SENTENZA 20/03 - 09/04/2002 - TRIBUNALE DI MONZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MONZA

SEZIONE III CIVILE

composto dai Magistrati:

Dott. Claudio Miele PRESIDENTE

Dott. Alida Paluchowski GIUDICE

Dott. Roberto Fontana GIUDICE REL.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 4074/2000 promossa con ricorso ex art. 98 l.f. depositato il 12 aprile 2000 e notificato il 19 aprile 2000 a ministero dell' Aiutante Ufficiale Giudiziario addetto all' Ufficio Notifiche del Tribunale di Monza

DA: Intesa Gestione Crediti s.p.a., elettivamente domiciliata in Monza, via Vittorio Emanuele II n. 36, presso lo studio dell’avv. Emanuele Cirillo, che la rappresentata e difende per procura in atti

-RICORRENTE-

CONTRO

Fallimento LINEAS s.r.l., elettivamente domiciliato in Monza, via G.B. Mauri n.6, presso lo studio dell’avv. Marco Terenghi, che la rappresentata e difende per procura in atti

-RESISTENTE -

avente ad oggetto: opposizione allo stato passivo.

All'udienza ex art.189 c.p.c. i procuratori delle parti hanno precisato le seguenti conclusioni:

PER LA RICORRENTE:

PER IL RESISTENTE: "Voglia il Tribunale: accertare e dichiarare l’infondatezza in fatto e in diritto dell’opposizione proposta da Intesa Gestione Crediti s.p.a. e per l’effetto rigettarla insieme a tutte le domande svolte dall’opponente. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio"

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 98 l.f. Intesa Gestioni Crediti s.p.a. ha proposto opposizione allo stato passivo del Fallimento Lineas s.r.l. contestando il provvedimento con cui il giudice delegato ha escluso il credito di £. 201.687.359 ritenendo insufficiente ai fini probatori l’estratto conto periodico autenticato ai sensi dell’art. 50 D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385.

L’opponente allegava di aver sempre trasmesso alla fallita gli estratti conto relativi al conto corrente n. 11245/1 senza mai ricevere alcuna contestazione, deducendone che l’estratto conto prodotto, coprente un periodo di quattro mesi, è idoneo, in quanto conforme alle scritture contabili, a provare il credito.

All’udienza del 31 maggio 2000 era dichiarata la contumacia del fallimento.

All’udienza dell' 11 ottobre 2000 il Fallimento Lineas s.r.l. si costituiva in giudizio deducendo che l’estratto conto periodico, autenticato ai sensi dell’art. 50 D.Lgs. 385/93, ha valenza probatoria solo ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo e che in sede di ammissione al passivo fallimentare le scritture contabili dell’istituto di credito non hanno valore probatorio a favore dell’istituto non risultando applicabile la previsione dell’art. 2710 c.c.

Con memoria del 2 marzo 2001 l’istituto di credito chiedeva l’ammissione di prova testimoniale sull’avvenuto invio degli estratti conto periodici alla fallita.

Con ordinanza del 13 agosto 2001 il giudice istruttore fissava udienza di precisazione delle conclusioni.

All’udienza del 19 settembre 2001 i procuratori delle parti precisavano le conclusioni come da epigrafe.

MOTIVI

1. La controversia verte unicamente sulla valenza probatoria dell’estratto conto periodico, autenticato ai sensi dell’art. 50 D.Lgs. 385/93, ai fini dell’ammissione del credito al passivo fallimentare.

L’orientamento giurisprudenziale prevalente perviene ad una soluzione negativa muovendo da un’esclusione, in linea generale, di ogni valenza probatoria a favore del creditore istante delle scritture contabili dallo stessa tenute, sul presupposto che l’art. 2710 c.c., costituendo deroga al principio generale secondo cui la documentazione predisposta dalla parte non costituisce prova in favore della medesima, non sarebbe mai applicabile in sede di formazione dello stato passivo del fallimento in quanto il curatore non è qualificabile come imprenditore e rappresenta l’intero ceto creditorio, il quale, non solo può comprendere soggetti che non sono imprenditori, ma è anche estraneo all’eventuale rapporto d’impresa tra il fallito e il creditore istante (per l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 2710 c.c. in materia di accertamento del passivo fallimentare cfr. da ultimo Cass. 9 maggio 2001 n. 6465).

2. Questo tribunale ritiene più convincente la tesi che riconosce un valore probatorio alle scritture contabili dell’imprenditore che chiede l’ammissione al passivo fallimentare di un credito vantato nei confronti dell’impresa fallita.

Anche prescindendo dalla problematica dell’applicabilità diretta dell’art. 2710 c.c., appare irragionevole che, nell’ambito di un ordinamento nel quale hanno accesso anche le prove atipiche, possa escludersi a priori, anche quando la prova riguardi un rapporto originariamente sorto tra imprenditori, ogni valore probatorio alle scritture contabili, tenuto conto che le scritture contabili rappresentano un sistema complesso, retto da regole tecniche che impongono per ogni operazione la movimentazione bilanciata di almeno due conti e che l’operazione, quando attiene ad un rapporto tra imprenditori, si riflette specularmene nelle scritture di entrambi.

E’ il meccanismo stesso di formazione delle scritture contabili che attribuisce alle stesse una valenza indiziaria in ordine all’esistenza dei fatti in esse rappresentati e ciò a maggior ragione vale per gli istituti di credito che, pur avendo natura d’impresa privata, sono sottoposti ad un regime di penetranti controlli di carattere pubblicistico da parte degli organi di vigilanza.

Se le scritture contabili non possedessero intrinsecamente questa valenza il legislatore non avrebbe certamente ritenuto i relativi estratti sufficienti neppure ai fini dell’emissione di un decreto ingiuntivo.

Quello che invece è sicuramente da escludere è che le scritture contabili, anche nell’ipotesi espressamente disciplinata dall’art. 2710 c.c., possano avere, a favore del soggetto che le ha tenute, valore di prova legale. Il valore probatorio delle scritture contabili è sempre rimesso al libero apprezzamento del giudice ed infatti l’art. 2710 c.c. stabilisce che esse "possono fare prova".

Nel caso di controversia tra due imprenditori il giudice può, di norma, ritenere raggiunta la prova del credito quando a fronte della produzione di un estratto delle proprie scritture da parte dell’attore il convenuto non formula alcuna specifica contestazione. L’inferenza probatoria, in questo caso, si fonda correttamente sul presupposto che l’imprenditore convenuto è in grado di controllare la rispondenza dell’estratto prodotto alle annotazioni da lui effettuate nelle sue scritture e quindi è nelle condizioni di muovere delle contestazioni specifiche in ordine alla correttezza delle annotazioni di controparte o comunque in ordine alle prestazioni a cui si riferiscono tali annotazioni.

In tale prospettiva una contestazione del tutto generica non può inficiare il valore probatorio delle scritture, mentre, di regola, una contestazione specifica renderà necessario un approfondimento istruttorio con una distribuzione dell’onere della prova che varia a seconda della natura della contestazione (ad esempio contestazione dell’esistenza della prestazione o contestazione di vizi della prestazione).

In linea generale non sussistono ragioni ostative a che queste regole probatorie possano operare anche in sede di verifica dello stato passivo, tenuto conto che la legge prevede che le scritture contabili dell’impresa fallita siano consegnate al curatore e che, quindi, questi di norma può verificare le risultanze delle scritture contabili del creditore istante con quelle della fallita.

3. Nel caso di rapporti di conto corrente, ed in particolare di rapporti tra banca e cliente che prevedano la regolazione delle operazioni in conto corrente, la problematica del valore probatorio delle scritture contabili trova una specifica articolazione con riferimento all’operare del meccanismo dell’approvazione tacita dell’estratto conto incentrato sulla trasmissione periodica dello stesso e sulla sua mancata tempestiva contestazione.

L’approvazione tacita del conto determina la preclusione delle contestazioni che non rientrino tra quelle indicate nel secondo comma dell’art. 1832 c.c. (errori materiali di scritturazione o di calcolo) e non attengano alla validità o efficacia dei rapporti obbligatori da cui derivano gli accrediti e gli addebiti, ossia delle contestazioni che riguardano la corrispondenza tra le annotazioni risultanti dal conto e le effettive operazioni intervenute o, in altri termini, la veridicità delle annotazioni.

Su tale preclusione, la cui ratio è identificabile nel valore confessorio della mancata contestazione degli estratti conto trasmessi (cfr. Cass. 24 maggio 1991 n. 5876), si fonda la possibilità dell’istituto di credito di provare il proprio credito documentando le sole movimentazioni del conto successive all’ultimo estratto conto tacitamente approvato.

Con riferimento specifico all’ammissione di un credito al passivo fallimentare occorre quindi stabilire se la preclusione desumibile dalla disciplina dell’art. 1832, richiamata, per quanto riguarda le operazioni bancarie regolate in conto corrente, dall’art. 1857 e riprodotta, con l’unica variazione in ordine al termine per le impugnative, dall’art. 119 D.Lgs. 179/1993 n. 385, operi anche per il curatore fallimentare.

Sul punto appare decisivo il rilievo che la confessione stragiudiziale del fallito, pur effettuata prima della dichiarazione di fallimento, non ha nei confronti del curatore fallimentare l’efficacia probatoria di cui agli artt. 2733 e 2735 c.c., in quanto, attenendo la prova alla sfera del processo e non del rapporto sostanziale, l’efficacia probatoria attribuita dalla legge ad un atto o un fatto presuppone l’identità tra parti sostanziali e parti processuali e pertanto gli effetti di una dichiarazione avente valore di confessione stragiudiziale si producono se - e nei limiti in cui - essa sia fatta valere nella controversia in cui sono parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti, rispettivamente, autore e destinatario della dichiarazione, mentre è pacifico, quantomeno in sede di verifica dello stato passivo, la posizione di terzietà del curatore fallimentare rispetto ai rapporti tra debitore e creditori e rispetto anche ai rapporti interni al ceto creditorio (cfr., con riferimento alla problematica del valore probatorio della quietanza rilasciata dal fallito, Cass. 23 gennaio 1997 n. 689, Cass. 2 aprile 1996 n. 3055 e Cass. 10 marzo 1994 n. 2339).

La banca non può quindi avvalersi nei confronti del curatore fallimentare degli effetti preclusivi della mancata contestazione degli estratti conto precedentemente inviati al debitore fallito (cfr., con riferimento specifico agli estratti conto bancari, Cass. 9 maggio 2001 n. 6465).

Ne discende che la banca, nelle controversie in cui sia parte il curatore fallimentare, non può mai limitarsi, ai fini della prova del proprio credito, a produrre l’ultimo estratto conto sia pur autenticato ed è quindi irrilevante la prova dell’avvenuta spedizione degli estratti conto periodici ai sensi dell’art. 119 D.Lgs. 179/1993 n. 385.

4. Ciò posto, richiamando le considerazioni svolte in ordine all’efficacia probatoria delle scritture contabili anche nelle controversie tra creditore istante e curatore fallimentare, non si ritiene che la banca debba, per fornire la prova del proprio credito, produrre tutta la documentazione riguardante tutte le singole operazioni avvenute nel corso del rapporto, soluzione che si configurerebbe, a rigore, come conseguenza inevitabile dell’opzione interpretativa che esclude, in sede di verifica dello stato passivo, ogni valore probatorio delle scritture contabili a favore del soggetto che le ha tenute e che verrebbe a riversare sugli istituti di credito, trattandosi nella maggior parte dei casi di rapporti articolatisi nell’arco di vari anni con migliaia di operazioni, un onere abnorme sotto il profilo della quantità di documenti da produrre.

Si ritiene invece di regola necessario che la banca produca la copia integrale della scheda del conto, tenuto conto che in un rapporto in cui le operazioni sono regolate in conto corrente il saldo finale è il frutto di tutte le movimentazioni in dare e in avere verificatisi a partire dall’apertura del conto stesso. Solamente a fronte di tale produzione potrà imporsi al curatore fallimentare l’onere di formulare contestazioni specifiche (che potranno ovviamente investire anche i profili oggetto, per il cliente, di preclusione ai sensi dell’art. 1832 c.c.) in assenza delle quali il credito risultante dal saldo finale potrà considerarsi provato.

In concreto, peraltro, non sarà necessaria la produzione della copia integrale della scheda del conto laddove sia lo stesso curatore fallimentare a delimitare il periodo che deve essere coperto dall’estratto conto, evidentemente perché ha rinvenuto nella documentazione della fallita gli estratti relativi ai periodi antecedenti o perché, con riferimento a tali periodi, esclude comunque di formulare qualsiasi contestazione rispetto alle risultanze contabili della banca.

Si tratta però, in ogni caso, di una scelta del curatore che ha come effetto quello di liberare la banca dal normale onere probatorio limitatamente alla formazione del proprio credito nel periodo escluso e non certo quello di legittimare la banca a ridurre ulteriormente e unilateralmente il proprio onere probatorio ed a ottenere l’ammissione al passivo fallimentare sulla base soltanto dell’ultimo estratto conto.

5. Alla luce di tali considerazioni va pertanto rigettata l’opposizione allo stato passivo del Fallimento Lineas s.r.l. proposta da Intesa Gestione Crediti s.p.a. Tenuto conto della obbiettiva problematicità della questione sollevata in ragione dell’interferenza tra norme generali in materia di prova, disciplina del conto corrente e delle operazioni bancarie regolate in conto corrente e principi del diritto fallimentare, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite.

P.Q.M.

il Tribunale di Monza, definitivamente pronunciando nella causa ex art. 98 l.f. promossa da Intesa Gestione Crediti s.p.a. contro lo stato passivo del Fallimento Lineas s.r.l., iscritta al n. 4074/2000 R.G., così provvede:

1) rigetta l’opposizione proposta;

2) dichiara integralmente compensate le spese di giudizio.

Monza, 20 marzo 2002