" dal seguente tenore letterale: "L'art. 1283 del codice civile va interpretato nel senso che, nei conti correnti bancari ed in ogni altra operazione di mutuo, gli interessi vanno imputati a capitale esclusivamente dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione successiva alla loro scadenza e per un periodo non inferiore ai sei mesi, in ogni caso, in misura non superiore al tasso legale".

Nella relazione di accompagnamento al progetto di legge la capitalizzazione degli interessi viene definita come oggetto di una "prassi", piuttosto che di un "uso normativo", o "consuetudine" ed è posta in rilievo la "disparità di trattamento" che essa provoca tra banca e cliente.

La dottrina, comunque, nella nota di commento alla proposta, saluta favorevolmente l'iniziativa, avente il merito di "avere almeno richiamato l'attenzione su di un problema, in relazione al quale la «forte» organizzazione di taluni interessi tende alla sostanziale tacita abrogazione di un limite che, eventualmente in forme più evolute, potrebbe giocare un non indifferente ruolo a favore di categorie degne di particolare tutela".

Seguiva, poi, nell'86 la proposta di legge c.d. Minervini[76], avente ad oggetto "Norme per la trasparenza nelle operazioni bancarie" ed il cui schema conteneva la norma (art. 6) per la quale era fatto salvo l'art. 1283 Codice civile, parzialmente abrogato, però, nel richiamo agli «usi», poiché si disponeva che «agli interessi scaduti [.] si applica la disposizione di cui all'art. 1283 Codice civile, ma non sono ammessi usi contrari», anche se, ovviamente, con riguardo al solo ambito operativo dei rapporti bancari, ai quali la proposta di legge si rivolgeva.

Si perviene, quindi, solo dopo alcuni anni alla legge 17 febbraio 1992 n. 154 sulla trasparenza bancaria, che ha integrato il T.U.B., 385/93, per quel che qui interessa, stabilendo, al n. 6 dell'art. 117 del testo in cui la norma è trasfusa, che "sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altra norma e condizione praticati". Occorre, inoltre, ricordare che l'art. 8 della L. 154/92 ha posto i termini di capitalizzazione periodica tra quelli oggetto di «comunicazione» alla clientela.

Tale legge ha, perciò, interessato su più fronti la problematica dell'anatocismo, sia perché la Cassazione(16 marzo 1999, n. 237) vi ha ravvisato un'ulteriore ragione di nullità della clausola anatocistica dei contratti bancari di riproduzione dell'incipit dell'art. 1283 Codice civile, per effetto del rinvio agli usi che ne deriverebbe[77], sia perché in contrappunto è stato pure affermato, che la legge in questione comporterebbe riconoscimento di validità della capitalizzazione trimestrale, in quanto l'art. 8 della stessa ha richiamato esplicitamente la regola della "capitalizzazione degli interessi" tra le varie condizioni contrattuali di comunicazione alla clientela[78].

Sopravvenuta la svolta della Cassazione nella qualificazione degli usi formatisi in materia di anatocismo bancario, il legislatore è nuovamente intervenuto: questa volta per il conseguimento di due obbiettivi, e, cioè, da un canto, sanare lo "squilibrio" tra le posizioni della banca e del cliente, allo stato, a tutto favore della prima, considerata la periodicità annuale della capitalizzazione a carico della stessa, e quella trimestrale, a danno del cliente, e , dall'altro, per assicurare al ceto creditizio un "salvataggio" del "pregresso" allo scopo, evidente, di attutire l'impatto della drasticità degli effetti connessi al revirement giurisprudenziale.

Il Governo, pertanto, facendo uso della delega conferitagli dal 5° comma dell'art. 1 della legge 24 aprile 1998 n.120, in materia di "disposizioni integrative e correttive" del D. Lgs. 385/93 (T.U.B.), ha emanato il D. Lgs. 4 agosto 1999 n. 142[79], ove l'art. 25 comma 2 ha modificato l'art. 120 della "legge bancaria", aggiungendovi un secondo comma, con il quale ha demandato all'autorità amministrativa (CICR) il potere di stabilire "modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni" bancarie, con il limite di prevedere che "nelle operazioni di conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori"; nel contempo (comma 3), si stabilisce una validità ed efficacia transitoria per le clausole anatocistiche inserite in contratti stipulati prima della delibera del CICR attuativa del potere regolamentativo (come sopra) affidatogli, sotto prescrizione, altresì, di loro adeguamento al disposto del Comitato, con le modalità e termini fissati da parte di quest'ultimo, pena la loro inefficacia, opponibile solo dal cliente. Il CICR, a sua volta, con delibera del 9 febbraio 2000[80], nell'art. 2 rubricato "conto corrente", ha dettato le regole per questo applicabili in modo che (a) sia assicurata la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori, che (b) il saldo periodico del conto corrente produca interessi sulla base dei tassi e con la periodicità contrattualmente stabilita, e che, infine, (c) gli interessi sul saldo di chiusura non producano, a loro volta, interessi.

È stato, quindi, osservato che "in questa ottica la capitalizzazione nei contratti bancari di durata, come quello di conto corrente, costituisce più che una forma di anatocismo, la misura della controprestazione tipica, prevista" sia a favore della banca che del cliente, ovvero istituendo una autonoma fattispecie[81] di cui il legislatore oggi ha fissato le condizioni, non più ritenendo le norme consuetudinarie idonee ad offrire un assetto corrispondente alle nuove istanze politiche, economiche e sociali, ma senza il pregiudizio delle vicende negoziali che hanno accompagnato il lungo cammino evolutivo di un fenomeno che nelle vicende storiche, ciascuna del suo tempo, ha trovato il proprio "parametro di riferimento".


Note:

[1] Cfr. pure Cass. I sez. civ., n.19882/2005.

[2] La sent. delle Sez. Unite del 4 novembre 2004, n. 21095, e pubblicata in Contratti 2005, I, p. 225 e ss., con nota di O.T. Scozzafava, L'anatocismo e la Cassazione: cosi e se vi pare ; in F.I., 2004, I, col. 2394 ss., con nota di A. Palmieri-R. Pardolesi e commento degli stessi Autori, L'anatocismo bancario e la bilancia di Balek, nonche sempre ivi, note di G. Colangelo, Interessi bancari e meccanismi moltiplicativi delle remunerazioni e F. Ferro-Luzzi, Canone inverso. Le Sezioni unite sull'anatocismo bancario: una sconfitta per i consumatori?; in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2004, 645 con nota di A. Nigro, Anatocismo nei rapporti bancari e Sezioni unite: la fine della ?; in Corriere giuridico, 2005, 214 ss. con nota di B. Inzitari, Le Sezioni unite e il divieto di anatocismo: la asimmetria contrattuale esclude la formazione dell'uso normativo; in Giur.it.., 2005, I, 68 ss., con nota di Cottino, Sull'anatocismo intervengono anche le Sezioni unite in Banca, borsa e titoli di credito, 2005, II, 115, con note di G. Minervini e P. Dalmartello, Stralcio della Memoria Conclusionale prodotta nell'interesse della Banca ricorrente, N. Salanitro, Le Sezioni unite e l'anatocismo bancario, A.A. Dolmetta, Il divieto di anatocismo per le banche dalla gestione del pregresso ai rapporti attuali. Per un uso laico della certezza del diritto e M. Maffeis, Banche, clienti, anatocismo e prescrizione ; in Corriere di merito, 2005, 7 con nota di F. Rolli, Le sezioni unite e l'anatocismo; in Contratto e impr., 2004, 961 con nota di A. Riccio, La capitalizzazione degli interessi passivi e, dunque, definitivamente nulla; in Guida al dir., 2004, fasc. 45, 27, con nota di E. Pacchettini, Cade il sistema praticato dalle banche in mancanza di un vero e proprio uso normativo.
Per la dottrina, oltre quanto sara qui detto per le problematiche ancora irrisolte, si rinvia allo studio di V. Pandolfini, Anatocismo bancario: le questioni ancora aperte, Contratti 2005, 7, 718 ss, nonche alla nota s.t. di commento al Trib. Pescara 6 maggio 2005 e Trib. Roma 8 ottobre 2004 infra nota 2 di A. Palmieri, in F. I., 2005, I, col. 2177 - 2178, ove l'A. traccia una prima analisi dei diversi interrogativi che attendono risposta, come quello della decorrenza del termine prescrizionale di ripetizione degli interessi indebitamente corrisposti , su cui vedasi V. Papi, La ripetizione delle somme addebitate dalle banche a titolo di interessi anatocistici: legittimita e prescrizione, in Guida al dir., 2005, fasc.. 6, 6 e ss. e, piu in generale, V. Pandolfini , Anatocismo bancario : le questioni ancora aperte, Contratti 2005,7, 713 e ss.

[3] Trib. Pescara 6 maggio 2005 di cui alla nota 1, nonche Trib. Napoli 31 marzo 2005

[4] In senso critico circa tale metodologia di uso della nomofilachia O.T. Scozzafava, Note in tema di interessi e anatocismo, in Riv. dir. comm., 2002, II, 233 ss., spec. 238.

[5] Palmieri - R.Pardolesi, L'anatocismo bancario e la bilancia di BaleK, in Foro it., 2005, I, 3302; E. Ginevra, Sul divieto di anatocismo sui rapporti tra banche e clienti, in banca, borsa e tit. cred., 1999, II, 389 ss., spec. 405

[6] Precedentemente e nello stesso senso v. Tribunale di Napoli 24 novembre 2000, in Dir. e giur., 2000, 2444 e ss. con nota di D. Sinesio, Il recente dibattito sull'anatocismo nel conto corrente bancario: profili problematici; Tribunale di Milano 4 luglio 2002 in Banca, borsa e tit. cred., 2003, II, p. 452 e ss., con nota di B. Inzitari, Diversa funzione della chiusura nel conto corrente ordinario e bancario; Tribunale di Trani 9 dicembre 2004 in Giurisprudenza di merito , 2005, I, 1065 e ss..

[7] Sentenza 20 settembre 1996 in Temi romana, 1997, II, 137; sent. 14 aprile 1999, in Contratti, 1999, 613 e ss. con nota di R. Zorzoli, Capitalizzazione trimestrale e periodica chiusura del conto; sent. 26 maggio 1999, in Fallimento, 1999, 1230 e ss. con nota di L. Panzani, Anatocismo tra nuova giurisprudenza e nuova legislazione; sent. 24 gennaio 2001 inDir banca e merc. fin., 2002, I, 303 e ss.. ( in senso conforme, tra gli altri, Trib. Monza 2 ottobre 2000, in Nuova giur. Civ. comm., 2001, 617 e ss. e Trib. Bari 26 febbraio 2002, ivi 2002, 621, con nota di A. Spangaro, anatocismo bancario: i giudici di merito contrastano la Cassazione ed in dottrina P. Ferro-Luzzi, Dell'anatocismo; del conto corrente bancario e di tante cose poco commendevoli, in Riv. del diritto privato 2000, 212-214, il quale afferma che "l'annotazione, per la immediata modifica del saldo che produce, estingue nei rapporti tra banca e cliente, l'obbligazione della banca a pagare, o il diritto della banca a ricevere", sicche "da un punto di vista strettamente giuridico, cio che impedisce di ravvisare la fattispecie dell'anatocismo nel conto corrente bancario e la circostanza che con l'annotazione il rapporto relativo agli interessi si estingue, donde non puo parlarsi di interessi scaduti che producono altri interessi. Nello stesso senso si era gia espresso G. Cabras, Conto corrente bancario ed anatocismo tra diritto e pregiudizio,in Vita notarile 1999, I, 518 e, poi, A. Niutta, Anatocismo e conto corrente bancario,in Dir. banca e merc. fin., 2002, 319-320. Allo stesso risultato di escludere l'applicazione dell'art. 1283 cod. civ. al conto corrente bancario, ma seguendo il diverso percorso della "estensione " ad esso della normativa dettata per il conto corrente ordinario: R. Meoli, Anatocismo e conto corrente bancario,in Vita notarile , 1999, I, 647; L. Panzani, Anatocismo tra giurisprudenza e nuova legislazione cit., op.loc.cit.; D. Moscuzza, L'anatocismo nel contratto di conto corrente bancario, in Giust. civ., 1999, 1598 e ss.. Altri autori , infine, escludono che gli interessi maturati sui saldi a debito del correntista incorrono nel divieto di anatocismo fino alla chiusura del conto, per la natura "compensativa" e non "moratoria" degli stessi: G. Ruello, Anatocismo e mora debendi nel conto corrente bancario, in Banca, borsa e tit. cred. , 1986, 555, e G. Cabras, la capitalizzazione degli interessi nel conto corrente bancario: l'equivoco delle sineddoche, in Giur. comm., I, 352 ed E. Ginevra, Sul divieto di anatocismo tra banche e clienti, op. loc. cit., in part. p. 407.

[8] Trib. di Roma 15 ottobre 2004 in Dir. della banca e del merc. fin. 2005, p. 489 e ss..

[9] Sentenza inedita cit. nota 3.

[10] C.M. Bianca, Diritto civile, IV, Milano, 1990, 197; Simonetto, voce Interessi, in Enc. Giur. Treccani., XVII, 1989, 5; Quadri, Obbligazioni pecuniarie, in Trattato Rescigno, 1984, 567; M. Libertini, voce Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 136-137; Montel, voce Anatocismo, in Noviss. Dig. it., I, 1957, 613 ss. E' stato rilevato che l'art. 1283 Codice civile "e norma certamente sui generis, poiche limita il proprio ambito di applicabilita - entro il quale opera inderogabilmente - alle materie non regolate dagli usi" (F. Dell'Anna Misurale, La nuova giurisprudenza in materia di anatocismo: riflessioni e critiche sul revirement della Cassazione, in Giur. It., 1999, 1874), percio demandando la sua operativita al difetto di una fonte "terziaria" del diritto, sott'ordinata alla legge ed ai regolamenti (Pizzorusso, Commento alle disposizioni sulla legge in generale [artt. 1-9], in Commentario al Codice civile, a cura di Scialoja e Branca, 1977, 352). La derivazione di questo tessuto normativo dal pregresso sistema codicistico spiega la ragione di tale concorrenza ed alternanza tra fonti diversamente ordinate, siccome il legislatore del 1942 volle unificare nella stessa disposizione di legge (l'art. 1283 del codice civile), la disciplina di una materia (la capitalizzazione degli interessi nelle obbligazioni pecuniarie) che, nel precedente sistema giuridico era divisa tra obbligazioni civili ed obbligazioni commerciali, con un trattamento diversificato, ma che il nuovo codice ricompose a sistema unitario sul presupposto della sostenuta unitarieta concettuale dei rapporti obbligatori, con l'effetto consequenziale di estendere la normativita degli "usi contrari", di cui all'incipit dell'art. 1283 Codice civile, oltre il campo delle obbligazioni, definite, nei codici di commercio del 1865 e del 1882, commerciali (Relazione al Re, n. 594). Peraltro, la perdita di forza del "quadro normativo di riferimento" basato, nel vigore della passata legislazione, sulla integrazione del codice civile con quello di commercio, quest'ultimo caratterizzato da precise norme di riferimento agli "usi commerciali", nonche da "operazioni di banca" come "atti di commercio", ha comportato la soggezione dell'anatocismo bancario al sovrapporsi di differenti "quadri normativi", nei quali, di volta in volta, il rapporto tra fonte di diritto scritto e fonte di fatto (uso) e stato diversamente valutato sotto la cogenza degli interessi economici e sociali contrapposti e, in vari momenti storici, prevalenti, con soluzioni, come si vedra, divergenti sulla corrispondenza della clausola contrattuale di capitalizzazione trimestrale ad un uso normativo, ovvero negoziale e con i rilevanti effetti consequenziali, quanto all' applicazione limitativa dell'anatocismo nelle anguste condizioni fissate dall'art. 1283 Codice civile.

[11] Cass. 22 giugno 1985, n. 3761; Cass. 19 marzo 1990, n. 2296; Cass., 14 dicembre 1991, n. 13508; Cass., 7 maggio 1992, n. 5423.

[12] Art. 1714 Codice civile, quanto alle somme riscosse dal mandatario per conto del mandante; art. 1499 Codice civile, quanto al prezzo non ancora esigibile di cosa fruttifera; art. 1825 Codice civile, quanto agli interessi sulle rimesse nel conto corrente ordinario.

[13] Cass., 15 dicembre 1981, n.6831, in Riv. Dir. Comm., 1982, II, 99 ss.

[14] Cass., S.U., 4 novembre 2004, di cui infra, edita ex multis in Foro it., 2004, I, col.3, 293 ss..

[15] Nel primo e piu liberale senso, G. Cabras, Conto corrente bancario e anatocismo tra diritto e pregiudizio, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 1999, 285-286, ove, a nota 43, l'Autore osserva che se il codice vile del 1942 avesse voluto consentire l'anatocismo sulla base soltanto degli usi pregressi all'entrata in vigore del codice, avrebbe potuto mantenere la disciplina normatizzandola, invece il legislatore ha fissato "un sistema aperto di produzione normativa, in un campo - come quello delle obbligazioni monetarie - in cui il comportamento dei soggetti risente del tipo di economia in cui essi operano e che e ovviamente suscettibile di modifiche nel corso del tempo". Per la seconda e piu rigorosa impostazione, v. invece B. Inzitari, Convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi e divieto di anatocismo ex art. 1283 Codice civile, in Foro it., 1995, I, 412. Nello stesso senso cfr. pure V. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ., 1991,785, ove si rileva che non potrebbe formarsi un nuovo uso, perche esso implicherebbe comportamenti illegittimi poiche in contrasto con l'art. 1283 Codice civile (pure se e stata posta in dubbio anche la stessa inderogabilita della norma: O.T. Scozzafava, Gli interessi monetari, Napoli, 1984, 190 ss.).

[16] L'art. 7 delle "Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi", diramate dall'ABI con decorrenza 7 gennaio 1952, stabiliva che "I rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno [.] (1? co.)", ed altresi che "I conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente, [.] (2? co.)".

[17] V. nota 7

[18] Cass. Regno, 25 marzo 1933, in Rep.Foro it., 1933, v. Interessi, n. 22, e Cass. Regno, 16 gennaio 1924, v. Interessi, n.17. La fonte consuetudinaria era, cioe, ritenuta cogente in materia anche nel pregresso regime: App. Torino, 5 luglio 1940, ivi, 1940, v. Interessi, n. 26; App. Brescia, 16 ottobre 1936, ivi, 1936, v. Interessi, n. 28; App. Torino, 26 novembre 1937, ivi, 1938, v. Interessi, n. 51; App. Brescia, 16 dicembre 1935, ivi, 1936, v. Interessi, n.30; App. Genova,12 marzo 1935, ivi, 1936, v. Interessi, n.31; App. Milano, 21 luglio 1933, ivi, 1934, v. Interessi, n.34 ed idem 13 giugno 1933, ivi, 1933, v. Interessi, n.23-24; App. Catanzaro, 14 settembre 1916, ivi, 1916, v. Interessi, n. 10.

[19] App. Bologna, 10 giugno 1929, in Rep. Foro it., 1929, v. Interessi, n.25; Trib. Milano, 10 giugno 1931, ivi, 1931, v. Interessi, n.19; Trib. Como, 17 agosto 1928, v. Interessi, n. 20.

[20] T. Caraffa, op. loc. cit.. nota 16.

[21] Cass. Torino, 10 agosto 1883, in causa Solarino-Sanguineti, in Giurisprudenza, t.XX, 968 e comunque cit. da T. Caraffa, op. loc. cit., cfr. nota 16 , cui adde Cass., 9 maggio 1937, n.1682, in Rep. Foro it., 1927, v. Conto corrente, n. 13, secondo la quale "gli interessi liquidati trimestralmente si accrescono nel capitale, e quindi su tale somma al medesimo aggiunta decorrono altresi gli interessi, senza che cio dia luogo all'anatocismo che dalla legge e vietato".

[22] T. Caraffa, op. loc. cit., ove e anche richiamata la Cass. di Torino, 17 gennaio 1872, la quale, in causa Borrelli-Mingone c/ Poggi, stabiliva che "La capitalizzazione degli interessi acconsentita dagli usi commerciali nei rapporti tra i banchieri e i negozianti ai quali aprono crediti, ha luogo solo quando sia prestabilita da una convenzione o quanto meno da un sistema di chiudere i conti a determinati periodi [.] e di farne trasmissione con portarne il residuo concordato, nel quale si concreta il credito e debito finale, a nuovo conto".

[23] G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni, II, Firenze, 1903, 210; L. Bianchi, La retroattivita dell'anatocismo commerciale, in Archivio, XVIII, 28, citato da Giorgi a nota 1 della pag. 210 come sopra, oltre la piu copiosa dottrina indicata a nota 2. Ancora e nello stesso senso, cfr. pure G. Vignali, Commentario del codice civile italiano, IV, Napoli, 1882, 850; L. Borsari, Commentario del codice civile italiano, III, Torino, 1877, 573; G.C. Messa, v. Interessi, in Enc. Giur.It., VII, II, Milano, 1913, 660.

[24] App. Brescia, 4 dicembre 1957, in Rep. Giust. Civ., 1957, v. Interessi, n.23. Conformi Trib. Trento, 5 aprile 1963, in Banca, Borsa e Titoli di credito, 1964, II, 332 ss.; App. Firenze, 13 dicembre 1965, ivi, 1966, II, 100; App. Milano, 17 febbraio 1976, ivi, 1977, II, 332 ss.; Trib. Catania, 31 ottobre 1980, ivi, 1982, II, 270 ss..

[25] App. Torino, 14 giugno 1996, in Banca, Borsa e Tit. cred., 1997, II, 136 ss..

[26] Circolare della "Confederazione Generale Bancaria Fascista" del 7 gennaio 1929, che prevede, per i conti correnti bancari, anche saltuariamente, a debito del correntista la periodicita di chiusura trimestrale, recependo una prassi preesistente e Circolare n. 4/103-1 del 31 gennaio 1941 della "Confederazione Fascista delle Aziende di credito e dell'assicurazione" che ribadiva lo stesso concetto, oltre varie "Raccolte di usi" di Camere di Commercio, riportanti per alcune province - la maggiore, Milano - la rilevazione, su base nazionale e locale, dell'uso di chiusura periodica trimestrale e capitalizzazione degli stessi conti a debito.

[27] Cass., 12 aprile 1980, n.2335, in Giur. It., 1980, I, 1. col.237 ss., con nota di P. D'Amico, Osservazioni in tema di usi e loro estensione soggettiva: materia bancaria, societa finanziaria ed anatocismo, sulla quale amplius in seguito.

[28] La sentenza, oltre che in Vita notarile, 1982, 738, e pubblicata in Riv. Dir.Comm., 1982, II, 89, con nota adesiva di A. Marini, Anatocismo e usi bancari e in Giust. Civ., 1982, I, 380 ss., con nota favorevole di A. Di Amato, Anatocismo e prassi bancaria.

[29] Cass., 20 aprile 1982, n.2461, in Dir.Fall., 1982, II, 980 ss.; Cass., 19 agosto 1983, n.5409, in Giust. civ. Mass,1983,fasc.8; Cass., 5 giugno 1987, n.4920, in Banca, Borsa e Titoli di credito, 1988, II, 578 ss. ed in Nuova Giur. Civ. Commentata, 1987, I, 668, con nota adesiva di V. Colussi s.t.; Cass., 6 giugno 1988, n.3804, in Banca, Borsa e Titoli di Credito, 1990, II, 186 ss.; Cass., 30 maggio 1989, n.2644, in Giust. Civ., 1989,I, 2034 ss., con nota critica di M. Costanza, Norme bancarie uniformi e derogabilita degli artt. 1283 e 1284 Codice civile, che sostiene la non identificabilita delle "norme dell'ABI", attese le loro predisposizioni "unilaterali", con gli "usi normativi", come "prodotto di un reiterato comportamento seguito per rispettare un precetto giuridicamente vincolante". La sentenza n. 2644, comunque, si segnala, in quanto, per la prima volta, enunciatrice della massima secondo cui "Il limite minimo di sei mesi perche gli interessi scaduti possano produrre interessi, previsto dall'art. 1283 Codice civile, non si applica all'anatocismo fondato sugli usi bancari, poiche il rinvio agli usi, formulato in termini generali all'inizio dell'articolo citato, deroga a tutte le condizioni successivamente elencate, di ammissibilita dell'anatocismo, compresa quella relativa al detto limite temporale", tale, però, da consentire, su base consuetudinaria, anche la condizione di "capitalizzazione trimestrale". Cass., 28 giugno 1992, n.7521, in Banca, Borsa e Titoli di credito, 1993, II, 358 ss.; Cass., 1 settembre 1995, n.9227, in Banca, Borsa e Titoli di credito, 1995, II, 136; Cass., 18 dicembre 1998, n.12675, in Giust. Civ., 1998, v. Obbligazioni, 207.

[30] La sentenza del Trib. Vercelli, 21 luglio 1994 è, tra l'altro, pubblicata in Giust. It, 1995, I, 2, 408 ss., con nota di B. Inzitari, Convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi e divieto di anatocismo ex art. 1283 Codice civile, ove l'Autore, a sua volta, revisionando la propria precedente opinione in materia, ha aderito alla decisione del Tribunale, altresi osservando che il divieto di formazione di usi anatocistici successivi all'entrata in vigore del codice del 1942 preclude ogni spazio probatorio della norma consuetudinaria, gia considerata non esistente in precedenza. La sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 15 giugno 1998 e, invece, pubblicata in Foro it., I, 2997. La sentenza del Pretore di Roma, 11 novembre 1996, e pubblicata in Nuova giurisprudenza civile commentata, con nota di G. Gallo, In tema di applicazioni del testo unico in materia di contratti bancari, e quella del Trib. Monza, 23 febbraio 1999, e pubblicata in questa Rivista, 1999, I, 440 ss..

[31] E. Ginevra, Sul divieto di anatocismo nei rapporti tra banca e clienti, in Banca, Borsa e Tit. cred., 1999,II, 401 ss., spec. 402. La dottrina alla quale sembra essersi ispirata la Cassazione parrebbe V. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. Dir. Civ., 1991, 781 ss., per l'ampio apporto argomentativo che ne risulta.

[32] La sentenza è edita nella maggior parte delle Riviste giuridiche, fra cui Contratti, 1999, I, 437, con nota di G. De Nova, Capitalizzazione trimestrale: verso un revirement della Cassazione?.

[33] La sentenza e ampiamente edita , fra cui Corr. giur., 1999, I, 561.

[34] La sentenza e edita in Foro it., 1999, I, 1429.

[35] La sentenza e edita in Corriere giuridico, 1999, II, 1485 ss., con nota adesiva di V. Carbone, Interessi anatocistici tra interventi giurisprudenziali, salvataggi normativi e questioni di costituzionalita .

[36] In Diritto e Pratica Soc.,2001, f. 22, 73.

[37] in Giust. Civ., 2002, I, 1856 ss..

[38] In Giust. Civ., 2002, I, 2109 ss..

[39] In Banca, Borsa e Titoli di credito, 2004, suppl. al n.4/4, con osservazioni di N. Salanitro, Gli interessi bancari anatocistici.

[40] In Mass. Giur. It., 2003.

[41] Entrambe inedite.

[42] O.T. Scozzafava, op. loc. cit. a nota 65, 240.

[43] In Giur. It., 1999, III, 2103 ss.

[44] Tutte in Nuova giur, civ. comm., 2001, I, 617, con nota di A. Spangaro, Anatocismo bancario: i giudici di merito contrastano la Cassazione.

[45] Entrambe in Banca, Borsa e Titoli di credito, 2002, II, 581 ss., con nota di A. e M.R. De Simone, Legittimita della prassi bancaria di capitalizzazione trimestrale degli interessi.

[46] Entrambi in Giur. di merito, 2003, II, 900 ss., con nota di V. Le Noci.

[47] Tutte inedite.

[48] In Giur. It. 2002, I, 111 ss., in Riv. Dir. Comm., 2002, II, 251 ss., ed in questa Rivista, 2002, I, 367, con nota di A.C. Vaccaio Belluscio e C. Piana, Interessi <uso piazza> anatocismo trimestrale e commissione di massimo scoperto.

[49] in Giur. It., 2003, II, 1, 93 ss., con nota di V. Pandolfini, L'usura sopravvive ancora?

[50] In Banca, Borsa e Titoli di credito, 2003, II, 452 ss., con nota di B. Inzitari, Diversa funzione della chiusura nel conto ordinario e in quello bancario. Anatocismo e commissione di massimo scoperto.

[51] Tutte inedite.

[52] E' stato ritenuto che la ragione della devoluzione alle SS.UU. avesse fondamento anche nel "contrasto" tra la sentenza del 16 marzo 1999 n.2374 e successive con le precedenti decisioni della medesima Corte e rispetto alle quali si era realizzato il revirement giurisprudenziale: G. De Nova, op. loc. cit. a nota 60, in part. pag.442, ed altresi L. Panzani, op. loc. cit., nella richiamata nota, in part. pag. 1237, nonche sempre ivi, A. Palmieri, op. loc. cit. in part. pag. 453, il quale, pero, esclude la risultanza "in atto di alcun conflitto tra sentenze rese pressappoco nel medesimo torno di tempo, dalle singole sezioni della medesima Corte", ancorche la "cesura appare brusca". Lo stesso Autore, in nota a Cass. SS.UU. 4 novembre 2004 n. 21095 op. loc. cit. osserva che "certamente non si puo parlare di contrasto giurisprudenziale, quanto piuttosto di avvicendamento tra indirizzi opposti o, se si preferisce di overruling, pur sempre seguito dalle decisioni posteriori".

[53] La giurisprudenza successiva della Cassazione si uniforma al pronunciato delle Sezioni Unite, pienamente ricalcato dalle sentenze qui annotate, 14 maggio 2005 n. 10127 e 22 marzo 2005 n. 6187, ma non cosi tra i giudici di merito il Tribunale di Firenze 16 febbraio 2005 in Dir. banca e merc. fin., 2005, p.489 ess., in part. p.493 tra l'altro si legge: "questo giudice ben conosce la recente sentenza 21095/04 di Cass. Sez. un., ma le argomentazioni ivi contenute, nonostante la particolare autorevolezza non paiono idonee a contrastare quanto sopra rilevato, ove il Tribunale con articolate argomentazioni ricostruisce in senso nomativo l'uso della capitalizzazione trimestrale degli interessi nelle operazioni bancarie in conto corrente, interpretando anche in senso ricognitivo di tale normativita il D.Lgs. 342/99 e la legge 154/92 in materia di trasparenza bancaria, a proposito di quest'ultima considerando che l'art. 8 della detta legge, imponendo "alle banche di fornire ai clienti periodicamente varie informazioni fra le quali quella relativa alla capitalizzazione degli interessi" ha mostrato di ritenere "evidente" la "non illegittimita di tale capitalizzazione".

[54] Il potere del primo Presidente della Cassazione in relazione ad entrambe le ipotesi previste dal secondo capoverso dell'art. 347 c.p.c. ha carattere discrezionale: Cass., 17 luglio 1985, n. 4219, in Rep. Giust. Civ., 1985, v. Procedimento civile, n. 35.

[55] Cass., 8 agosto 1979, n. 4616, in Giust. civ. Mass., 1979, f. 8.

[56] La dottrina che si allinea con la prevalente giurisprudenza nell'affermare la concorrenza di un elemento psicologico (opinio) della consuetudine, accanto a quello materiale (usus), ritiene che nella norma consuetudinaria deve essere presente "la consapevolezza della doverosita giuridica del comportamento tenuto" (c.d. opinio juris ac necessitatis), per cui cfr. A. Pizzorusso, v. Consuetudine, in Enc. Giur., VIII, Roma, 1988, 3. In senso, tuttavia, decisamente contrario si pone N. Bobbio, (v. Consuetudine, in Enc. del Dir., IX, Milano, 1961) per il quale la suddetta teoria incorre in una insanabile contraddizione in quanto "da un lato si afferma che la norma giuridica consuetudinaria non si costituisce se non esiste l'opinio, ma dall'altro lato, l'opinio presuppone che la norma giuridica sia gia costituita", essa, cioe, "presuppone quel diritto che dovrebbe contribuire a costituire". Questo contrasto, si sostiene dall'insigne Autore, puo superarsi soltanto espungendo tale elemento dal processo della norma consuetudinaria, per relegarlo su quello esclusivamente . Nello stesso senso ed in esatti termini conformi si collocava gia F. Ferrara, Trattato di diritto civile italiano, P.G., Roma, 1821, 125 ss., la cui soluzione era quella di "eliminare l'opinio", constatando che l'esperienza giuridica comporta che la norma consuetudinaria equivale ad una "regola sorta per imprescindibili esigenze sociali da un determinato stato di fatto e diventata poco a poco norma obbligatoria per la costante ed uniforme ripetizione da parte di una generalita di persone, le quali, mentre si obbligano ignorano di obbligarsi in nome di una regola costituita, che, d'altronde, non esiste ancora perche esse stesse contribuiscono a formarla, ma contraggono una obbligazione unicamente di fatto o naturale, che solo il tempo o la tradizione trasformera in una obbligazione generale ed astratta, allorquando la serie di ripetizioni sara tale da aver ingenerato la forza dell'esempio, la convinzione o la credenza che osservare quella regola sia obbligatorio". La tesi, piu di recente, e sostenuta anche da L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1986, 386 ss., nonche da R. Franceschelli, v. Consuetudini, in Noviss. Dig., II, Torino, 1981, 322. In senso favorevole alla integrazione dell'elemento psicologico, invece, oltre al gia citato A. Pizzorusso, op. loc. cit., 3, anche D. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1949, 68 ss., C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova, 1975, 314, T. Martinez, Diritto costituzionale, Milano, 1986, 87 ss..

[57] G. Gabrielli, Capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi ed usi creditizi, in Riv. dir. civ., 1999, II, 450-451. E tanto ha notato anche G. De Nova, Capitalizzazione trimestrale, verso un revirement della Cassazione, in questa Rivista, 1999, I, 444, per il quale in materia contrattuale, "pena la inconfigurabilita stessa degli usi normativi nella materia contrattuale", la fonte dell'uso normativo e proprio la "reiterata previsione ed applicazione di clausole" del contratto, cio non ostando, come afferma l'illustre Autore, la derivazione di tali clausole dalle norme uniformi bancarie, ed anche se esse dovessero esprimere un "favore per la banca" considerato che, indubbiamente, l'anatocismo in forma piu penetrante di quello delimitato dall'art. 1283 Codice civile non puo che rappresentare sempre un maggiore aggravio per la parte che lo subisse per effetto dell'uso contrario previsto dall'incipit della norma, sicche diverso ragionamento non potrebbe che condurre alla conseguenza necessaria della dello stesso <incipit> della richiamata norma di legge, effetto abrogativo che, a nostro avviso, pur nel caso che tanto dovesse corrispondere, nei congrui casi, a maggiore equita sociale, non appartiene, di certo, al potere della giurisprudenza, come le medesime SS.UU. della Cass. proclamano con il negare al giudice ogni potere creativo di diritto, quale indubbiamente pure l'abrogazione di una norma gia esistente comporta. E, d'altro canto, la tesi del De Nova ha profonde radici nella nostra cultura giuridica, essendo gia affermato da F. Ferrara, Trattato cit., 142, nota 3, che le consuetudini contrattuali "non sono che la condensazione tradizionale di clausole originariamente riportate", indipendentemente dalla natura degli interessi protetti, atteso che "gli usi non possono per intuitive ragioni, esprimere regole di protezione dei ceti piu deboli nei rapporti con i ceti piu forti" (Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, XII ed., Milano, 1998, 8).

[58] A. Nigro, Anatocismo nei rapporti bancari e Sezioni unite: la fine della ?, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2004, 653, nonche dello stesso Autore, L'anatocismo nei rapporti bancari tra passato e futuro, in F.I, 2000, I, 462.

[59] B. Inzitari, Le Sezioni unite e il divieto di anatocismo: la asimmetria contrattuale esclude la formazione dell'uso normativo, in Corriere giuridico, 2005, II, 224, ove l'Autore (pag. 226) trae anche la drastica conseguenza per la quale "nella societa contemporanea e nel sistema del codice civile non vi e spazio per la formazione di usi normativi in presenza di una contrattazione realizzata attraverso condizioni generali di contratto", in quanto "la predisposizione unilaterale delle clausole contrattuali da parte del contraente forte esclude che il comportamento consistente nell'osservanza di clausole da parte del contraente debole, possa essere inteso come elemento materiale di un atteggiamento volto ad aderire ad una regola per la quale lo stesso contraente debole nutre l'opinio juris della preesistente giuridicita". Il saggio e edito anche in Banca borsa e titoli di credito, 2005, I, 434 e ss.

[60] Cosi S. Pugliatti, Conoscenza e diritto, Milano, 1961, 61; G. Capograssi, Giudizio, processo, scienza e verita, in Opere, V, Milano, 1959, 61; P. Calamandrei, Caratteri del nuovo processo italiano, in Riv. Dir. proc., 1941, I, 65). Una dottrina non certo meno autorevole, invece, configura la giurisprudenza come fonte di creazione del diritto. Tra gli altri : Pacchioni, I poteri creativi della giurisprudenza, Riv. dir. comm., 1912, I, 40 e ss.; Grassetti, Introduzione a La giurisprudenza forense e dottrinale come fonte di diritto, Milano, 1985,4; Cappelletti, Giudici legislatori?, Milano, 1984, richiamato da R. Pardolesi op. loc. cit., R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, I, in Tratt. Dir. comp., diretto da R. Sacco, Torino, 1992, 43 e ss

[61] Per la cd. teoria del "diritto vivente" cfr. R. De Stefano, Conoscenza ermeneutica e linguaggio ermeneutico nella interpretazione dei fatti normativi, in Studi in memoria di Campagna, Milano, 1981, 38 ss.; L. Triolo, Iustitia, 1980, 229.

[62] N. Bobbio, v. Consuetudine, cit., 435. Nello stesso senso John Gilisen, v. Consuetudine, Digesto discipl. priv., Sez. civ., III, 1988, il quale sostiene che "la migliore prova della consuetudine e il precedente giudiziale" nel senso che "colui che e in grado di invocare una giurisprudenza costante e quasi certo di far ammettere la consuetudine invocata".

[63] B. Inzitari, Le sezioni Unite e il divieto di anatocismo . cit. a nota 1.

[64] N. Bobbio, v. Consuetudine, cit., 431-432.

[65] Cass. Torino, 21 giugno 1895, in Giur. It., 1895, I, 1, 734; Cass. Regno, 11 gennaio 1929, in Giur. It., I, 1, 323.

[66] G. Colangelo, Interessi bancari e meccanismi moltiplicativi della remunerazione, in Foro it., 2004, I, 2393 ss.

[67] A tal fine sembra giusto richiamare l'opinione di un autorevole scrittore il quale sul punto ha precisato : Si e a lungo - e, si credeva, con ragione pragmatica - parlato di "diritto positivo" giurisprudenziale alludendo al "farsi" delle norme la dove conta nelle aule giudiziarie. E si e rivendicato, seppure tra le righe il ruolo "creativo" del giudice alle regole giuridiche. Calato nel contesto delle consuetudini, questo approccio implicava, piaccia o no, che l'avallo all'esistenza di uso normativo, quale quello invocato dagli istituti di credito, dovesse venire proprio dalla giurisprudenza ; e cosi e stato, per almeno un paio di decenni con l'ovvio risultato di delineare il diritto quo usi sumus". (Pardolesi, Foro It. cit., col. 3300).

[68] G. Colangelo, op. loc. cit., 3301 ss.

[69] Ad es. (ma le sentenze inedite durante tale lungo periodo saranno state certamente innumerevoli) Cass., 30 maggio 1989, n.2644, in Giust. civ., 1989, I, 2034.

[70] N. Coviello, Diritto civile italiano, Milano, 1915, 49, ma , ma sull'argomento cfr. pure la puntuale analisi di G. Minervini e P. Dalmaltello, <Stralcio della memoria conclusionale prodotto nell'interesse della Banca ricorrente>, cit. a nota 2, p. 120-122 e 127-128. Uguale spiegazione del revirement giurisprudenziale del 1999, così come delle conformi sentenze successive fino alla formazione nomofilattica delle Sezioni unite si è dato pure conto da M.S. Forte, L'interpretazione dell'art. 1283 Codice civile alla luce dell'evoluzione normativa dell'ultimo decennio, in Corriere Giur. 2005, 877 ss., che appunto, individua la ratio del nuovo corso giurisprudenziale nel rinnovato quadro normativo degli anni '90 e nel principio solidaristico che si è andato affermando in quegli anni.

[71] B. Inzitari, Le Sezioni Unite il divieto di anatocismo, cit. a nota 1 p. 225.

[72] A. Palmieri-R. Pardolesi, L'anatocismo bancario. in F.I., I, coll. 2394 ss. già più volte richiamato.

[73] G. Minervini, Stralcio della memoria conclusionale.. , cit. p. 120. B. Inzitari, La moneta cit., p. 298.

[74] B. Inzitari, La moneta cit., p. 298.

[75] Disegno di legge n. 101, d'iniziativa del Sen. Murmura - comunicato alla Presidenza del Senato il 12 agosto 1983. Il testo è pubblicato in Rass. Dir. civ., 1984, 315 ss., con nota di E. Quadri, La modificazione degli interessi in alcuni progetti legislativi: risposte ancora inadeguate ad un progetto urgente.

[76] Il disegno di legge è pubblicato in Banca, Borse e Titoli di credito, 1986, I, 713 ss., con la relativa relazione la quale evidenzia la soppressione degli "usi contrari" in materia di anatocismo.

[77] La dottrina è, peraltro divisa poiché da parte di taluni autori si propende per il riconoscimento dell'effetto sanzionatorio indicato dalla giurisprudenza (N. Salanitro, Evoluzione dei rapporti tra disciplina dell'impresa e disciplina dei contratti nel settore creditizio, in Banca, Borsa e Tit. cred., 1992, I, 609 e A. Nigro, Disciplina della trasparenza nelle operazioni bancarie e contenuto delle convenzioni contrattuali.Note esegetiche, in Dir. banc., 1998, I, 511), mentre altri sostengono che il divieto di riferimento agli usi contenuto in questa norma è limitato alle clausole contrattuali e non esclude che gli usi trovino altrove la loro fonte e mantengano in tal caso tutta la loro efficacia (M. Porzio, Rilievi critici sulle recenti sentenze della Cassazione in materia di anatocismo, in Banca, Borsa e Titoli di credito, 1999, II, 651; G. De Nova, Capitalizzazione trimestrale: verso un revirement della Cassazione?, Contratti, 1999, I, 444).

[78] Trib. Napoli, 18 gennaio 2002, in Banca, Borsa e Tit. cred., 2002, II, 585.

[79] G.U. n. 233 del 4 ottobre 1999.

[80] G.U. n. 43 del 22 febbraio 2000.

[81] C. Garilli, L'anatocismo nei rapporti bancari alla luce della deliberazione CIRC, 9 febbraio 2002, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 2001, 174; A.A. Dolmetta, Le nuove modifiche al Testo Unico Bancari. Commentario al D. Lgs. 4 aprile 1999, 342, Milano, 2000, 92 ss.; A. Nigro, L'anatocismo nei rapporti bancari tra presente e futuro, in Foro it.., 2000, I, 462 ss.; A. Palmieri, L'anatocismo cit., in Foro it., 2000, I, 457.

 Autrice: Dott.ssa Silvia De Marco - Aprile 2006 - tratto da: www.dottrinaediritto.ipsoa.it