LE SEZIONI UNITE CHIARISCONO LA DISCIPLINA APPLICABILE AI RAPPORTI NON DEFINITI DELLE SOCIETA’ CANCELLATE DAL REGISTRO DELLE IMPRESE
Le Sezioni Unite della Cassazione, approfondendo l’intervento effettuato con le sentenze nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010, hanno riconfermata la valenza innovativa individuata nella formulazione dell’art. 2495 c.c. successiva alla riforma del 2003, indicando nella cancellazione di una società dal Registro delle imprese atto produttivo di un effetto estintivo per la società stessa. Quanto alle società di persone, pur se non ricomprese nell’ambito applicativo dell’art. 2495 c.c., un tale effetto estintivo si riconferma invece determinato da una lettura costituzionalmente orientata di tale articolo, rimanendo tuttavia sussistente la differenziazione relativa all’efficacia meramente “dichiarativa” dell’atto di cancellazione relativo alle società di persone (ed invece “costitutiva” per le società di capitali).
Quanto alla responsabilità dei soci per i rapporti facenti capo alla società estinta al momento della cancellazione, occorre avere riguardo alle differenti tipologie societarie: per le società di capitali i creditori potranno far valere le proprie ragioni verso i soci nei limiti delle somme da questi riscosse in sede di liquidazione e potranno altresì agire nei confronti dei liquidatori ove la responsabilità del mancato pagamento sia dipesa da questi (art. 2495 c.c. 2° comma); per le società di persone si applicano le disposizioni degli artt. 2312 e 2324 c.c., rispecchianti il diverso livello di responsabilità dei soci nelle società in nome collettivo e nelle società in accomandita semplice. Per quanto concerne i rapporti passivi pendenti, le Sezioni Unite hanno evidenziato il trasferimento dei debiti sociali (residui o sopravvenuti, ma comunque non liquidati) in capo ai soci, nei limiti dei diversi regimi di responsabilità in base ai quali, pendente societate, gli stessi erano chiamati a rispondere. In merito agli eventuali residui attivi non liquidati od alle sopravvenienze attive della liquidazione, le S.U. distinguono tra sopravvenienze concretizzantisi in mere “pretese” o in “crediti incerti o comunque illiquidi” e sopravvenienze costituite da beni o diritti che, se inclusi nella liquidazione, sarebbero stati per certo ripartiti tra i soci al netto dei debiti. Nel primo caso, la cancellazione della società costituisce “un’univoca manifestazione di volontà di rinunciare” alla pretesa o al credito. Nel secondo caso, invece, si determina un fenomeno successorio in capo ai soci, in maniera “parallela” a quanto accade nei rapporti passivi. Per quanto concerne gli aspetti “processualistici”, le S.U. ribadiscono che “la cancellazione volontaria dal Registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio”.
Le S.U. sottolineano come le esigenze di stabilità processuale consentano eccezionalmente una prosecuzione del giudizio anche se l’estinzione e la conseguente interruzione non siano state fatte valere nei modi di legge, qualora intervenute durante il grado di giudizio. Diversa la soluzione prospettata in caso in evento estintivo intervenuto fra i diversi gradi di giudizio, nel qual caso è posto a carico di chi intenda agire processualmente svolgere le opportune verifiche sulla condizione soggettiva della controparte, in modo tale da proporre il giudizio di impugnazione verso la “giusta parte”, pena l’inammissibilità dell’impugnazione stessa. E’ dunque da ritenersi inammissibile (e non invece “nulla”) un’impugnazione che provenga dalla o sia indirizzata alla società estinta.
Ad una soluzione altrettanto lineare e chiara non è possibile pervenire per i rapporti di natura tributaria. In ambito fiscale infatti, la disciplina delle responsabilità in ordine ai crediti di natura tributaria in ipotesi di liquidazione societaria, è contenuta nell’art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602. Le S.U., nella sentenza n. 6071/13, dubitano della riferibilità del fenomeno “successorio” richiamato in tema di rapporti pendenti anche ai rapporti ed ai processi di natura tributaria. I giudici della S.C. richiamano in tal senso la sentenza di Cassazione 13 luglio 2012 n.11968. Tale sentenza si riferiva nello specifico ai rapporti processuali di natura tributaria pendenti ed alla legittimazione processuale. Effettivamente la materia tributaria ha una sua peculiarità atteso che, in base all’art. 36 del D.P.R. 602 del 1973, “i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma (liquidatori o amministratori) nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile”.
Per quanto attiene ai debiti di imposta, pertanto, la responsabilità dei soci è una responsabilità di natura diversa rispetto a quella della società; il che rende difficilmente applicabile un ragionamento in termini “successori”. La responsabilità della società risulta essere infatti di natura prettamente tributaria, mentre quella dei soci è una responsabilità “di natura civilistica”. In definitiva, e richiamando testualmente quanto indicato nella sentenza n.11968/12, “una volta liquidata e cancellata la contribuente società di capitali, non si realizza una semplice modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio con il Fisco, dovendo questo accertare in capo ai soci i requisiti prescritti dalla legge per la responsabilità diretta”.