Risoluzione delle controversie e norme processuali
nella legge obiettivo.

Considerazioni sugli artt. 12 e 14 d.lgs. 20/08/2002, n. 190.

 

Dott. CARMINE VOLPE
(Consigliere di Stato)
dal sito: www.giust.it

SOMMARIO:

1. L’ambito di applicazione oggettivo dell’art. 12 del d.lgs. n. 190/2002. 2. Il nuovo modello arbitrale. 3. L’ambito di applicazione oggettivo dell’art. 14 del d.lgs. n. 190/2002. 4. Le norme in materia processuale. 5. La valutazione degli interessi nei provvedimenti cautelari. 6. L’esclusione della tutela reintegratoria. 7. I controinteressati. 8. Sensazioni finali. 9. Bibliografia.

 

1. L’ambito di applicazione oggettivo dell’art. 12 del d.lgs. n. 190/2002.

Tra i vari problemi connessi a quanto disposto dagli artt. 12 e 14 del d.lgs. n. 190/2002 vi è quello del relativo ambito di applicazione oggettivo.

Ai sensi dell’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 190/2002, dal titolo "risoluzione delle controversie", "tutte le controversie relative all'esecuzione dei contratti la realizzazione delle infrastrutture possono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto".

Si nota una prima imperfezione letterale della normativa; dopo "contratti" e prima di "la realizzazione" è mancata una parola (per o inerenti o riguardanti).

I contratti inerenti "la realizzazione delle infrastrutture" sono, innanzitutto, quelli di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 190/2002, secondo cui la realizzazione delle infrastrutture è oggetto di:

a) concessione di costruzione e gestione, regolata dagli artt. 1, comma 7, lett. m), e 7 del d.lgs. n. 190/2002;

b) affidamento unitario a contraente generale, disciplinato dall’art. 1, comma 2, lett. f), della l. 21 dicembre 2001, n. 443 (legge obiettivo) e dall’art. 9 del d.lgs. n. 190/2002.

L’ambio oggettivo è oltremodo precisato dall’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 190/2002, dal titolo "(oggetto – definizioni)", secondo cui "il presente decreto legislativo regola la progettazione, l'approvazione dei progetti e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale, nonché l'approvazione...dei progetti degli insediamenti produttivi strategici e delle infrastrutture strategiche private di preminente interesse nazionale, individuati a mezzo del programma di cui al comma 1 dell'articolo 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443".

La legge delegata deve essere necessariamente rapportata alla legge delega n. 443/2001, il cui art. 1, modificato dall’art. 13 della l. 1 agosto 2002, n. 166 (così detta legge Merloni quater), dispone che:

- "il Governo, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle regioni, individua le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. L'individuazione è operata, a mezzo di un programma predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con i Ministri competenti e le regioni o province autonome interessate e inserito, previo parere del CIPE e previa intesa della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, con l'indicazione dei relativi stanziamenti....In sede di prima applicazione della presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001..." (comma 1);

- "il programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria deve contenere le seguenti indicazioni:

a) elenco delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da realizzare;

b) costi stimati per ciascuno degli interventi;

c) risorse disponibili e relative fonti di finanziamento;

d) stato di realizzazione degli interventi previsti nei programmi precedentemente approvati;

e) quadro delle risorse finanziarie già destinate e degli ulteriori finanziamenti necessari per il completamento degli interventi" (comma 1-bis).

Tra l’altro, ai sensi dell’art. 1, comma 7, del d.lgs. n. 190/2002, "ai fini di cui al presente decreto legislativo:

...b) programma è il programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale, di cui all'articolo 1 della legge delega;

...d) infrastrutture e insediamenti produttivi sono le infrastrutture ed insediamenti produttivi inseriti nel programma...".

I lavori, pertanto, devono essere relativi alle infrastrutture ed agli insediamenti produttivi strategici, individuati, a mezzo del detto programma, nel DPEF (documento di programmazione economico-finanziaria). Il primo programma delle infrastrutture strategiche è stato approvato con delibera del CIPE 21 dicembre 2001, n. 121/2001 (1).

La dizione "tutte le controversie relative all'esecuzione dei contratti la realizzazione delle infrastrutture" induce a ritenere che non si tratti solo delle controversie nascenti dall’esecuzione degli specifici contratti citati dall’art. 6 del d.lgs. n. 190/2002; vi possono essere comprese anche quelle conseguenti all’esecuzione dei contratti conclusi dal concessionario con i propri appaltatori (art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 190/2002) o dal contraente generale (art. 9, comma 7, del d.lgs. n. 190/2002), sempre per la realizzazione dei lavori relativi.

Diversamente opinando si dovrebbe concludere nel senso che le parti devono utilizzare l’arbitrato rituale di cui al c.p.c., costituendo il collegio arbitrale secondo i criteri ivi previsti. Ma la tesi sostenuta è conforme all’interpretazione letterale della norma.

L’arbitrato amministrato, inoltre, cioè quello demandato ad un collegio arbitrale costituito presso la camera arbitrale per i lavori pubblici, istituita presso l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, non è più obbligatorio se le stazioni appaltanti sono i concessionari di lavori pubblici ed i soggetti privati; ciò a seguito del nuovo testo dell’art. 32 della l. 11 febbraio 1994, n. 109 (legge-quadro in materia di lavori pubblici), come modificato dall’art. 7 della l. n. 166/2002. Si è così istituito un sistema di "triplo binario": l’arbitrato presso la camera arbitrale, quello di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 190/2002 e quello del c.p.c..

In particolare, per i concessionari di infrastrutture, l’art. 7, comma 3, lett. b) e c), del d.lgs. n. 190/2002 stabilisce che le procedure di appalto del concessionario ed i rapporti tra lo stesso ed i propri appaltatori o il proprio contraente generale sono regolati esclusivamente dalle norme disciplinanti gli appalti del concessionario contenute nella direttiva 93/37/CEE del Consiglio in data 14 giugno 1993, dalle norme di qualificazione dell’appaltatore e subappaltatori di cui al d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 e dalle norme sulle verifiche antimafia da affidarsi nei confronti di affidatari e subaffidatari dei lavori. Per il resto, i rapporti tra concessionari e propri appaltatori o contraenti generali sono rapporti di diritto privato regolati dalle norme del c.c. sull’appalto, ed espressamente sottratti alle disposizioni della legge quadro e del relativo regolamento.

Più o meno lo stesso avviene per il contraente generale. Gli appalti indetti dal suddetto, per affidare i lavori in tutto o in parte ai terzi, sono soggetti al diritto privato, e quindi sono sottratti alle regole dell’evidenza pubblica, salva l’osservanza delle norme in tema di qualificazione e di verifiche antimafia. Anche i rapporti del contraente generale con i terzi sono rapporti di diritto privato, cui non sono applicabili le norme della legge quadro e del relativo regolamento, salvo per quanto previsto dalla legge delega, dal d.lgs. n. 190/2002 e dal regolamento di cui all’art. 15 del medesimo decreto. Solo se il contraente generale può a sua volta essere qualificato come soggetto aggiudicatore in forza delle norme comunitarie è tenuto ad osservare la citata direttiva 93/37/CEE, ovvero il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, in tema di procedure di gara di appalto (art. 9, commi 6, 7 e 8, del d.lgs. n. 190/2002).

 

2. Il nuovo modello arbitrale.

Il d.lgs. n. 190/2002, all’art. 12, ha delineato un modello di arbitrato in parte diverso rispetto a quello generale in materia di opere pubbliche. Ciò in attuazione dell’art. 1, comma 2, della l. n. 443/2001, secondo cui "il Governo è delegato ad emanare...uno o più decreti legislativi volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1, a tal fine...introducendo un regime speciale, anche in deroga agli articoli 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis, 37-ter e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni...". Il citato art. 32 è quello che prevede, ormai solo per i soggetti di cui al precedente art. 2, comma 2, lett. a) - ossia le amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici, compresi quelli economici, gli enti e le amministrazioni locali, le loro associazioni e consorzi, nonché gli altri organismi di diritto pubblico - in caso di competenza arbitrale, la devoluzione ad un collegio arbitrale costituito presso la camera arbitrale per i lavori pubblici, istituita presso l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. Non sono stati indicati, invece, da parte della legge obiettivo, specifici principi e criteri direttivi.

Si tratta di arbitrato facoltativo, nonché rituale e di diritto. Facoltativo perché la Corte costituzionale non ammette più la previsione di arbitrati obbligatori (2); rituale in quanto è quello previsto dal c.p.c.; di diritto poiché non avviene secondo equità. Esso, inoltre, riguarda l’esecuzione delle controversie derivanti dai contratti di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 190/2002, o comunque ad essi conseguenti.

La disciplina è speciale, discostandosi in parte da quella dettata dalla legge Merloni. Le innovazioni rispetto all’arbitrato in materia di lavori pubblici sono le seguenti:

a) si rinvia alle norme del c.p.c., salve le speciali disposizioni dettate dal d.lgs. n. 190/2002 (comma 1); non trova quindi applicazione il regolamento di procedura approvato con D.M. dei lavori pubblici 2 dicembre 2000, n. 398, dal titolo "regolamento recante le norme di procedura del giudizio arbitrale, ai sensi dell'articolo 32, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni";

b) si prevede che il terzo arbitro, con funzioni di presidente, sia nominato dagli arbitri di parte o dalle parti e, solo in caso di mancato accordo, dalla camera arbitrale presso l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici (commi 3 e 4: "scegliendo il terzo arbitro nell'albo previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554");

c) il terzo arbitro, con funzioni di presidente, deve essere scelto dalle parti tra i magistrati amministrativi o contabili, e gli avvocati dello Stato con alcune limitazioni (comma 4: "nel caso in cui non ne sia stato nominato uno quale arbitro di parte e l'Avvocatura dello Stato non sia difensore di una delle parti in giudizio);

d) si istituzionalizza la figura del segretario del collegio e si prevede, se necessario, la nomina di un consulente tecnico di ufficio, scelto nell’apposito albo dei periti tenuto dalla camera arbitrale (comma 5);

e) i compensi spettanti agli arbitri sono determinati con il regolamento di cui al successivo art. 15, che è quello che dovrà modificare il regolamento generale di attuazione della legge Merloni. In via transitoria si applica il regolamento vigente, se compatibile con la legge delega ed il decreto legislativo.

 

3. L’ambito di applicazione oggettivo dell’art. 14 del d.lgs. n. 190/2002.

L’art. 14 del d.lgs. n. 190/2002, dal titolo "norme in materia processuale", disciplina, al comma 1, i "giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa che comunque riguardino le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione ed asservimento".

Ad una prima lettura potrebbe sembrare che la norma disciplini tutta la materia dei lavori pubblici, come regolata dalla l. n. 109/1994 e successive modificazioni; e non solo le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici di cui alla l. n. 443/2001. Mentre quest’ultima riguarda la celere realizzazione di infrastrutture ed insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, l’art. 14 del d.lgs. n. 190/2002 atterrebbe in generale a procedure di progettazione, approvazione e realizzazione di opere, comprendendo anche procedure esecutive quali espropri, occupazioni ed asservimenti.

Tale impostazione non può essere condivisa.

Innanzitutto, la norma di cui al citato art. 14 contiene disposizioni eccezionali che si inseriscono già nello speciale regime inerente i lavori pubblici. Si tratta di un regime speciale in un sistema già di per sé speciale, che trova giustificazione nelle esigenze di celerità connesse alla realizzazione di infrastrutture ed insediamenti di primaria importanza per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese; così che la norma non può non essere interpretata in modo restrittivo.

Le infrastrutture e gli insediamenti produttivi sono sempre quelli inseriti nel programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale, di cui all’art. 1 della legge delega (l. n. 443/2001); ciò in forza di quanto disposto anche dall’art. 1, commi 1, e 7, lett. b) e d), del d.lgs. n. 190/2002. In questo senso conduce sia l’interpretazione letterale sia la coerenza con i margini tracciati dal legislatore delegante (3).  Valgono, quindi, le medesime considerazioni già svolte al paragrafo 1.

L’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 190/2002 non ha innovato in ambito di giurisdizione del giudice amministrativo. Esso deve essere necessariamente collegato alle disposizioni di cui agli artt. 6 della l. n. 205/2000 e 34 del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b), della l. n. 205/2000. Ai sensi di tali norme sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di lavori svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, nonché quelle aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alla stessa equiparati in materia urbanistica ed edilizia. Materia nella quale, secondo la giurisprudenza, rientrano le procedure di espropriazione e occupazione.

Anche se l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 190/2002 non parla di "affidamento", la giurisprudenza è nel senso che il giudice amministrativo non può conoscere delle controversie inerenti la fase successiva alla stipulazione del contratto, ma solo di quelle riguardanti le procedure di scelta del contraente; tranne che in particolari ipotesi nelle quali, dato l’esercizio di poteri pubblici, si verte in materia di interessi legittimi (4).

Con riguardo alle infrastrutture e agli insediamenti produttivi il giudice amministrativo, quindi, potrà conoscere delle controversie inerenti la - o risalenti sempre alla - fase di scelta del contraente, progettista o esecutore dei lavori, e relative l’approvazione del contratto. In ambito di uso del territorio, la giurisdizione del giudice amministrativo va al di là degli atti e dei provvedimenti, comprendendovi anche i comportamenti; con l’esclusione delle controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

L’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 190/2002, nella sua ampia dizione, comprende anche tutte le procedure inerenti la così detta attività di conformazione della pubblica amministrazione, ossia quelle riguardanti la destinazione e l’apposizione dei vincoli conseguenti, anche preordinati all’esproprio, da parte degli strumenti urbanistici, sempre al fine della realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti di cui trattasi; e naturalmente gli atti ed i provvedimenti finali, come, ancora più a monte, quelli generali o iniziali, che decidono la realizzazione e dispongono la localizzazione della singola infrastruttura o dello specifico insediamento. Il che lo si desume anche dall’espressa inclusione delle attività di "asservimento". Questi casi non sono però compresi nell’elencazione di cui all’art. 23-bis, comma 1, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, aggiunto dall’art. 4 della l. n. 205/2000; così che, se non si verte in ambito di infrastrutture ed insediamenti strategici di cui al d.lgs. n. 190/2002, non si applicano nemmeno le particolari disposizioni previste dal citato art. 23-bis.

 

4. Le norme in materia processuale.

L’art. 14 del d.lgs. n. 190/2002 si inserisce già in un regime speciale, che è quello di cui all’art. 23-bis della l. n. 1034/1971. Espressamente, l’art. 14, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 190/2002 dispone che, "per quanto non espressamente previsto dal presente articolo", si applicano le disposizioni del citato art. 23-bis. Continua la "specialità" inerente:

a) la riduzione alla metà dei termini processuali, salvo quelli per la proposizione del ricorso (art. 23-bis, comma 2);

b) la pubblicazione del dispositivo della sentenza, da effettuare entro sette giorni dalla data dell’udienza (art. 23-bis, comma 6);

c) il termine per la proposizione dell’appello avverso le sentenze dei T.A.R., ridotto a trenta giorni dalla notificazione e a centoventi giorni dalla pubblicazione delle sentenze stesse (art. 23-bis, comma 7);

d) la previsione, al fine di conseguire la sospensione dell’esecuzione della sentenza, della possibilità di proporre appello, con riserva di motivi, nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del dispositivo (art. 23-bis, comma 7).

Ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. a), del detto decreto, "l'udienza di merito del ricorso non richiede la domanda di fissazione ed avviene non più tardi del quarantacinquesimo giorno dalla data di deposito dello stesso presso la segreteria del giudice competente".

La disposizione ha chiaro carattere acceleratorio, premendo per una rapida soluzione nel merito della controversia, di ufficio e senza bisogno dell’impulso di parte. Le differenze rispetto al regime precedente sono tangibili. Si prescinde dall’intervento dell’ordinanza di sospensione da parte del giudice amministrativo o dalla presentazione della domanda di provvedimento d’urgenza e dalla richiesta delle parti di fissazione dell’udienza di merito, di cui all’art. 31-bis, commi 2 e 3, della l. n. 109/1994.

Resta salva la possibilità per il giudice amministrativo, nella fase cautelare, di decidere il merito con sentenza succintamente motivata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 23-bis, comma 3, e 26, comma 4, della l. n. 1034/1971. Mentre diventa superata la prescrizione dell’art. 23-bis, comma 3, della l. n. 1034/1971, secondo cui il T.A.R., nella fase cautelare, se ritiene ad un primo esame che il ricorso evidenzi l’illegittimità dell'atto impugnato e la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa con ordinanza la data di discussione nel merito alla prima udienza successiva al termine di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza, come anche la previsione, da parte del Consiglio di Stato che riforma l'ordinanza di primo grado di rigetto dell’istanza cautelare, della trasmissione della pronuncia di appello al T.A.R. per la fissazione dell'udienza di merito. Si supera, conseguentemente, anche quanto previsto dall’art. 23-bis, comma 4, della l. n. 1034/1971, in tema di termini per il deposito di documenti e di memorie nel giudizio di cui al comma precedente.

L’applicazione pratica del disposto dell’art. 14, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 190/2002 comporterà la fissazione del merito dei ricorsi relativi a detrimento dei ricorsi presentati in materie diverse. L’organico dei magistrati amministrativi non è stato aumentato e, tra l’altro, i carichi di lavoro dei magistrati dei T.A.R. sono regolamentati entro tetti massimi dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.

 

5. La valutazione degli interessi nei provvedimenti cautelari.

Ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 190/2002, "la valutazione del provvedimento cautelare eventualmente richiesto deve tener conto delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera; nel concedere la misura cautelare il giudice non potrà prescindere dal motivare anche sulla gravità ed irreparabilità del pregiudizio all'impresa del ricorrente, il cui interesse dovrà comunque essere comparato con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure".

La disposizione non comporta deroga, aggiungendosi ad essa, a quanto disposto già dall’art. 23-bis, comma 5, della l. n. 1034/1971, secondo cui il giudice amministrativo può disporre le opportune misure cautelari solo "in caso di estrema gravità ed urgenza" e "enunciando i profili che, ad un sommario esame, inducono a una ragionevole probabilità sul buon esito del ricorso". Norma a sua volta derogatoria, in quanto molto più stringente, del regime ordinario in materia di poteri cautelari del giudice amministrativo, il quale può emanare le misure cautelari richieste in caso di "pregiudizio grave e irreparabile derivante dall'esecuzione dell'atto impugnato, ovvero dal comportamento inerte dell'amministrazione", motivando sulla "valutazione del pregiudizio indicato" e specificando "i profili che, ad un sommario esame, inducono a una ragionevole previsione sull'esito del ricorso" (art. 21, comma 7, della l. n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 3 della l. n. 205/2000).

Innanzitutto, il comma 1, lett. b), dell’art. 14 del d.lgs. n. 190/2002 richiede al giudice amministrativo, prima di concedere il richiesto provvedimento cautelare, di tenere conto, delle probabili (che è qualcosa di più di possibili) conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi; quindi, sia pubblici che privati. E qui nessun problema, dato che è quanto normalmente avviene già nella delibazione in camera di consiglio, propedeutica alla decisione sull’istanza cautelare. Il giudice considera non solo gli interessi delle parti contrapposte - quello pubblico alla realizzazione dell’opera e quello alla legittimità delle procedure indette e delle attività svolte dall’amministrazione - ma anche altri interessi pubblici eventualmente coinvolti; si pensi a quello ambientale o paesaggistico che si contrappone in genere all’interesse alla realizzazione dell’opera. Come valuta anche l’impatto dell’eventuale concessione della cautela richiesta su tali interessi.

Occorre anche tenere conto dell’"interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera"; interesse che la legge già qualifica "preminente" su "tutti gli interessi che possono essere lesi". Ma allora se questo interesse è già definito dal legislatore come preminente rispetto a tutti gli altri interessi coinvolti, dato che nella norma non vi è limitazione alcuna, che ci sta a fare il giudice amministrativo?

Siamo di fronte ad una contraddizione in termini. Il giudice amministrativo è chiamato ad una valutazione di qualcosa che è già stato previamente valutato dal legislatore; è chiamato quindi ad una valutazione inutile, dovendosi limitare a dare atto, quasi come un notaio, che l’opera pubblica si deve fare e nei rapidi tempi previsti. Ma un’altra domanda viene conseguente. Se così è, in quali casi sarà possibile concedere il richiesto provvedimento cautelare? La risposta in teoria è una sola; mai.

L’interpretazione letterale non porta ad un diverso risultato; ma il risultato stesso è assurdo. Vi sono tutta una serie di interessi, si pensi solo al diritto alla salute, all’integrità dell’ambiente e al paesaggio, o ad altri beni di primario rilievo costituzionale (5), i quali non possono essere dalla legge subordinati all’interesse relativo alla sollecita realizzazione dell’opera pubblica. Se così fosse la norma sarebbe a rischio di incostituzionalità; ed è noto il principio per il quale, in presenza di diverse interpretazioni, di cui l’una conforme a Costituzione e l’altra contraria, va data preferenza alla prima. Ma il testo letterale della norma è abbastanza stringente. Se si pensa però che il concetto del "preminente interesse nazionale" lo si rinviene già enunciato (da solo) nell’art. 1, comma 1, della l. n. 443/2001 (legge delega) e nell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 190/2002, potrebbe convenirsi anche che esso va identificato nell’interesse "alla sollecita realizzazione dell’opera" ma non rapportato, in maniera prevaricatoria, su tutti gli altri interessi che possono essere lesi.

A seguito di tale valutazione, che di per sé dovrebbe già portare alla reiezione dell’istanza cautelare, il decreto legislativo richiede al giudice amministrativo, per la concessione della misura cautelare, di motivare non solo sulla gravità ed irreparabilità del pregiudizio all’impresa del ricorrente - e anche questo è quanto il giudice già deve fare per potere accogliere la domanda cautelare - ma di mettere anche a comparazione il relativo interesse con quello del soggetto aggiudicatore alla celere prosecuzione delle procedure. Ma è chiaro che quest’ultimo interesse, di carattere pubblico e collettivo, è di per sé prevalente sul primo, di carattere privato e di tipo economico.

La sensazione è tangibile. Il legislatore ha fatto esperienza di quanto accaduto in vari casi, tra cui quello della ricostruzione del teatro "La Fenice" di Venezia, laddove la realizzazione dei lavori venne ritardata da una serie di decisioni del giudice amministrativo, soprattutto in sede cautelare; o, il che è lo stesso, si teme l’incisività del potere cautelare. Ma forse non si ha più fiducia nel giudice amministrativo; così che, non potendosi eliminare la tutela cautelare, la si limita fin quasi a comprimerla.

Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, "la disponibilità delle misure cautelari è strumentale all'effettività della tutela giurisdizionale e costituisce espressione del principio per cui la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione, in attuazione dell'art. 24 della Costituzione (sentenze n. 253 del 1994 e n. 190 del 1985)". La Consulta, "con riferimento particolare alla giurisdizione amministrativa, basata sull'annullamento degli atti illegittimi,...ha, da tempo, posto in luce il carattere essenziale della procedura cautelare e l'intima compenetrazione della stessa con il processo di merito, dichiarando illegittima l'esclusione o la limitazione del potere cautelare con riguardo a determinate categorie di atti amministrativi o al tipo di vizio denunciato (sentt. N. 227 del 1975 e n. 284 del 1974)" (6).

Quanto disposto dall’art. 14, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 190/2002 era proprio necessario una volta fortemente accelerata la decisione nel merito della controversia, consentendosi di pervenire ad una rapida e definitiva decisione dei ricorsi? Forse il mezzo usato appare, quanto meno, leggermente sproporzionato rispetto al fine che il legislatore si prefigge di raggiungere.

 

6. L’esclusione della tutela reintegratoria.

L’art. 14 del d.lgs. n. 190/2002, dispone, al comma 2, che, "in applicazione delle previsioni dell'articolo 2, comma 6, delle direttive 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, e 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, la sospensione o l'annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti aggiudicatori; in tale caso il risarcimento degli interessi o diritti lesi avviene per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica".

La norma attua il primo criterio direttivo posto dall’art. 1, comma 2, lett. n), della l. n. 443/2001, che demanda al decreto legislativo la previsione, "dopo la stipula dei contratti di progettazione, appalto, concessione o affidamento a contraente generale, di forme di tutela risarcitoria per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica", nonché la "restrizione, per tutti gli interessi patrimoniali, della tutela cautelare al pagamento di una provvisionale". Il secondo criterio, infatti, è rimasto inattuato.

La disposizione sembra conforme alle citate direttive comunitarie, in materia di ricorsi, le quali consentono (e non obbligano) agli Stati membri di prevedere che, "dopo la stipulazione di un contratto in seguito all'aggiudicazione dell'appalto, i poteri dell'organo responsabile delle procedure di ricorso si limitino alla concessione di un risarcimento danni a qualsiasi persona lesa da una violazione". Le direttive, tuttavia, escludono tale possibilità, da parte dello Stato, nel caso in cui "una decisione debba essere annullata prima della concessione di un risarcimento danni". Così che diviene dubbia la stessa conformità alle direttive comunitarie, allorquando si pensi che, dopo quanto affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione nella nota decisione 22 luglio 1999, n. 500 (7), in merito all’insussistenza della necessaria pregiudiziale amministrativa nel giudizio di risarcimento del danno, è entrata in vigore la l. n. 205/2000.

Per effetto del primo periodo del comma 3 dell’art. 7 della l. n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. c), della l. n. 205/2002, "il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali". Con la conseguenza che, per effetto della concentrazione delle questioni annullatorie e risarcitorie innanzi al giudice amministrativo anche a seguito della lesione di posizioni di interesse legittimo causate dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica (come avviene nella fase di scelta del contraente, caratterizzata dall’evidenza pubblica), la giurisprudenza amministrativa ritiene, pure se con qualche eccezione, la pregiudizialità dell’azione di annullamento rispetto a quella di risarcimento; ossia la necessaria tempestiva previa impugnazione del provvedimento autoritativo e, conseguentemente, il suo annullamento, al fine di potere conseguire il risarcimento del danno (8).

L’esclusione della tutela cautelare reintegratoria, nel caso di avvenuta stipula del contratto, ha comunque già conseguito un avallo comunitario. La Corte di Giustizia (9) ha ritenuto conforme alla direttiva del Consiglio 89/665/CEE (che all’art. 1 impone un ricorso "efficace") il meccanismo del solo risarcimento. In Austria, invero, successivamente alla conclusione di un contratto, vi può essere solo l'attribuzione di un risarcimento danni da parte dei giudici ordinari; ed il meccanismo è stato ritenuto coerente sia alla direttiva 89/665/CEE, sia alla distinzione tra la fase precedente la conclusione del contratto (fase cui si applica l'art. 2, n. 1, cioè l’annullamento anche cautelare), e la fase successiva alla conclusione stessa (che, in base all'art. 2, n. 6, comma 2, prevede il solo risarcimento danni).

L’ambito operativo dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 190/2002 è più ristretto rispetto a quello oggetto del precedente comma 1. La norma si riferisce solo all’aggiudicazione – provvedimento che conclude una procedura di scelta del contraente – e riguarda soltanto le infrastrutture; essendo una disposizione eccezionale, la dizione letterale esclude la sua applicabilità agli insediamenti produttivi.

La norma, in secondo luogo, prevedendo un’eccezione, dà per scontata la regola; ossia che la sospensione o l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione comporta la risoluzione del contratto. Si supera così, ad opera del legislatore, la posizione espressa dalla Corte di cassazione, la quale aveva sempre ritenuto che l’annullamento dell’aggiudicazione comportasse l’annullabilità del contratto ad iniziativa dell’amministrazione, in quanto parte che vi abbia interesse; il che causava, a sua volta, l’intangibilità del contratto da parte del soggetto aggiudicatario. La risoluzione, invece, avviene per impossibilità sopravvenuta della prestazione, dato che, caduta l’aggiudicazione, l’aggiudicatario non può più eseguire la prestazione dovuta (artt. 1463 e ss. del c.c.).

La tesi della risoluzione supera anche quella della nullità del contratto, secondo cui la procedimentalizzazione della formazione del consenso dell’amministrazione comporta che, l’eventuale vizio della fase procedurale per cui si perviene all’annullamento dell’aggiudicazione, fa venire meno il consenso. Essendo questo uno degli elementi essenziali del contratto (accordo delle parti: art. 1325 del c.c.), la sua mancanza ne comporta la nullità (art. 1418 del c.c.); con la conseguente possibilità di farla valere da parte di chiunque vi abbia interesse e di essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 1421 del c.c.).

L’eccezione è data al sistema normale, previsto dall’art. 7, comma 3, della l. n. 1034/1971, a sua volta preceduto dall’art. 2058 del c.c.; reintegrazione in forma specifica, se possibile, altrimenti risarcimento del danno per equivalente.

Il risarcimento del danno in forma specifica, anzi, riveste particolare valenza per il giudice amministrativo, laddove l'annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato si qualifica proprio come una specie di reintegrazione in forma specifica. Il risarcimento del danno configura una tutela aggiuntiva di completamento, dato che con la reintegrazione in forma specifica al giudice amministrativo è consentito attribuire al ricorrente quel bene della vita per il quale lo stesso agisce in giudizio.

Ora, la stipulazione del contratto tra l’aggiudicatario e l’amministrazione, per effetto del decreto legislativo, diviene il muro oltre il quale non è più consentita la reintegrazione in forma specifica. Fino al d.lgs. n. 190/2002 la circostanza dell’avvenuta stipula del contratto, rendendo ancora più pregnante l’interesse pubblico all’esecuzione dei lavori, poteva essere uno degli elementi valutati dal giudice amministrativo ai fini della reiezione della domanda cautelare avverso il provvedimento di aggiudicazione. Ma non comportava di per sé l’impossibilità di conseguire la tutela cautelare stessa, malgrado fosse compressa dall’iniziata o avanzata esecuzione dei lavori. Erano la già intervenuta aggiudicazione ed esecuzione dell’appalto che non consentivano il risarcimento in forma specifica mediante rinnovazione della gara (10).

Con l’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 190/2002 si verifica una sorta di valutazione legislativa precostituita, per cui, in tema di infrastrutture, l’avvenuta stipulazione del contratto segna il momento a partire dal quale la reintegrazione in forma specifica è esclusa in quanto, si presuppone, eccessivamente onerosa per il debitore. Valutazione che, altrimenti, ai sensi dell’art. 2058, comma 2, del c.c., sarebbe spettata al giudice, il quale, nel caso, può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente. Si tratta di una presunzione assoluta, che non ammette prova contraria, anche nell’ipotesi in cui l’aggiudicazione in favore del ricorrente, escluso ad esempio per anomalia dell’offerta, comporterebbe un notevole risparmio di spesa per il soggetto aggiudicatore.

Conseguire il risarcimento del danno per equivalente al posto della reintegrazione in forma specifica non è la stessa cosa. Il ricorrente non è detto che debba chiedere sempre il risarcimento del danno, anche se da ora in poi lo dovrà sempre pretendere, ed in genere il bene della vita che si persegue si immedesima nella realizzazione dell’opera; circostanza che di per sé comporta non solo guadagno ma anche maggiore esperienza e qualificazione professionali, da utilizzare a fini di partecipazione a gare ulteriori. Motivo per cui la giurisprudenza prevalente, una volta ammesso il risarcimento del danno conseguente a lesione di interessi legittimi, non aveva mai escluso la tutela cautelare a causa della mera possibilità di conseguire il risarcimento.

La filosofia di base è intuitiva. Quelli che contano, anche in ambito comunitario, sono i valori economici; il non concludere l'opera pubblica nei tempi previsti crea diseconomie collettive. Ecco che dal legislatore si preferisce che le infrastrutture strategiche per il Paese vengano realizzate nei brevi tempi previsti, anche se all’imprenditore ricorrente, illegittimamente non aggiudicatario o illegittimamente escluso, si dovrà corrispondere, nel peggiore dei casi per l’amministrazione, il 10 per cento del valore dell'opera a titolo di mancato utile, oppure il danno da chance, dipendente dall’astratta possibilità di un esito favorevole della gara o, nell’ipotesi in cui si ritenga trattarsi di responsabilità precontrattuale (a seguito di violazione da parte dell’amministrazione delle regole della procedura di gara), il solo interesse negativo, costituito dalle spese sostenute e dalle possibilità perdute di ulteriori guadagni. Ora che il risarcimento è consentito si convertono in moneta tutti i tipi di illegittimità, che possono emergere nella "progettazione, approvazione e realizzazione" delle infrastrutture.

E’ conforme a Costituzione un sistema che non consente di conseguire una tutela piena, ma solo quella per equivalente, sottraendo ogni tipo di valutazione al giudice?

La risposta non potrebbe essere che negativa se il sistema riguardasse l’intera materia dei lavori pubblici. Ora è vero che si sarebbe - il condizionale è d’obbligo viste le remore al riguardo - data attuazione a normativa comunitaria. Ma è anche vero che, come previsto pure dal nuovo testo dell’art. 117, comma 1, della cost. (a seguito delle modifiche apportate dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3) - secondo cui "la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario" - non è consentito derogare ad alcuni principi costituzionali fondamentali, tra cui quello dell’effettività della tutela giurisdizionale, affermato dagli artt. 24, 103 e 113 della Cost.. Il problema è tutto nell’equivalenza o meno delle varie tecniche di tutela consentite dall’ordinamento e nella diversa rilevanza degli interessi coinvolti; al riguardo non si può prescindere, quanto meno, dal nutrire qualche dubbio.

Si pensi, ad esempio, a chi agisce per la tutela di interessi essenziali della persona, quali quelli alla salute, o ambientali o comunque relativi a interessi di primario rilievo costituzionale. Questi interessi, alcuni tutelabili anche a livello collettivo, possono essere lesi dalla realizzazione delle grandi opere e certamente non trovano tutela equivalente nella possibilità di conseguire solo il risarcimento del danno.

Si attende di assistere alla corsa alla formale sottoscrizione del contratto di appalto. L’obiettivo primario del soggetto aggiudicatario diviene quello di ottenere quanto prima la sottoscrizione del contratto, dato che di un eventuale risarcimento dei danni se ne occuperà esclusivamente la stazione appaltante. Ai sensi dell’art. 109, commi 1 e 2, del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (regolamento di attuazione della legge Merloni), "la stipulazione del contratto di appalto deve aver luogo entro sessanta giorni dall'aggiudicazione nel caso di pubblico incanto, licitazione privata ed appalto-concorso ed entro trenta giorni dalla comunicazione di accettazione dell'offerta nel caso di trattativa privata e di continuo fiduciario" e "per gli appalti di competenza di Amministrazioni statali, l'approvazione del contratto deve intervenire entro sessanta giorni dalla data di stipulazione". Normativa, tra l’altro, non applicabile ai contratti stipulati dai contraenti generali, per i quali, come per i concessionari di costruzione e gestione, si rimanda a quanto detto al paragrafo 1.

Il regolamento non chiarisce se il termine ha natura perentoria, ma indica le conseguenze della sua inosservanza; comportanti la possibilità per l’impresa di chiedere di sciogliersi da ogni impegno o recedere dal contratto, con il rimborso delle spese contrattuali o, se sia intervenuta la consegna dei lavori in via d’urgenza, con il diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione dei lavori ordinati dal direttore dei lavori (art. 109, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 554/1999). Il termine secondo la giurisprudenza non ha natura perentoria ed è stabilito nell’interesse dell’amministrazione (11).  Il che non può escludere la responsabilità dell’amministrazione per il ritardo nella stipulazione, se proprio tale ritardo, essendo intervenuto il provvedimento cautelare del giudice, ha comportato l’impossibilità, anche temporanea, per l’aggiudicatario di realizzare l’opera ai sensi dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 190/2002; sempre che questi risulti alla fine vittorioso nel relativo giudizio. La sospensione dell’aggiudicazione comporta, infatti, la temporanea carenza dei presupposti per la stipula del contratto.

Si assisterà, presumibilmente, anche all’incremento, da parte dei ricorrenti, delle richieste di esercizio dei poteri cautelari presidenziali (ai sensi dell’art. 21, comma 8, della l. n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 3 della l. n. 205/2000), al fine di arrivare alla tutela cautelare in tempo prima della stipulazione del contratto; oltre che, ancora più a monte, all’aumento delle opere da includere nel programma a sua volta inserito nel DPEF, di cui all’art. 1, comma 1, della l. n. 443/2001. I vantaggi che ne derivano sono all’evidenza di tutti, se solo si guarda all’entità e al numero delle opere che sono state incluse nel primo programma.

 

7. I controinteressati.

Ai sensi dell’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 190/2002, "il soggetto aggiudicatore comunica il provvedimento di aggiudicazione ai controinteressati almeno trenta giorni prima della firma del contratto".

La nozione di controinteresaato, che la norma adopera al plurale si pensa senza alcuno significato specifico, trova la sua espressione nell’ambito del processo amministrativo, ad opera dell’art. 21, comma 1, della l. n. 1034/1971, secondo cui "il ricorso deve essere notificato tanto all'organo che ha emesso l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce, o almeno ad alcuno tra essi".

La giurisprudenza (12) ritiene che:

a) la qualità di controinteressato vada individuata in seguito al riconoscimento della titolarità di un interesse analogo e contrario a quello che legittima la proposizione del ricorso (così detto elemento sostanziale) ed alla circostanza che il provvedimento impugnato riguardi nominativamente un soggetto determinato, esplicitamente menzionato, o comunque agevolmente individuabile (così detto elemento formale), il quale abbia un interesse giuridicamente qualificato alla conservazione del provvedimento stesso;

b) l’interesse qualificato alla conservazione dell’atto debba nascere dal provvedimento impugnato, dovendosi verificare al momento della sua emanazione e non da atti successivi.

Trattasi, quindi, di istituto processuale. Si assiste ora alla nuova figura dei controinteressati extraprocessuali - cartina al tornasole della nozione classica - i quali sono quelli che, potendo avere un interesse contrario all’aggiudicazione così come disposta dall’amministrazione, sono legittimati alla sua eventuale impugnazione. Si tratterà quindi del soggetto che è arrivato secondo alla conclusione della gara, o di quello che, se non fosse stato escluso, si sarebbe certamente aggiudicato la gara.

La norma richiede che la comunicazione venga effettuata almeno trenta giorni prima della firma del contratto e non anche che la stessa giunga a conoscenza del destinatario; con il conseguente ulteriore strozzamento dei termini. La ratio della disposizione dovrebbe essere quella di consentire l’impugnazione in tempo utile per conseguire la misura cautelare prima del "muro" costituito dalla stipulazione del contratto. Ma i tempi sono egualmente ristretti, dato che il ricorrente non può più prendersi tutti i sessanta giorni che l’ordinamento gli attribuisce per la proposizione del ricorso (art. 23-bis, comma 2, della l. n. 1034/1971), dovendo necessariamente abbreviare i tempi; con compressione non indifferente dell’esercizio del diritto di agire in giudizio (costituzionalmente protetto: artt. 24, 103 e 113 della Cost.).

Che accade nell’ipotesi in cui il soggetto aggiudicatore effettua la prevista comunicazione meno di trenta giorni prima dalla firma del contratto o non vi provvede affatto? Oppure procede alla firma del contratto prima di attendere lo spirare del termine?

Nella seconda ipotesi non inizierà a decorrere il termine per l’impugnazione; ma se nel frattempo si è arrivati alla stipulazione del contratto, scatterà egualmente l’impossibilità di conseguire la risoluzione dello stesso consentendosi solo la tutela risarcitoria. L’amministrazione, comunque, risponderà dei danni ulteriori nell’ipotesi in cui proprio la violazione dell’obbligo previsto dall’art. 14, comma 3, del d.lgs. n. 190/2002, nelle modalità indicate, sia stata la causa dell’impossibilità di arrivare in tempo utile per conseguire la tutela cautelare prima della stipulazione del contratto; sempre in presenza degli ulteriori elementi necessari per la configurazione della responsabilità.

 

8. Sensazioni finali.

Dopo quattro leggi Merloni a distanza di poco più di otto anni, l'arrivo preannunciato della quinta (art. 7, comma 1, della l. n. 166/2002), la legge obiettivo ed il decreto legislativo di attuazione, il giudice amministrativo si trova in uno stato a dir poco confusionario.

La legge quadro in materia di lavori pubblici non è più un "quadro"; sembra quasi un "puzzle" o un percorso di guerra. In un sistema già di per sé speciale, si inseriscono ulteriori eccezioni in un determinato settore di lavori pubblici, che comprende le opere più importanti per il Paese; si assiste all'apoteosi dello speciale nello speciale, come a regimi differenziati per opere pubbliche, quasi di serie A e di serie B.

A questo punto la sensazione che investe il giudice amministrativo è quella, di derivazione pubblicitaria, di sentirsi come "una particella di sodio in acqua Lete", la quale si domanda, sconsolata e solitaria: "c'è qualcuno?"

Il giudice amministrativo si sente sempre più solo ed abbandonato in un liquido, che non è quello amniotico di materno e tranquillizzante ricordo, ma un continuo sommovimento costituito da un sistema normativo frenetico ed in costante modificazione. Non si fa in tempo ad assimilare la nuova normativa che ne interviene una nuova, di modifica o di eccezione della precedente. Tra l'altro in un clima tangibile di sfiducia, o di fastidio, nei confronti dell'operato del giudice amministrativo il quale, in un sistema normativo così caotico e nella continua ricerca, da parte degli operatori del settore, di qualsiasi illegittimità, soprattutto formale, cui aggrapparsi, non pare certamente colpevole.

Una nuova sfida attende il giudice amministrativo e questa volta potrebbe essere quella decisiva per dimostrare, quanto meno, di continuare ad operare dignitosamente, senza ambizioni di protagonismo, in un sistema in cui le grandi opere diventano centrali ed essenziali per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese.

 

9. Bibliografia.

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SAPORITO G., Le limitazioni al potere cautelare del giudice amministrativo in materia di appalti di oo.pp. e di espropriazioni per p.u., in www.giust.it, n. 7/8-2002.

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VOLPE C., La giurisdizione esclusiva. I servizi pubblici, in Verso il nuovo processo amministrativo, a cura di CERULLI IRELLI V., Torino, 2000, 91 e ss..

 

NOTE:

[1] In Gazzetta Ufficiale 21 marzo 2002, n. 68.

[2] C. cost. 9 maggio 1996, n. 152, in Riv. trim. appalti, 1996, 503. La Corte ha ritenuto l’incostituzionalità dell'art. 47 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (come sostituito dall'art. 16 della l. 10 dicembre 1981, n. 741, e poi abrogato dall’art. 231 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554), il quale, in deroga a quanto disposto dai precedenti artt. 43 e ss., prescriveva che solo con apposita clausola inserita nel bando o nell'invito alla gara, oltre che nel contratto in caso di trattativa privata, poteva essere esclusa la competenza arbitrale. La disposizione è stata ritenuta illegittima nella parte in cui non si prevedeva, per ciascuno dei contraenti, la possibilità di derogare alla competenza arbitrale. La norma, infatti, nel disporre che la competenza arbitrale poteva essere derogata solo con una clausola inserita nel bando o nell'invito - quindi ad iniziativa esclusiva dell'amministrazione - finiva con il rendere obbligatorio l'arbitrato, in contrasto con il principio secondo cui solo a seguito di concorde e specifica volontà delle parti, liberamente formatasi, possono consentirsi deroghe alla regola della statualità della giurisdizione.

[3] Un analogo problema di interpretazione era sorto con riguardo all’art. 33, comma 2, lett. e), del d.lgs 31 marzo 1998, n. 80 - ora art. 33, comma 2, lett. d), del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. a), della l. 21 luglio 2001, n. 205 - che considera le controversie "aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale". Era controverso se la norma dovesse trovare applicazione solo nelle procedure indette ed espletate da soggetti preposti alla gestione di servizi pubblici, o a tutte quelle sottoposte al rispetto delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale, indipendentemente dalla qualificazione del soggetto che le indice. Malgrado qualche diversa decisione dei T.A.R., l’orientamento prevalso in giurisprudenza - nella ricerca di un’interpretazione armonica con il comma 1 del citato art. 33 e coerente con i margini tracciati dal legislatore delegante con l’art. 11, comma 4, lett. g), della l. 15 marzo 1997, n. 59 (entrambe le norme parlano di servizi pubblici) - è stato nel senso della limitazione della disposizione dell’art. 33, comma 2, lett. d) (ex lett. e), del citato decreto, ai soli appalti "strumentali" alla gestione di un pubblico servizio (Cons. Stato, sez. V, 10 aprile 2000, n. 2078, in Cons. Stato, 2000, I, 913). Tali controversie, se non strumentali alla gestione del servizio pubblico, non potevano rientrare nella previsione del citato art. 33. La problematica è stata ora superata per effetto dell’art. 6 della l. n. 205/2000.

[4] Da ultimo, Cons. giust. amm., 31 maggio 2002, n. 276 e Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 2002, n. 1964, in Cons. Stato, 2002, I, rispettivamente, 1406 e 1430.

[5] Tutti interessi citati, tra l’altro, dall’art. 21, comma 7, della l. n. 1034/1971, come sostituito dall’art. 3 della l. n. 205/2000, nell’ambito degli interessi essenziali della persona, per i quali, in caso di richiesta cautelare ad essi attinente, al giudice amministrativo non è consentito subordinare a cauzione la concessione o il diniego della misura cautelare.

[6] C. cost. 16 luglio 1996, n. 249, in Cons. Stato, 1996, II, 1197. La Corte aveva dichiarato non fondata - in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della cost. - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 31 bis, comma 3, della l. n. 109/1994, aggiunto dall'art. 9 del d.l. 3 aprile 1995, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 giugno 1995 n. 216, secondo cui, nei giudizi amministrativi in materia di lavori pubblici nei quali sia stata chiesta la sospensione del provvedimento impugnato, i controinteressati e l'amministrazione resistente possono chiedere che la questione venga decisa nel merito; ciò in quanto la presentazione di tale istanza non impedisce la sospensione del provvedimento impugnato in presenza dei presupposti di legge.

[7] In Urbanistica e appalti, 1999, 1067.

[8] Da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338 e sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 952, la prrima in www.giust.it n. 6/2002 e la seconda in Cons. Stato, 2002, I, 367.

[9] Sentenza della sesta sezione, 28 ottobre 1999, in causa C-81/98 (Alcatel Austria e altri).

[10] Cons. Stato, sez. VI, 19 luglio 2002, n. 4007, in www.giust.it, 2002, n. 7/8-2002.

[11] Cass., 4 dicembre 1967, in Foro it., 1968, I, 688.

[12] Cons. Stato, ad. plen., 21 giugno 1996, n. 9, in Cons. Stato, 1996, I, 746.