LE CARATTERISTICHE DISTINTIVE DELL'AMMINISTRATORE DI FATTO
Sotto tiro l’amministratore di fatto della società: sempre più frequentemente, infatti, al termine del controllo sono contestate violazioni non solo a coloro che ufficialmente sono gli amministratori dell’impresa, ma anche a chi, all’esito delle indagini, risulta il reale gestore. Ma vediamo in concreto quando è possibile ipotizzare l’esistenza di un amministratore di fatto.
Il Codice Civile. Tra le funzioni rilevanti in materia societaria c’è la gestione sociale attribuita ai soggetti che rivestono la qualifica formale di amministratori, direttori generali, dirigenti preposti, liquidatori.
L’articolo 2639 del Codice civile, riformulato dal Dlgs 61/2002, ha affiancato a tali figure (di diritto) chi svolge di fatto la stessa funzione: si tratta di soggetti non formalmente investiti da una qualifica tipica, ma comunque operativi con continuità nelle scelte sociali.
In pratica, il Legislatore, recependo la giurisprudenza maggioritaria, ha reso irrilevante la denominazione formale dell’incarico eventualmente rivestito, rispetto al contenuto reale dei poteri esercitati. Il concetto di potere è riferito al ruolo svolto da chi autonomamente può indirizzare la società nelle proprie scelte, anche in concorso con altri soggetti di diritto.
L’amministratore di fatto quindi non deve necessariamente esercitare le sue funzioni in via esclusiva: egli può anche affiancare o collaborare con l’amministratore di diritto.
Ed invero, alcuni di tali poteri non potrebbero per definizione essere esercitati dall’amministratore di fatto, proprio per il difetto di formale investitura. Si pensi alla convocazione dell’assemblea o all’approvazione del progetto di bilancio: adempimenti che solo chi ha il formale incarico può svolgere.
Il doppio requisito
Ai fini della qualificazione dell’amministratore di fatto, quindi, è sufficiente lo svolgimento di alcune attività tipiche dell’incarico. È necessario però la «continuatività e significatività» per poter estendere la responsabilità a soggetti che non ricoprono formalmente alcuna qualifica.
Secondo la giurisprudenza, non occorre l’esercizio di “tutti” i poteri del soggetto di fatto, ma di un’apprezzabile attività di gestione, condotta in maniera non episodica od occasionale.
La continuità. La nozione di continuità va individuata nell’esercizio di atti tipici protratto nel tempo, con ripetitività e sistematicità, che si possa qualificare come inserimento nell’attività dell’impresa. Di conseguenza, sono esclusi i soggetti che compiono singoli atti di gestione e/o sporadiche “intromissioni” nelle scelte sociali.
Va peraltro osservato che la continuità è volta anche ad evitare che i vertici decisionali, attraverso un “abuso” di deleghe, possano assicurarsi l’impunità.
La significatività. Ulteriore requisito per l’individuazione dell’amministratore di fatto è l’esercizio «in modo significativo» dei «poteri tipici».
Non assumono pertanto rilievo le mere mansioni esecutive, di scarsa rilevanza o di natura accessoria, bensì le operazioni fondamentali tipiche dell’organo amministrativo e dei poteri dallo stesso esercitati.
A differenza della durata, più agevole da accertare, la significatività deve considerare l’intensità dell’attività svolta, ossia quando esprima concretamente i poteri decisionali e deliberativi tipici dell’amministratore di diritto.
I due requisiti (continuità e significatività) devono sussistere contemporaneamente: atti soltanto episodici escludono la responsabilità.
Atti coordinati
Per qualificare un amministratore di fatto è necessario quindi l’esercizio di un insieme di atti coordinati, riconducibili all’organizzazione e gestione della società. È evidente, però, che proprio per la volontà di non apparire quale amministratore ufficiale dell’ente, i poteri saranno esercitati indirettamente, ossia in via mediata per il tramite dell’amministratore di diritto, o direttamente in conseguenza di una delega espressamente rilasciata da chi ne ha la facoltà. Si pensi ad esempio alla gestione di un conto corrente: l’amministratore di diritto è l’unico normalmente ad avere la delega di firma, ma potrebbe operare su specifica indicazione dell’amministratore di fatto.
Un’altra ipotesi potrebbe riguardare la gestione di una particolare operazione: l’amministratore di diritto potrebbe ufficialmente delegare con procura speciale un soggetto terzo (in realtà amministratore di fatto) agli adempimenti necessari.
In sintesi quindi occorre verificare la tipologia degli atti concretamente svolti, la loro rilevanza nell’ambito della gestione societaria e la frequenza con la quale tali poteri sono esercitati. Va da sé, onde evitare equivoci, che il consulente della società non è un amministratore di fatto, come talvolta ritiene l’amministrazione finanziaria, allorché le decisioni siano assunte da altri, ancorché le varie opzioni siano ovviamente ipotizzate dal professionista.
Autori: Laura Ambrosi e Antonio Iorio - tratto da: quotidianodiritto.ilsole24ore.com – Febbraio 2018