NOVITA’ IN MATERIA DI LAVORI PUBBLICI
(L. n. 166 del 2002 e L. n. 190 del 2002)

di Rosanna De Nictolis

Sommario:

1. Quadro generale sul contenuto e sulla tecnica innovativa della L. n. 166 del 2002 e del D.Lgs. n. 190 del 2002 - 2. Parzialità e provvisorietà delle innovazioni - 3. Modifiche all’art. 2 in tema di ambito soggettivo di applicazione - 4. Modifiche all’art. 4 in tema di oneri di comunicazione all’Osservatorio - 5. Modifiche all’art. 8 in tema di qualificazione - 6. Modifiche all’art. 12 in tema di consorzi stabili - 7. Modifiche all’art. 13 in tema di riunioni di concorrenti - 8. Modifiche all’art. 14 in tema di programmazione dei lavori pubblici - 9. Modifiche all’art. 17 in tema di progettazione - 9.1. I consorzi stabili di progettazione - 9.2. Requisiti e procedure di affidamento degli incarichi di progettazione - 10. Modifiche all’art. 19 in tema di appalto – integrato e concessione - 10.1. Modifiche in tema di appalto – integrato - 10.2. Modifiche in tema di concessione di opere pubbliche - 10.3. L’affidamento unitario a contraente generale - 11. Modifiche all’art. 20 in tema di procedure di scelta del contraente - 12. Modifiche all’art. 21 in tema di offerte anomale e di offerta economicamente più vantaggiosa - 12.1. Modifiche in tema di offerte anomale - 12.2. Modifiche in tema di offerta economicamente più vantaggiosa - 13. Modifiche all’art. 23 in tema di licitazione privata semplificata - 14. Modifiche all’art. 24 in tema di trattativa privata - 15. Modifiche all’art. 29 in tema di pubblicità - 16. Modifiche all’art. 30 in tema di garanzie - 17. Modifiche all’art. 31 bis in tema di accordo bonario - 18. Modifiche all’art. 32 in tema di arbitrato - 19. Modifiche all’art. 33 in tema di lavori segreti - 20. Modifiche agli artt. 37-bis e ss. in tema di promotore finanziario e società di progetto - 20.1. Le modifiche apportate direttamente alla legge Merloni - 20.2. Il promotore di infrastrutture e la società di progetto del contraente generale - 21. Il nuovo art. 38-bis - 22. Il <<minitesto unico>> in tema di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici soggetti a tutela.



1. Quadro generale sul contenuto e sulla tecnica innovativa della L. n. 166 del 2002 e del D.Lgs. n. 190 del 2002

La L. n. 166 del 2002 ha usato la tecnica della novellazione della legge Merloni (L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni), introducendo le modifiche direttamente nel testo di tale legge, sicché ben può essere battezzata come <<Merloni quater>> (dopo il D.L. 3 aprile 1995, n. 101, conv. nella L. 2 giugno 1995, n. 216, c.d. Merloni bis, e la L. 18 novembre 1998, n. 415, c.d. Merloni ter).

Il D.Lgs. n. 190 del 2002, invece, disciplina la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici, regolando sia le procedure di redazione e approvazione dei relativi progetti, sia le procedure di valutazione di impatto ambientale, sia le procedure di affidamento e di scelta del contraente. In relazione a quest’ultima materia, in espressa deroga all’art. 19, legge Merloni, viene stabilito che la realizzazione delle infrastrutture è affidata, alternativamente, mediante: concessione di costruzione e gestione; affidamento unitario a contraente generale (art. 6).

Per tali due sistemi di affidamento vengono disciplinate le procedure di scelta del contraente e i criteri di aggiudicazione con norme che derogano espressamente agli artt. 19, 20, 21, 23 e 24 della legge Merloni (art. 10), e viene altresì disciplinato il procedimento di arbitrato in parziale deroga all’art. 32, legge Merloni (art. 12), nonché l’utilizzo del promotore finanziario in parziale deroga agli artt. 37 bis e ss. della legge Merloni (art. 8).

Viene altresì esteso alle controversie relative a tali modalità di realizzazione il rito speciale di cui all’art. 23 bis, L. TAR, con ulteriori norme processuali speciali (art. 14).

Viene dunque adoperata una tecnica diversa da quella della novellazione della legge Merloni, seguita dalla L. n. 166 del 2002.

Alla legge Merloni vengono infatti apportate deroghe, ma le stesse formano un corpo normativo a sé stante, che non viene inserito nella legge quadro.

Tuttavia, vengono preannunciate modifiche e integrazioni anche del regolamento generale di attuazione della legge Merloni (D.P.R. n. 554 del 1999) e degli altri regolamenti previsti dalla Merloni, volte ad adeguare la normativa regolamentare alle esigenze connesse alla realizzazione delle infrastrutture (art. 15).

Sotto tale profilo, pertanto, si ipotizza di seguire la tecnica della novellazione del corpus normativo della legislazione in materia di lavori pubblici, anziché quella della creazione di un corpo normativo a sé stante.

Per converso, anche la L. n. 166 del 2002 contiene alcune deroghe e rinvii alla legge Merloni, che non vengono inseriti nella stessa, ma rimangono a sé stanti nel corpo della L. n. 166 (articoli 7, comma 2, 8, 9, 19, comma 2): di tali norme si darà conto nei paragrafi che seguono.

Nei paragrafi che seguono si darà sinteticamente conto delle innovazioni apportate direttamente alla legge Merloni (dalla L. n. 166 del 2002) e delle deroghe alla legge Merloni contenute nel D.Lgs. n. 190 del 2002.

Si rinvia, peraltro, ad altri commenti in corso di pubblicazione su questa rivista, per quel che riguarda maggiori approfondimenti in relazione a:

le modifiche apportata dalla L. n. 166 del 2002 all’art. 2, legge Merloni;

il quadro complessivo di tutte le novità in tema di realizzazione di infrastrutture.

Si segnala che le innovazioni introdotte nella Merloni dalla L. n. 166 del 2000 in tema di interventi relativi a restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici, soggetti alla tutela di cui al T.U. n. 490 del 1999, vengono esaminate unitariamente nell’ultimo paragrafo del presente lavoro.

Si osserva infine che in quasi tutti gli articoli della legge Merloni in cui ancora si faceva riferimento agli ECU ovvero all’equivalente in ECU di DSP, l’espressione <<ECU>> è stata sostituita con quella <<euro>> in adeguamento all’entrata in vigore della moneta unica europea.

 

2. Parzialità e provvisorietà delle innovazioni

L’art. 7, L. n. 166 del 2002, che reca modifiche alla L. n. 109 del 1994, esordisce avvertendo che le modifiche hanno carattere parziale e provvisorio, essendo adottate nelle more di una radicale revisione della legge quadro sui lavori pubblici, anche allo scopo di adeguarla alle modifiche del titolo V della parte seconda della Costituzione.

Viene dunque preannunciata una legge Merloni quinquies.

 

3. Modifiche all’art. 2 in tema di ambito soggettivo di applicazione

Le innovazioni apportate all’art. 2, come già esposto, saranno oggetto di un commento specifico e analitico su questa Rivista.

Qui si annota, sinteticamente, che all’art. 2, comma 2, lett. b), l’elenco dei soggetti cui trova applicazione, in parte, la legge Merloni, è stato ampliato, mediante comprensione di tutti i concessionari di servizi pubblici, e dei soggetti di cui al D.Lgs. n. 158 del 1995, nonché delle società partecipate dagli enti locali, di cui agli artt. 113, 113-bis, 115 e 116 del T.U. 18 agosto 2000, n. 267.

Viene mantenuto il differente ambito di applicazione della legge Merloni per i concessionari di lavori pubblici nonché per i soggetti di cui al D.Lgs. n. 158 del 1995, rispetto alle altre categorie di soggetti.

Per queste ultime categorie, nulla è innovato: si applica la legge Merloni ad esclusione degli articoli 7 (responsabile del procedimento), 14 (programmazione dei lavori pubblici), 18 (incentivi e spese per la progettazione), 19 commi 2 e 2-bis (disciplinanti la concessione di lavori pubblici, sicché i soggetti di cui all’art. 2, comma 2, lett. b), non possono a loro volta affidare i lavori mediante concessione), 27 (direzione dei lavori) e 33 (lavori segreti).

Vi sono invece innovazioni per i concessionari di lavori pubblici, nella direzione di una maggiore libertà di azione per gli stessi.

In particolare, per i concessionari di lavori pubblici solo per la realizzazione delle opere previste nelle convenzioni già assentite alla data del 30 giugno 2002, ovvero rinnovate e prorogate ai sensi della legislazione vigente, viene mantenuto il regime previgente, che sancisce l’obbligo di appaltare a terzi una percentuale minima del 40% dei lavori, e di applicare la legge Merloni ad eccezione degli articoli 7, 14, 19 commi 2 e 2-bis, 27, 32 (arbitrato) e 33.

L’obbligo di appaltare a terzi una percentuale minima del 40% dei lavori è stato mantenuto, in via transitoria, pure per il concessionario di infrastrutture strategiche, che siano già state affidate, rinnovate o prorogate alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 190 del 2002 (art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 190).

Invece, per il futuro viene innovato il regime precedente, nel senso che non c’è più l’obbligo di legge per i concessionari di appaltare a terzi una percentuale minima del 40% dei lavori; è invece solo facoltà delle stazioni appaltanti di chiedere, nel contratto di concessione, che i concessionari affidino ai terzi appalti corrispondenti ad una percentuale minima del 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione, ovvero di invitare i candidati concessionari a dichiarare nella loro offerta la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione che essi intendono affidare ai terzi (art. 2, comma 3, novellato).

Tale nuova regola vale pure per il promotore finanziario, come si vedrà in sede di commento all’art. 37-quater (par. 20 del presente commento).

Regole identiche sono dettate anche dal D.Lgs. n. 190 del 2002 per i concessionari di infrastrutture strategiche. Infatti, in coerenza con le nuove regole introdotte nell’art. 2, legge Merloni, in tema di percentuale di lavori che il concessionario deve appaltare a terzi, anche nel D.Lgs. n. 190 si stabilisce che è solo facoltà della stazione appaltante, alternativamente: o imporre al concessionario di affidare a terzi appalti corrispondenti ad una percentuale minima del 30% del valore globale dei lavori, salva facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale in sede di offerta; ovvero invitare i candidati a dichiarare la percentuale del valore globale dei lavori che intendono affidare a terzi.

Nel nuovo regime, ai concessionari di lavori pubblici che affidano a terzi una parte dei lavori si applicano le sole disposizioni della Merloni in materia di pubblicità dei bandi di gara e termini per concorrere, e in materia di qualificazione dei soggetti esecutori.

Ove i lavori vengano eseguiti direttamente dai concessionari, o da loro imprese collegate o controllate – da individuarsi secondo i parametri della direttiva 93/37/CEE, si applicano solo le norme in tema di qualificazione, e non anche quelle che impongono le procedure aperte o ristrette.

La non necessità della gara viene estesa, rispetto al passato, anche all’ipotesi di affidamento dei lavori a imprese collegate, oltre che ai casi, già previsti, di lavori eseguiti direttamente o tramite imprese controllate.

Mentre i concessionari di opere pubbliche soggette alla legge Merloni sono tenuti ad applicare, sia pure solo in parte, le norme della Merloni, tale obbligo non vi è più per i concessionari di infrastrutture soggetti ora al D.Lgs. n. 190 del 2002.

Per gli stessi, infatti, l’art. 7, comma 3, lett. b) e c) del citato D.Lgs. n. 190 stabilisce che le procedure di appalto del concessionario ed i rapporti dello stesso concessionario con i propri appaltatori o con il proprio contraente generale sono regolati esclusivamente dalle norme regolanti gli appalti del concessionario contenute nella direttiva comunitaria 93/37, dalle norme di qualificazione degli appaltatori e subappaltatori di cui al D.P.R. n. 34 del 2000, e dalle norme sulle verifiche antimafia, da espletarsi nei confronti di affidatari e subaffidatari dei lavori.

Per il resto, i rapporti tra concessionario e propri appaltatori o contraenti generali sono rapporti di diritto privato regolati dalle norme del codice civile sull’appalto, e espressamente sottratti alle norme della legge quadro e del relativo regolamento.

Viene poi riordinato, ma senza modifiche sostanziali, il regime di applicazione della legge Merloni ai soggetti di cui al D.Lgs. n. 158 del 1995.

Viene espressamente chiarito che gli appalti di forniture e servizi affidati da soggetti operanti nei settori esclusi restano disciplinati esclusivamente dal D.Lgs. n. 158 del 1995.

Viene mantenuta la regola, già vigente, secondo cui ai soggetti di cui al D.Lgs. n. 158 del 1995 non trovavano applicazione <<le disposizioni del regolamento di cui all'articolo 3, comma 2, relative all'esecuzione dei lavori, alla contabilità dei lavori e al collaudo dei lavori. Resta ferma l'applicazione delle disposizioni legislative e regolamentari relative ai collaudi di natura tecnica>>.

Infine, viene chiarito che i soggetti di cui al D.Lgs. n. 158 del 1995 applicano le disposizioni della Merloni (ad eccezione degli art. 7, 14, 18, 19 commi 2 e 2-bis, 27, 33 e 32 (quest’ultimo non si applica in virtù dell’esclusione contenuta nel medesimo art. 32) solo per i lavori di cui all’art. 8, comma 6, D.Lgs. n. 158 e per i lavori riguardanti i rilevati aeroportuali e ferroviari.

Per adeguare la legislazione italiana ad una recente pronuncia della Corte di Giustizia, il nuovo comma 5 dell’art. 2 si occupa dei lavori consistenti in opere di urbanizzazione, che secondo la previgente legislazione potevano essere affidati, senza pubblica gara, ai titolari di concessione edilizia.

Viene ora stabilito che se si tratta di opere di importo superiore alla soglia comunitaria, i titolari di concessione edilizia che se ne assumono l’esecuzione li devono affidare con pubblica gara nel rispetto della direttiva 93/37.

Se si tratta di opere di importo inferiore alla soglia comunitaria, non trova applicazione la legge Merloni, e dunque rimane la regola dell’affidamento diretto (trattativa privata) al titolare di concessione edilizia.

Con il nuovo comma 6 dell’art. 2 vengono sottratti all’applicazione della legge Merloni, salvo che per l’art. 8 (qualificazione) i contratti di sponsorizzazione contemplati dall’art. 119, T.U. n. 267 del 2000, e dall’art. 43, L. 27 dicembre 1997, n. 449, e i contratti alla sponsorizzazione assimilabili, che abbiano per oggetto i lavori pubblici come definiti dall’art. 2, comma 1.

 

4. Modifiche all’art. 4 in tema di oneri di comunicazione all’Osservatorio

Nell’art. 4, comma 17, è stata introdotta una semplificazione degli oneri di comunicazione all’Osservatorio dei lavori pubblici imposti alle stazioni appaltanti.

Da un lato, i termini di quindici giorni dalla data del verbale di gara o di definizione della trattativa privata, e di trenta giorni dalla data del loro compimento ed effettuazione, imposti, rispettivamente, per comunicare <<i dati concernenti la denominazione dei lavori, il contenuto dei bandi e dei verbali di gara, i soggetti invitati, l'importo di aggiudicazione, il nominativo dell'aggiudicatario o dell'affidatario e del progettista>>, e <<l'inizio, gli stati di avanzamento e l'ultimazione dei lavori, l'effettuazione del collaudo, l'importo finale del lavoro>> sono stati raddoppiati e dunque portati, rispettivamente, a trenta e sessanta giorni.

Dall’altro lato, viene eliminato l’obbligo di comunicazione dell’emissione degli stati di avanzamento per gli appalti di importo inferiore a 500.000 euro.

 

5. Modifiche all’art. 8 in tema di qualificazione

Nell’art. 8, relativo alla qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori pubblici, vengono anzitutto apportate innovazioni per quel che riguarda i lavori di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici soggetti a tutela, che, per la loro specificità, vengono commentate nell’ultimo paragrafo del presente lavoro.

Per il resto, la più significativa innovazione, nell’ottica di una maggiore semplificazione, consiste nell’aver fissato direttamente per legge la durata della qualificazione ottenuta dalle SOA in cinque anni (art. 8, comma 4, lett. g) novellata).

Nel regime precedente, veniva invece demandato al regolamento di qualificazione il compito di fissare la durata della qualificazione, che doveva esser compresa tra un minimo di due anni e un massimo di tre anni.

Sebbene l’efficacia della qualificazione sia stata allungata, viene stabilito che entro il terzo anno va verificato il mantenimento dei requisiti di ordine generale nonché dei requisiti di carattere strutturale da indicare nel regolamento. Tale verifica di mantenimento sarà tariffata proporzionalmente alla tariffa di attestazione in misura non superiore ai tre quinti della stessa (art. 8, comma 4, lett. g).

Altra innovazione è la necessità di qualificazione anche per gli appalti misti in cui siano compresi lavori, ancorché i lavori siano accessori rispetto ai servizi o alle forniture e di rilievo economico inferiore al 50%.

Si deroga, dunque, alla regola generale secondo cui la legge Merloni si applica anche agli appalti misti solo se i lavori abbiano una rilevanza economica superiore al 50% (art. 2, comma 1): in tema di qualificazione, infatti, d’ora in poi, le regole dettate dalla Merloni si applicano ogni qualvolta l’appalto misto comprenda l’esecuzione di lavori, a prescindere dal valore degli stessi rispetto ai servizi o alle forniture.

Infine, nell’art. 8, comma 4, lett. b), che demanda al regolamento di qualificazione il compito di disciplinare modalità e criteri di autorizzazione e revoca nei confronti degli organismi di attestazione, nonché i loro requisiti soggettivi, organizzativi, finanziari e tecnici, viene soppresso l’inciso <<fermo restando che essi devono agire in piena indipendenza rispetto ai soggetti esecutori di lavori pubblici destinatari del sistema di qualificazione e che sono soggetti alla sorveglianza dell'Autorità; i soggetti accreditati nel settore delle costruzioni, ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000 e delle norme nazionali in materia, al rilascio della certificazione dei sistemi di qualità, su loro richiesta sono autorizzati dall'Autorità, nel caso siano in possesso dei predetti requisiti, anche allo svolgimento dei compiti di attestazione di cui al comma 3, fermo restando il divieto per lo stesso soggetto di svolgere sia i compiti della certificazione che quelli dell'attestazione relativamente alla medesima impresa>>.

Il comma 4 dell’art. 7, L. n. 166 del 2002 demanda al regolamento di qualificazione (D.P.R. n. 34 del 2002) il compito di aggiornare i requisiti richiesti alle imprese, secondo regole che migliorino la qualificazione del mercato e la adeguata concorrenza.

La novella demanda al regolamento di qualificazione anche la competenza a prevedere la possibilità, per l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, di comminare sanzioni rapportate alla gravità delle violazioni compiute dagli organismi di attestazione (SOA).

 

6. Modifiche all’art. 12 in tema di consorzi stabili

Nell’art. 12, relativo ai consorzi stabili, quale categoria di soggetti che possono partecipare alle gare di appalto, viene dettata una disciplina più sistematica di tali enti.

L’inciso, contenuto nel comma 5, secondo cui <<È vietato ai singoli partecipanti ai consorzi stabili costituire tra loro o con terzi consorzi e associazioni temporanee ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettere b), d), e) ed e-bis), nonché più di un consorzio stabile>> è stato sostituito con il più snello divieto di partecipazione a più di un consorzio stabile. Tale divieto va coordinato con quello di cui al primo periodo del medesimo comma 5, in base al quale <<È vietata la partecipazione alla medesima procedura di affidamento dei lavori pubblici del consorzio stabile e dei consorziati>>.

Sicché, il singolo consorziato che partecipa ad un dato appalto in tale veste, non può partecipare al medesimo appalto anche in un’altra veste, sia essa quella di soggetto singolo, ovvero di partecipante ad altro consorzio o associazione temporanea di imprese.

Con il nuovo comma 8-bis si stabilisce il beneficio di un incremento percentuale della cifra di affari in lavori realizzati dal consorzio nel quinquennio anteriore la data di pubblicazione del bando. La cifra di affari in lavori del consorzio è costituita dalla somma delle cifre di affari in lavori realizzate dalle singole imprese consorziate. Tale somma viene incrementata di una percentuale calcolata sulla somma stessa. La percentuale è del 20% nel primo anno, del 15% nel secondo anno, del 10% nel terzo, quarto e quinto anno.

Ciascuna percentuale viene calcolata sulla somma, che è data dalla cifra di affari in lavori di ciascun consorziato per cinque anni. Sicché, l’incremento percentuale complessivo risulta essere pari al 65% della somma (20% più 15% più 10% più 10% più 10%).

Il nuovo comma 8-ter disciplina la qualificazione del consorzio stabile, sancendo, anzitutto, che lo stesso si qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate.

Per quanto riguarda la classifica di opere per la quale si qualifica il consorzio nel suo insieme, si utilizza il criterio della somma delle classifiche possedute dalle imprese consorziate: si stabilisce, infatti, che <<la qualificazione è acquisita con riferimento ad una determinata categoria di opera generale o specializzata per la classifica corrispondente alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate>>.

Per la qualificazione del consorzio alla classifica di importo illimitato, vengono stabiliti più criteri alternativi. Occorre, infatti:

o che almeno una tra le imprese consorziate possieda già la classifica per importo illimitato;

o che almeno una tra le imprese consorziate possieda la classifica VII e che almeno altre due possiedano la classifica V o superiore;

o che almeno tre imprese consorziate possiedano la classifica VI.

Quando, poi, la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida con una delle classifiche di cui all’art. 3 del regolamento di qualificazione (D.P.R. n. 34 del 2000), la qualificazione del consorzio è acquisita nella classifica immediatamente inferiore o in quella immediatamente superiore alla somma delle classifiche possedute dalle imprese consorziate, a seconda che tale somma si collochi rispettivamente al di sotto, ovvero al di sopra o alla pari della metà dell’intervallo tra le due classifiche.

Tali regole, introdotte con legge, comportano la tacita abrogazione dell’art. 20, D.P.R. n. 34 del 2000 (regolamento di qualificazione) che per i consorzi stabili dettava regole diverse da quelle ora introdotte, sancendo che :<<Il consorzio stabile è qualificato sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate. La qualificazione è acquisita, in riferimento ad una determinata categoria di opera generale o specializzata, per la classifica corrispondente all'importo pari o immediatamente inferiore alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate. Per la qualificazione alla classifica di importo illimitato, è in ogni caso necessario che almeno una tra le imprese consorziate già possieda tale qualificazione>>.

Sempre il nuovo comma 8-ter stabilisce che per la qualificazione per prestazioni di progettazione e costruzione è in ogni caso sufficiente che i corrispondenti requisiti siano posseduti da almeno una delle imprese consorziate.

La stessa regola è stabilita pure <<per la fruizione dei meccanismi premiali di cui all’articolo 8, comma 4, lettera e)>>, solo che non si comprende a quali <<meccanismi premiali>> la norma si riferisce, atteso che l’art. 8, comma 4, lett. e), demanda al regolamento di qualificazione di disciplinare <<la facoltà ed il successivo obbligo per le stazioni appaltanti, graduati in un periodo non superiore a cinque anni ed in rapporto alla tipologia dei lavori nonché agli oggetti dei contratti, di richiedere il possesso della certificazione del sistema di qualità o della dichiarazione della presenza di elementi del sistema di qualità di cui al comma 3, lettere a) e b). La facoltà ed il successivo obbligo per le stazioni appaltanti di richiedere la certificazione di qualità non potranno comunque essere previsti per lavori di importo inferiore a 500.000 ECU>>.

 

7. Modifiche all’art. 13 in tema di riunioni di concorrenti

L’art. 13 disciplina la partecipazione di concorrenti riuniti, o in associazione temporanea o in consorzio di cui all’art. 2602 cod. civ.

Gli attuali commi da 1 a 3 così dispongono:

<<1. La partecipazione alle procedure di affidamento delle associazioni temporanee e dei consorzi di cui all'articolo 10, comma 1, lettere d) ed e), è ammessa a condizione che il mandatario o il capogruppo, nonché gli altri partecipanti, siano già in possesso dei requisiti di qualificazione, accertati e attestati ai sensi dell'articolo 8, per la quota percentuale indicata nel regolamento di cui al medesimo articolo 8, comma 2, per ciascuno di essi in conformità a quanto stabilito dal D.P.C.M. 10 gennaio 1991, n. 55.

2. L'offerta dei concorrenti associati o dei consorziati di cui al comma 1 determina la loro responsabilità solidale nei confronti dell'Amministrazione nonché nei confronti delle imprese subappaltanti e dei fornitori. Per gli assuntori di lavori scorporabili la responsabilità è limitata all'esecuzione dei lavori di rispettiva competenza, ferma restando la responsabilità solidale del mandatario o del capogruppo.

3. Per le associazioni temporanee di tipo verticale i requisiti di cui agli articoli 8 e 9, sempre che siano frazionabili, devono essere posseduti dal mandatario o capogruppo per i lavori della categoria prevalente e per il relativo importo; per i lavori scorporati ciascun mandante deve possedere i requisiti previsti per l'importo della categoria dei lavori che intende assumere e nella misura indicata per il concorrente singolo>>.

Il comma 3, relativo alle associazioni temporanee di tipo verticale, è stato novellato con l’aggiunta della norma secondo cui <<i lavori riconducibili alla categoria prevalente ovvero alle categorie scorporate possono essere assunti anche da imprese riunite in associazione di cui al comma 1>>.

La norma, non chiarissima, sembra da interpretare nel senso di consentire anche nel caso di lavori suddivisi in categoria prevalente e categorie scorporabili, le associazioni temporanee di tipo misto, verticale e orizzontale, note all’elaborazione giurisprudenziale, ovvero le sole associazioni di tipo orizzontale.

Sembra, perciò, che d’ora innanzi, non valga più la rigida regola per cui nelle associazioni verticali per i lavori della categoria prevalente i requisiti di qualificazione devono necessariamente essere posseduti dalla mandataria o capogruppo per l’intero importo, e per i lavori scorporati i requisiti vanno posseduti da ciascun singolo che li assume, e che debba superarsi l’orientamento secondo cui dove il bando indichi lavori della categoria prevalente e opere scorporabili, l’unica forma di a.t.i. consentita è quella verticale.

Ora, invece, sia i lavori della categoria prevalente, che quelli scorporati, possono essere assunti da una associazione temporanea nel rispetto delle regole di cui al comma 1, vale a dire che ciascun partecipante sia qualificato per la quota percentuale indicata nel regolamento di qualificazione.

Si potrà, dunque, alternativamente ipotizzare, per appalti che comprendono lavori di categoria prevalente e opere scorporabili, che:

i lavori siano assunti da un’a.t.i. verticale, nel rispetto delle regole di qualificazione di cui alla prima parte del comma 3, rimasta invariata;

i lavori siano assunti da un’a.t.i. orizzontale, nel rispetto delle regole di qualificazione di cui al comma 1;

i lavori siano assunti da un’a.t.i. di tipo misto, orizzontale o verticale per ciascuna categoria di lavori.

Viene modificato anche il comma 7 dell’art. 13, nel senso di una maggiore severità verso le a.t.i.

L’attuale comma 7, primo periodo, così dispone: <<Qualora nell'oggetto dell'appalto o della concessione rientrino, oltre ai lavori prevalenti, opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti ed opere speciali, e qualora ciascuna di tali opere superi altresì in valore il 15 per cento dell'importo totale dei lavori, esse non possono essere affidate in subappalto e sono eseguite esclusivamente dai soggetti affidatari>>. Posto che il superamento del valore del 15% dell’importo totale dei lavori viene riferito a ciascuna opera speciale che si aggiunga alla categoria prevalente, al fine del divieto di subappalto, si poteva essere indotti ad interpretare la norma nel senso del divieto di subappalto solo se ciascuna e tutte le opere speciali superassero la soglia di valore del 15%.

Nella nuova formulazione, la parola <<ciascuna>> è sostituita dalle parole <<una o più>>, sicché affinché scatti il divieto di subappalto è sufficiente che anche una sola delle opere speciali superi la soglia del 15%.

Alla fine del comma 7 viene poi aggiunto che per tali categorie speciali di lavori che siano indicate nel bando di gara, il subappalto, ove consentito, non può essere artificiosamente suddiviso in più contratti.

 

8. Modifiche all’art. 14 in tema di programmazione dei lavori pubblici

L’art. 14 disciplina la programmazione triennale dei lavori pubblici, ed è stato novellato in un’ottica di maggiore semplificazione e minori vincoli derivanti dal programma.

Viene anzitutto esclusa la necessità di inserzione nel programma triennale peri lavori di singolo importo pari o inferiore a 100.000 euro (art. 14, comma 1, novellato).

In secondo luogo, viene modificato il comma 3 nel senso che l’ordine di priorità dei lavori da eseguire è unitario, e non più per categorie di lavori e nell’ambito di ciascuna categoria.

In ogni caso nell’ambito dell’ordine di priorità vanno considerati prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, e gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario. A tali lavori prioritari, con la nuova disciplina si aggiungono anche quelli per i quali vi siano <<progetti esecutivi approvati>> (art. 14, comma 3).

Il comma 6 viene modificato nel senso che la inserzione nel programma triennale è subordinata alla previa approvazione del progetto preliminare non più in ogni caso, ma solo per i lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro. Invece, per i lavori di importo inferiore a un milione di euro, è sufficiente, per l’inserzione nel programma della previa approvazione di uno studio di fattibilità (art. 14, comma 6).

Nel comma 7, riguardante la possibilità, a determinate condizioni, di inserzione nel programma per singoli lotti di <<un lavoro o un tronco di lavoro a rete>> vengono soppresse le parole <<o un tronco di lavoro a rete>>.

L’art. 19, comma 2, L. n. 166 consente di derogare alla programmazione triennale in favore degli enti assegnatari dei finanziamenti per la realizzazione degli interventi di cui al comma 1 del medesimo articolo, relativi ad opere di interesse locale, consistenti in infrastrutture stradali di interesse prettamente locale.

 

9. Modifiche all’art. 17 in tema di progettazione

L’art. 17 indica le categorie di soggetti cui può essere affidata l’attività di progettazione.

La novella di cui alla L. n. 166 del 2002 amplia le categorie di affidatari e modifica le regole di affidamento.

Gli artt. 3 e 4, D.Lgs. n. 190 del 2002, dettano specifiche regole in tema di progettazione preliminare e definitiva degli interventi relativi ad infrastrutture strategiche, integrando l’art. 16 della legge Merloni, quanto a contenuti della progettazione, procedimento per la relativa approvazione, ed effetti dell’approvazione medesima.

9.1. I consorzi stabili di progettazione

Quanto alle categorie, viene prevista, con la nuova lettera g-bis) del comma 1, la nuova figura dei <<consorzi stabili>> costituiti da società di professionisti ovvero da società di ingegneria o in forma mista (sia società di professionisti che società di ingegneria).

Il consorzio stabile di società di professionisti e/o di ingegneria viene disciplinato sulla falsariga del consorzio stabile di esecutori dei lavori, regolato dall’art. 12.

Non solo viene richiamato espressamente l’art. 12, comma 1, ma ne viene anche riprodotto interamente il contenuto, stabilendosi che il consorzio sia formato da non meno di tre consorziati, sia costituito per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, e i relativi componenti abbiano deciso di operare in modo congiunto. Dato il richiamo all’art. 12, comma 1, la decisione di operare in modo congiunto deve essere assunta dai rispettivi organi deliberativi dei singoli consorziati.

Non è molto chiaro se la durata non inferiore a cinque anni sia nella norma riferita solo alla durata del consorzio stabile, come è nell’art. 12, comma 1, ovvero anche al tempo, anteriore alla costituzione del consorzio, per cui abbiano operato le singole società nel settore dei servizi di ingegneria e architettura.

Invero, la lett. g-bis) è formulata testualmente come segue: <<consorzi stabili (...) formati da non meno di tre consorziati che abbiano operato nel settore dei servizi di ingegneria e architettura, per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, e che abbiano deciso di operare in modo congiunto secondo le previsioni del comma 1 dell’articolo 12>>.

Data la collocazione delle parole <<per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni>>, subito dopo il requisito di operatività dei singoli consorziati, e dato il riferimento generale all’art. 12, comma 1, che dunque già comprende pure la durata minima quinquennale del consorzio, si potrebbe pensare che ulteriore requisito del consorzio stabile qui in commento, rispetto a quello di cui all’art. 12, è che i singoli consorziati abbiano già a loro volta operato per almeno cinque anni nel settore dei servizi di ingegneria e architettura.

Anche per il consorzio stabile di progettazione, come per quello costituito per l’esecuzione dei lavori, è stabilito il divieto di partecipazione dei singoli a più di un consorzio stabile.

Per la partecipazione alle gare di progettazione viene stabilito il beneficio dell’incremento percentuale forfetario del fatturato globale in servizi di ingegneria e architettura realizzato da ciascun consorziato nel quinquennio o decennio precedente (si suppone, precedente la data di pubblicazione del bando di gara, come nell’art. 12, comma 8-bis). L’incremento percentuale viene stabilito con rinvio all’art. 8-bis, vale a dire 20% per il primo anno, 15% per il secondo, 10% dal terzo anno in poi: ma nell’art. 12, comma 8-bis,ci si ferma a cinque anni, invece nella norma in commento si arriva al decennio, sicché si deve ritenere che per ciascun anno dal terzo al decimo è consentito un incremento percentuale del 10%.

Da segnalare che mentre nell’art. 12, comma 8-bis, l’incremento percentuale riguarda la somma totale della cifra di affari di ciascun consorziato, nella norma in commento l’incremento percentuale si calcola, invece, non sul totale dei fatturati, ma sul fatturato di ciascun singolo consorziato.

Per il resto viene richiamata la disciplina dell’art. 12, comma 4, 5, 6, 7.

I commi 2 e 3 dell’art. 12 riguardano i requisiti di qualificazione specifici per le imprese esecutrici dei lavori, e dunque non vengono estesi alla fattispecie in commento, per incompatibilità.

I commi 4 e 5 dell’art. 12 stabiliscono che: << Ai consorzi stabili si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al capo II del titolo X del libro quinto del codice civile, nonché l'articolo 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificato dall'articolo 34 della presente legge.

5. È vietata la partecipazione alla medesima procedura di affidamento dei lavori pubblici del consorzio stabile e dei consorziati. In caso di inosservanza di tale divieto si applica l'articolo 353 del codice penale. E’ vietata la partecipazione a più di un consorzio stabile>>.

I commi 6 e 7 dell’art. 12 contemplano benefici fiscali per i consorzi stabili (imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa per gli atti relativi ai consorzi; esclusione della tassa sulle concessioni governative; esclusione delle imposte sui redditi per le plusvalenze derivanti da conferimenti di beni ai consorzi stabili), che per quelli di imprese esecutrici dei lavori scadevano il 31 dicembre 1997, in virtù del comma 8 del medesimo art. 8.

Il rinvio ai soli commi 6 e 7, e non anche al comma 8 dell’art. 12, implica che per i consorzi stabili di progettazione i benefici fiscali vengono accordati senza nessun limite temporale di scadenza.

9.2. Requisiti e procedure di affidamento degli incarichi di progettazione

Viene rimosso un limite alla partecipazione alle gare per la progettazione delle società di ingegneria. In precedenza, dette società, singole ovvero raggruppate ai sensi del comma 1, lettera g), potevano essere affidatarie di incarichi di progettazione soltanto nel caso in cui i corrispettivi fossero stimati di importo pari o superiore a 200.000 ECU, salvo i casi di opere di speciale complessità e che richiedano una specifica organizzazione. Tale regola, contenuta nel secondo periodo del comma 4 dell’art. 17, è stata abrogata, sicché ora le società di ingegneria possono partecipare anche alle gare per incarichi di progettazione di minore importo (inferiore a 200.000 ECU).

Sia per le società di professionisti (art. 17, comma 6, lett. a), che per le società di ingegneria (art. 17, comma 6, lett. b), era finora stabilito che ai corrispettivi delle società si applica il contributo integrativo previsto dalle norme che disciplinano le rispettive Casse di previdenza. Viene ora specificato, mediante integrazione sia del comma 6, lett. a), che del comma 6, lett. b), che le casse di previdenza cui si versa il contributo integrativo sono quelle <<di categoria cui ciascun firmatario del progetto fa riferimento in forza della iscrizione obbligatoria al relativo albo professionale. Detto contributo dovrà essere versato pro quota alle rispettive Casse secondo gli ordinamenti statutari e i regolamenti vigenti>>.

Quale ulteriore requisito per l’affidamento dell’incarico di progettazione viene stabilito, mediante aggiunta alla fine del comma 8 dell’art. 17, che <<all’atto dell’affidamento dell’incarico deve essere dimostrata la regolarità contributiva del soggetto affidatario>>.

La regolarità contributiva non viene dunque imposta quale requisito di partecipazione alla gara, ma quale requisito che va verificato solo con riferimento al vincitore della stessa, al momento dell’aggiudicazione.

In materia di procedure di scelta degli affidatari degli incarichi di progettazione, vengono apportate significative modificazioni.

Anzitutto, la soglia di applicazione della disciplina comunitaria non viene più fissata nella misura rigida dei 200.000 ecu (valevole per gli appalti di servizi ai sensi del D.Lgs. n. 157 del 1995), ma la misura – che può variare nel tempo – della soglia di applicazione della disciplina comunitaria.

In secondo luogo, il conferimento di incarico di progettazione non viene più equiparato in ogni caso all’appalto di servizi di cui al D.Lgs. n. 157 del 1995. Tale equiparazione, infatti, non vale per i soggetti tenuti all’applicazione del D.Lgs. n. 158 del 1995, i quali, per il conferimento degli incarichi di progettazione, dovranno osservare le disposizioni ivi previste. Il che si traduce in una maggiore liberalizzazione, in quanto il D.Lgs. n. 158 del 1995 si muove nell’ottica di minori vincoli per le stazioni appaltanti.

La stessa regola è dettata pure dall’art. 10, comma 8, D.Lgs. n. 190 del 2002, per l’affidamento di servizi, anche di progettazione pertinenti le infrastrutture, che siano di ammontare superiore alla soglia comunitaria: si applica infatti il D.Lgs. n. 157 del 1995, ovvero, per i soggetti operanti nei settori esclusi, il D.Lgs. n. 158 del 1995. Per tali servizi si dichiarano non applicabili i commi 10, 11 e 12 dell’art. 17 della legge Merloni, il che è chiaro, perché si tratta di norme relative agli incarichi di progettazione sotto soglia comunitaria.

Viene poi elevata la soglia per il conferimento di incarichi di progettazione fiduciari, da 40.000 a 100.000 euro. Sicché, ora diventano fiduciari tutti gli incarichi di importo inferiore a 100.000 euro.

Gli stessi possono essere affidati a soggetti di fiducia delle stazioni appaltanti, con vincolo della previa verifica dell’esperienza e della capacità professionale degli stessi e con motivazione della scelta in relazione al progetto da affidare.

Rispetto alla precedente disciplina, viene affidato al responsabile del procedimento il compito di affidare gli incarichi fiduciari, e viene altresì stabilito che detti incarichi possono essere affidati anche ai soggetti di cui alle lettere f) (società di ingegneria) e g) (raggruppamenti temporanei di professionisti singoli, associati, o costituiti in società di professionisti o in società di ingegneria), oltre che a quelli di cui alle lettere d) (liberi professionisti singoli e associati) ed e) (società di professionisti) del comma 1 dell’art. 17.

Viene meno la regola, che peraltro era solo transitoria, che consentiva l’affidamento degli incarichi di progettazione sulla base dei soli curricula dei progettisti fino alla data di entrata in vigore del regolamento generale di attuazione della legge Merloni.

Infine, viene dettata una regola sui corrispettivi spettanti ai progettisti, che vanno determinati con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con quello delle infrastrutture e dei trasporti, tenendo conto delle tariffe professionali previste per le categorie interessate. Tali corrispettivi vengono qualificati come <<minimi inderogabili>> al pari dei minimi tariffari per gli ingegneri e architetti, ai sensi dell’articolo unico, L. 4 marzo 1958, n. 143. Ogni patto contrario è sanzionato con la nullità.

Viene poi stabilito che fino all’emanazione del nuovo decreto, continua ad applicarsi il D.M. 4 aprile 2001, emanato in attuazione del comma 14-bis dell’art. 17.

In particolare, l’art. 17, comma 14-bis, stabilisce che <<I corrispettivi delle attività di progettazione sono calcolati, ai fini della determinazione dell'importo da porre a base dell'affidamento, applicando le aliquote che il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dei lavori pubblici, determina, con proprio decreto, ripartendo in tre aliquote percentuali la somma delle aliquote attualmente fissate, per i livelli di progettazione, dalle tariffe in vigore per i medesimi livelli. Con lo stesso decreto sono rideterminate le tabelle dei corrispettivi a percentuale relativi alle diverse categorie di lavori, anche in relazione ai nuovi oneri finanziari assicurativi, e la percentuale per il pagamento dei corrispettivi per le attività di supporto di cui all'articolo 7, comma 5, nonché le attività del responsabile di progetto e le attività dei coordinatori in materia di sicurezza introdotti dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494>>.

Ci si chiede se tale norma, non espressamente abrogata dalla novella, abbia o meno ancora una autonoma ragion d’essere, data la disciplina della stessa materia (i corrispettivi per la progettazione) ora contenuta nel nuovo comma 12-ter.

E’ da ritenere che il comma 14-bis dell’art. 17 sia stato tacitamente abrogato dal nuovo comma 12-ter.

 

10. Modifiche all’art. 19 in tema di appalto – integrato e concessione

Nell’art. 19 vengono apportate modifiche all’appalto – integrato, di cui viene ampliato l’ambito applicativo, e alla concessione di lavori pubblici, che viene disciplinata in un’ottica di maggiore liberalizzazione.

Con il D.Lgs. n. 190 del 2002 viene istituita una nuova forma di affidamento per la realizzazione di infrastrutture strategiche, in deroga all’art. 19, legge Merloni, consistente nell’affidamento unitario a contraente generale (artt. 6 e 9, D.Lgs. n. 190)

10.1. Modifiche in tema di appalto – integrato

Per la nuova figura di appalto – integrato in tema di beni culturali, avente ad oggetto anche la progettazione definitiva, si rinvia all’ultimo paragrafo del presente lavoro.

L’appalto – integrato <<classico>>, vale a dire quello avente ad oggetto sia l’esecuzione dei lavori che la progettazione esecutiva, viene esteso a due ulteriori ipotesi rispetto a quelle originariamente previste.

Viene utilizzato un criterio prettamente economico, e si consente l’appalto – integrato sia negli appalti di minore importo che in quelli di rilevante valore: da un lato, per lavori di importo inferiore a 200.000 euro, e dall’altro per lavori di importo pari o superiore a 10 milioni di euro.

Per l’appalto – integrato relativo a lavori con elevata componente impiantistica e tecnologica – ipotesi già prevista nella disciplina previgente – si eleva l’incidenza della componente impiantistica e tecnologica rispetto al valore totale dell’opera <<da più del 50 per cento>> a <<più del 60 per cento>>.

L’ampliamento delle ipotesi di appalto – integrato, e la acquisita consapevolezza che in tale tipologia di appalto al concorrente aggiudicatario non spettano solo compiti di esecuzione lavori, ma anche compiti di progettazione, hanno fatto sì che il legislatore della novella abbia configurato l’appalto – integrato come appalto misto, di lavori e progettazione, con conseguente necessità di tenere conto anche della disciplina relativa all’affidamento degli incarichi di progettazione.

Con il nuovo comma 1-ter dell’art. 19 si stabilisce che l’appaltatore che partecipa ad un appalto – integrato deve possedere i requisiti progettuali previsti dal bando o deve avvalersi di un progettista qualificato alla realizzazione del progetto esecutivo individuato in sede di offerta o eventualmente associato.

I requisiti richiesti al progettista vanno indicati nel bando di gara, in conformità a quanto richiesto dalla normativa in materia di gare di progettazione.

Quanto alle spese di progettazione esecutiva, le stesse vanno indicate nel bando, separatamente dalle altre, e ricomprese nell’importo complessivo a base di gara; il relativo ammontare non è soggetto a ribasso d’asta, in conformità alla nuova regola, sancita dall’art. 17, comma 12-ter, secondo cui le tariffe dei compensi costituiscono minimi inderogabili.

L’affidamento della progettazione esecutiva all’appaltatore comporta l’assunzione delle conseguenti responsabilità: il comma 1-ter stabilisce che l’appaltatore risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d’opera a causa di carenze del progetto esecutivo.

La regola che vuole affidata all’appaltatore la progettazione esecutiva subisce, poi, un temperamento nel caso di opere di particolare pregio architettonico, per le quali il responsabile del procedimento procede in contraddittorio con il progettista qualificato alla realizzazione del progetto esecutivo e a verificare la conformità di quest’ultimo con il progetto definitivo (che compete alla stazione appaltante), al fine di accertare l’unità progettuale. Al contraddittorio partecipa anche il progettista titolare dell’affidamento del progetto definitivo, che si esprime in ordine a tale conformità. Viene espressamente richiamato l’art. 47 del D.P.R. n. 554 del 1999, che disciplina in dettaglio l’oggetto della verifica della conformità del progetto esecutivo a quello definitivo, in caso di appalto – integrato, verifica cui procede il responsabile del procedimento in contraddittorio con il progettista.

Un aggancio con l’attività di progettazione ha, infine, il nuovo comma 1-quinquies che, in relazione all’ipotesi di affidamento dei lavori in assicurazione di qualità, stabilisce che, qualora la stazione appaltante non abbia già adottato un proprio sistema di qualità, è fatto obbligo alla stessa di affidare ad idonei soggetti qualificati, seguendo le procedure di cui al D.Lgs. n. 157 del 1995, i servizi di supporto al responsabile del procedimento ed al direttore dei lavori, in modo da assicurare che anche il funzionamento della stazione appaltante sia conforme ai livelli di qualità richiesti dall’appaltatore.

Quanto alla scelta tra appalto a corpo e appalto a misura in caso di appalto integrato, mentre in precedenza si stabiliva la necessità di appaltare a corpo i contratti di cui al comma 1, lett. b), n. 1), vale a dire i <<lavori la cui componente impiantistica o tecnologica incida per più del 50 per cento sul valore dell'opera>>, ora si stabilisce che vanno affidati a corpo tutti gli appalti – integrati, salvi i casi di cui al comma 5.

Anche il comma 5 viene novellato, perché mentre finora facoltizzava le stazioni appaltanti ad affidare a misura solo gli appalti relativi a lavori di manutenzione, restauro e scavi archeologici, ora consente tale possibilità anche per gli appalti aventi ad oggetto la sola esecuzione di lavori pubblici di importo inferiore a 500.000 euro, e per gli appalti relativi alle opere in sotterraneo e quelli afferenti alle opere di consolidamento dei terreni.

Si assiste, complessivamente, ad un ampliamento dell’ambito di applicazione dell’appalto a corpo rispetto a quello a misura.

Una ulteriore innovazione in tema di appalto – integrato riguarda il sistema di garanzia di esecuzione, ed è stata introdotta nell’art. 30, mediante inserzione di un comma 7-bis, al cui commento si rinvia. Qui giova solo ricordare che viene esteso all’appalto – integrato, ove sia di importo superiore a 75 milioni di euro, il sistema di garanzia globale di esecuzione, peraltro allo stato non ancora operativo, per non essere a tutt’oggi stato emanato il relativo regolamento.

10.2. Modifiche in tema di concessione di opere pubbliche

Si rinvia, anzitutto, al commento all’art. 2, e al commento agli artt. 37-bis e seguenti (rispettivamente parr. 3 e 20 del presente commento) per quanto riguarda le altre modifiche in tema di concessione, relative a:

appalti del concessionario e norme della Merloni che lo stesso è tenuto ad osservare;

concessioni affidate a seguito di proposta del promotore finanziario.

Con la L. n. 166 del 2002 nell’art. 19 in commento vengono modificate in chiave di favore per il concessionario le regole in tema di prezzo e durata della concessione.

Viene anzitutto ampliata la possibilità di remunerare il concessionario anche mediante un prezzo, oltre che con il diritto di gestire l’opera e sfruttarla economicamente.

Nella previgente disciplina, la possibilità di prevedere un prezzo era circoscritta al solo caso in cui nella gestione dell’opera fossero <<previsti prezzi o tariffe amministrati, controllati o predeterminati>>; in ogni caso il prezzo non poteva superare comunque <<il 50 per cento dell'importo totale dei lavori>> e lo stesso poteva essere corrisposto solo a collaudo effettuato in un'unica rata o in più rate annuali, costanti o variabili.

Nella nuova disciplina, la previsione di un prezzo è consentita ogni qualvolta sia necessario, ed è venuto meno il duplice limite relativo all’importo massimo del prezzo e alla possibilità di corresponsione dello stesso solo dopo il collaudo.

Viene poi prevista la possibilità di pagare il prezzo, anziché in moneta, mediante cessione della proprietà o del godimento di alcune categorie di immobili: deve trattarsi di immobili che siano nella disponibilità della stazione appaltante, o che siano allo scopo espropriati, e la cui utilizzazione sia strumentale o connessa all’opera da affidare in concessione; ovvero può trattarsi di immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico, che siano preventivamente indicati nel programma triennale dei lavori pubblici.

E’ però esclusa la possibilità di cessione per gli immobili compresi nel patrimonio pubblico da dismettere ai sensi del D.L. 25 settembre 2001, n. 351, conv. nella L. 23 novembre 2001, n. 410.

Viene toccata anche la regola che, in tema di concessione di opera pubblica, affida al concessionario la progettazione definitiva ed esecutiva. Si stabilisce, infatti, che se il concedente già dispone di progettazione definitiva o esecutiva, l’oggetto della concessione, quanto alle prestazioni progettuali, può essere circoscritto alla revisione della progettazione o al suo completamento da parte del concessionario.

Viene modificata anche la disciplina sulla durata della concessione: finora, la stessa non poteva essere superiore a trenta anni. Ora, si stabilisce che la stazione appaltante può anche stabilire, caso per caso, una durata della concessione superiore a trenta anni, al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico – finanziario degli investimenti del concessionario. Nello stabilire la durata, la stazione appaltante deve tenere conto del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo pagato rispetto all’importo totale dei lavori, e dei rischi connessi alle modifiche delle condizioni del mercato.

Viene previsto un ulteriore caso di concessione, avente ad oggetto opere destinate alla utilizzazione diretta della pubblica amministrazione, in quanto funzionali alla gestione di servizi pubblici, a condizione che resti al concessionario l’alea economico – finanziaria della gestione dell’opera (nuovo comma 2-ter dell’art. 19).

Si attribuisce al concessionario – nonché alla società di progetto di cui al successivo art. 37-quater, il diritto a partecipare alla conferenza di servizi finalizzata all’esame e alla approvazione dei progetti di loro competenza, ma senza diritto di voto (nuovo comma 2-quater dell’art. 19).

L’art. 7 del D.Lgs. n. 190 del 2002 detta ulteriori e più specifiche norme in tema di concessione di costruzione e gestione per la realizzazione di infrastrutture strategiche.

Viene operato anzitutto un generale rinvio agli artt. 19, 20 e 21, nonché 37-bis e ss., legge Merloni, nonché a tutte le altre norme che la Merloni detti in tema di concessione (art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 190).

In coerenza con la nuova disciplina liberalizzatrice del prezzo e della durata della concessione, introdotte in termini generali nella legge Merloni, anche il D.Lgs. n. 190 del 2002 rimette al bando di gara la competenza a determinare prezzo e durata della concessione (art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 190).

In coerenza con le nuove regole introdotte nell’art. 2, legge Merloni, in tema di percentuale di lavori che il concessionario deve appaltare a terzi, anche nel D.Lgs. n. 190 si stabilisce che è solo facoltà della stazione appaltante, alternativamente: o imporre al concessionario di affidare a terzi appalti corrispondenti ad una percentuale minima del 30% del valore globale dei lavori, salva facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale in sede di offerta; ovvero invitare i candidati a dichiarare la percentuale del valore globale dei lavori che intendono affidare a terzi.

10.3. L’affidamento unitario a contraente generale

Solo un cenno sintetico, per completezza sistematica, a tale nuova forma di affidamento, che in dettaglio sarà oggetto di altro commento su questa Rivista.

In tale contratto la maggior parte dei compiti inerenti all’opera pubblica, non solo quelli di esecuzione, ma anche quelli prodromici di progettazione e espropriazione, e quelli di direzione lavori, sono affidati al contraente generale, che assume l’impegno di <<realizzazione con qualsiasi mezzo dell’opera>>.

In definitiva, si attribuiscono al contraente generale anche compiti tipici della stazione appaltante, vale a dire: non solo lo sviluppo del progetto definitivo e la progettazione esecutiva, il che costituisce modello già noto e diffuso; ma anche i compiti di espropriazione, e sotto tale profilo il contraente generale è equiparato al concessionario delegato ai sensi del T.U. espropriazioni, e i compiti di direzione dei lavori.

Inoltre, il prezzo viene pagato al contraente generale in tutto o in parte dopo l’ultimazione dei lavori, sicché sul contraente grava anche il prefinanziamento dell’opera da realizzare.

Per quanto riguarda il prezzo, spetta al bando determinare la quota di valore dell’opera che deve essere realizzata dal contraente generale con anticipazione di risorse proprie, nonché i tempi e i modi di pagamento del prezzo (art. 9, comma 12).

Per il finanziamento di tale quota, il contraente generale può emettere obbligazioni: la relativa disciplina verrà esaminata in sede di commento alla società di progetto del contraente generale (par. 20.2. del presente commento).

Oltre ai compiti di pregettazione definitiva, progettazione esecutiva, espropriazione, prefinanziamento, esecuzione e direzione dei lavori (rispettivamente lettere a), c), b) e), d) del comma 2 dell’art. 9, D.Lgs. n. 190), al contraente generale vengono affidati:

in via obbligatoria il compito di collaborare con il soggetto aggiudicatore per prevenire le infiltrazioni della criminalità nell’esecuzione di opere pubbliche, mediante indicazione <<del piano degli affidamenti, delle espropriazioni, delle forniture di materiale e di tutti gli altri elementi (...) secondo le forme stabilite>> tra il soggetto aggiudicatore e gli organi competenti in materia di prevenzione antimafia (art. 9, comma 2, lett. g);

in via facoltativa, se richiesto, il compito di individuare le modalità gestionali dell’opera e di selezione dei soggetti gestori (art. 9, comma 2, lett. f).

Alla stazione appaltante rimangono pertanto solo compiti residuali di coordinamento e di alta vigilanza, consistenti nel:

porre in essere le attività necessarie affinché il progetto definitivo sia approvato dal CIPE (art. 9 comma 3, lett. a);

approvare il progetto esecutivo e le varianti (art. 9, comma 3, lett. b);

esercitare l’alta sorveglianza sulla realizzazione delle opere (art. 9, comma 3, lett. c);

procedere al collaudo delle opere (art. 9, comma 3, lett. d);

procedere alla <<stipulazione di appositi accordi con gli organi competenti in materia di sicurezza nonché di prevenzione e repressione della criminalità, finalizzati alla verifica preventiva del programma di esecuzione dei lavori in vista del successivo monitoraggio di tutte le fasi di esecuzione delle opere e dei soggetti che le realizzano>> (art. 9, comma 3, lett. e);

infine, la stazione appaltante <<verifica periodicamente il regolare adempimento degli obblighi contrattuali del contraente generale verso i propri affidatari; ove risulti la inadempienza del contraente generale, il soggetto aggiudicatore ha facoltà di applicare una detrazione sui successivi pagamenti e procedere al pagamento diretto dell’affidatario, nonché di applicare le eventuali diverse sanzioni previste in contratto (art. 9, co. 9).

L’affidamento a contraente generale avviene, come si vedrà meglio nel par. 11 del presente lavoro, mediante licitazione o appalto concorso, ai sensi dell’art. 10, del D.Lgs. n. 190.

Il rapporto tra soggetto aggiudicatore e contraente generale è retto dalla legge obiettivo, dal D.Lgs. n. 190, dalle future modifiche al regolamento generale di attuazione della legge Merloni, dalla direttiva comunitaria 93/37, dal D.Lgs. n. 158 del 1995, dagli atti di gara e dalle norme del codice civile in tema di appalto (art. 9, comma 4).

Sicché, rimane molto limitato l’ambito di applicazione della legge Merloni.

In particolare, sembra esservi maggiore libertà di scelta, da parte del soggetto aggiudicatore, del contraente generale, trovando diretta applicazione la direttiva 93/37 e il D.Lgs. n. 158 del 1995; peraltro, dovendo la stazione appaltante utilizzare o la licitazione o l’appalto – concorso, in virtù dell’art. 10, non sembra comunque esservi spazio per la trattativa privata, e dovendo applicare comunque il diritto comunitario, neppure sembra esservi spazio per deroghe in tema di pubblicità e termini delle gare.

Sicché, non si comprende perché l’art. 15, comma 3, lett. d), D.Lgs. n. 190, demandi a future modifiche del regolamento generale di attuazione della legge Merloni, anche di disciplinare <<le modalità di scelta del contraente generale (...) anche in deroga alle previsioni degli articoli (...) 20, 21 e 23 della legge quadro>>, visto che comunque si impone al regolamento di assicurare <<il rispetto delle normative comunitarie applicabili>>.

In definitiva, anche per l’affidamento a contraente generale non può esservi deroga alcuna ai principi comunitari in tema di pubblica gara.

Rimangono invece applicabili pure al contraente generale, nonché agli appalti dallo stesso eventualmente indetti:

le norme in tema di qualificazione di cui al D.P.R. n. 34 del 2000 (art. 9, comma 7); per quel che concerne la qualificazione del contraente generale, l’art. 9, comma 1, stabilisce in termini generali che il contraente generale deve essere <<soggetto dotato di adeguata esperienza e qualificazione nella costruzione di opere nonché di adeguata capacità organizzativa, tecnico – realizzativa e finanziaria>>; mentre l’art. 15, comma 3, lett. d), demanda a future modifiche dei regolamenti previsti dalla legge Merloni, <<l’istituzione di un sistema di qualificazione dei contraenti generali (...) anche in deroga alle previsioni degli articoli da 8 a 13>>. E’ da ritenere che verranno perciò apportate modifiche al regolamento di qualificazione (D.P.R. n. 34 del 2000), per disciplinare specificamente i requisiti di qualificazione del contraente generale;

le norme in tema di verifiche antimafia (art. 9, comma 8).

Per l’esecuzione dei lavori il contraente generale, assumendo l’impegno di <<esecuzione con qualsiasi mezzo>> ha maggiore libertà rispetto al concessionario.

Anzitutto, quanto al regime delle varianti, non trovano applicazione gli artt. 24 e 25 legge Merloni, ma vengono richiamate le norme della direttiva 93/37 e del D.Lgs. n. 158 del 1995, e viene direttamente dettata una specifica disciplina nell’art. 9, comma 5, ispirata a maggiore libertà (art. 9, comma 5): nella ripartizione del rischio, restano a carico del contraente generale le eventuali varianti necessarie ad emendare i vizi o integrare le omissioni del progetto redatto dallo stesso, mentre restano a carico della stazione appaltante le eventuali varianti indotte da forza maggiore, sorpresa geologica, o sopravvenute prescrizioni di legge o di enti terzi o comunque richieste dal soggetto aggiudicatore. Fuori di tali ipotesi, il contraente generale ha sempre facoltà di proporre al soggetto aggiudicatore le varianti progettuali o le modifiche tecniche ritenute utili a ridurre il tempo o il costo di realizzazione delle opere. A sua volta il soggetto aggiudicatore può rifiutare l’approvazione delle varianti o modifiche tecniche ove queste non rispettino le specifiche tecniche e le esigenze del soggetto aggiudicatore, specificate nel progetto posto a base di gara, o comunque determinino peggioramento della funzionalità, durabilità, manutenibilità e sicurezza delle opere, ovvero comportino maggiore spesa a carico del soggetto aggiudicatore o ritardo del termine di ultimazione.

In secondo luogo, il contraente generale può eseguire i lavori direttamente, ovvero affidandoli in tutto o in parte a soggetti terzi. E’ facoltà della stazione appaltante chiedere che nell’offerta sia indicata una percentuale minima, non inferiore al 30%, di lavori che il contraente generale deve affidare ai terzi (art. 9, comma 7).

Gli appalti indetti dal contraente generale per affidare i lavori in tutto o in parte ai terzi, sono soggetti al diritto privato, e dunque sono sottratti alle regole di evidenza pubblica (art. 9, comma 6), salva l’osservanza delle norme in tema di qualificazione e di verifiche antimafia (art. 9, commi 7 e 8).

Gli appalti del contraente generale sono soggetti al diritto pubblico anche per quanto riguarda gli eventuali subappalti stipulati dagli appaltatori rispetto ai quali il contraente generale è stazione appaltante. Infatti tali subappalti sono ammessi non secondo le regole del diritto privato, bensì nei limiti consentiti agli appaltatori di lavori pubblici, e trova applicazione la relativa disciplina antimafia di cui all’art. 18, L. n. 55 del 1990 (art. 9, comma 7).

Solo se il contraente generale può a sua volta essere qualificato come soggetto aggiudicatore in forza delle norme comunitarie è tenuto ad osservare la direttiva 93/37 ovvero il D.Lgs. n. 157 del 1995, in tema di procedure di gara di appalto.

Il contraente generale risponde nei confronti del soggetto aggiudicatore della corretta e tempestiva esecuzione dell’opera, e provvede alla esecuzione unitaria di tutte le attività a lui demandate o direttamente, ovvero, se costituito da più soggetti, a mezzo società di progetto, le cui peculiarità sono esaminate nel par. 20.2. del presente commento.

All’impegno di esecuzione con qualsiasi mezzo e a tutti gli altri rilevanti compiti del contraente generale corrisponde un onere di garanzia adeguata, sicché si stabilisce che il contraente generale è tenuto a prestare la garanzia globale di esecuzione di cui all’art. 30, comma 7-bis, legge Merloni, una volta che la stessa sarà istituita. In tale specifico settore, la garanzia globale di esecuzione <<deve comprendere la possibilità per il garante, in caso di fallimento o inadempienza del contraente generale, di far subentrare nel rapporto altro soggetto idoneo in possesso dei requisiti di contraente generale, scelto direttamente dal garante stesso>> (art. 9, comma 13).

 

11. Modifiche all’art. 20 in tema di procedure di scelta del contraente

L’art. 20 disciplina le procedure di scelta del contraente.

Con la L. n. 166 del 2002 sono state introdotte due innovazioni.

Il comma 2 regola l’affidamento delle concessioni, che avviene mediante licitazione privata.

La versione precedente alla novella in commento stabiliva che le concessioni sono affidate mediante licitazione privata ponendo a base di gara un progetto preliminare corredato di una serie di elaborati.

La novella stabilisce che a base di gara va posto un progetto <<almeno di livello>> preliminare.

Pertanto, a base di gara potrà essere posto anche un progetto definitivo o, addirittura, esecutivo, esonerando in tutto o in parte il concessionario dall’attività di progettazione.

La seconda innovazione riguarda il comma 4 dell’art. 20, relativo all’affidamento di opere e lavori pubblici mediante appalto – concorso.

La disciplina anteriore alla novella imponeva il parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici per tutti i casi di affidamento mediante appalto – concorso.

L’innovazione comporta una drastica riduzione dell’ambito di applicazione di detto parere, circoscritto ai soli casi di appalto – concorso per lavori di importo pari o superiore a 25 milioni di euro (poco meno di cinquanta miliardi di lire).

Emerge un disegno di rivitalizzazione dell’appalto – concorso, mediante la riduzione dei vincoli procedimentali.

Tale disegno emerge anche dall’art. 37-quater novellato, al cui commento si rinvia, in cui si consente che la gara per affidare l’opera proposta dal promotore finanziario possa avvenire pure mediante appalto – concorso.

Tale disegno è portato ad ulteriore sviluppo dal D.Lgs. n. 190 del 2002, il cui art. 10 stabilisce che l’aggiudicazione delle concessioni di costruzione e gestione e degli affidamenti unitari a contraente generale (che, in deroga all’art. 19, legge Merloni, sono i due sistemi di affidamento per la realizzazione delle infrastrutture, ai sensi dell’art. 6 del medesimo D.Lgs.) avviene, a scelta del soggetto aggiudicatore, mediante licitazione privata o appalto concorso.

Dunque, a differenza che nella legge Merloni, le concessioni possono essere affidate anche mediante appalto – concorso, oltre che mediante licitazione.

Si specifica, poi, che per la scelta della procedura non è richiesto il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici: in questo settore, pertanto, il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici in tema di appalto concorso viene definitivamente meno.

La scelta tra licitazione e appalto concorso viene rimessa alle valutazioni della stazione appaltante.

Come nella Merloni, anche nella norma in commento è stabilito che per l’affidamento delle concessioni si pone a base di gara il progetto preliminare. Ma si aggiunge che a base di gara può essere posto anche il progetto definitivo (art. 10, comma 2).

Per la procedura di appalto concorso, invece, in cui si utilizza l’apporto progettuale dei concorrenti, si pone a base di gara il solo progetto preliminare (art. 10, comma 2).

Ulteriore novità è la introduzione del criterio della forcella, sia per la licitazione che per l’appalto concorso. La forcella ha carattere solo facoltativo, essendo rimessa alla scelta delle stazioni appaltanti, da esprimere nel bando di gara. In particolare, <<i soggetti aggiudicatori possono stabilire ed indicare nel bando di gara, in relazione all’importanza e alla complessità delle opere da realizzare, il numero minimo e massimo dei concorrenti che verranno invitati a presentare l’offerta. Nel caso in cui le domande di partecipazione superino il predetto numero massimo, i soggetti aggiudicatori individuano i soggetti da invitare redigendo una graduatoria di merito sulla base di criteri oggettivi predefiniti nel bando di gara. In ogni caso, il numero minimo di concorrenti da invitare non può essere inferiore a cinque>> (art. 10, comma 3).

 

12. Modifiche all’art. 21 in tema di offerte anomale e di offerta economicamente più vantaggiosa

12.1. Modifiche in tema di offerte anomale

L’art. 21, comma 1 bis, reca la disciplina delle offerte anomale.

Le norme sono state novellate dalla L. n. 166 del 2002 per adeguarle alla declaratoria di incompatibilità con il diritto comunitario pronunciata dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza 27 novembre 2001 (cc. 285/99 e 286/99).

Giova ricordare, sinteticamente, che la Corte di Giustizia ha ritenuto la disciplina italiana delle offerte anomale incompatibile con il diritto comunitario nelle previsioni con cui:

impone la presentazione preventiva di giustificazioni, a corredo dell’offerta, escludendo la possibilità di un contraddittorio successivo: ad avviso della Corte il contraddittorio anticipato non è in sé illegittimo, purché sia sempre garantito il contraddittorio successivo;

impone un elenco tassativo di giustificazioni;

non consente giustificazioni in relazione ad elementi con valori minimi predeterminati (da legge, regolamento, atti amministrativi, dati ufficiali);

prevede in sede di offerta la richiesta di giustificazioni per almeno il 75% delle voci che compongono l’offerta, senza poi consentire alle imprese di fornire giustificazioni in relazione al 100% delle voci.

A tali statuizioni della Corte la L. n. 166 del 2002 ha tentato di adeguarsi, senza però optare per la soluzione, che sarebbe stata più semplice, di recepire in pieno la direttiva comunitaria. Si è invece mantenuta la peculiarità della disciplina italiana, che vuole conservare a tutti i costi il contraddittorio anticipato, e si è cercato di renderlo compatibile con i principi del diritto comunitario.

E’ stato, anzitutto, abrogato il secondo periodo del comma 1 bis, che stabiliva la tassatività delle giustificazioni e l’inammissibilità di giustificazioni relative ad elementi con valore predeterminato.

In tale secondo periodo era altresì previsto che la verifica di anomalia avvenisse entro sessanta giorni: l’abrogazione dell’intero periodo ha fatto venir meno anche tale norma, peraltro di scarsa rilevanza pratica, essendo il termine di sessanta giorni stato interpretato come ordinatorio e non perentorio.

E’ stato invece mantenuto il terzo periodo del comma1 bis, in base al quale le offerte devono essere corredate, fin dalla loro presentazione, di giustificazioni che concorrono a formare un importo non inferiore al 75% di quello posto a base d’asta.

Sono state poi aggiunte ulteriori previsioni, volte a garantire il contraddittorio successivo.

Si stabilisce infatti che ove l’esame delle giustificazioni richieste e prodotte non sia sufficiente ad escludere l’incongruità dell’offerta, il concorrente è chiamato ad integrare i documenti giustificativi ed all’esclusione potrà provvedersi solo all’esito della ulteriore verifica, in contraddittorio.

Tale previsione è chiara, costituisce corretta attuazione del diritto comunitario, e non dà luogo a dubbi esegetici.

Lo stesso non può dirsi delle altre innovazioni introdotte dalla L. n. 166 del 2002.

Viene stabilito che il bando o la lettera invito devono precisare le modalità di presentazione delle giustificazioni, nonché indicare quelle eventualmente necessarie per l’ammissibilità delle offerte.

Il legislatore fa dunque propria una tesi, che si è affacciata in giurisprudenza, secondo cui le giustificazioni preventive sono chieste a pena di esclusione dell’offerta.

Tale tesi va fermamente contestata ed è stata respinta da altra giurisprudenza, perché le giustificazioni preventive sono necessarie solo in via eventuale, se ed in quanto l’offerta risulterà sospetta di anomalia, sicché non appare corretto trasformare in requisito di partecipazione alla gara, imposto a pena di esclusione, un onere di documentazione che è destinata ad essere utilizzata solo in via eventuale.

Altra innovazione che suscita perplessità è quella secondo cui <<non sono richieste giustificazioni per quegli elementi i cui valori minimi sono rilevabili da dati ufficiali>>.

La norma originaria, abrogata dalla L. n. 166 del 2002, stabiliva che <<non sono ammesse>> giustificazioni relative ad elementi con valori minimi predeterminati, o rilevabili da dati ufficiali. Tale previsione, abrogata, è ora parzialmente sostituita, solo per i valori ricavabili da dati ufficiali, dalla formula secondo cui le giustificazioni <<non sono richieste>>.

Alla nuova formulazione deve necessariamente attribuirsi un significato diverso rispetto a quella abrogata, non solo per il diverso tenore testuale, ma anche per ragioni di logica e coerenza, non potendosi in un unico contesto abrogare una norma e reintrodurne una identica.

L’unico significato plausibile della nuova norma è in termini di agevolazione dell’onere di documentazione imposto alle imprese concorrenti, che non sono tenute a fornire giustificazioni per quegli elementi i cui valori minimi sono rilevabili da dati ufficiali.

Sempre se, ed in quanto, le imprese abbiano indicato un valore corrispondente al minimo risultante da dati ufficiali.

Ma resta pur sempre ferma la facoltà, per le imprese, di giustificare valori che si collocano al di sotto dei minimi risultanti da dati ufficiali: e tanto in conformità a quanto statuito dalla Corte di Giustizia con la già citata sentenza, secondo cui la norma comunitaria si oppone ad una normativa nazionale che esclude esplicitamente taluni tipi di giustificazioni, come quelle relative a tutti quegli elementi i cui valori minimi sono stabiliti da disposizioni legislative regolamentari o amministrative, ovvero i cui valori sono rilevabili da dati ufficiali.

Infine, non appare pieno l’adeguamento dell’articolo in commento alla sentenza della Corte di Giustizia, la quale ha statuito che in sede di verifica in contraddittorio si deve consentire alle imprese di giustificare tutti gli elementi dell’offerta e non solo il 75%.

Invece, nell’art. 21 comma 1 bis è rimasta invariata la previsione che consente alle stazioni appaltanti di chiedere in via preventiva giustificazioni relative al 75% del valore dell’appalto.

Si impone la lettura di tale previsione in conformità al diritto comunitario, nel senso che in sede di contraddittorio successivo l’impresa potrà giustificare il 100% delle voci di prezzo.

Giova infine ricordare che nell’art. 21 comma 1 bis l’espressione <<5 milioni di ECU>> è stata adeguata all’avvento della moneta unica europea, e pertanto sostituita con l’espressione <<controvalore in euro di 5.000.000 di DSP>>.

Ulteriore innovazione in materia di offerte anomale è stata introdotta dall’art. 10, D.Lgs. 20 agosto 2002, n. 190.

Tale articolo stabilisce che per la realizzazione di infrastrutture, la concessione di costruzione e gestione e l’affidamento unitario a contraente generale sono affidate mediante licitazione privata o appalto concorso, con il criterio del prezzo più basso o quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

E’ stabilito, inoltre, che per i soggetti aggiudicatori operanti nei settori esclusi si applicano, per quanto non espressamente previsto nell’art. 10, le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 158 del 1995; e che per tutti gli altri soggetti aggiudicatori si applicano, per quanto non espressamente previsto nell’art. 10, le norme della direttiva 93/37/CEE (art. 10, comma 6).

Si aggiunge, poi, che <<le predette disposizioni derogano agli articoli 2, 8, 19, 20, 21, 23, 24 e 25 della legge quadro>> (art. 10, comma 7).

Dall’esame sistematico di tali norme si desume che:

la nuova disciplina intende derogare, tra l’altro, all’art. 21, legge Merloni, ivi compresa la disciplina delle offerte anomale (contenuta nell’art. 21, comma 1 bis);

la nuova disciplina non si occupa di offerte anomale, sicché, per quanto non previsto, si applicano o il D.Lgs. n. 158 del 1995, o la direttiva 93/37/CEE;

ne consegue che la disciplina delle offerte anomale, nella concessione di costruzione e gestione o affidamento unitario a contraente generale di infrastrutture, è quella di cui all’art. 25, D.Lgs. n. 158 del 1995, ovvero quella di cui alla direttiva 93/37/CEE.

Le più significative peculiarità rispetto all’art. 21, comma 1 bis, legge Merloni, sono: l’assenza di criteri legali basati sulle medie per la individuazione delle offerte sospette e, viceversa, la individuazione delle stesse rimessa alle scelte delle stazioni appaltanti; la necessità di verifica delle offerte sospette in contraddittorio con gli offerenti, contraddittorio da instaurarsi dopo l’apertura delle offerte.

12.2. Modifiche in tema di offerta economicamente più vantaggiosa

L’art. 21, comma 2, disciplina il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

La disciplina contenuta nel testo anteriore alla novella introdotta con la L. n. 166 del 2002 consentiva tale criterio di aggiudicazione solo quando il sistema di affidamento fosse la concessione ovvero l’appalto – concorso. Invece, nel caso di pubblico incanto e di licitazione privata, veniva consentito solo il criterio di aggiudicazione al prezzo più basso.

La novella in commento amplia la possibilità di utilizzo del criterio di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, estendendolo a due nuove ipotesi.

Anzitutto, mediante l’introduzione, nell’art. 21, di un comma 1 ter, si consente tale criterio anche nel caso di pubblico incanto e licitazione privata, nel concorso di due presupposti:

che si tratta di appalti di importo superiore alla soglia comunitaria;

che si tratta di appalti in cui, per la prevalenza della componente tecnologica o per la particolare rilevanza tecnica delle possibili soluzioni progettuali, si ritiene possibile che la progettazione possa essere utilmente migliorata con integrazioni tecniche proposte dall’appaltatore.

L’utilizzo di tale criterio di aggiudicazione in luogo di quello al prezzo più basso è solo facoltativo.

Gli elementi di cui tenere conto per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa sono, per espresso rinvio legislativo, quelli di cui all’art. 21, comma 2, vale a dire gli stessi che si utilizzano per tale criterio di aggiudicazione in sede di concessione e di appalto – concorso.

Il comma 1 ter introdotto dalla novella rinvia al comma 2 del medesimo articolo 21 solo per quanto riguarda gli elementi di valutazione dell’offerta.

Nulla si dice, invece, in ordine alla costituzione di una commissione giudicatrice.

Sul punto, sembra evidente che si tratti di una mera dimenticanza del legislatore.

Invero, il comma 4 dell’art. 21, formulato prima della novella e non toccato da quest’ultima, dispone, testualmente che <<qualora l’aggiudicazione o l’affidamento avvenga ai sensi del comma 2, la valutazione è affidata ad una commissione giudicatrice secondo le norme stabilite dal regolamento>>.

Formalmente, la necessità di una commissione sembrerebbe prevista solo per l’ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa contemplata dal comma 2.

Ma non si comprenderebbe perché la commissione non sarebbe necessaria anche nell’ipotesi di cui al comma 1 ter e, come si vedrà, in quella di cui al comma 8 bis.

Sembra agevole ritenere che si sia trattato di un difetto di coordinamento della vecchia norma con le due nuove, perché; nell’introdurre due nuove ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ci si è dimenticati di adeguare anche il comma 4.

Si può allora agevolmente concludere che anche nel caso di cui al comma 1 ter e in quello di cui al comma 8 bis, la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa è affidata ad apposita commissione ai sensi del comma 4.

Ulteriori innovazioni in materia di offerta economicamente più vantaggiosa sono state introdotte dall’art. 10, D.Lgs. n. 190 del 2002, nel caso di realizzazione di infrastrutture mediante concessione di costruzione e gestione o affidamento unitario a contraente generale.

L’impostazione di fondo e i parametri di cui tenere conto rimangono nella sostanza invariati; ma i parametri ricevono alcuni adattamenti in considerazione della peculiarità degli interventi (infrastrutture) da realizzare.

In particolare, invariati restano i parametri di:

prezzo;

valore tecnico ed estetico;

tempo di esecuzione;

costo di utilizzazione e manutenzione (art. 10, comma 4, lett. a), b), c), d)).

Invariati restano pure, per le concessioni, i parametri di:

rendimento, durata della concessione, modalità di gestione, livello e criteri di aggiornamento delle tariffe da praticare all’utenza (art. 10, comma 4, lett. e).

Invariata resta, infine, la clausola aperta secondo cui la stazione appaltante può tenere conto di <<ulteriori elementi individuati in base al carattere specifico delle opere da realizzare>> (art. 10, comma 4, lett. f).

Le novità sono le seguenti:

il valore tecnico ed estetico viene riferito non più alle opere progettate, bensì alle varianti: vale a dire che, posto a base di gara il progetto predisposto dalla stazione appaltante, si terrà conto del valore tecnico ed estetico delle varianti che l’offerente propone rispetto al progetto a base di gara;

per le concessioni, si tiene conto dell’ulteriore parametro costituito da <<l’eventuale prestazione di beni e servizi a norma dell’articolo 7, comma 2>>. A sua volta, l’art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 190 del 2002, stabilisce che possono essere previste prestazioni di beni e servizi da parte del concessionario al soggetto aggiudicatore, relativamente all’opera concessa;

i parametri di valutazione dell’offerta devono essere indicati nel bando di gara nell’ordine decrescente di importanza loro attribuita, ma a differenza che nell’art. 21, legge Merloni, non è prescritto che siano utilizzate metodologie tali da consentire di individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa con un unico parametro numerico finale.

 

13. Modifiche all’art. 23 in tema di licitazione privata semplificata

L’art. 23 disciplina la licitazione privata ordinaria e la licitazione privata semplificata.

La novella introdotta con la L. n. 166 del 2002 apporta alcuni ritocchi alla licitazione privata semplificata.

Nel testo anteriore si stabiliva che i soggetti aspiranti ad essere iscritti nell’elenco delle imprese tra cui scegliere quelle da invitare alla licitazione semplificata presentano domanda corredata dal certificato di iscrizione all’albo nazionale dei costruttori e da autocertificazione ai sensi della L. n. 15 del 1968, con cui il richiedente attesta di non trovarsi in una causa di esclusione dall’appalto e di non aver presentato domande in numero superiore a quello prescritto dall’art. 23 bis.

Tale disciplina è stata novellata per adeguarla, da un lato, al nuovo sistema di qualificazione, che non si basa più sull’iscrizione all’albo nazionale dei costruttori e, dall’altro lato, alla abrogazione della L. n. 15 del 1968, trasfusa nel testo unico sulla documentazione amministrativa (D.Lgs. 28 dicembre 2000, n. 445).

La novella prevede, pertanto, che la domanda non sia più corredata dal certificato di iscrizione nell’albo nazionale dei costruttori, bensì da sola autocertificazione, redatta ai sensi della vigente normativa (e non più della L. n. 15 del 1968), con cui si attesta, però, anche <<il possesso delle qualifiche e dei requisiti del regolamento di cui al D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 (...)>>.

Con autocertificazione viene perciò attestato il possesso di qualifiche e requisiti richiesti dal regolamento che disciplina il sistema di qualificazione.

Tale autocertificazione è però sufficiente solo per quanto riguarda la fase di iscrizione nell’elenco delle imprese tra cui scegliere a rotazione quelle da invitare di volta in volta alle singole gare, e non esclude, pertanto, la possibilità, per le stazioni appaltanti, in sede di gara, di procedere a verifiche a campione.

Tanto viene precisato dalla L. n. 166 del 2002 che, apportando una ulteriore modifica all’art. 23, comma 1 ter, stabilisce che <<le stazioni appaltanti procedono a verifiche a campione sui soggetti concorrenti e comunque sui soggetti agigudicatari>>.

E’ da ritenere che la verifica a campione sia quella di cui all’art. 10, comma 1 quater, legge Merloni, e che si svolga dunque con le modalità ivi previste.

Ulteriore innovazione è stata introdotta dall’art. 10, D.Lgs. n. 190 del 2002, che per l’aggiudicazione della realizzazione di infrastrutture, che avviene o mediante concessione di costruzione e gestione, o mediante affidamento unitario a contraente generale, stabilisce che nell’ambito dei criteri di scelta della licitazione privata e dell’appalto concorso, le stazioni appaltanti possono avvalersi del criterio della forcella, già noto nel vigore del D.Lgs. n. 406 del 1991.

La forcella ha carattere solo facoltativo, essendo rimessa alla scelta delle stazioni appaltanti, da esprimere nel bando di gara. In particolare, <<i soggetti aggiudicatori possono stabilire ed indicare nel bando di gara, in relazione all’importanza e alla complessità delle opere da realizzare, il numero minimo e massimo dei concorrenti che verranno invitati a presentare l’offerta. Nel caso in cui le domande di partecipazione superino il predetto numero massimo, i soggetti aggiudicatori individuano i soggetti da invitare redigendo una graduatoria di merito sulla base di criteri oggettivi predefiniti nel bando di gara. In ogni caso, il numero minimo di concorrenti da invitare non può essere inferiore a cinque>> (art. 10, comma 3).

 

14. Modifiche all’art. 24 in tema di trattativa privata

L’art. 24, legge Merloni, disciplina la trattativa privata.

La novella introduce quattro novità, oltre ad aggiustamenti di ordine formale, volti a sostituire l’espressione ECU con quella EURO, in conseguenza dell’entrata a regime della moneta unica europea.

Tre delle innovazioni sono rivolte in direzione di un ampliamento dell’utilizzo della trattativa privata, mente la quarta innovazione segna piuttosto un restringimento procedurale a tale sistema di scelta del contraente.

Viene anzitutto previsto un nuovo caso di ricorso alla trattativa privata, contrassegnato dalla lettera 0a), per <<lavori di importo complessivo non superiore a 100.000 euro>>.

Conseguentemente, viene modificata la lettera a), che contemplava la trattativa privata per <<lavori di importo complessivo non superiore a 300.000 ECU, nel rispetto delle norme sulla contabilità generale dello Stato e, in particolare, dell’articolo 41 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827>>, nel senso che tale ipotesi si riferisce ora a lavori di importo complessivo <<compreso tra oltre 100.000 euro e 300.000 euro>>.

Mentre, dunque, in precedenza, la trattativa privata era ammessa per lavori di importo non superiore a 300.000 ECU, ma nei soli casi di cui all’art. 41, R.D. n. 827 del 1924, ora per i lavori di importo fino a 100.000 euro il ricorso alla trattativa privata è rimesso alla libera scelta della stazione appaltante, svincolata dai presupposti di cui al citato art. 41.

Il rispetto dei presupposti di cui all’art. 41 si impone, invece, per lavori di importo compreso tra oltre 100.000 e 300.000 euro.

Ne deriva, dunque, un ampliamento dell’utilizzo della procedura negoziata.

Un altro ampliamento si desume dal nuovo comma 7 bis, che reintroduce nell’ordinamento, sia pure in una ipotesi circoscritta, la possibilità di affidare a trattativa privata i c.d. lavori complementari.

L’affidabilità a trattativa privata dei lavori complementari ad un appalto già aggiudicato è però circoscritta ai soli lavori di restauro e manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici sottoposti alle disposizioni di tutela di cui al T.U. 29 ottobre 1999, n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali): si rinvia, pertanto, all’ultimo paragrafo del presente commento.

L’ultima innovazione, contenuta nel nuovo comma 5 bis, costituisce invece un restringimento procedurale alla trattativa privata: che viene commentato nell’ultimo paragrafo del presente lavoro, riguardando i soli interventi di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici soggetti a tutela.

Ulteriore innovazione in materia di trattativa privata è stata introdotta dall’art. 10, D.Lgs. n. 190 del 2002, che in tema di affidamento della realizzazione di infrastrutture mediante concessione di costruzione e gestione o affidamento unitario a contraente generale, stabilisce che:

a) il criterio di scelta è quello della licitazione privata o dell’appalto concorso;
b) per quanto non espressamente disposto, si applicano il D.Lgs. n. 158 del 1995 ovvero la direttiva 93/37/CEE;
c) le nuove disposizioni derogano, tra l’altro, all’art. 24 legge Merloni.

Se ne desume che essendo specificamente indicati i soli criteri di scelta del contraente della licitazione e dell’appalto concorso, ed essendo sancita la deroga all’art. 24, legge Merloni, resta esclusa la possibilità di utilizzare la trattativa privata per la concessione di costruzione e gestione e l’affidamento a contraente generale.

 

15. Modifiche all’art. 29 in tema di pubblicità

L’art. 29 detta le regole generali in tema di pubblicità di bandi e avvisi di gara.

L’innovazione principale apportata dalla L. n. 166 del 2002 riguarda le spese di pubblicità, per le quali, alla regola, già vigente, secondo cui le stese devono essere inserite nel quadro economico del progetto tra le somme a disposizione dell’amministrazione, si aggiunge che l’amministrazione è tenuta ad assicurare il rispetto delle disposizioni in tema di pubblicità tramite il responsabile del procedimento, il cui nominativo risulta da bandi, avvisi e inviti, ai sensi dell’art. 80, comma 10, del regolamento n. 554 del 1999, il quale, in caso di mancata osservanza delle disposizioni in tema di pubblicità, sarà tenuto ad effettuare a proprio carico le forme di pubblicità, senza alcuna possibilità di rivalsa sull’amministrazione.

Viene dunque prevista una sorta di sanzione a carico del responsabile del procedimento che omette le formalità pubblicitarie, e che è tenuto in caso di omissione a provvedervi a proprie spese.

Altra innovazione riguarda il comma 1, lett. b), in cui si stabiliva che il regolamento deve, <per i lavori di importo superiore a un milione di ECU, IVA esclusa, prevedere forme unificate di pubblicità a livello nazionale>>. Ora tale regola vale per i lavori non solo di importo superiore, ma anche di importo pari a un milione di euro.

 

16. Modifiche all’art. 30 in tema di garanzie

L’art. 30 disciplina le garanzie e coperture assicurative.

Le innovazioni introdotte dalla L. n. 166 del 2002 riguardano in sintesi:

1) l’aumento percentuale della garanzia di esecuzione nel caso di aggiudicazione ad una offerta con ribasso d’asta elevato;

2) lo svincolo progressivo della cauzione definitiva in corso d’opera;

3) la verifica di conformità degli elaborati progettuali e le relative procedure e garanzie;

4) la garanzia globale di esecuzione estesa all’appalto – integrato che superi i 75 milioni di euro.

Sotto il primo profilo, giova ricordare che secondo la disciplina previgente, in caso di aggiudicazione con ribasso d'asta superiore al 20 per cento la garanzia fidejussoria era aumentata di tanti punti percentuali quanti sono quelli eccedenti il 20 per cento.

Tale meccanismo costituiva una ulteriore forma di tutela contro il rischio di anomalia dell’offerta aggiudicataria eccessivamente bassa.

Nell’attuale situazione di mercato, in cui un ribasso d’asta superiore al 20% appare non frequente e comunque eccessivo, il legislatore ha ritenuto di abbassare la soglia di allarme al 10%. Pertanto, già in caso di aggiudicazione con ribasso d’asta superiore al 10%, scatta la regola secondo cui la garanzia fideiussoria è aumentata di tanti punti percentuali quanti sono quelli eccedenti il 10%. Se, poi, il ribasso dell’offerta aggiudicataria sia superiore al 20%, la garanzia fideiussoria viene aumentata di due punti percentuali per ogni punto di ribasso superiore al 20%.

Quanto al secondo profilo, viene introdotto un nuovo meccanismo di svincolo progressivo della cauzione definitiva (che garantisce la regolare esecuzione dei lavori) a mano a mano che procede l’avanzamento dei lavori.

In particolare, lo svincolo progressivo avviene a partire dal momento in cui viene raggiunto un importo di lavori eseguiti pari al 50% dell’importo contrattuale, vale a dire quando si arriva, per così dire, a metà dell’opera. Il raggiungimento di tale importo deve essere attestato mediante stati d’avanzamento lavori o analogo documento.

Al raggiungimento di tale importo, la cauzione viene svincolata in misura proporzionale, vale a dire in ragione del 50% dell’ammontare garantito.

Successivamente, si procede allo svincolo progressivo in ragione di un 5% dell’iniziale ammontare per ogni ulteriore 10% di importo di lavori eseguiti.

Lo svincolo nei termini e misure così indicate, avviene automaticamente, senza necessità di benestare del committente, con la sola condizione della preventiva consegna all’istituto garante, da parte dell’appaltatore o del concessionario, degli stati d’avanzamento dei lavori o di analogo documento, in originale o copia autentica, attestante il raggiungimento delle predette percentuali di lavoro eseguito.

Lo svincolo progressivo può avvenire in via automatica fino ad un importo del 75% della garanzia, che corrisponde al 100% dei lavori eseguiti (50% di garanzia corrispondente al 50% dei lavori eseguiti; 5% di garanzia per ogni ulteriore 10% di lavori eseguiti, per un totale di 25% di garanzia, corrispondente al residuo 50% di lavori eseguiti).

Per il residuo 25% dell’iniziale garanzia, lo svincolo deve avvenire secondo le regole generali.

Tali norme sono state dichiarate espressamente applicabili anche <<ai contratti in corso>>, si intende, sia quelli di appalto, sia quelli, a questi accessori, di garanzia.

Viene precisato, forse in maniera superflua, che la mancata costituzione della garanzia che <<determina la revoca dell'affidamento e l'acquisizione della cauzione da parte del soggetto appaltante o concedente, che aggiudica l'appalto o la concessione al concorrente che segue nella graduatoria>>, si riferisce alla garanzia <<di cui al primo periodo>> del comma 2, vale a dire alla garanzia di esecuzione, il che era già chiaro nella disciplina previgente.

Sotto il terzo profilo, è stato integrato il comma 6 dell’art. 30, che nella versione originaria si limitava a stabilire che <<Prima di iniziare le procedure per l'affidamento dei lavori, le stazioni appaltanti devono verificare, nei termini e con le modalità stabiliti dal regolamento, la rispondenza degli elaborati progettuali ai documenti di cui all'articolo 16, commi 1 e 2, e la loro conformità alla normativa vigente. Tale verifica può essere effettuata da organismi di controllo accreditati ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000 o dagli uffici tecnici delle predette stazioni appaltanti>>.

Rimasta invariata la prima parte della previsione, si detta, ora una disciplina più dettagliata di criteri, procedure e garanzie della verifica.

Si stabilisce, anzitutto, che gli oneri derivanti dall’accertamento della rispondenza agli elaborati progettuali sono ricompresi nelle risorse stanziate per la realizzazione delle opere.

In secondo luogo, le modalità di verifica dei progetti, in dettaglio, sono rimesse al regolamento di cui all’art. 3. Vengono però dettati i criteri direttivi:

a) per i lavori di importo superiore a venti milioni di euro, la verifica deve essere effettuata da organismi di controllo accreditati ai sensi della norma europea UNI CEI EN 45004;

b) per i lavori di importo inferiore a 20 milioni di euro, la verifica può essere effettuata dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti ove il progetto sia stato redatto da progettisti esterni o le stesse stazioni appaltanti dispongano di un sistema interno di controllo di qualità, ovvero da altri soggetti autorizzati secondo i criteri stabiliti dal regolamento;

c) in ogni caso, il soggetto che effettua la verifica del progetto deve essere munito di una polizza indennitaria civile per danni a terzi per i rischi derivanti dallo svolgimento dell’attività di propria competenza.

In via transitoria, si stabilisce che sino all’entrata in vigore delle norme regolamentari la verifica può essere effettuata dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti o dagli organismi di controllo di cui alla lettera a) del comma 6 come novellato (art. 30, comma 6-bis, aggiunto dalla novella).

Nella fase transitoria, gli incarichi di verifica di importo inferiore alla soglia comunitaria possono essere affidati a soggetti di fiducia della stazione appaltante.

La norma che consente incarichi fiduciari è da ritenere operativa solo in fase transitoria, data la sua collocazione nel comma 6-bis.

A regime, l’incarico di verifica può essere qualificato come appalto di servizi, soggetto al D.Lgs. n. 157 del 1995, se di importo superiore alla soglia di 200.000 euro.

Sotto soglia, i criteri di affidamento saranno disciplinati dall’emanando regolamento.

Infine, come già accennato, il sistema di garanzia globale di esecuzione, peraltro non ancora in vigore in mancanza del previsto regolamento di attuazione, viene esteso alle ipotesi di appalto – integrato, ove l’importo sia superiore a 75 milioni di euro (art. 30, comma 7-bis aggiunto dalla novella).

 

17. Modifiche all’art. 31 bis in tema di accordo bonario

L’art. 31 bis disciplina l’accordo bonario.

La novella modifica la disposizione in commento sottraendo al responsabile del procedimento il compito di formulare la proposta di accordo bonario, e affidandolo ad apposita commissione, e trasformando l’accordo bonario in un atto consensuale di natura transattiva, sicché non occorre più la deliberazione della stazione appaltante con provvedimento motivato.

Ne risulta conseguentemente anche parzialmente modificato il relativo procedimento.

Quanto all’ambito applicativo, delineato ratione valoris e ratione temporis, la costituzione della commissione è obbligatoria solo per gli appalti di importo pari o superiore a 10 milioni di euro, mentre per gli appalti di importo inferiore è solo facoltativa (art. 31, comma 1 quater).

Inoltre in tali appalti della commissione può essere componente anche il responsabile del procedimento.

La disciplina della commissione che sostituisce il responsabile del procedimento nella formulazione della proposta di accordo bonario non trova applicazione per gli appalti già aggiudicati e le concessioni già affidate alla data di entrata in vigore della nuova disciplina: così dispone il nuovo comma 1 quater, a norma del quale <<le disposizioni dei commi da 1 a 1 – ter non si applicano ai lavori per i quali l’individuazione del soggetto affidatario sia già intervenuta alla data di entrata in vigore della presente disposizione>>.

Nella precedente disciplina, in presenza di riserve rispondenti ai requisiti indicati nell’art. 31 bis, comma 1, il responsabile del procedimento:

a) acquisiva immediatamente la relazione riservata del direttore dei lavori e, ove costituito, dell’organo di collaudo;
b) sentiva l’affidatario;
c) entro novanta giorni dall’apposizione dell’ultima delle riserve formulava all’amministrazione proposta motivata di accordo bonario;
d) nei successivi sessanta giorni la stazione appaltante deliberava sulla proposta con provvedimento motivato.

Nella nuova disciplina, il responsabile del procedimento si limita a promuovere la costituzione di apposita commissione, i cui criteri di composizione sono indicati nel successivo comma 1 bis.

Spetta alla commissione formulare proposta motivata di accordo bonario, sempre nel termine di novanta giorni dall’apposizione dell’ultima delle riserve.

Sempre nel termine di novanta giorni, la commissione deve acquisire la relazione del direttore dei lavori e, ove costituito, dell’organo di collaudo.

Invece, entro tale termine non va sentito l’appaltatore, che si pronuncia, invece, sulla proposta già formulata.

Rispetto alla disciplina precedente, le modifiche procedurali sono le seguenti:

non è più prescritto che la relazione del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo siano acquisite <<immediatamente>>, le stesse vanno acquisite in tempo utile affinché possa essere formulata proposta di accordo bonario entro novanta giorni;

la relazione del direttore dei lavori non è più qualificata come <<riservata>>, il che potrebbe incidere sull’accessibilità di tale relazione, in passato negata;

l’audizione dell’affidatario non avviene più prima della formulazione della proposta di accordo bonario, ma dopo, sul contenuto della proposta: in particolare, la nuova disciplina prescrive che sulla proposta di accordo si pronunciano, nei successivi trenta giorni, l’appaltatore e il committente.

Non è chiarito da quando decorrono i trenta giorni, ma è da ritenere che decorrano da quando la proposta viene comunicata agli interessati.

Decorso tale termine, prosegue la nuova disciplina, l’appaltatore ha facoltà di ricorrere all’arbitrato (art. 31 bis, comma 1), ovviamente se non viene raggiunto l’accordo bonario.

Ove invece la proposta di accordo bonario venga accettata sia dall’appaltatore che dalla stazione appaltante, l’atto, per espresso dettato normativo, ha natura transattiva (art. 31 bis, comma 1 ter): tanto viene chiarito dalla nuova disciplina, ma si tratta di un risultato ermeneutico cui la dottrina era già pervenuta nel vigore della precedente disciplina.

La nuova disciplina prevede altresì, in alternativa alla transazione, che le parti conferiscano alla commissione la facoltà di assumere decisioni vincolanti per le parti, perfezionando, per conto delle stesse, l’accordo bonario risolutivo delle riserve (art. 31 bis, comma 1 ter). In tale ipotesi, la fattispecie si qualifica come arbitraggio, in quanto le parti danno ad un terzo il potere di riempire di contenuto un accordo per esse vincolante (c.d. biancosegno).

Quanto all’ambito di applicazione della procedura di accordo bonario, la stessa ha luogo anzitutto nell’ipotesi in cui le riserve comportino una variazione dell’importo economico dell’opera in misura sostanziale e comunque non inferiore al 10% dell’importo contrattuale.

In secondo luogo, la costituzione della commissione viene promossa di ufficio dal responsabile del procedimento per le riserve residue, indipendentemente dal loro importo economico, al ricevimento del certificato di collaudo o di regolare esecuzione. Nell’occasione la proposta motivata è formulata entro novanta giorni dal ricevimento del certificato.

E’ poi stabilito che prima del collaudo la procedura per la definizione dell’accordo bonario può essere reiterata per una sola volta.

Non è del tutto chiaro se il limite della reiterazione ad una volta sola riguarda le medesime riserve per le quali la procedura si è svolta e non è andata a buon fine, ovvero anche le riserve ulteriori rispetto a quelle inizialmente iscritte.

Se fosse intesa in questo secondo senso, la norma comporterebbe che la procedura di accordo bonario può farsi, per un medesimo appalto, non più di tre volte, due in corso d’opera, e una dopo il collaudo.

Questa interpretazione sembra rispondente a esigenze di celerità e contenimento del contenzioso, ma non è conforme alla opposta previsione del regolamento di attuazione della legge Merloni, contenuta nell’art. 149, comma 7, secondo cui la procedura di accordo bonario è ripetibile se le riserve iscritte dall’appaltatore, ulteriori e diverse rispetto a quelle già precedentemente esaminate, raggiungono nuovamente l’importo fissato dalla legge.

Se si seguisse tale interpretazione, si dovrebbe ritenere che la nuova formulazione dell’art. 31 bis ha comportato una tacita abrogazione della norma regolamentare citata.

Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che la procedura di accordo bonario può aver luogo ogni qualvolta le riserve raggiungono l’importo previsto, e che il divieto di reiterazione per più di una volta riguarda solo le medesime riserve, e non quelle ulteriori.

Il comma 1 bis dell’art. 31 bis disciplina la composizione della commissione.

Si tratta di un collegio composto da tre componenti, che devono essere in possesso di specifica idoneità.

Uno dei componenti è designato dal responsabile del procedimento, uno dalla impresa appaltatrice o concessionaria, e il terzo di comune accordo dai duce componenti già designati, contestualmente all’accettazione congiunta dell’incarico.

Non è specificato quali debbano essere i criteri di scelta dei commissari, e le categorie cui attingere, è solo stabilito che si deve trattare di soggetti in possesso di specifica idoneità.

Il comma 4 dell’art. 7, L. n. 166 del 2002 demanda al regolamento generale il compito di determinare i requisiti di idoneità dei componenti la commissione, e di fissarne altresì i criteri di remunerazione.

Altra norma poco chiara è quella secondo cui i due commissari designati dalle parti devono accettare congiuntamente l’incarico.

Non si comprende perché uno dei due non possa declinare l’incarico ed essere sostituito, senza con questo far venir meno la facoltà di accettazione dell’altro.

Se poi i due commissari non si accordano sulla nomina del terzo, la nomina è demandata al Presidente del Tribunale del luogo di stipulazione del contratto, su istanza della parte più diligente, e limitatamente alle opere di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e loro concessionari.

La competenza della commissione per la formulazione della proposta di accordo bonario non è tuttavia esclusiva, in quanto se l’impresa non designa il commissario di propria scelta, nel termine di trenta giorni dalla richiesta del responsabile del procedimento, quest’ultimo provvede a formulare direttamente la proposta di accordo bonario, dopo aver acquisito la relazione del direttore dei lavori e, ove costituito, dell’organo di collaudo.

Vi è dunque una competenza residuale del responsabile del procedimento, il cui esercizio dipende dall’inerzia dell’impresa.

Ne consegue che la costituzione della commissione ha carattere facoltativo e dipende, in definitiva, dalla scelta dell’impresa appaltatrice. Quest’ultima può impedire la costituzione della commissione e preferire che la procedura venga svolta dal responsabile del procedimento, mediante la mera inerzia nel designare il componente di sua elezione.

E’ poi da ritenere che il responsabile del procedimento disponga del medesimo termine di novanta giorni, assegnato alla commissione, per la formulazione della proposta di accordo bonario.

Per quanto riguarda le spese relative ai compensi dei commissari, è stabilito che i relativi oneri sono posti a carico dei fondi stanziati per i singoli interventi. La norma, non chiarissima, sembra da interpretare nel senso che gli oneri gravano sul prezzo di ciascun appalto, e, in particolare, sui fondi stanziati allo scopo.

Quanto alla natura della commissione, la sua composizione e i criteri di scelta dei componenti la fanno assomigliare ad un collegio arbitrale. Tuttavia i compiti della commissione fanno escludere la qualificazione della fattispecie in tali termini.

Invero, la commissione si limita a formulare la proposta di accordo bonario, ma non ha il potere di adottare una decisione vincolante per le parti, e imputabile alla commissione medesima.

Compito della commissione è piuttosto quello di amichevole compositore, fermo restando che l’accordo bonario rimane un atto consensuale imputabile alle parti in lite, la stazione appaltante e l’appaltatore.

Di qui la qualificazione dell’accordo come transazione.

Al più la commissione può essa stessa perfezionare l’accordo bonario per conto delle parti, e vincolando le stesse, ove le parti gliene conferiscano il potere: ma anche in tal caso, la commissione non adotta una decisione propria, ma redige l’accordo bonario per conto delle parti. L’atto finale è pur sempre un atto delle parti, il cui contenuto è stato stabilito dalla commissione. Sicché la fattispecie si qualifica in termini di arbitraggio o c.d. biancosegno.

Ulteriore innovazione è contenuta nell’art. 15, D.Lgs. 20 agosto 2002, n. 190, <<attuazione delle legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale>>.

L’art. 15 in commento delega il Governo a modificare e integrare il regolamento generale di attuazione della legge Merloni, con le ulteriori disposizioni necessarie alla migliore realizzazione delle infrastrutture. E’ in particolare stabilito che con le modifiche potranno essere dettate, tra l’altro, le norme procedurali per la risoluzione in via bonaria o contenziosa delle vertenze, anche in deroga agli articoli 31-bis e 32 della legge quadro.

Ne consegue che per le controversie relative alla realizzazione di infrastrutture e insediamenti produttivi, l’accordo bonario potrà essere disciplinato anche in deroga alle previsioni di cui all’art. 31-bis.

 

18. Modifiche all’art. 32 in tema di arbitrato

L’art. 32 disciplina l’arbitrato, ed è stato novellato mediante l’introduzione di tre significative novità.

La versione dell’art. 32, precedente alla novella legislativa in commento, superando il divieto di arbitrato contenuto in una precedente versione, da un lato sancisce la facoltatività dell’arbitrato (tutte le controversie in materia di esecuzione dell’appalto possono essere deferite ad arbitri) e dall’altro stabiliva che il giudizio arbitrale fosse demandato in ogni caso ad un collegio arbitrale costituito presso la camera arbitrale per i lavori pubblici, istituita presso l’Autorità per i lavori pubblici.

Si istituiva, pertanto, un arbitrato c.d. amministrato.

La novella legislativa da un lato ribadisce la facoltatività dell’arbitrato, mettendo fuori legge sia i divieti di arbitrato che gli arbitrati obbligatori, e da un lato incide in termini restrittivi sull’arbitrato amministrato.

Sotto il primo profilo si statuisce che <<sono abrogate tutte le disposizioni che, in contrasto con i precedenti commi, prevedono limitazioni ai mezzi di risoluzione delle controversie nella materia dei lavori pubblici come definita all’articolo 2>>. In definitiva, si stabilisce che è libera la scelta in tema di mezzi di risoluzione delle controversie sui lavori pubblici, potendo le parti rivolgersi sia all’autorità giudiziaria che agli arbitri. Restano dunque banditi sia i divieti di arbitrato sia, per converso, gli arbitrati obbligatori.

Sotto il secondo profilo, l’arbitrato amministrato rimane in vita solo se stazione appaltante è uno dei soggetti di cui all’art. 2, comma 2, lett. a), legge Merloni, vale a dire una pubblica amministrazione.

Infatti, viene testualmente stabilito che il giudizio è demandato ad un collegio arbitrale costituito presso la camera arbitrale limitatamente ai <<soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a)>>.

Se ne desume, a contrario, che se stazioni appaltanti sono i soggetti di cui alle lettere b) e c) dell’art. 2, comma 2, vale a dire i concessionari di lavori pubblici e i soggetti privati, ferma restando la possibilità di deferire la controversia ad arbitri, non sussiste l’onere di rivolgersi ad un collegio costituito presso la camera arbitrale.

L’alternativa più plausibile è che le parti utilizzino l’arbitrato rituale di cui al cod. proc. civ., e dunque diano vita al collegio arbitrale secondo i criteri ivi previsti.

Peraltro, non essendo previste limitazioni ai mezzi di risoluzione delle controversie in materia di lavori pubblici (come dispone il nuovo comma 4 bis dell’art. 32), si può ipotizzare anche un arbitrato irrituale in cui le parti scelgono liberamente (purché consensualmente) le modalità di nomina degli arbitri.

Infine, viene introdotta, alla fine del comma 4 dell’art. 32, una ulteriore disposizione transitoria, peraltro dal dubbio significato, in aggiunta a quella già contenuta nell’art. 32, comma 4.

La versione originaria dell’art. 32, comma 4, stabiliva che dalla data di entrata in vigore del regolamento cessano di avere efficacia le disposizioni in tema di arbitrato dettate nel capitolato generale di appalto del 1962, e che <<dalla medesima data il richiamo ai collegi arbitrali da costituirsi ai sensi della normativa abrogata, contenute nelle clausole dei contratti di appalto già stipulati, deve intendersi riferito ai collegi da nominare con la procedura camerale secondo le modalità previste dai commi precedenti ed i relativi giudizi si svolgono secondo la disciplina da essi fissata>>.

Si aggiunge, ora, che <<Sono fatte salve le disposizioni che prevedono la costituzione di collegi arbitrali in difformità alla normativa abrogata, contenute nelle clausole di contratti o capitolati d’appalto già stipulati alla data di entrata in vigore del regolamento, a condizione che i collegi arbitrali medesimi non risultino già costituiti alla data di entrata in vigore della presente disposizione>>.

I presupposti di applicazione della norma transitoria sono:

che vi siano contratti o capitolati di appalto già stipulati alla data di entrata in vigore del regolamento:

che i collegi arbitrali non siano stati già costituiti alla data di entrata in vigore della L. n. 166 del 2002.

Nel ricorso di tali due presupposti, sono fatte salve le disposizioni che prevedono la costituzione di collegi arbitrali <<in difformità alla normativa abrogata>>.

Il dato testuale sembra essere frutto di un refuso. La norma ha un significato logico solo se intende far salve le disposizioni che prevedono la costituzione di collegi arbitrali <<in conformità>> e non <<in difformità>> alla normativa abrogata.

Così letta, la nuova norma fa un passo indietro rispetto all’altra norma transitoria contenuta nel comma 4, e fa salva la costituzione di collegi arbitrali secondo la vecchia disciplina, se non siano ancora stati costituiti alla data del 18 agosto 2002 (di entrata in vigore della L. n. 166 del 2002). Invece, l’altra norma transitoria già contenuta nell’art. 32, comma 4, mirava proprio a impedire che i collegi arbitrali continuassero a essere costituiti secondo la vecchia disciplina, dopo l’entrata in vigore del regolamento, ancorché l’arbitrato fosse previsto da contratti stipulati in epoca anteriore.

Tuttavia, non sembra corretto interpretare la norma modificandone le parole testuali. Sicché, se si mantiene ferma l’espressione <<in difformità alla normativa abrogata>>, e non la si sostituisce con l’espressione <<in conformità>>, la norma risulta in concreto inapplicabile, a meno che non la si intenda come una sanatoria di clausole arbitrali <<fuori legge>>, perché difformi dalla disciplina abrogata. Il che non appare coerente né con la logica, né con i principi costituzionali di parità di trattamento e di ragionevolezza.

Ulteriori innovazioni in tema di arbitrato sono introdotte dal D.Lgs. n. 190 del 2002, in tema di controversie derivanti dalla realizzazione di infrastrutture.

L’art. 12, D.Lgs. n. 190 del 2002, circoscrive l’arbitrato, analogamente a quanto già dispone l’art. 32 legge Merloni, alle sole controversie derivanti dall’esecuzione del contratto.

Va tuttavia rimarcato che per le controversie relative all’affidamento, che rientrano comunque nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ove le stesse riguardino diritti soggettivi, è pur sempre possibile il ricorso all’arbitrato ai sensi dell’art. 6, L. n. 205 del 2000.

E’ discutibile l’opzione di disciplinare in via autonoma l’arbitrato relativo alle controversie nascenti dall’esecuzione della concessione e dell’affidamento a contraente generale.

Invero, tali controversie ricadevano già nell’ambito applicativo dell’art. 32 della legge Merloni, da intendersi riferito, come già indicato, non solo all’appalto, ma anche alla concessione.

In ogni caso, ove si fosse voluto fugare ogni dubbio sul punto, sarebbe stato sufficiente che il disegno di legge in commento rinviasse, per la soluzione arbitrale delle controversie in esame, all’art. 32 legge Merloni.

Invece, la nuova disciplina, chiarita l’arbitrabilità delle controversie, detta una disciplina speciale dell’arbitrato, difforme da quella contenuta nella Merloni.

Si dispone che è ammesso un arbitrato facoltativo, rituale e di diritto (art. 12, comma 1).

Per la disciplina dell’arbitrato si rinvia al codice di procedura civile, salve le speciali norme dettate direttamente dalla legge delegata (art. 12, comma 1).

L’arbitrato speciale contemplato dalla disposizione in commento è in parte da salutare con favore, perché elimina alcune storture della disciplina relativa all’arbitrato in materia di lavori pubblici, in parte è da censurare perché ripropone norme del passato che hanno già dato luogo a polemiche.

In parte, poi, viene ricalcata la disciplina dell’arbitrato in materia di lavori pubblici.

Come per quest’ultimo, è previsto un collegio arbitrale a tre (art. 12, comma 2), la istituzionalizzazione della figura del segretario del collegio (art. 12, comma 5), la nomina del consulente tecnico, ove necessaria, attingendo all’apposito albo dei periti tenuto dalla camera arbitrale (art. 12, comma 5).

Le innovazioni, rispetto all’arbitrato in materia di lavori pubblici, da segnalare con favore, sono:

il rinvio alle norme del codice di procedura civile (art. 12, comma 1): sicché non trova applicazione il regolamento di procedura approvato con D.M. n. 398 del 2000, le cui norme sono state già commentate; si superano così le perplessità relative alla sede dell’arbitrato, al rigido sistema di preclusioni, alla improcedibilità della domanda di arbitrato in caso di mancato deposito dell’acconto;

la possibilità che il terzo arbitro sia scelto dalle parti o dagli arbitri di parte, e solo in caso di mancato accordo, da parte della camera arbitrale (art. 12, comma 4), laddove nell’arbitrato in materia di lavori pubblici la scelta del terzo arbitro è sottratta alle parti e affidata in ogni caso alla camera arbitrale: si supera così la perplessità relativa alla compressione della libera volontà delle parti nella scelta degli arbitri.

Le innovazioni, rispetto all’arbitrato in materia di lavori pubblici, che invece non mancheranno di rinverdire vecchie polemiche, sono le seguenti:

il terzo arbitro, quello con funzioni di Presidente, deve essere scelto dalle parti tra i magistrati amministrativi o contabili, ovvero tra gli avvocati dello Stato nel caso i cui non ne sia stato nominato uno quale arbitro di parte e l’Avvocatura dello Stato non sia difensore di una delle parti in giudizio (art. 12, comma 5): ritorna in parte la regola, già contenuta nel capitolato generale del 1962, secondo cui la presidenza del collegio arbitrale spetta ad un magistrato del consiglio di Stato; la nuova norma, che sembra ripristinare un privilegio in favore dei magistrati amministrativi e contabili, non mancherà di suscitare polemiche.

Nel disegno di legge delegata il comma 6 dell’art. 12 disponeva che <<i compensi spettanti agli arbitri sono determinati sulla base della tariffa professionale forense in relazione all’ammontare delle domande ed al numero ed alla complessità delle questioni trattate>>: veniva dunque ripristinato l’utilizzo delle tariffe professionali forensi, laddove il D.M. n. 398 del 2000 aveva inteso stabilire diversi criteri di determinazione dei compensi arbitrali, per evitare le polemiche del passato relative ai compensi arbitrali, ritenuti troppo elevati; inoltre, la nuova norma, mediante il rinvio generale all’arbitrato rituale disciplinato dal codice di procedura civile, lasciava allo stesso collegio arbitrale il compito di stabilire e liquidare il proprio compenso, laddove nell’arbitrato dei lavori pubblici si era inteso sottrarre tali compiti al collegio e assegnarli alla camera arbitrale, a garanzia di maggiore terzietà e imparzialità del giudice privato.

Tuttavia, nel testo finale della legge delegata, il comma 6 è stato modificato nel senso che i compensi spettanti agli arbitri sono determinati con il regolamento di cui all’art. 15, vale a dire il regolamento destinato a modificare il regolamento generale di attuazione della legge Merloni. Si resta dunque in attesa della scelta che verrà operata in sede di regolamento. In via transitoria, fino all’entrata in vigore del regolamento integrativo, si applica il regolamento vigente, in quanto compatibile con la legge delega e con il decreto legislativo. In tema di compensi arbitrali, troverà applicazione la disciplina attualmente vigente per l’arbitrato in materia di opere pubbliche, che non appare incompatibile con le previsioni del D.Lgs. n. 190 del 2002.

 

19. Modifiche all’art. 33 in tema di lavori segreti

L’art. 33 disciplina le opere connotate da segretezza, perché destinate ad attività delle forze armate o di polizia, che possono essere affidate in deroga alla disciplina dell’evidenza pubblica.

Tale articolo viene modificato dalla novella in commento nel senso di includere tra tali opere anche quelle <<destinate ad attività della Banca d’Italia>>.

Tale innovazione si è resa necessaria per colmare una evidente lacuna della previgente disciplina, che non consentiva di sottrarre alle regole dell’evidenza pubblica gli appalti di lavori affidati dalla Banca d’Italia, ancorché relativi ad immobili destinati alle attività istituzionali quali la coniazione e la custodia di valori monetari.

Tale lacuna derivava da una non corretta attuazione della direttiva comunitaria sull’appalto di lavori in tema di appalti segreti, non corretta attuazione che riguardava solo gli appalti di lavori, e non anche quelli di servizi e forniture.

In particolare, per gli appalti di servizi e forniture, sia sopra che sotto soglia comunitaria, sia l’art. 4, comma 1, lett. c), D.Lgs. 24 luglio 1992, n. 358, che l’art. 5, comma 2, lett. i), D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, relativi, rispettivamente, alle forniture escluse e ai servizi esclusi dall’ambito di applicazione dei citati decreti legislativi, recanti attuazione delle direttive comunitarie in tema di appalti pubblici di forniture e di servizi, stabiliscono che sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina comunitaria gli appalti di forniture <<dichiarate segrete o la cui esecuzione richiede misure speciali di sicurezza, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti o quando lo esiga la protezione degli interessi essenziali della sicurezza dello Stato>> e gli appalti di servizi <<dichiarati segreti o la cui prestazione debba essere accompagnata, in base a disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, da misure speciali di sicurezza ovvero quando lo esiga la tutela degli interessi essenziali della sicurezza dello Stato>>.

Dunque sia gli appalti di forniture che di servizi possono essere affidati mediante trattativa privata quando lo esiga la tutela <<degli interessi essenziali della sicurezza dello Stato>>.

Nell’ambito di tali interessi essenziali relativi alla sicurezza dello Stato possono agevolmente farsi rientrare gli interessi relativi alla produzione, custodia e trattamento dei valori monetari e finanziari, cui è preposta la Banca d’Italia.

Quanto, invece, agli appalti di lavori di rilevanza comunitaria, le direttive che si sono succedute nel tempo e da, ultimo, la direttiva 14 giugno 1993, n. 37, contengono previsione analoga a quella delle direttive relative agli appalti di servizi e forniture, secondo cui sono sottratti all’ambito di applicazione delle direttive appalti:

gli <<appalti di lavori, quando siano dichiarati segreti o quando la loro esecuzione deve essere accompagnata da particolari misure di sicurezza ai sensi delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative vigenti nello Stato membro considerato o quando lo esiga la tutela degli interessi essenziali dello Stato membro>> (art. 4, lett. b), direttiva 93/37/CEE).

Tale previsione per il passato è stata riprodotta puntualmente nella normativa italiana di recepimento (art. 5, comma 1, lett. e), L. 8 agosto 1977, n. 584; art. 6, D. Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406).

Tuttavia la legge Merloni, nella logica di restringere il ricorso alla trattativa privata, non aveva recepito in pieno la previsione comunitaria, e consentiva la deroga all’evidenza pubblica per i lavori <<segreti>> in ipotesi più restrittive.

In particolare, l’art. 33, L. 11 febbraio 1994, n. 109, stabiliva che:

<<1. Le opere destinate ad attività delle forze armate o dei corpi di polizia per la difesa della Nazione o per i compiti di istituto, nei casi in cui sono richieste misure speciali di sicurezza e di segretezza in conformità a disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative vigenti o quando lo esiga la protezione degli interessi essenziali della sicurezza dello Stato, dichiarate indifferibili ed urgenti, possono essere eseguite in deroga alle disposizioni relative alla pubblicità delle procedure di affidamento dei lavori pubblici, ai sensi del comma 2.

2. Nelle ipotesi di cui al comma 1, il regolamento determina i casi nei quali debbono svolgersi gare informali e le modalità delle stesse, i criteri di individuazione dei concorrenti ritenuti idonei all'esecuzione dei lavori di cui al comma 1, nonché le relative procedure.

3. I lavori di cui al comma 1 sono sottoposti esclusivamente al controllo successivo della Corte dei conti, la quale si pronuncia altresì sulla regolarità, sulla correttezza e sull'efficacia della gestione. Dell'attività di cui al presente comma è dato conto entro il 30 giugno di ciascun anno in una relazione al Parlamento>>.

L’intento legislativo era dunque chiaro nel senso che possono essere sottratte alla pubblicità delle gare solo <<le opere destinate ad attività delle forze armate o dei corpi di polizia>>, nel concorso, poi, di tutte le altre condizioni oggettive indicate dalla norma medesima.

Il chiaro tenore letterale dell’art. 33, L. n. 109 del 1994, induceva ad escludere che potessero essere sottratti alla pubblicità delle gare gli appalti di lavori della Banca di Italia, non trattandosi di opere destinate ad attività delle forze armate o dei corpi di polizia.

Sicché, la novella in commento colma una lacuna dell’art. 33, e riconduce tale norma nei binari di una corretta attuazione della direttiva comunitaria.

 

20. Modifiche agli artt. 37-bis e ss. in tema di promotore finanziario e società di progetto

20.1. Le modifiche apportate direttamente alla legge Merloni

In tema di promotore finanziario, disciplinato dagli artt. 37-bis e ss. della legge Merloni, la L. n. 166 del 2002 detta numerose modifiche procedurali relative alle modalità di inserzione della proposta del promotore nel programma triennale, e ai criteri di aggiudicazione della concessione al promotore.

La regola secondo cui le proposte dei promotori vanno presentate entro il 30 giugno di ogni anno – contenuta nel comma 1 dell’art. 37-bis – è sostituita con quella, più elastica, secondo cui fermo restando il termine principale del 30 giugno di ogni anno, le proposte possono essere presentate anche entro il 31 dicembre successivo, se entro la prima scadenza non siano state presentate proposte per il medesimo intervento.

La regola che riservava alla competenza di un istituto di credito l’asseverazione del piano economico – finanziario presentato dal promotore è stata modificata nel senso di ampliare le categorie dei soggetti abilitati all’attività di asseverazione.

Si può trattare anche di società di servizi costituite dall’istituto di credito ed iscritte nell’elenco generale degli intermediari finanziari, ai sensi dell’art. 106, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (testo unico delle disposizioni in materia bancaria e creditizia), o di società di revisione di cui all’art. 1, L. 23 novembre 1939, n. 1966.

Al regolamento generale di cui all’art. 3 è poi demandato di dettare indicazioni per chiarire ed agevolare le attività di asseverazione.

Alla figura del <<promotore>>, di cui all’iniziale comma 1 dell’art. 37-bis, viene aggiunta una nuova figura, per così dire di <<proponente>>.

In particolare, i soggetti pubblici e privati possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici, nell’ambito della fase di programmazione triennale, <<proposte di intervento e studi di fattibilità>> relative alla realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità.

La presentazione non determina né diritti per il proponente, né obblighi per le amministrazioni.

La presentazione non determina infatti, per le amministrazioni destinatarie, <<alcun obbligo di esame e valutazione>>. Vi è solo una mera facoltà di adottare, nell’ambito dei programmi triennali, le proposte di intervento e gli studi ritenuti di pubblico interesse.

Tale adozione, peraltro, non dà luogo ad alcun diritto del proponente al compenso per le prestazioni compiute o alla realizzazione degli interventi proposti.

Tra i soggetti <<proponenti>> vengono inserite, mediante novella al comma 2, le camere di commercio, che, <<nell’ambito degli scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico dalle stesse perseguiti, possono presentare studi di fattibilità o proposte di intervento, ovvero aggregarsi alla presentazione di proposte di realizzazione di lavori pubblici di cui al comma 1, ferma restando la loro autonomia decisionale>>.

Infine, si stabilisce che la realizzazione di lavori pubblici o di pubblica utilità rientra tra i settori ammessi di cui all’art. 1, comma 1, lett. c-bis) del D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153.

Con il nuovo comma 2-bis, inserito dalla novella nell’art. 37-bis, si stabiliscono forme di pubblicità delle proposte dei promotori.

La pubblicità deve avvenire entro venti giorni dalla redazione dei programmi, e serve a rendere noto che nei programmi sono presenti interventi realizzabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica.

La pubblicità avviene mediante avviso indicativo da pubblicarsi con ben sei differenti modalità:

anzitutto tutte quelle di cui all’art. 80 del regolamento generale (gazzetta ufficiale della Unione europea, gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, almeno due quotidiani a diffusione nazionale e almeno due quotidiani a diffusione regionale);

in secondo luogo, affissione presso la sede dell’amministrazione per almeno sessanta giorni consecutivi;

in terzo luogo, pubblicazione dell’avviso sul sito informatico individuato con D.P.C.M. ai sensi dell’art. 24, L. 24 novembre 2000, n. 340, quando tale sito sarà istituito;

ancora, se istituito, sul sito informatico dell’amministrazione aggiudicatrice;

infine, l’avviso è trasmesso all’Osservatorio dei lavori pubblici, che a sua volta <<ne dà pubblicità>>.

Tali modalità costituiscono per legge veri e propri <<obblighi di comunicazione>> fermi i quali le amministrazioni hanno anche facoltà di pubblicare lo stesso avviso facendo ricorso a differenti modalità, purché nel rispetto dei principi di cui all’art. 1, comma 1, legge Merloni (tempestività, trasparenza e correttezza, nel rispetto del diritto comunitario e della libera concorrenza tra gli operatori).

In via transitoria, la pubblicazione dell’avviso indicativo non è necessaria entro la data del 30 giugno 2002, per i programmi già approvati alla data di entrata in vigore della L. n. 166 del 2002. Però se entro la data del 30 giugno 2002 non sono pervenute proposte, si fa luogo a pubblicazione dell’avviso indicativo (art. 7, comma 2, L. n. 166 del 2002).

Con il nuovo comma 2-ter dell’art. 37-bis, vengono estesi al procedimento che prende avvio con la proposta del promotore (non anche la proposta del <<proponente>> dalla quale non deriva se non la facoltà dell’amministrazione di prenderla in considerazione) i principi di cui alla L. n. 241 del 1990, in quanto si stabilisce che entro quindici giorni dalla ricezione della proposta le amministrazioni aggiudicatrici provvedono alla nomina e alla comunicazione al promotore del nominativo del responsabile del procedimento, nonché alla preliminare istruttoria, mediante verifica della completezza dei documenti presentati e eventuale dettagliata richiesta di integrazione.

Viene novellato anche l’art. 37-ter, che disciplina la valutazione della proposta del promotore.

In coerenza con la maggiore elasticità del termine per la presentazione della proposta (non più necessariamente il 30 giugno, ma eventualmente anche il 31 dicembre) sancita dall’art. 37-bis, nell’art. 37-ter viene meno il termine del 31 ottobre di ogni anno per la pronuncia sulla proposta, e si stabilisce il termine di quattro mesi decorrenti dalla ricezione della proposta del promotore. Peraltro tale termine è prorogabile, se necessario, su accordo scritto tra il responsabile del procedimento e il promotore, accordo avente per oggetto un più lungo programma di esame e valutazione.

Il contraddittorio tra responsabile e promotore viene ulteriormente ampliato, perché nella procedura negoziata di cui al successivo art. 37-quater (procedura negoziata in cui vengono in comparazione la proposta del promotore e quelle di altri concorrenti) il promotore può adeguare la propria proposta a quella di un terzo, che l’amministrazione abbia giudicato più conveniente. In tal caso, il promotore risulterà aggiudicatario della concessione.

Si tratta, all’evidenza, di una norma di favore per il promotore, per valorizzarne e premiarne l’impegno e l’attività propositiva.

Tale norma di favore opera anche in via transitoria per le proposte già ricevute dalle amministrazioni e non ancora istruite, alle quali viene estesa la nuova procedura di comparazione, e i termini decorrono dalla data di entrata in vigore della L. n. 166 del 2002 (art. 7, comma 2, L. n. 166 del 2002).

Una volta spostato in avanti il termine per la presentazione della proposta e conseguentemente quello per la pronuncia sulla stessa, viene differito anche quello per la successiva attività dell’amministrazione, consistente nell’indizione della gara prodromica alla procedura negoziata per l’affidamento della concessione al promotore o ad altro concorrente.

Il termine, inizialmente fissato al 31 dicembre, è ora di tre mesi decorrenti dalla pronuncia sulla proposta (art. 37-quater, comma 1, come novellato).

La gara può avvenire, ora, anche mediante appalto – concorso, procedura che viene ulteriormente valorizzata.

Altra modifica riguarda il rimborso delle spese da parte del promotore che risulti aggiudicatario agli altri partecipanti alla procedura negoziata.

Il testo originario dell’art. 37-quater, comma 5, primo periodo, così stabiliva: <<Nel caso in cui nella procedura negoziata di cui al comma 1, lettera b), il promotore risulti aggiudicatario, lo stesso è tenuto a versare all'altro soggetto, ovvero agli altri due soggetti che abbiano partecipato alla procedura, una somma pari all'importo di cui all'articolo 37-bis, comma 1, ultimo periodo. Qualora alla procedura negoziata abbiano partecipato due soggetti, oltre al promotore, la somma va ripartita nella misura del 60 per cento al migliore offerente nella gara e del 40 per cento al secondo offerente>>.

Tale norma è stata modificata anzitutto nel senso che il rimborso delle spese spetta solo se la gara è stata esperita mediante appalto – concorso e nella successiva procedura negoziata il promotore risulti aggiudicatario.

In secondo luogo nella originaria previsione la somma pari all’importo di cui all’art. 37-bis, comma 1, ultimo periodo (corrispondente alle spese sostenute per la predisposizione della proposta, comprensive anche dei diritti sulle opere d'ingegno di cui all'articolo 2578 del codice civile) era in ogni caso dovuta agli altri concorrenti, a prescindere dalla prova delle spese sostenute.

Invece, nella nuova disciplina è dovuto solo il rimborso delle spese sostenute e documentate, nel limite massimo dell’importo di cui all’art. 37-bis, comma 1, ultimo periodo.

Infine, nella vecchia disciplina la somma doveva essere ripartita forfetariamente nella misura del 60% al migliore offerente (diverso dal promotore) e del 40% al secondo migliore offerente. Emergeva, dunque, con chiarezza, che non si trattava di un rimborso spese vero e proprio, ma di una indennità – premio per l’offerta presentata.

Ora, invece, trattandosi di rimborso spese vero e proprio, va ripartito in proporzione alle spese effettivamente sostenute dagli altri due offerenti, e non in base alla bontà delle offerte.

Da ultimo, va segnalato un refuso nel nuovo art. 37-quater comma 5, che sostituisce il rinvio all’<<art. 37-bis, comma 1, ultimo periodo>> con il rinvio all’<<art. 37-bis, comma 1, quinto periodo>>.

Nel sovraffollamento di modifiche apportate all’art. 37-bis, comma 1, il legislatore non si è reso conto che il quinto periodo del comma 1 dell’art. 37-bis non riguarda le spese sostenute dal promotore, ma una diversa materia introdotta dalla novella, mentre le spese sono disciplinate dal sesto e settimo periodo (penultimo e ultimo).

Meglio e più chiaro sarebbe stato, dunque, lasciare invariato l’originario rinvio.

Nel corpo dell’art. 37-quater è stato abrogato il comma 6, a norma del quale <<I soggetti aggiudicatari della concessione di cui al presente articolo sono obbligati, in deroga alla disposizione di cui all'articolo 2, comma 4, terzultimo periodo, ad appaltare a terzi una percentuale minima del 30 per cento dei lavori oggetto della concessione. Restano ferme le ulteriori disposizioni del predetto comma 4 dell'articolo 2>>.

Tale abrogazione è coerente con le modifiche introdotte nell’art. 2, al cui commento si rinvia, che consentono maggiore libertà per il concessionario nell’affidamento a terzi mediante appalto di una percentuale dei lavori oggetto della concessione.

Si ricorda qui sinteticamente che non vi è più l’obbligo legale, per i concessionari, di appaltare una percentuale minima dei lavori, ma tale impegno può essere facoltativamente imposto dalle stazioni appaltanti con espressa previsione del contratto di concessione, ovvero può formare oggetto di una dichiarazione contenuta nell’offerta del concorrente su invito delle stazioni appaltanti.

La regola generale introdotta nell’art. 2, vale ora pure per il concessionario di opera proposta dal promotore finanziario.

Nell’art. 37-quinquies, relativo alle società di progetto viene inserito un nuovo comma 1-ter, volto a dettare una più dettagliata disciplina del rapporto tra stazione appaltante e società di progetto.

Va, sinteticamente, ricordato, che in base alla disciplina già vigente sia nel caso di aggiudicazione di concessione ai sensi dell’art. 37-quater (vale a dire sulla base della proposta del promotore), sia nel caso di aggiudicazione di una concessione per la realizzazione e/o gestione di una infrastruttura o di un nuovo servizio di pubblica utilità ha la facoltà, dopo l'aggiudicazione, di costituire una società di progetto in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, anche consortile. La società così costituita diventa la concessionaria subentrando nel rapporto di concessione all'aggiudicatario senza necessità di approvazione o autorizzazione. Tale subentro non costituisce cessione di contratto. Il bando di gara può, altresì, prevedere che la costituzione della società sia un obbligo dell'aggiudicatario.

Il nuovo comma 1-ter ribadisce che il subentro della società di progetto all’originario aggiudicatario non costituisce cessione di contratto, e che la società diviene a sua volta concessionaria. Aggiunge che il titolo di concessionaria si acquisisce <<a titolo originario>> e che la società di progetto sostituisce l’aggiudicatario in tutti i rapporti con l’amministrazione concedente.

Sono poi stabilite alcune garanzie per la stazione appaltante nel caso di pagamento di un prezzo in corso d’opera.

In tale ipotesi, i soci della società di progetto restano solidalmente responsabili con la società nei confronti dell’amministrazione per l’eventuale rimborso di quanto percepito.

In alternativa, la società di progetto può fornire alla pubblica amministrazione garanzie bancarie e assicurative per la restituzione delle somme ricevute a titolo di prezzo in corso d’opera, con effetto liberatorio per i soci.

Tali garanzie cessano alla data di emissione del certificato di collaudo dell’opera.

Altro aspetto che viene regolato per meglio garantire le stazioni appaltanti è quello relativo alla cessione delle quote della società di progetto.

Si stabilisce che spetta al contratto di concessione stabilire le modalità per la eventuale cessione delle quote della società di progetto, fermo restando che i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione sono tenuti a rimanere nella società e a garantire, nel limite della propria quota, il buon adempimento degli obblighi della società concessionaria sino alla data di emissione del certificato di collaudo. Tali limiti alla cessione non valgono nel caso di ingresso nel capitale sociale della società di progetto o di smobilizzo delle partecipazioni da parte di banche o altri investitori istituzionali che non abbiano concorso a formare i requisiti per la qualificazione. Tali soggetti possono intervenire, infatti, in qualsiasi momento.

Quanto al finanziamento delle società di progetto, v. oltre, sempre nel presente paragrafo.

Altre norme in materia di promotore finanziario e società di progetto non sono state inserite nella legge Merloni, ma rimangono direttamente nella L. n. 166 del 2002.

L’art. 8, L. n. 166 stabilisce che l e stazioni appaltanti, per realizzare interventi riguardanti le aree depresse del Paese, possono avvalersi, per le attività tecniche, economiche e finanziarie occorrenti, delle convenzioni con la Sviluppo Italia Spa. Tali interventi potranno essere realizzati <<anche mediante finanza di progetto>>.

L’art. 9, L. n. 166 contiene una delega al governo in materia di finanziamento delle società di progetto. Il Governo è delegato ad adottare entro dodici mesi dall’entrata in vigore della L. n. 166 un decreto legislativo inteso ad agevolare anche con opportune deroghe alle previsioni del codice civile in materia, il finanziamento delle società di progetto concessionarie o contraenti generali, da parte delle banche, attenendosi ai seguenti principi e criteri direttivi:

a) la società finanziata potrà cedere, alle banche che erogano i finanziamenti, i propri crediti, ivi inclusi quelli verso il concedente o committente, senza il consenso del contraente ceduto; norma analoga è dettata per la società di progetto del contraente generale dall’art. 9, comma 11, D.Lgs. n. 190 del 2002, che si commenta nel paragrafo che segue;

b) la società finanziata potrà costituire, in favore della banca che eroga i finanziamenti, privilegio generale su tutti i beni ed i crediti della società stessa, anche a consistenza variabile;

c) i diritti dei terzi contraenti delle società finanziate dovranno essere salvaguardati con adeguate forme di pubblicità, attraverso lo strumento del registro delle imprese;

d) mantenimento del capitale sociale al fine di salvaguardare la capacità di rimborso del finanziamento.

20.2. Il promotore di infrastrutture e la società di progetto del contraente generale

Ulteriori norme in tema di promotore e di società di progetto sono dettate dall’art. 8, D.Lgs. n. 190 del 2002, per la realizzazione di infrastrutture strategiche.

Quanto al promotore di infrastrutture, le norme peculiari riguardano anzitutto i termini per la presentazione della proposta del promotore.

La disciplina generale di cui all’art. 37-bis della legge Merloni, che prevede la presentazione della proposta entro il 30 giugno ovvero il 31 dicembre di ciascun anno, si applica per le proposte relative ad infrastrutture solo in via residuale.

Ma la regola ordinaria è quella che il procedimento prende avvio mediante una <<sollecitazione pubblica>> delle proposte dei promotori.

In particolare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblica sul proprio sito informatico, e, una volta istituito, sul sito informatico individuato dal P.C:M. ai sensi della L. n. 340 del 2002, nonché sulle gazzette ufficiali italiana e comunitaria, <<la lista delle infrastrutture per le quali il soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione di proposte da parte di promotori ai sensi dell’art. 37-bis della legge quadro, precisando, per ciascuna infrastruttura, il termine non inferiore a quattro mesi entro il quale i promotori possono presentare le proposte nonché l’ufficio competente a riceverle e presso il quale gli interessati possono ottenere le informazioni utili>> (art. 8, comma 1, D.Lgs. n. 190).

Non vengono prese in esame le proposte pervenute oltre la scadenza del termine (art. 8, comma 2).

Solo se tale avviso non venga pubblicato, il promotore ha facoltà di presentare la proposta nel rispetto dei termini di cui all’art. 37-bis, legge Merloni.

Se la proposta viene valutata di pubblico interesse da parte del soggetto aggiudicatore, quest’ultimo promuove, se necessaria, la procedura di v.i.a. (valutazione di impatto ambientale) e quella di localizzazione urbanistica (art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 190).

La proposta del promotore viene poi valutata anche dal CIPE, unitamente al progetto preliminare (art. 8, comma 4, D.Lgs. n. 190). Se il CIPE non ritiene di approvare la proposta può rimetterla alla stazione appaltante per una nuova istruttoria o per la realizzazione dell’opera con diversa procedura.

La gara di cui all’art. 37-quater, prodromica alla procedura negoziata per l’affidamento in concessione dell’opera oggetto della proposta del promotore, nel caso di infrastrutture viene bandita entro un mese dalla approvazione da parte del CIPE del progetto preliminare. La gara si svolge non secondo le regole di cui all’art. 3-quater, bensì secondo quelle di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 190, commentato nei parr. 11 e 12.2. del presente lavoro. La gara si svolgerà pertanto mediante licitazione privata o appalto concorso; alla stessa seguirà la procedura negoziata che invece continua a svolgersi secondo le regole della legge Merloni.

Quanto alla società di progetto del contraente generale, l’art. 9, comma 6, D.Lgs. n. 190 del 2002 stabilisce che se il contraente generale è costituito da più soggetti, lo stesso provvede alla esecuzione unitaria dei propri compiti a mezzo di società di progetto.

La società di progetto del contraente generale è regolata dall’art. 37-quinquies della legge Merloni, e dalle specifiche disposizioni contenute nell’art. 9, commi 10, 11 e 12, D.Lgs. n. 190.

Mentre nell’art. 37-quinquies la costituzione di società di progetto è solo facoltativa per l’aggiudicatario, nel D.Lgs. n. 190 è obbligatoria se il contraente generale è costituito da più soggetti.

Come nell’art. 37-quinquies, anche nel D.Lgs. n. 190 la società di progetto ha forma di società per azioni o a responsabilità limitata, anche consortile, e il bando indica il capitale minimo della società di progetto (art. 9, comma 10).

Alla società di progetto del contraente generale possono partecipare, oltre ai soggetti componenti, il contraente generale, istituzioni finanziarie, assicurative e tecnico operative preventivamente indicate in sede di gara.

Come nell’art. 37-quinquies la società di progetto subentra al contraente generale in tutti i rapporti con la stazione appaltante, senza che il subentro costituisca cessione di contratto e senza alcuna autorizzazione. Restano però salve le necessarie verifiche antimafia.

L’art. 9, D.Lgs. n. 190 detta una disciplina analoga a quella contenuta nel nuovo comma 1-ter dell’art. 37-quinquies, legge Merloni, introdotto dalla L. n. 166 del 2002, in tema di responsabilità solidale dei soci della società di progetto e di cessione delle quote della società.

Nell’art. 37-quinquies, comma 1-ter, si stabilisce che i soci sono solidalmente responsabili con la società di progetto, verso la stazione appaltante, per la eventuale restituzione del prezzo percepito, ma tanto solo nel caso di versamento di un prezzo in corso d’opera.

Più arruffata è la disciplina contenuta nell’art. 9, comma 10, D.Lgs. n. 190: invero, nell’affidamento a contraente generale, non necessariamente il prezzo viene pagato in corso d’opera; ma la responsabilità solidale dei soci sembra prevista in ogni caso, e non solo in caso di pagamenti in corso d’opera: tale responsabilità solidale, poi, non ha ad oggetto, come nell’art. 37-quinquies la restituzione del prezzo percepito, bensì <<la buona esecuzione del contratto>>.

Alla maggiore ampiezza della responsabilità solidale dei soci corrisponde, peraltro, la possibilità di escluderla nel contratto di affidamento.

Peraltro, poi, viene prevista una alternativa alla responsabilità solidale dei soci identica a quella ipotizzata dall’art. 37-quinquies, vale a dire la prestazione, da parte della società di progetto, di garanzie bancarie e assicurative, questa volta per la sola restituzione delle somme percepite in corso d’opera, con effetto liberatorio per i soci, e con cessazione delle garanzie alla data di emissione del certificato di collaudo dell’opera.

Si evince dalla disamina delle norme una certa discrasia sull’ambito della responsabilità solidale dei soci della società di progetto del contraente generale: che una volta viene indicata come responsabilità per la buona esecuzione del contratto, e una volta come responsabilità per la restituzione delle somme percepite in corso d’opera.

Per quanto riguarda la cessione delle quote della società di progetto, la disciplina, dettata dall’art. 9, comma 11, D.Lgs. n. 190, è identica a quella contenuta nel nuovo comma 1-ter dell’art. 37-quinquies, introdotto dalla L. n. 166, per cui si rinvia al relativo commento (par. 20.1.).

In uno con la cessione delle quote societarie, peraltro, l’art. 9, comma 11, regola materia del tutto diversa, salvo che, parzialmente, nel nome, quella della cessione dei crediti del contraente generale. Si stabilisce che nel caso in cui il contraente generale ceda i propri crediti verso la stazione appaltante ad una società di factoring (ai sensi dell’art. 26, comma 5, legge Merloni, e dunque della L. 21 febbraio 1991, n. 52), la stazione appaltante non può opporsi alla cessione del credito. Come già osservato, norma analoga è prevista dall’art. 9, comma 1, lett. a), L. n. 166 del 2002, commentato nel paragrafo che precede.

Per il finanziamento della quota di valore dell’opera che deve essere realizzata dal contraente generale con anticipazione di risorse proprie (prefinanziamento dell’opera pubblica), la società di progetto può emettere obbligazioni, previa autorizzazione degli organi di vigilanza, anche in deroga ai limiti di cui all’art. 2410 cod. civ. (art. 9, comma 12, D.Lgs. n. 190).

Non viene operato, per le obbligazioni, un rinvio all’art. 37-sexies della legge Merloni, che disciplina in termini generali la emissione di obbligazioni da parte delle società di progetto, sancendo la necessità di una garanzia pro-quota mediante ipoteca.

Sicché, sembra da ritenere che l’unica garanzia richiesta sia quella specificamente indicata nell’art. 9, comma 12, vale a dire la garanzia del soggetto aggiudicatore nei limiti del proprio debito verso il contraente generale.

Si stabilisce, in particolare, che <<il soggetto aggiudicatore garantisce il pagamento delle obbligazioni emesse, nei limiti del proprio debito verso il contraente generale quale risultante da stati di avanzamento emessi ovvero dal conto finale o dal certificato di collaudo dell’opera>>.

La garanzia del soggetto aggiudicatore, sembra rendere più agevole il collocamento sul mercato delle obbligazioni, riducendo il rischio del relativo investimento per i risparmiatori.

Le modalità con cui deve operare la garanzia del soggetto aggiudicatore dovranno essere stabilite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

Le obbligazioni garantite <<possono essere utilizzate per la costituzione delle riserve bancarie o assicurative previste dalla legislazione vigente>>, e se la garanzia è prestata dallo Stato è inserita <<nell’elenco allegato allo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, di cui all’articolo 13 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni ed integrazioni>>.

E’ da ritenere che le società di progetto contraenti generali potranno avvalersi anche delle forme di finanziamento di cui all’art. 9, L. n. 166 del 2002, commentato nel paragrafo che precede, dato che tale articolo si riferisce espressamente non solo alle società di progetto concessionarie, ma anche a quelle contraenti generali.

 

21. Il nuovo art. 38-bis

Nella legge Merloni viene, infine, aggiunto un nuovo art. 38-bis, rubricato <<Deroghe in situazioni di emergenza ambientale>>. Si tratta di una previsione di carattere urbanistico, in quanto si attribuisce all’approvazione di taluni progetti definitivi da parte dei consigli comunali effetto di variante urbanistica.

Si deve trattare di progetti relativi alla realizzazione di infrastrutture di trasporto, viabilità e parcheggi, tese a migliorare la qualità dell’aria e dell’ambiente nelle città.

La previsione ha il dichiarato fine acceleratorio della realizzazione di tali opere, e la rubrica fa riferimento a situazioni di <<emergenza ambientale>>, ma la norma non ha una portata meramente transitoria, bensì di regime.

Pertanto per il futuro ogni qualvolta di tratti di interventi relativi ad opere volte a migliorare la qualità dell’aria e dell’ambiente, la approvazione dei progetti definitivi ha effetto di variante urbanistica.

 

22. Il <<minitesto unico>> in tema di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici soggetti a tutela

Nell’ambito della novella alla legge Merloni sono state introdotte numerose disposizioni che riguardano gli interventi relativi ad una particolare categoria di beni culturali soggetti a tutela ai sensi del T.U. 29 ottobre 1999, n. 490, vale a dire <<gli interventi di restauro e manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici>>.

Trattandosi di interventi relativi a beni mobili (reperti archeologici, quadri, sculture, etc..) e a superfici decorate di beni architettonici (pitture murali, soffitti decorati, e simili) si poteva porre il dubbio che si trattasse di opere o lavori pubblici in senso tecnico.

La tecnica seguita dalla novella non è stata, peraltro, di indicare tale categoria di interventi direttamente nell’art. 2, comma 1, che fornisce la definizione dei <<lavori pubblici>>, bensì di dettare, in molti dei singoli articoli, disposizioni specifiche relative agli interventi medesimi.

Si ritiene pertanto, opportuno, ricondurre ad unità il regime di tale categoria di interventi, esaminando in unico paragrafo tutte le disposizioni relative agli stessi sparse negli articoli della legge Merloni.

All’art. 2, comma 6, si stabilisce che la legge Merloni non si applica ai contratti di sponsorizzazione relativi ai lavori di cui all’art. 2, comma 1, ivi compresi gli interventi di restauro e manutenzione qui in commento.

L’art. 3, comma 6, lett. l), che demanda al regolamento generale di attuazione della legge Merloni di disciplinare <<specifiche modalità di progettazione e di affidamento dei lavori di scavo, restauro e manutenzione dei beni tutelati ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089 e successive modificazioni, anche in deroga agli articoli 16, 19, 20 e 23 della presente legge>> viene novellato facendo salvo <<quanto specificatamente previsto con riferimento ai beni mobili ed alle superfici decorate di beni architettonici>>.

L’art. 8, comma 4, lett. g), in tema di durata della qualificazione conseguita tramite le S.O.A., colma una lacuna per quel che riguarda la durata della qualificazione per i soggetti che eseguono gli interventi in commento. Invero, l’art. 8, comma 11-sexies, demanda ad apposito regolamento del Ministro per i beni culturali e ambientali, sentito il Ministro dei lavori pubblici, il compito di stabilire i requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici. Il regolamento è stato emanato con D.M. 3 agosto 2000, n. 394, che, tuttavia, non indica alcun termine di durata della qualificazione. La lacuna è ora colmata dal nuovo testo dell’art. 8, comma 4, lett. g), che fissa in tre anni la durata della qualificazione per tali interventi che sia stata ottenuta prima dell’entrata in vigore del regolamento di cui all’art. 8, comma 11-sexies o nelle more dell’efficacia dello stesso. Per il futuro, invece, anche per tale categoria di interventi, la durata della qualificazione è stata ampliata a cinque anni, con verifica, tuttavia, entro il terzo anno, del mantenimento dei requisiti di ordine generale e dei requisiti di capacità strutturale da indicare nel regolamento.

L’art. 8, comma 11-sexies, che, come già osservato, demanda ad apposito regolamento di fissare i requisiti di qualificazione per le attività di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, viene integrato nel senso che tutte le stazioni appaltanti di cui all’art. 2 hanno facoltà di individuare, quale ulteriore requisito di qualificazione, l’avvenuta esecuzione di lavori nello specifico settore cui si riferisce l’intervento; ai fini della comprova di tale ulteriore requisito potranno essere utilizzati unicamente i lavori direttamente ed effettivamente realizzati dal soggetto esecutore, anche per effetto di cottimi e subaffidamenti.

L’art. 16, relativo alla progettazione, è stato novellato con l’inserzione di un comma 3-bis, relativo alla progettazione preliminare di tale categoria di interventi. Il progetto preliminare deve, per tale tipologia di lavori, <<ricomprendere una scheda tecnica redatta e sottoscritta da un soggetto con qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della vigente normativa e finalizzata alla puntuale individuazione delle caratteristiche del bene vincolato e dell’intervento da realizzare>>.

L’art. 17, comma 1, lett. d), viene novellato nel senso di comprendere tra i liberi professionisti, singoli o associati, a cui può essere affidata l’attività di progettazione dei lavori pubblici, anche <<i soggetti con qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della vigente normativa>>, naturalmente per i soli interventi di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici, soggetti a tutela.

Nell’art. 19, relativo ai sistemi di realizzazione dei lavori pubblici, viene aggiunto un comma 1-quater, in cui per tale categoria di lavori si stabilisce che gli stessi non possono essere affidati congiuntamente ad altre lavorazioni afferenti ad altre categorie di opere generali e speciali (come individuate con il regolamento generale di cui all’art. 3 e con il regolamento di qualificazione di cui all’art. 8).

Viene poi stabilito, che l’affidamento dei lavori in esame comprende, di regola, anche l’affidamento dell’attività di progettazione successiva a quella di livello preliminare.

Con tale nuova regola, viene creata una nuova figura di <<appalto – integrato>>.

Invero, l’appalto-integrato, previsto dal medesimo art. 19, comma 1, lett. b), ha per oggetto, oltre che l’esecuzione dei lavori, la sola progettazione esecutiva, ed è utilizzabile, tra l’altro, per lavori relativi ai beni culturali consistenti in manutenzione, restauro e scavi archeologici.

La nuova figura di appalto-integrato ha per oggetto anche la progettazione definitiva, oltre che quella esecutiva e l’esecuzione dei lavori pubblici: tale figura è però circoscritta ai soli lavori di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate di bene architettonici soggetti a tutela.

Nell’art. 21 viene inserito un comma 8-bis, con cui viene previsto un caso, che sembrerebbe obbligatorio, di affidamento con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per l’aggiudicazione dei lavori di restauro e manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici sottoposte alle disposizioni di tutela previste dal testo unico dei beni culturali e ambientali, di importo stimato inferiore a 5.000.000 di DSP.

Da segnalare il refuso del legislatore, che continua ad esprimersi in DSP, mentre nelle altre norme si è adeguato all’utilizzo dell’euro.

Ove si tratti di lavori di importo superiore, rimane la possibilità di utilizzare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in via facoltativa ai sensi del precedente comma 1 ter.

A differenza che nel comma 1 ter e nel comma 2 dell’art. 21, al cui commento si rinvia, dove gli elementi di valutazione sono una pluralità, e hanno carattere facoltativo, nel comma 8 bis sono indicati in maniera tassativa gli elementi di valutazione.

Dispone testualmente la norma che devono essere assunti <<quali elementi obbligatori di valutazione il prezzo e l’apprezzamento dei curricula in relazione alle caratteristiche dell’intervento individuate nella scheda tecnica di cui all’articolo 16, comma 3 bis>>, articolo già commentato.

La norma aggiunge che all’elemento prezzo dovrà essere comunque attribuita una rilevanza prevalente secondo criteri predeterminati.

La norma costituisce un eco di discipline previgenti, che nel criterio di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa imponevano di dare comunque rilevanza prevalente all’elemento del prezzo.

Appare discutibile il ripescaggio di questa regola, perché la logica di tale criterio di aggiudicazione è di tenere conto di una pluralità di elementi diversi dal prezzo e che rispetto allo stesso possono avere una importanza preponderante, e ciò tanto più in tema di appalti relativi a beni culturali, per i quali l’elemento qualitativo dovrebbe sempre essere prevalente su quello del prezzo più conveniente.

Per quanto riguarda la necessità di affidare la valutazione dell’offerta ad apposita commissione ai sensi del comma 4, valgono le osservazioni già svolte in sede di commento dell’art. 1 ter, sub art. 21.

Nell’art. 24, relativo alla trattativa privata, due sono le novità relative ai lavori di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici decorate di beni architettonici soggetti a tutela,

Prima novità, viene introdotto un nuovo comma 5-bis.

Prima di esaminarne il contenuto, occorre premettere che il testo dell’art. 24 risultante dalla Merloni ter, e anteriore all’ultima novella, dopo aver previsto tre ipotesi di ammissibilità della trattativa privata, stabiliva per il solo caso di cui al comma 1, lett. b) (lavori di importo complessivo superiore a 300.000 euro, nel caso di ripristino di opere già esistenti e funzionanti, rese inutilizzabili da eventi imprevedibili di natura calamitosa, e sempre che ricorrano motivi di imperiosa urgenza) che la trattativa fosse preceduta da gara informale cui invitare almeno 15 concorrenti.

Nelle altre due ipotesi di trattativa privata (lett. a) e c), comma 1 dell’art. 24), non era invece richiesta alcuna gara informale.

Con il comma 5 bis, introdotto dalla novella in commento, la gara informale viene richiesta anche ratione valoris, per taluni appalti di cui al comma 1, lett. c).

In particolare, l’art. 24, comma 1, lett. c), prevede la trattativa privata per appalti di importo complessivo non superiore a 300.000 euro, che si riferiscano a lavori di restauro e manutenzione di beni mobili e superfici architettoniche e decorate di cui al T.U. dei beni culturali e ambientali.

Il nuovo comma 5 bis stabilisce che se gli appalti relativi a tale tipologia di lavori sono di importo stimato superiore a 40.000 euro, l’affidamento a trattativa privata avviene mediante gara informale, cui devono essere invitati almeno 15 concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati ai sensi della legge Merloni per i lavori oggetto dell’appalto. La gara informale deve essere aggiudicata secondo il disposto dell’art. 21, comma 8 bis.

A sua volta, l’art. 21, comma 8 bis, anch’esso introdotto dalla L. n. 166 del 2002, impone di utilizzare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, assumendo quali elementi obbligatori di valutazione il prezzo e l’apprezzamento dei curricula in relazione alle caratteristiche dell’intervento individuate della scheda tecnica. Al prezzo dovrà comunque essere attribuita una rilevanza prevalente secondo criteri predeterminati.

Si rinvia, per i dettagli, al commento all’art. 21, comma 8 bis.

Ove, invece, gli appalti di cui all’art. 24, comma 1, lett. c), siano di importo inferiore a 40.000 euro, non è necessario l’esperimento di gara informale. Alle stazioni appaltanti è data infatti facoltà di affidare l’appalto a soggetti di propria fiducia, singoli o associati.

La scelta fiduciaria ha carattere solo facoltativo, sicché le stazioni appaltanti potrebbero anche rinunciarvi e utilizzare in ogni caso la gara informale.

La scelta, ancorché fiduciaria, non è assolutamente libera da vincoli, dovendo le stazioni appaltanti da un lato verificare la sussistenza, in capo all’affidatario, dei requisiti di cui alla legge Merloni, e dall’altro lato motivare la scelta del contraente in relazione alle prestazioni da affidare.

Da segnalare un refuso legislativo, perché da un lato si impone la gara informale per i lavori di importo <<superiore>> ai 40.000 euro, e dall’altro si consente la scelta fiduciaria per i lavori di importo <<inferiore>>, mentre vengono obliterati i lavori di importo <<pari>> a 40.000 euro, per i quali resta il dubbio se vadano assimilati, quanto al regime giuridico, ai lavori superiori o a quelli inferiori.

Non essendovi elementi esegetici per risolvere la questione nell’uno o nell’altro senso, non rimane che l’espediente pratico di fissare l’importo dell’appalto in misura sempre superiore o sempre inferiore all’importo di 40.000 euro, categoria, quest’ultima, rimasta priva di collocazione.

Seconda novità, viene introdotto un nuovo comma 7-bis, che consente di affidare a trattativa privata lavori complementari relativi ad un appalto già aggiudicato avente ad oggetto la tipologia di interventi in commento.

In relazione a tali tipi di appalti, l’affidabilità a trattativa privata dei lavori complementari è poi subordinata a rigidi presupposti.

Anzitutto, sono lavori complementari quelli non figuranti nell’originario progetto o contratto, che siano divenuti necessari all’intervento nel suo complesso, a seguito di circostanza non prevedibile: occorre dunque la imprevedibilità dei lavori e la loro necessità strumentale al lavoro complessivo.

In secondo luogo si deve trattare di lavori che non possano essere tecnicamente o economicamente separati dall’appalto principale senza grave inconveniente per il soggetto aggiudicatario oppure, quantunque separabili dall’esecuzione dell’appalto principale, siano strettamente necessari al suo perfezionamento.

Infine, l’importo dei lavori complementari non può complessivamente superare il cinquanta per cento dell’appalto principale.

In sintesi, i lavori complementari affidabili a trattativa privata vengono circoscritti sotto il profilo tipologico (appalti di restauro e manutenzione di beni culturali), sotto il profilo della imprevedibilità e necessità strumentale, sotto il profilo del valore complessivo (50% dell’importo dell’appalto principale).

Nell’art. 27, relativo alla direzione dei lavori, viene aggiunto un nuovo comma 2-bis in cui si stabilisce che per tale tipo di lavori <<l’ufficio di direzione del direttore dei lavori deve comprendere tra gli assistenti con funzione di direttore operativo un soggetto con qualifica di restauratore di beni culturali ai sensi della normativa vigente>>.