Interessi usurari ed anatocistici alla luce dei recenti interventi legislativi e giurisprudenziali

Intervento della dott.ssa Caterina Passarelli, Magistrato in Treviso, all'incontro del 21/02/2002 organizzato dalla Commissione referente per la formazione decentrata del CSM.

Introduzione.

L'obiettivo di questo incontro è quello di arrivare, attraverso una ricostruzione della vicenda normativa e giurisprudenziale che ha riguardato la materia, ad individuare i numerosi problemi che si pongono all'operatore giuridico ogniqualvolta si faccia questione di interessi usurari od anatocistici.

E individuare questi problemi, potrebbe essere già un buon risultato considerato che le soluzioni che possono essere prospettate appaiono destinate ad evolvere ancora.

Va sottolineato che il collegamento fra i due argomenti è rappresentato non solo dal fatto che, sia pure con diversa incidenza, essi rientrano nel più vasto tema del costo del credito, un tema di particolare delicatezza solo che si pensi agli importanti equilibri economici, politici, sociali che vi sono sottesi, ma il collegamento è segnato dal fatto che per entrambi gli argomenti si è verificata una vera e propria rivoluzione.

Una rivoluzione preannunciata da profonde trasformazioni del nostro ordinamento che certamente hanno influito sulle questioni oggi trattate: mi riferisco al processo di adeguamento ai modelli europei in vista del mercato unico; alle istanze protettive a tutela del contraente più debole e di contrasto degli abusi di posizioni contrattuali dominanti che hanno portato alle leggi in materia di trasparenza bancaria, alla legge sul credito al consumo, alla legge sulla subfornitura, alla normativa a favore del consumatore.

Su questa scia, ben si collocano la legge antiusura e la legge sulla regolamentazione dell'anatocismo.

 

GLI INTERESSI USURARI

Indice:

1. Situazione precedente la riforma - 2. La legge 108/96 - 3. Il nuovo art.1815, secondo comma, cc. - 4. Rapporto tra fattispecie penale e fattispecie civile, prima e dopo il D.Lvo 394/00 - 5. Problematiche applicative: disciplina transitoria - 6. Sopravvenuta usurarietà - 6.1. Giurisprudenza di merito - 6.2. Giurisprudenza di legittimità - 6.3. L'intervento del legislatore: il D.Lvo 394/00 e la L.24/01 - 7.Attuale disciplina: mutui a tasso fisso - 7.1 Altre operazioni - 8. Profili di incostituzionalità - 9. Interessi moratori - 10.Meccanismo di determinazione del tasso-soglia.

In materia di interessi usurari, il quadro normativo di riferimento è rappresentato dalla legge 7/3/96 n°108, dal D.L.394/00, convertito in con la L.24/01.

1. Situazione precedente la riforma.

E' inevitabile un accenno alla situazione precedente.

Prima della riforma del 1996, è noto che il reato di usura era subordinato all'accertamento:

- dell'approfittamento dello stato di bisogno;

- della esosità degli interessi.

In ambito civilistico, la qualificazione degli interessi come usurari dipendeva dalla sussistenza degli elementi che caratterizzavano il reato di usura.

Ciò, ai fini della applicazione dell'art.1815, 2° comma, cc che, nella sua precedente formulazione, alla nullità della clausola di pattuizione di interessi usurari collegava la debenza di interessi nella misura legale.

Ma non era facile individuare il reato di usura.

La prima difficoltà stava nella dimostrazione dell'approfittamento dello stato di bisogno. Questo elemento ricorreva quando il contraente avvantaggiato aveva tenuto un comportamento attivo tale da menomare la libertà contrattuale del soggetto che contraeva il debito. Questi doveva trovarsi in uno stato di bisogno, vissuto come una situazione di assillo impellente, al punto da essere pronto ad accettare le esose condizioni offerte dall'usuraio.

Se, invece, il contraente avvantaggiato, nella consapevolezza dello stato di bisogno, si fosse limitato a trarre profitto dal negozio, non si incorreva nella sanzione di nullità, ma poteva ricorrere la contigua ipotesi di rescindibilità (Cass.628/97; 9021/93; 5956/79; 1426/74 e altre).

La seconda difficoltà era rappresentata dal concetto di esosità degli interessi.

Si poteva avere interesse usurario quando il tasso pattuito era eccessivo, esorbitante, sproporzionato rispetto ai tassi correnti o di mercato e tale valutazione era rimessa alla discrezionalità del giudice di volta in volta, a seconda del caso concreto.

In mancanza di un criterio fisso per la individuazione del limite del tasso usurario, è evidente che il rischio era di una disparità di trattamento fra caso e caso e di uno spostamento di fatto verso l'alto della soglia massima consentita. Stando alla prevalente giurisprudenza nel periodo anteriore alla riforma, era considerato usurario l'interesse del 100% annuo.

Ora, la difficoltà di dimostrare l'approfittamento dello stato di bisogno e la soglia elevata e al tempo stesso incerta di usurarietà, restringevano l'area delle operazioni creditizie qualificabili illecite e lasciavano spazio per la pattuizione di interessi in misura superiore a quella legale ma non tanto da essere considerati usurari.

Il pagamento spontaneo di interessi ultralegali, veniva considerato adempimento di una obbligazione naturale, come tale non ripetibile (Cass.1995/73; 3604/68).

2. La Legge 7/3/96 n°108

Nel contesto appena descritto, si inserisce la nuova L.108/96.

L'esigenza era quella di introdurre nell'ordinamento nuovi e più efficaci strumenti di lotta contro il fenomeno criminale dell'usura attraverso l'eliminazione di quegli elementi che ostacolavano la repressione del reato: sono stati, pertanto, completamente riscritti l'art.644 cp e l'art.1815, 2° comma, cc.

L'art.1 della Legge ha abrogato l'art.644 bis cp, che disciplinava la cosiddetta usura impropria ed ha, nel contempo, completamente modificato l'art.644 cp.

La novità è innanzitutto rappresentata dalla eliminazione dalla struttura del reato - nel dichiarato intento di rendere più incisivo il tentativo di reprimere il grave fenomeno criminale - l'elemento soggettivo costituito dall'approfittamento dello stato di bisogno.

Altro elemento di novità è il meccanismo di individuazione dell'illecito.

Il 3° comma del 644 c.p. introduce due criteri per la qualificazione dell'interesse come usurario:

1) un criterio obiettivo: la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Tale limite, cosiddetto tasso soglia, viene individuato in modo obiettivo, dall'art.2 della L.108/96. Il primo comma di tale articolo demanda al Ministero del Tesoro, sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio Italiano dei cambi, di rilevare per ciascun trimestre il TEGM degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli appositi elenchi e, in base al 4° comma, il tasso medio risultante dall'ultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà, costituisce la soglia, varcata la quale gli interessi sono automaticamente qualificati usurari. Ad esempio, nel trimestre gennaio-marzo 2001, il tasso medio su base annua per le operazioni rientranti nella categoria dei mutui era del 6,93%, perciò il tasso soglia era il 10,395% (6,93+ il 50% di tale percentuale);

2) un criterio soggettivo o residuale: sono, altresì, usurari gli interessi, anche se inferiori al limite legale, che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto ed al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizione di difficoltà economica o finanziaria.

Il modello a cui si è ispirata la nuova disciplina del credito usurario è quello francese.

In Francia, infatti, la legge 1010 del 28/12/66, parzialmente modificata dalla L.n°89 del 1989 ed inserita nel Code de la consommation del 1993, considera usurario ogni prestito concesso ad un tasso effettivo globale che, al momento della concessione, supera di oltre un terzo il tasso effettivo medio praticato, nel corso del trimestre precedente, dagli Istituti di credito. Addirittura, la limitazione all'autonomia privata è maggiore in Francia rispetto alla scelta del legislatore italiano che individua la soglia nel superamento della metà del TEGM (c'è, comunque, sempre il temperamento del criterio residuale).

Si temeva un paradossale effetto di razionamento del credito in conseguenza del nuovo sistema di accertamento degli interessi usurari che, invece, non si è verificato. D'altro canto la trentennale esperienza francese aveva dimostrato l'infondatezza di un tale timore.

3. Il nuovo art.1815, secondo comma, cod. civ.

L'art.4 della L.108/96, poi, ha modificato l'art.1815, secondo comma, cc, sostituendo all'originario meccanismo della riduzione del tasso usurario alla misura legale, la previsione secondo cui "se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi".

Il legislatore ha così introdotto una rilevante deroga al principio della naturale produttività di interessi delle obbligazioni pecuniarie: Inzitari, giustamente, ha rilevato che una modificazione di imperio della natura del mutuo, da onerosa in natura assolutamente gratuita, costituisce la sanzione probabilmente più grave che sia mai stata applicata.

La norma, infatti, viene fatta rientrare tra le sanzioni civili indirette; alcuni autori parlano di una pena privata.

Secondo quanto si legge nei lavori preparatori, la scelta legislativa di modificare l'art.1815, 2° comma, cc nel senso che si è detto, è stata dettata da due esigenze:

- da un lato, rafforzare al massimo gli strumenti di tutela contro il fenomeno dell'usura, attraverso una norma di contenuto afflittivo ed obbediente ad una logica eminentemente sanzionatoria;

- dall'altro, privilegiare l'esigenza di conservazione del contratto ed evitarne la declaratoria di nullità che avrebbe altrimenti imposto al mutuatario l'immediata restituzione del capitale percepito, aggravando così proprio la posizione del mutuatario, ossia il soggetto bisognoso di tutela.

Certo è che è stato introdotto un limite alla negoziabilità degli interessi e il controllo sugli atti di autonomia privata non è più riferito solo ai casi più gravi, come per il passato, ma è senz'altro più esteso, con la positiva conseguenza che possono essere contrastati anche piccoli abusi e vessazioni, certamente tali da non destare grande allarme sociale, ma ritenuti anch'essi meritevoli di una qualche tutela.

Lo scopo della legge era quello di introdurre nuovi ed efficaci strumenti di lotta al fenomeno criminale dell'usura e, certamente gli aspetti penalistici rappresentavano l'obiettivo primario della riforma, tuttavia, le notevoli ripercussioni che la legge ha provocato nei rapporti privatistici, hanno finito con lo spostare l'attenzione dal campo penale a quello civile. E forse il legislatore non aveva tenuto presente gli effetti che la riforma aveva provocato posto che, anche con i successivi interventi, non ha avuto una visione coerente con le diverse finalità della norma.

4. Il rapporto fra fattispecie penale e fattispecie civile nella nuova legge, prima e dopo il D.L.394/00.

L'art.1815 c.c., secondo comma, è autonomamente applicabile tanto che si è parlato di usura penale e di usura civile, come di fattispecie distinte.

Il collegamento fra le due fattispecie, tuttavia, è dato dal recepimento del meccanismo di individuazione dell'illecito.

E' vero che ai fini della definizione di interesse usurario, manca un esplicito rinvio al codice penale, tuttavia, non può essere messo in dubbio che ogni qualvolta in determinate fattispecie civilistiche rilevi l'usurarietà dell'interesse, deve farsi ricorso alla nozione di usura, valida in ambito penalistico.

Quindi, dovendo recepire agli effetti civili, la nozione penale di usura, non si può prescindere dalla individuazione del momento consumativo del reato.

La soluzione non è semplice, specie dopo l'intervento del legislatore del 2000.

A) Prima dell'intervento del legislatore con il D.L.394/00, sulla questione si era pronunciata la 1° sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 22/10/98.

Una sentenza che aveva un indubbio riflesso civilistico per la ricostruzione innovativa del reato di usura dopo la L.108/96.

La SC, seguendo il diverso atteggiamento del legislatore verso l'usura, aveva superato l'indirizzo interpretativo precedente secondo cui l'usura era un reato istantaneo con effetti eventualmente permanenti ed aveva affermato che la promessa di un interesse o di un compenso usurario non è in grado di esaurire la condotta tipica della fattispecie criminosa di cui all'art.644 cp perchè altrimenti:

- si verrebbe a degradare la periodica e prolungata corresponsione da parte della vittima degli interessi usurari ad un post factum penalmente irrilevante;

- ci sarebbe incompatibilità con la previsione della decorrenza della prescrizione dall'ultima riscossione degli interessi (art.644 ter cp).

In realtà, la dazione effettiva fa parte a pieno titolo del fatto lesivo e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo sostanziale del reato.

Più che un reato permanente, il reato di usura deve ritenersi a consumazione prolungata, caratterizzata da unicità di azione e da un evento che continua a prodursi nel tempo.

Da tale impostazione, la Cassazione fa discendere la responsabilità penale, per concorso nel delitto di usura di quei soggetti che, pur non avendo partecipato all'accordo degli interessi, hanno successivamente riscosso le rate successive.

B) Con il D.L.394/00, intitolato "interpretazione autentica della L.7/3/96 n°108", il legislatore ha stabilito che "ai fini dell'applicazione dell'art.644 cp e dell'art.1815 cc, 2° comma, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal loro pagamento".

Il D.L. doveva essere la risposta ai problemi che la L.108/96 presentava in ordine all'applicazione dello jus superveniens ai contratti stipulati prima della legge.

Tuttavia, scelto l'atto come momento identificativo per la qualificazione di un interesse come usurario, il legislatore non ha considerato importanti conseguenze che discendevano da una norma dichiaratamente interpretativa.

Secondo Farina, in realtà, si tratta di una norma abrogativa.

Attraverso una pretesa "interpretazione" dell'art.1 della legge 108/96 si è pervenuti alla eliminazione di una delle due condotte autonomamente ritenute punibili dall'art.644 cp: le due condotte autonomamente punibili sono il farsi promettere e farsi dare interessi o altri vantaggi usurari. Mentre restano penalmente rilevanti la promessa e la dazione di altri vantaggi usurari, diverrebbe penalmente rilevante solo la promessa di interessi usurari.

L'interpretazione abrogativa è riferita alla condotta del farsi dare interessi usurari.

A prescindere da profili di legittimità costituzionale ex art.3 Cost, si avranno due diversi momenti consumativi dello stesso reato a seconda che il corrispettivo della prestazione di denaro siano gli interessi oppure altri vantaggi usurari: nel secondo caso la condotta tipica risulta integrata anche o soltanto dal farsi dare mentre nel primo caso rileva solo la promessa.

La legge di conversione del decreto 394/00, non ha risolto i dubbi sul momento consumativo del reato.

Rimane, dunque, il contrasto fra l'identificazione di tale momento nella stipulazione del contratto e la decorrenza del termine prescrizionale ex art.644 ter cp. Tale norma fissa la decorrenza di tale termine nell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale, per cui, secondo l'art.158 cp, questo dovrebbe essere il giorno della consumazione.

5. Problematiche applicative della L.108/96

E il problema della individuazione del momento a cui fare riferimento per la qualificazione del carattere usurario degli interessi si riflette sopratutto sulla dibattuta questione della sopravvenuta usurarietà degli interessi pattuiti nei contratti di finanziamento stipulati prima della legge e nei rapporti a lunga durata.

Innanzitutto, la L.108/96 non prevede alcuna disciplina transitoria.

Il legislatore si è preoccupato di disciplinare soltanto l'ipotesi di interessi maturati tra la data di entrata in vigore della legge e la prima rilevazione trimestrale, disponendo che fino alla pubblicazione della prima rilevazione trimestrale è considerato usurario l'interesse valutato tale alla stregua del criterio residuale di cui si diceva (art.3).

Ma il problema si poneva, e forse si pone ancora,

- per tutti i contratti di finanziamento di vario genere stipulati anteriormente alla entrata in vigore della legge, in cui il tasso di interesse, originariamente lecito, sia risultato usurario rispetto il tasso soglia, una volta entrata in vigore la L.108/96.

- per tutti quei contratti in cui il tasso sia originariamente lecito, in quanto inferiore o corrispondente al tasso soglia vigente nel trimestre per quella categoria di operazioni, ma che nel prosieguo del rapporto, per effetto di una diminuzione del tasso di raffronto (TAEG), risulti superiore a quest'ultimo. Il tasso soglia, infatti, segue l'andamento del mercato e, quindi, può aumentare o diminuire, continuamente,

E' il discusso problema della sopravvenuta usurarietà che non ha del tutto perso di rilievo con l'entrata in vigore del D.L.394/00, convertito in legge, con modificazioni dalla L.24/01.

6. Sopravvenuta usurarietà.

Lasciando da parte la dottrina, è importante vedere come il problema della sopravvenuta usurarietà sia stato risolto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, prima dell'intervento del legislatore secondario del 29/12/00, così come è importante verificare se il problema sia stato completamente superato dal nuovo intervento legislativo o se esso ponga questioni di incostituzionalità.

6.1. la giurisprudenza di merito.

Le tesi che si erano formate, prima della scelta legislativa, erano contrapposte:

1) secondo una parte della giurisprudenza, il tempo in cui andava rapportato l'accertamento circa il carattere usurario degli interessi era quello della dazione. E vari argomenti deponevano a favore di tale tesi:

- la individuazione di un Taeg consente di rilevare in modo automatico ed obiettivo il tasso di interesse, non solo nel momento dell'atto, ma anche durante tutto il rapporto. Se non doveva essere usurario il tasso di interesse all'inizio del rapporto non doveva esserlo nemmeno nel prosieguo;

- era sanzionato penalmente ed autonomamente il comportamento di chi si faceva dare interessi o altri vantaggi usurari;

- il termine per la decorrenza del termine prescrizionale, secondo l'art.644-ter introdotto dall'art.11 della L.108/96, decorre dal giorno dell'ultima riscossione: non avrebbe avuto senso se tale momento non aveva rilevanza.

Le conseguenze che venivano tratte da tale impostazione erano le più varie.

Merita ricordare alcune pronunce.

Tribunale di Milano 13/11/97: "è nulla la clausola contrattuale con la quale sono convenuti interessi superiori al tasso soglia come stabilito dalla L. 108/96. Pertanto, a seguito della nullità della clausola, vanno riconosciuti gli interessi nella misura legale".

Tribunale di Firenze 10/6/98: "La nuova legge 108/96 punisce sia la mera promessa che la effettiva dazione di interessi usurari...a nulla rilevando che l'accordo per il pagamento di tali interessi sia intervenuto prima della entrata in vigore della norma incriminatrice. Tuttavia, non trova applicazione la sanzione prevista dall'art.1815, 2° comma, cc - così come novellato dalla'art.4 L.108/96 - secondo cui gli interessi non sarebbero dovuti nemmeno nella misura legale, in quanto al tempo della conclusione del contratto di mutuo gli interessi del 15% annuo non erano usurari e la clausola non può ritenersi affetta da nullità originaria. Sicchè il debitore è tenuto a pagare non gli interessi convenuti, ma quelli ancorati al tasso soglia dell'ultima rilevazione e cioè il 12,43%, anche se superiori al tasso legale".

2) secondo altra giurisprudenza, il tempo in relazione al quale un tasso di interesse poteva dirsi usurario era riferito al momento della stipulazione.

In sostanza, lo schema di tale orientamento poggia sui seguenti argomenti:

- il contratto di mutuo è un contratto essenzialmente reale che si perfeziona con la consegna da parte del mutuante al mutuatario di determinate quantità di denaro o di altre cose fungibili;

- l'obbligo di restituzione del denaro prestato sorge quando la somma mutuata è posta nella disponibilità del mutuatario (Cass.5193/99; 12123/90) e non di volta in volta con la scadenza delle singole rate. La restituzione di rate di mutuo non costituisce esecuzione di obbligazioni sorte posteriormente all'entrata in vigore della legge, ma di obbligazioni sorte anteriormente e ciò non solo per il capitale ma anche per gli interessi entrando anche questi a far parte dell'unica obbligazione restitutoria sorta al momento della consegna del denaro;

- non può applicarsi l'art.185 disp. att. cc che estende la disciplina del 2° comma dell'art.1815 cc ai contratti di mutuo sorti anteriormente all'entrata in vigore del codice. In primo luogo, la norma fa un riferimento temporale preciso alla data di entrata in vigore del codice e la legge 108/96 non ha toccato la norma. Inoltre, non può essere applicata nemmeno in via analogica posto che fa riferimento ai contratti di mutuo produttivi di interessi usurari fin dalla origine, mentre oggi si discute di contratti di mutuo in cui gli interessi, pattuiti in misura lecita, siano diventati usurari nel corso del rapporto, per la introduzione del nuovo meccanismo di determinazione del tasso usurario.

Tribunale di Roma 4/6/98: "Nel contratto di mutuo la consegna del denaro fa sorgere contestualmente l'obbligazione del mutuatario di restituire capitale ed interessi, in un'unica soluzione o in più rate, secondo un piano di restituzione ad oggetto determinato o determinabile. Ne consegue che la dazione di rate di mutuo con interessi superiori all'attuale tasso-soglia, stabilito dalla L.108/96, non costituisce illecito nè penale nè civile, allorchè concerna l'unica obbligazione restitutoria sorta al momento della consegna del danaro, avvenuta prima dell'entrata in vigore della nuova legge. Ciò comporta l'inapplicabilità dello jus superveniens, anche se di carattere imperativo, ai contratti di mutuo sorti anteriormente all'entrata in vigore della nuova legge; applicazione che condurrebbe alla aberrante conclusione di considerare operante per tali contratti anche la disposizione introdotta nel nuovo testo dell'art.1815 cc, in base al quale gli interessi non sarebbero dovuti neppure nella misura legale".

Tribunale di Palermo 7/3/00: "Poichè ai fini della operatività automatica delle clausole o o dei prezzi imposti dalla legge non è necessario che la legge preveda espressamente la conseguenza della sostituzione automatica, potendo tale circostanza desumersi dal testo o dalla ratio della legge stessa, è plausibile ritenere che la previsione dei tassi soglia - i quali altro non rappresentano se non i prezzi massimi delle operazioni di mutuo - sostituisce, anche se successiva alla formazione del vincolo negoziale, la regolamentazione pattizia nell'evenienza in cui la stessa se ne discosti in danno del mutuatario".

Tribunale di Venezia 20/9/99: La disciplina del nuovo art.1815, secondo comma, non può essere applicata ai contratti di mutuo stipulati prima dell'entrata in vigore della legge.

Va rilevato come la giurisprudenza di merito che si è pronunciata sull'argomento, a prescindere dalla decisione adottata circa il momento di riferimento per la valutazione di usurarietà degli interessi nel corso del rapporto, tende a negare la applicabilità della sanzione prevista dall'art.1815, 2° comma, cc ai contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della legge 108/96.

6.2. la giurisprudenza di legittimità.

Le pronunce della Corte di Cassazione sull'argomento sono tre e tutte di orientamento univoco: si tratta delle note sentenze 1126/00; 5286/00 e della 14899 del 17/11/00, addirittura richiamata nel preambolo del D.L.394/00.

* Cass.1126/00. Certamente la sopravvenuta L.108/96 non è retroattiva ma è senz'altro di immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente alla regolamentazione di effetti ancora in corso, quali la corresponsione degli interessi.

* Cass.5286/00.

In tema di scoperto di conto corrente, la pattuizione di interessi moratori a tasso divenuto usurario a seguito della L.108/96 è illegittima anche se compiuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge e comporta la sostituzione di un tasso diverso a quello divenuto usurario.

Il ragionamento della Corte è fondato sul combinato disposto di cui all'art.1419 comma 2 cc e all'art.1339 cc (nullità parziale sopravvenuta e sostituzione automatica di clausole nulle).

Verificandosi un concorso tra autoregolamentazione pattizia ed eteroregolamentazione normativa, l'applicabilità del 1419, comma 2, cc non può essere subordinata all'anteriorità della legge rispetto al contratto (non occorre che la norma imperativa da inserire in sostituzione nel contratto sia entrata in vigore prima del contratto stesso), poichè l'inserimento ex art.1339 cc del nuovo tasso incontra l'unico limite che si tratti di prestazioni non ancora eseguite (in tutto od in parte).

La S.C. trova la conferma di una tale tesi in vari argomenti:

- dalla pronuncia della Corte Cost. che con ord. 204 del '97 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1938 cc sulla base della considerazione che, pur avendo carattere innovativo la L.154/92 e non applicandosi retroattivamente, tuttavia, ciò non implica che la disciplina precedente acquisti carattere ultrattivo (l'innovazione legislativa, che stabilisce la nullità delle fidejussioni per obbligazioni future senza limiti di importo, non tocca le obbligazioni già sorte, ma esclude che la fidejussione possa assistere obbligazioni principali successive al divieto di garanzia senza limiti);

- dal fatto che l'obbligazione degli interessi non si esaurisce in una sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni successive; ai fini della qualificazione usuraria degli interessi, il momento rilevante è la dazione e non la stipula del contratto come si evince anche dall'art.644 ter cp (sulla decorrenza della prescrizione);

- dalla giurisprudenza penale della stessa Corte secondo cui la dazione degli interessi fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante;

- dalla considerazione che anche a non voler aderire alla configurabilità della nullità parziale sopravvenuta, comunque, non si può continuare a dare effetto alla pattuizione di interessi eventualmente divenuti usurari, a fronte di un principio introdotto nell'ordinamento con valore generale e di un rapporto non ancora esaurito.

Cassazione n. 14899 del 17/11/00. "In tema di contratto di mutuo, la pattuizione degli interessi moratori a tasso divenuto usurario, a seguito della L.7/3/96, è illegittima anche se convenuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge e comporta la sostituzione di un tasso diverso da quello divenuto ormai usurario, limitatamente alla parte di rapporto a quella data non ancora esaurito".

La pronuncia riguarda un caso in cui, stipulato un contratto di mutuo ipotecario per l'acquisto di un immobile, il mutuatario chiedeva la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta in quanto il rimborso era previsto mediante rate mensili al tasso annuo del 15,55% costante per i primi cinque anni e successivamente ad un tasso più elevato. Contro la decisione della Corte d'Appello che confermava la sentenza del primo grado, e con la quale veniva rigettata la domanda per non essere applicabile al caso di specie l'art.1 della L.108/96 nè l'art.185 disp. att. c.c., bensì, il concetto di usura ricavabile dall'art.644 cp nella sua precedente formulazione, il mutuatario presentava ricorso per cassazione sostenendo la nullità della clausola relativa agli interessi, l'applicabilità della L.108/96 anche ai contratti stipulati prima della entrata in vigore della legge e la non ricavabile abrogazione dell'art.185 disp. att. c.c.

La Corte affronta temi di portata generale con specifico riferimento al contratto di mutuo ed in particolare:

- l'art.185 disp. att. c.c. si riferisce chiaramente alla formulazione dell'art.1815 cc anteriore alla modifica apportata dall'art.4 della L.108/96, come si evince dal suo tenore letterale. Attualmente la norma è sostanzialmente inefficace dovendosi ritenere che la sua vigenza sia frutto di un difetto di coordinamento legislativo;

- sulla applicazione della novella del '96 in tema di usura ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, valgono le argomentazioni svolte con le sentenze 1126/00 e 5286/00.

La decisione della Corte di Cassazione è stata determinante per l'adozione del DL del 29/12/00 in quanto ha suscitato un ampio dibattito negli ambienti politici e finanziari anche allo scopo di intravedere rimedi legislativi, poi sfociati nel DL. e relativa legge di conversione (nel preambolo di tale decreto si fa espresso richiamo ad essa per gli effetti che può determinare in ordine alla stabilità del sistema creditizio).

6.3. L'intervento del legislatore: Decreto legislativo 29/12/00 n°394 e L.28/2//01 n°24.

La risposta del legislatore all'orientamento univoco della SC non si è fatta aspettare.

Con il Dl e con la legge, poi, si è stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal loro pagamento.

Tale disposizione è rimasta invariata con la conversione del decreto in legge.

E', invece, stato modificato il secondo comma che ora prevede la misura del tasso di interesse da sostituirsi di diritto nei contratti di mutuo a tasso fisso in essere alla data di entrata in vigore del D.L.vo, in considerazione dell'eccezionale caduta dei tassi di interesse avvenuta in Europa ed in Italia nel biennio '98-99.

La sostituzione del tasso non comporta spese per il mutuatario e si applica alle rate che scadono dopo il 2/1/01.

La sostituzione non ha efficacia novativa, dice l'art.1 secondo comma DL e questo per evitare le conseguenza negative per le parti che la novazione avrebbe potuto determinare, quali l'estinzione dell'originaria obbligazione con nuovo decorso del termine prescrizionale per il debitore e perdita delle garanzie per il creditore.

La puntualizzazione comunque non riguarda l'eventuale pattuizione tra le parti di un tasso più favorevole per il mutuatario rispetto a quello previsto per legge. In tali casi si confgura una novazione oggettiva (la modificazione del tasso determina un mutamento quantitativo dell'oggetto della prestazione realizzata attraverso la sostituzione del titolo originario) appare opportuno specificare, in sede di rinegoziazione del tasso, l'intenzione di mantenere in vita tutte le garanzie preesistenti al fine di evitare l'estinzione dei privilegi, del pegno e delle ipoteche.

7. Attuale disciplina: mutui a tasso fisso.

Per i mutui a tasso fisso si può ricavare questo prospetto:

1) per i contratti stipulati prima della L.108/96, in essere al momento della entrata in vivore del D.L.vo, vale la sostituzione automatica del tasso previsto dall'art.1 comma 2 della L.24/01 per le rate in scadenza dopo il 2/1/01 (8% per l'acquisto di case non di lusso e il valore medio del rendimento dei titoli pluriennali del Tesoro per altre ipotesi, senza distinzione tra famiglie o imprese, come faceva il D.L.);

2) per i contratti stipulati dopo la L.108/96 e prima del D.L.394/00, in essere alla data di entrata in vigore del decreto, vale il tasso di sostituzione solo per le rate scadute dopo il 2/1/01. In tali casi, tuttavia, se il tasso previsto fosse stato superiore al limite previsto dalla legge, deve trovare applicazione l'art.1815, secondo comma, cc. E, quando il tasso, legittimo al momento della pattuizione, superi l'ammontare del tasso di sostituzione senza raggiungere il limite del tasso soglia, è legittima la domanda del mutuatario di restituzione degli interessi pagati in esubero ex art.2033 cc. Lo spontaneo pagamento da parte del mutuatario di quanto non dovuto, non può costituire adempimento di una obbligazione naturale;

3) per i contratti stipulati dopo il D.L.394/00, vale il limite previsto dalla legge per i tassi usurari.

Per i mutui a tasso fisso, il legislatore ha riconosciuto, quindi, la legittimità dell'intervento sostitutivo ex art.1339 cc operato dalla giurisprudenza.

Il superamento del limite imperativo imposto dal secondo comma dell'art. 1 del decreto determina una inesigibilità parziale sopravvenuta della clausola del contratto di mutuo, nella parte in cui si prevede un tasso superiore a quello imposta, con sostituzione automatica del tasso di sostituzione previsto dal 3° comma.

Tale disciplina concorre dall'esterno nella ricostruzione del regolamento contrattuale senza che risulti in alcun modo ostativa la circostanza che la normativa cogente con funzione sostitutiva non preesista alla stipulazione del contratto. Nel mutuo a tasso fisso si prescinde dalla volontà delle parti, realizzandosi spesso un effetto neppure desiderato, almeno per la banca, in un ottica di tutela sia di un interesse generale prevalente (il controllo del costo del credito) e sia di quello individuale della parte economicamente più debole.

7.1. Altre operazioni

Per le operazioni creditizie diverse dal mutuo, è possibile l'intervento sostitutivo da parte del giudice?

Secondo alcuni, no, perché:

- il legislatore espressamente consente la sostituzione del tasso ad una determinata categoria di mutui e con una ben specifica e non retroattiva decorrenza;

- la valutazione del carattere usurario dell'interesse è riferito per legge solo al momento della pattuizione con esclusione di una valutazione nel corso del rapporto.

L'individuazione del carattere usurario degli interessi con riferimento alla pattuizione ha del tutto sganciato dallo sviluppo del rapporto tutti quei contratti in cui l'interesse è destinato a mutare nel corso del tempo per effetto dell'abbassamento del tasso soglia secondo le oscillazioni del mercato o per effetto della decisione unilaterale da parte dell'istituto finanziatore.

Vi sono dei contratti (aperture di credito in conto corrente, anticipi su crediti e sconto di portafoglio commerciale, factoring) i cui tassi vengono continuamente sottoposti a revisione anche per il fatto che alla banca è consentito l'esercizio dello jus variandi nel corso del rapporto (art.118 TUB).

E se si esclude la rilevanza del momento della dazione, la variazione del tasso oltre il limite antiusura nel corso del rapporto, rischia di non essere oggetto di alcuna valutazione nè in sede civile nè in sede penale: infatti, se si intendono usurari solo gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, il mutamento del tasso intervenuto nel corso del rapporto, a seguito dell'esercizio di tale potere, non sarà suscettibile di valutazione alcuna sotto il profilo della ricorrenza dell'usura.

L'omessa valutazione del momento della dazione potrà consentire una arbitraria elevazione del tasso rispetto a quello originariamente pattuito attraverso lo strumento dello jus variandi, senza che tale comportamento sia valutabile secondo l'attuale previsione della legge.

Rispetto ad esso al debitore spetterà solo l'esercizio del recesso, spesso a suo danno.

8. Profili di incostituzionalità [1].

La situazione delineata presenta dei profili di incostituzionalità e ciò con riferimento alle seguenti questioni:

a) l'art.1, comma 1, della L.24/01 riserva un ingiustificato trattamento di favore per le banche o altri enti creditizi per quei contratti, stipulati prima del 1996, che, alla data di entrata in vigore della legge, risultino prevedere un tasso usurario. Per essi non vale la nullità della clausola ex art.1815, secondo comma, cc ed interviene una irragionevole ed irretroattiva sanatoria del pregresso. La questione è stata sollevata dal Tribunale di Benevento con riferimento agli art.3 (ingiustificato trattamento di favore per le banche), 24 (è leso il diritto alla tutela giurisdizionale di quanti hanno agito in base al diritto vigente prima del DL), 47 (non è protetto il piccolo risparmiatore, non si incoraggia l'accesso al credito e alla proprietà, tutelando invece la posizione del contraente più forte che è legittimato a pretendere un tasso ormai divenuto usurario) e 77 Cost. (per carenza assoluta dei presupposti giustificativi della decretazione d'urgenza). La questione risulta portata in decisione dalla Corte Costituzionale il 4/12/01 e si attende il deposito della decisione che dovrebbe avvenire in questi giorni;

b) se non si ammette la sostituzione ex art.1419, secondo comma, cc, e 1339 cc del tasso di interesse che nel corso del rapporto divenga usurario, vi può essere disparità di trattamento anche per quanto riguarda i contratti stipulati dopo la L.108/96. in questo caso, verrebbe ingiustamente ristretto il campo di applicazione del nuovo meccanismo di individuazione dell'illecito;

c) il meccanismo del tasso di sostituzione per i contratti di mutuo non è destinato ad operare con riferimento alle rate scadute tra l'entrata in vigore della L.108/96 e il 2/1/01, per le quali dovrebbe mantenersi il tasso usurario, in palese contrasto con il principio di parità di trattamento. La disciplina del mutuo a tasso fisso di cui al 2° comma della L.24/01, infatti, prescinde dal limite temporale costituito dall'entrata in vigore della L.108/96 consentendo la riduzione del tasso solo per le rate scadute dopo il 2/1/01. Il Tribunale di Trento solleva la questione con ord.18/3/01.

9. Interessi moratori

Della questione se ne è già occupata la Corte di Cassazione in occasione delle sentenze già esaminate. In particolare, secondo Cass.5286/00, non vi è ragione per escludere l'applicabilità della nuova normativa anche nella ipotesi di assunzione dell'obbligazione di corrispondere interessi moratori, risultanti di gran lunga eccedenti il tasso soglia e ciò per i seguenti motivi:

- la L.108/96 ha individuato un unico criterio ai fini dell'accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell'art.1, comma 3, ha valore assoluto in tale senso;

- nel sistema era già previsto un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dall'art.1224, comma 1, cc nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura.

Nulla dice il DL, e nemmeno la L, circa la riconducibilità degli interessi moratori nel concetto di interesse usurario.

Come è noto, la giurisprudenza della SC, sul presupposto di una omogeneità di trattamento degli interessi dal punto di vista normativo ancorata al disposto di cui all'art.1224 cc, comma primo, ed avuto riguardo all'unicità del criterio dettato dal legislatore del 1996 ai fini della determinazione del carattere usurario degli interessi, ha ritenuto l'applicabilità dell'art.644 cp e dell'art.1815 cc, comma secondo, anche agli interessi moratori (Cass.5286/00).

L'orientamento non è condiviso da parte della giurisprudenza di merito. Si è difatti sostenuto che la determinazione del TEGM, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese (art.3 L.108/96), non appare suscettibile di comprendere, nemmeno in senso ampio ed atecnico, gli interessi di mora, dovuti in funzione risarcitoria ovvero anche sanzionatoria a fronte del pregiudizio cagionato dall'inadempimento (e, di fatto, gli interessi di mora e gli altri oneri assimilabili risultano esclusi dalle rilevazioni effettuate dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi). Si ritiene poi di trovare conforto a siffatta tesi dalla disciplina in materia di mutuo di cui all'art.1815 cc, la quale confermerebbe che gli interessi colpiti dalla norma sono quelli c.d. corrispettivi di cui all'art.1282 cc e non anche quelli moratori (v. anche ord. Corte Cost. 22/6/00 n°236).

Invero, l'argomento su cui la SC fonda l'equiparazione tra moratori e corrispettivi, tratto dal 1° comma 1224 cc non pare sufficiente da solo a giustificare tale equiparazione. E' stato difatti puntualmente osservato che la norma di cui all'art.1224 cc risulti ispirata al favor creditoris, esonerando quest'ultimo dalla prova dell'an e del quantum del danno da ritardo nelle obbligazioni pecuniarie e l'equiparazione degli interessi di mora agli interessi corrispettivi rileva soltanto ai fini della liquidazione forfetaria del danno e non giustifica l'assoggettamento di detti interessi di mora alle oscillazioni del TEGM nel momento in cui diviene attuale l'obbligazione risarcitoria o in quello della dazione (Trib. Roma 5/10/00).

Per la S.C., nell'unitario concetto di costo del credito, come concepito dalla L.108/96, non possono non rientrare gli interessi moratori, in difetto di alcuna distinzione o esclusione operata dalla legge.

Sovente gli istituti di credito nei contratti di finanziamento includono in via autonoma gli interessi di mora, distinguendoli dagli interessi corrispettivi. La distinzione non è solo nominalistica dato che ad essa si accompagna un significativo incremento quantitativo dell'ammontare del saggio degli interessi di mora per la funzione risarcitoria degli stessi.

E di chiara evidenza che, ai fini dell'eventuale superamento del tasso soglia, non avrebbe senso equiparare il tasso degli interessi moratori dedotto in contratto con quello individuato in sede di rilevazione trimestrale da parte della B.I. per gli interessi corrispettivi o se si preferisce compensativi. Il problema, però, nel concreto si pone in quanto ci pare manchi una rilevazione che tenga conto in via autonoma dell'ammontare degli interessi moratori praticati per singole categorie di operazioni.

Nelle Istruzioni per la rilevazione del TEGM ai sensi della legge sull'usura si legge che sono escluse dalla rilevazione le seguenti operazioni: 3) operazioni classificate a sofferenza, ossia le esposizioni nei confronti di soggetti in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall'azienda.

Accade così che il giudice che si occupa della vicenda finisca con il comparare il tasso per gli interessi moratori pattuiti con quello rilevato per i soli interessi corrispettivi, questa volta a tutto danno delle banche, in quanto notoriamente il tasso dei primi è superiore, qualche volta in termini decisamente apprezzabili, a quello dei secondi che presuppongono un regolare svolgimento del rapporto.

Sarebbe opportuno un intervento legislativo anche a carattere interpretativo o regolamentare che risolvesse il problema prevedendo un'autonoma rilevazione per singole categorie di operazioni del tasso degli interessi moratori.

10. Meccanismo di individuazione del tasso-soglia

Occorre soffermarsi un attimo sulle modalità di determinazione del tasso soglia ai fini della qualificazione di interesse usurario, secondo la prima nozione prevista dall'art.644 cp novellato.

Con D.M. viene annualmente effettuata una classificazione omogenea delle operazioni creditizie in relazione alle quali viene poi la rilevazione trimestrale e il computo dei tassi annui medi praticati nel trimestre.

Fra le operazioni creditizie non sono ovviamente ricomprese le operazioni cosiddette passive o di raccolta, vale a dire quelle con cui a loro volta le banche si finanziano: ciò risulta dalla finalità della L.108/96 ed, in particolare, dal riferimento del secondo comma dell'art.2 della L.108/96 alle garanzie delle operazioni, garanzie che non sono previste nelle operazioni di raccolta.

Il contratto di finanziamento, in relazione al quale deve essere accertata la usurarietà o meno dell'interesse pattuito, deve rientrare in una delle operazioni contemplate dal D.M., che devono tenere conto della evoluzione della tipologia dei rapporti creditizi. Infatti, una interpretazione estensiva delle categorie già classificate non è possibile più di tanto per il divieto di analogia in malam partem per la legge penale di cui all'art. 14 preleggi, per cui in mancanza della categoria cui far rientrare il contratto sospetto, occorre rifarsi alla seconda nozione di interesse usurario.

 

GLI  INTERESSI  ANATOCISTICI

Indice.

1- Introduzione - 2.Definizione di anatocismo - 3.Situazione prima delle sentenze della Corte di Cassazione del '99 - 4.L'intervento della Corte di Cassazione - 5.L'intervento del legislatore:D.L.gs.4/8/99 n°342 - 6.La sentenza della Corte Costituzionale 17/10/00 n°425 - 7.L'anatocismo nel quadro normativo attuale - 8.Il contenuto della nuova disciplina - 9.Operazioni suscettibili di anatocismo - 10.Diritto intertemporale - 11.Soluzioni percorse e percorribili dopo l'intervento dela Corte di Cassazione e dopo l'intervento del legislatore - 12. Ipotesi di soluzione favorevole alla illegittimità dell'anatocismo prima della delibera CICR - 13.Prescrizione - 14.Punti deboli del ragionamento della Corte di Cassazione.

1. Introduzione.

L'argomento si può dividere in tre parti:

1) la situazione al momento della irruzione delle sentenze delle Corte di cassazione;

2) la disciplina vigente a seguito dell'intervento del legislatore e della Corte Costituzionale;

3) i problemi di diritto intertemporale.

2. Definizione di anatocismo

L'anatocismo è quell'operazione di "conversione degli interessi in debito di capitale allo scopo di provocare la decorrenza di nuovi interessi sulla somma per tale titolo dovuta" (la definizione è di Messa, L'obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano, 1911).

Anatocismo deriva dal greco: ana = di nuovo, tokos = prodotto, interesse.

La capitalizzazione periodica degli interessi allo scopo di renderli a loro volta produttori di frutti civili, è questione da sempre dibattuta per le contrapposte esigenze che vi sono sottese:

- da un lato, anche gli interessi scaduti rappresentano una somma di denaro in ordine alla quale vale la stessa presunzione di reimpiego che giustifica la decorrenza degli interessi sul capitale;

- dall'altro, c'è sempre il rischio della trasformazione dell'anatocismo in uno strumento di usura difficilmente decifrabile.

I legislatori passati hanno sempre visto l'anatocismo con una certa diffidenza in quanto ritenuto "uno degli espedienti più raffinati ed efficaci dell'usura, di tanto maggior pericolo per i debitori incauti, quanto è minore la facilità di farsi a priori l'idea dei suoi risultati disastrosi" (Messa, op.cit.).

3. La situazione prima delle sentenze del '99

In materia di anatocismo, sono state alcune pronunce della Corte di Cassazione del 1999 a dare l'avvio a quella rivoluzione di cui si diceva all'inizio.

Fino a quel momento, il quadro normativo di riferimento era rappresentato dall'art.1283 cc.

Tale norma, di carattere imperativo e di natura eccezionale, consente l'anatocismo solo in presenza di determinate condizioni:

- deve trattarsi di interessi scaduti da almeno sei mesi;

- occorre la proposizione di una domanda giudiziale o la stipulazione di una convenzione successiva alla scadenza degli interessi.

Le finalità di questa norma sono state individuate:

- nella esigenza di prevenire il pericolo di fenomeni usurari. Si era rilevato, infatti, che una somma di denaro concessa a mutuo al tasso annuo del 5% si raddoppia in venti anni, mentre con la capitalizzazione degli interessi la stessa somma si raddoppia in quattordici anni;

- nell'intento di consentire al debitore di rendersi conto del rischio dei maggiori costi che comporta il protrarsi dell'inadempimento;

- nel consentire al debitore di calcolare, al momento di sottoscrivere l'apposita convenzione, l'esatto ammontare del suo debito.

La norma ammette la possibilità di deroga da parte di usi contrari.

Deve, comunque, trattarsi di veri e propri usi normativi, fonti del diritto secondo gli att. 1 e 8 delle disp. sulla legge in generale. Gli usi normativi consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante, frequente e pubblica di un determinato comportamento (usus) accompagnato dalla convinzione che si tratti di comportamento giuridicamente obbligatorio e cioè conforme ad una norma che già esiste o che si ritiene che debba fare parte dell'ordinamento (opinio juris ac necessitatis).

Non deve trattarsi, invece, di usi negoziali. Tali usi sono disciplinati dall'art.1340 cc e consistono nella semplice reiterazione di comportamenti ad opera delle parti di un rapporto contrattuale, indipendentemente non solo dell'elemento psicologico ma anche del requisito della generalità. L'efficacia d tali usi è limitata alla creazione di un precetto del regolamento contrattuale, che si inserisce nel contratto salvo diversa volontà delle parti.

E non deve trattarsi nemmeno di usi interpretativi. Tali usi sono disciplinati dall'art.1368 cc e consistono nelle pratiche generalmente seguite nel luogo in cui si è concluso il contratto o ha sede l'impresa: essi non hanno la funzione di integrazione del regolamento contrattuale, ma costituiscono soltanto uno strumento di chiarimento e di integrazione della volontà delle parti contraenti.

4. Intervento della Corte di Cassazione

Su questa premessa si inserisce l'indagine effettuata dalla Corte di Cassazione con la sentenza n°2374 del 18/3/99 al fine di verificare se fosse stata introdotta nel nostro ordinamento una deroga al divieto di anatocismo nei rapporti fra banca e cliente.

Da sottolineare che l'orientamento consolidato della SC fin dalla sentenza 6631/81 era nel senso che "....nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare ed avere, l'anatocismo trova generale applicazione in quanto sia le banche e sia i clienti chiedono e riconoscono come legittima la pretesa degli interessi da conteggiarsi alla scadenza non solo sull'originario importo versato ma anche sugli interessi da questo prodotti e ciò a prescindere dai requisiti richiesti dall'art.1283 cc".

Con la sentenza del 2374/99, quel tradizionale orientamento, ritenuto oggetto di una affermazione, basata su un incontrollabile dato di comune esperienza più che di una convincente dimostrazione, viene rivisto e la Cassazione arriva a dire che non esiste una consuetudine in base alla quale, nei rapporti tra banca e clienti, gli interessi a carico del cliente possono essere capitalizzati ogni trimestre.

Perchè:

  • prima del '42, data di entrata in vigore del codice civile, non esisteva alcun uso che autorizzasse la capitalizzazione trimestrale degli interessi;
  • le cosiddette NBU predisposte dall'associazione di categoria (ABI) non hanno natura normativa, ma solo pattizia. Esse costituiscono proposte di condizioni generali di contratto indirizzate dall'associazione alle banche associate ed assumono rilevanza in tanto in quanto siano richiamate nel contratto ex artt.1341 e 1342 cc. La capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti a debito dal cliente è stata prevista per la prima volta dalle NBU in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi a decorrere dal 1° gennaio '52;
  • non è mai stata accertata dalla Commissione speciale permanente di cui al D.Lg.vo 152/47, modificata con L.115/50, l'esistenza di un uso normativo generale di contenuto corrispondente alla clausola di capitalizzazione trimestrale;
  • l'eventuale inserimento in alcune raccolte delle Camere di Commercio riguarda l'esistenza dell'uso ma non la qualificazione della sua natura, se normativa o negoziale (in ogni caso, la raccolta di usi bancari curata dalla Camera di Commercio di Firenze, edizione 1960, definisce espressamente la clausola in questione come uso negoziale).

In continuità con l'orientamento appena indicato sono le sentenze della Corte di Cassazione n° 3096/99 e n° 12507 dell'11/11/99.

Tale ultima sentenza ravvisa nella specifica previsione contrattuale della clausola di capitalizzazione trimestrale un ulteriore argomento che dimostra la natura pattizia di essa. Se si trattasse, infatti, di un uso normativo, sarebbe bastato un richiamo a tale fonte di diritto che avrebbe operato sullo stesso piano della norma che ne consentiva l'operatività, l'art.1283 cc appunto; sarebbe stata oggetto del principio jura novit curia, e se ne sarebbe fatta applicazione indipendentemente dalle allegazioni delle parti. Non ci sarebbe stata la necessità di inserire una apposita clausola nel contratto.

Ne consegue che la clausola è nulla per violazione del divieto di cui all'art.1283 cc:

- non ci sono usi contrari;

- la convenzione è precedente alla scadenza degli interessi;

- si tratta di interessi dovuti per un periodo inferiore a sei mesi.

5. L'intervento del legislatore: il D.Lgs.4/8/99 n°342

Come per gli interessi usurari, al netto cambiamento di rotta della Cassazione è seguita la tempestiva risposta del legislatore.

Infatti, dopo il revirement della Cassazione, il legislatore ha modificato, con l'art.25 d.lgs. n°342/99, l'art.120 TUB:

1) con il primo comma dell'art.25 ha sostituito la formulazione della rubrica dell'art.120 TUB da "Decorrenza delle valute" in "Decorrenza delle valute e modalità di calcolo degli interessi;

2) con il secondo comma ha aggiunto un secondo comma all'art.120 TUB con il quale ha attribuito al CICR il potere di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria. E il CICR, con deliberazione del 9/2/00, ha provveduto a riconoscere la possibilità di capitalizzazione degli interessi creditori e debitori senza impedimento alcuno, quindi anche con frequenza giornaliera, ove pattuita, e senza porre alcun limite alla nota ampia forbice, tipica del sistema bancario italiano, tra tasso di interesse su conti debitori e tasso di interesse su conti creditori;

3) con il terzo comma, ha stabilito che le clausole anatocistiche, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera del CICR di cui al secondo comma art.120, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera che stabilirà, altresì, le modalità ed i tempi dell'adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l'inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente (art.120, comma terzo, TUB).

6. La sentenza della Corte Costituzionale 17/10/00 n°425

La conseguenza dell'intervento legislativo è stata quella di provocare la sollevazione da parte di più giudici di merito di numerose questioni di legittimità costituzionale per la carenza di delega del legislatore del '99 e per violazione dei principi di ragionevolezza e parità di trattamento.

E la Corte Costituzionale, in accoglimento della doglianza relativa all'eccesso di delega, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art.25 comma terzo che introduceva il comma terzo dell'art.120 TUB.

Il Governo era stato delegato con l'art.1, comma 5, della L. 128/98 ad emanare disposizioni integrative e correttive del testo unico bancario e la Corte, dopo aver svolto il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante ex art.76 Cost., ha affermato che, "...per quanto ampiamente possano interpretarsi le finalità di integrazione e correzione perseguite dal legislatore delegante è certamente da escludersi che la suddetta delega legittimi una disciplina retroattiva e genericamente validante, sia pure nell'esercizio del potere di armonizzazione di tale testo unico con il resto della normativa di settore".

Non è una norma interpretativa perchè non si collega a norme precedenti intervenendo sul significato normativo di queste ed introduce con efficacia innovativa e, in parte, retroattiva una indiscriminata e generale sanatoria della clausole anatocistiche illegittime anteriori alla entrata in vigore della legge delegata o anteriori alla delibera del CICR: così facendo si interrompe la necessaria consonanza fra la delega e la legge delegata.

La Corte dichiara, quindi, che l'art.25, comma 3, del D.Lgs è illegittimo " nella parte in cui stabilisce che le clausole riguardanti la produzione di interessi su interessi maturati, contenuti nei contratti stipulati anteriormente alla delibera del CICR, relativa alle modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, siano valide ed efficaci fino a tale data e che, dopo di essa, debbono essere adeguate - a pena di inefficacia da farsi valere solo dal cliente - al disposto della menzionata delibera, con le modalità ed i tempi ivi previsti".

7. L'anatocismo nel quadro normativo attuale

Come detto, l'art.120 TUB, come modificato dall'art.25 D.Lgvo 342/99, ha attribuito al CICR il potere di stabilire le modalità ed i criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria.

E il CICR con deliberazione 9/2/00, pubblicata nella G.U.22/2/00 ha esercitato il potere riconosciutole dal testo unico "tenendo conto - così si legge nel preambolo - delle peculiarità tecniche che connotano la produzione di interessi sugli interessi scaduti, nelle diverse tipologie delle operazioni bancarie e finanziarie e dell'esistenza di diverse tesi sulla configurazione della fattispecie dell'anatocismo e dunque sull'ambito di applicazione dell'art.1283 cc...".

Il CICR, con otto telegrafici articoli, ha riconosciuto la possibilità di capitalizzazione degli interessi creditori e debitori in relazione alle diverse operazioni bancarie.

Con l'entrata in vigore di tale delibera, è ormai certa la legittimità della capitalizzazione degli interessi pattuita mediante apposite clausole contenute nei contratti di erogazione del credito bancario. Tutte le fattispecie di anatocismo bancario sono disciplinate dalla delibera CICR che libera i rapporti bancari dall'influenza di regole legali diverse da quelle pattizie.

Il problema della legittimità dell'anatocismo, pertanto, rimane solo per la disciplina intertemporale e per quegli operatori del credito ai quali non si applica la norma del TUB.

Quindi, la disciplina introdotta dal CICR vale per i:

- contratti bancari stipulati dopo la data di entrata in vigore della delibera del CICR 9/2/00, ossia dopo il 22/4/00 (60 giorni dopo la sua pubblicazione in G.U: v. art.8);

- contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della delibera dopo l'adeguamento con effetto dal 1/7/00: l'art.7 della delibera CICR stabilisce che le condizioni pattuite devono essere adeguate alle disposizioni contenute nella delibera entro il 30/6/00 ed i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1° luglio '00. Se comportano un peggioramento rispetto alle condizioni in precedenza applicate, devono essere approvate dalla clientela; se non comportano un peggioramento, le banche e gli intermediari finanziari possono provvedere all'adeguamento mediante pubblicazione in G.U. e dando opportuna notizia per iscritto al cliente entro il 31/12/00.

8. Il contenuto della nuova disciplina.

1) l'art.120 TUB e l'art.2 della delibera CICR, la quale ricalca le indicazioni perentoriamente fornite dalla norma di rango primario, introducono la regola della medesima periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori nelle operazioni in conto corrente. Viene, quindi, bandita la capitalizzazione a due velocità a seconda del soggetto creditore degli interessi: si tratta di un limite alla autoregolamentazione posta a tutela del contraente più debole.

2) contenuto: deve essere garantito un adeguato livello di trasparenza delle pattuizioni concernenti l'anatocismo. L'art.6 della delibera del CICR puntualizza quali devono essere gli elementi da specificare nel testo dei contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito: deve essere indicata la periodicità di capitalizzazione degli interessi nonchè, nel caso di capiatlizzazione infrannuale, il valore del tasso rapportato su base annua. L'esempio che Palmieri fa in un articolo apparso su Foro it. '01 rende chiaro che cosa il cliente debba vedere specificato nel contratto: in un rapporto di conto corrente, in cui fra le condizioni contrattuali è pattuito che il tassso creditore è dell'1% mentre quello debitore è del 14%, nel documento sottoscritto dalle parti deve risultare il tasso effettivo annuale, in virtù della reiterata incidenza della capitalizzazione pattuita come trimestrale, è rispettivamente dell'1,00375% e del 14,75%;

3) forma: le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi devono essere specificamente approvate per iscritto, come la clausola che consente lo jus variandi alla banca (art.117 TUB, comma 5). Le clausole concernenti la capitalizzazione degli interessi vengono assimilate alle clausole onerose di cui all'art.1341, 2° comma, cc;

4) termine: la chiusura definitiva del conto corrente segna il termine per l'operatività del meccanismo anatocistico. Il saldo finale del conto continua a produrre interessi, ma su di essi non è consentita alcuna forma di capitalizzazione periodica. Non è più dovuta nemmeno la commissione di massimo scoperto.

9. Operazioni suscettibili di anatocismo

1) le operazioni bancarie di erogazione del credito regolate in conto corrente:

a) per i conti e depositi non vincolati, l'interesse semplice maturato annualmente;

b) per i conti ed i depositi vincolati, l'interesse semplice maturato alle rispettive scadenze o annualmente;

c) per i conti correnti, anche saltuariamente debitori, l'interesse semplice maturato alla fine di ogni trimestre (marzo, giugno, settembre e dicembre).

L'interesse così portato in conto produce a sua volta interessi nella stessa misura.

2) il mutuo: se le rate non vengono pagate, su di esse maturano interessi moratori che, in parte si computano su un capitale già comprensivo per parte di interessi;

10. Diritto intertemporale

Resta, dunque, il problema della sorte delle clausole contenute nei contratti stipulati prima della delibera CICR e per il periodo fino al 30/6/00.

L'art.25, comma 3, D.Lgs.342/99 mirava ad una sanatoria indiscriminata e, come si è visto, ne è stata dichiarata la illegittimità costituzionale. Peraltro, la Corte Cost. fermandosi alla incostituzionalità formale della norma per eccesso di delega, non è entrata nei profili del contrasto con gli artt.3 Cost. (per la disparità di trattamento tra banche/operatori finanziari e altri soggetti che rimangono disciplinati dal 1283 cc) e 47 (ritenuto l'anatocismo come una pericolosa pratica oligopolistica e di cartello, idonea a minare la stabilità dei prezzi e dell'intero sistema economico, era stato prospettato il rischio di erosione del risparmio in conseguenza della sanatoria delle clausole anatocistiche).

Una volta caduta l'indiscriminata sanatoria di tutte le pattuizioni anatocistiche contenute in contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della delibera, tutti i principi espressi dalla Corte di Cassazione nel '99 ( che fa discendere la nullità della clausola dal fatto che non c'è un uso normativo mancando una regola consuetudinaria nel senso della capitalizzazione trimestrale e dal fatto che la pattuizione è antecedente alla scadenza degli interessi) ritornavano attuali.

11. Soluzioni percorse e percorribili dopo l'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione e dopo l'intervento del legislatore.

Per i contratti bancari stipulati prima della delibera CICR, la giurisprudenza di merito ha trovato soluzioni oscillanti tra la legittimità della prassi anatocistica e la nullità della relativa clausola.

Ad esempio, esaminando le sentenze più recenti, si pongono sulla stessa traiettoria argomentativa della Corte di Cassazione:

Trib. Terni 16/1/01: E' nulla la clausola con cui si prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal correntista, ove essa sia contenuta in un contratto bancario stipulato prima della delibera CICR. di conseguenza gli interessi dovuti dal correntista si capitalizzano con cadenza annuale.

Trib. Taranto 15/5/01 - Trib. Orvieto ord.28/3/01.

Altri giudici di merito, invece, sono orientati a riconoscere la legittimità del meccanismo anatocistico argomentando dalle disposizioni del codice relative al contratto di conto corrente o ritornando sulla natura di uso normativo della clausola:

così Trib. Firenze 8/1/01 riconosce che "la prassi di procedere alla capitalizzazione trimestrale degli interessi costituisce un uso normativo idoneo ad introdurre una regola consuetudinaria contraria all'art.1283 ....prevista prima dell'entrata in vigore del codice e tenuto conto che, per la sussistenza di un uso normativo, non è necessaria la c.d. opinio juris... ma è sufficiente il convincimento delle parti di porre in essere comportamenti conformi ai precetti dell'ordinamento giuridico e quindi giuridicamente consentiti.

Trib. Vercelli 9/2/01 : Alle operazioni bancarie regolate in conto corrente sono applicabili le disposizioni dettate per il conto corrente ordinario dagli artt.1823, 2° comma, e 1831 cc. Deve, pertanto, considerarsi legittima la capitalizzazione degli interessi risultanti al momento della chiusura contabile trimestrale del conto bancario debitorio.

Trib. Bari 28/2/01 : La prassi di procedere alla capitalizzazione trimestrale degli interessi nei rapporti bancari costituisce un uso normativo, idoneo ad introdurre una regola consuetudinaria contraria all'art.1283 cc, in quanto essa risulta essere stata prevista prima dell'entrata in vigore del cc del'42 e non viola alcuna delle leggi direttamente o indirettamente applicabili al rapporto tra banche e clienti.

Trib. Roma 9/5/01: In un rapporto di conto corrente bancario anteriore all'entrata in vigore della delibera CICR....la previsione relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal correntista, ponendosi come naturale conseguenza della periodica chiusura del conto, è da ritenersi valida ed efficace fino alla cessazione del rapporto, a prescindere dalla sussistenza di un uso normativo che lo consenta; per il periodo successivo alla estinzione, invece, va esclusa qualsiasi ultrattività della capitalizzazione trimestrale, posto che sull'eventuale saldo debitorio finale, il correntista è tenuto a corrispondere gli interessi di mora da rapportare a quelli convenzionalmente previsti solo nella misura e non anche nei meccanismi applicativi.

12. Ipotesi di soluzione: contrarietà della fattispecie anatocistica all'ordinamento

Se si arriva alla conclusione che la fattispecie anatocistica, nei limiti temporali appena individuati, non sia consentita dall'ordinamento, ogni qualvolta viene fatta dalle banche domanda di condanna al pagamento di somme comprensive della capitalizzazione trimestrale degli interessi (decreto ingiuntivo, domanda di ammissione al passivo del fallimento, escussione della fidejussione, etc), sarà necessario espungere dalla somma complessiva la parte relativa agli interessi anatocistici.

Sarà necessario l'ausilio di un consulente tecnico.

Infatti, l'operazione deve essere fatta risalendo alla prima capitalizzazione al fine di sottrarre l'annotazione per interessi del periodo; occorre, quindi, rideterminare il saldo a credito e così per ogni chiusura trimestrale del conto.

13. La prescrizione.

In base all'orientamento della Cassazione, si pone il problema, per la prevedibile congerie di richieste di restituzione da parte di clienti di quanto pagato e non dovuto a titolo di capitalizzazione trimestrale, dei termini della prescrizione del diritto.

Si applicano i principi che regolano la domanda di ripetizione dell'indebito (non si tratta di azione di arricchimento). Perciò la prescrizione è decennale ex art.2946 cc e decorre dalla data di chiusura del rapporto.

E' da escludere l'applicabilità della prescrizione di cui all'art.2948 n°4 cc che riguarda esclusivamente la domanda diretta a conseguire gli interessi che maturano annualmente o in termini più brevi, non già la restituzione di parte degli stessi in quanto indebitamente pagata.

E' invece imprescrittibile l'azione promossa dal cliente verso la banca per far valere la nullità della clausola che prevede l'anatocismo ex art.1422 cc.

14. Punti deboli del ragionamento della S.C.

Lasciando da parte la dottrina e fermando l'attenzione sulla giurisprudenza di merito, pronunciatasi dopo l'intervento della Corte Costituzionale e dopo l'intervento del legislatore, emerge una presa di distanza dall'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nel '99. Ed, in particolare, vengono individuati alcuni punti deboli di quell'orientamento:

1) sulla asserita inesistenza di un uso seguito prima dell'entrata in vigore del codice civile del '42.

Si è già accennato al fatto che la Cassazione, con la sentenza 2374/99 che ha segnato l'avvio della inversione di tendenza di cui stiamo discutendo, aveva affermato che non c'era alcun elemento che autorizzasse a ritenere esistente, prima del '42, un uso normativo legittimante la capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente di un istituto di credito.

La capitalizzazione trimestrale degli interessi scaduti a debito del cliente è stata prevista per la prima volta dalle NBU in materia di conto corrente di corrispondenza e servizi connessi predisposti dall'ABI con effetto dal 1° gennaio '52 (clausola 6 NBU). Prima di questo momento, nulla fa pensare a che esistessero usi locali preesistenti di analogo contenuto (l'inserimento nelle raccolte delle Camere di Commercio non dimostra il carattere normativo dell'uso, la rilevazione presso tali raccolte è successiva al '52, etc).

Contro questa affermazione, si è detto:

- la frequenza trimestrale della capitalizzazione degli interessi non può essere stata decisa a tavolino improvvisamente, senza precedenti in questo senso;

- se il 1283 cc, fissando i presupposti dell'anatocismo, ha fatto salvi gli usi contrari si deve presumere che tali usi esistessero già al momento dell'entrata in vigore del cc;

- l'art.1232 del codice civile del 1865 aveva disposto che nelle materie commerciali l'interesse degli interessi era regolato dalle consuetudini e dagli usi ed aveva esonerato dalle limitazioni in materia di anatocismo le casse di risparmio ed istituti simili (gli usi commerciali, secondo la ricostruzione della SC erano nel senso della chiusura semestrale dei conti e conseguente capitalizzazione ogni semestre);

- l'art.1 del codice di commercio del 1882 aveva stabilito che in materia di commercio, in mancanza di disposizioni da parte delle leggi commerciali, si osservavano gli usi mercantili e gli artt.345 e 347 stabilivano, poi, che nei contratti di conto corrente l'interesse decorresse sul saldo effettuato anche con periodicità inferiore all'anno;

- nel 1929 la confederazione generale bancaria fascista aveva redatto le prime norme dei conti correnti di corrispondenza con la previsione all'art.1 della regolamentazione trimestrale dei conti. Secondo Farina, la comunicazione del 7/1/29 della Confederazione Generale fascista che accompagnava l'invio delle norme che regolano i conti correnti dimostra che l'accordo di cartello e le NBU, prima di essere frutto di una libera scelta associativa dell'ABI, sono stati propugnati ed auspicati dalla associazione di regime. Dunque, non esisteva alcun uso prima dell'entrata in vigore del codice civile (v. Farina pag.14). Se un uso di capitalizzazione ci fosse stato, la Confederazione Generale Fascista non avrebbe avuto bisogno di tentare di imporlo alle sue consociate, se ciò ha fatto è perchè evidentemente non vi era uniformità di comportamento a riguardo e quindi difettava già allora non solo l'opinio juris, ma anche la reiterazione delle medesime modalità di capitalizzazione da parte delle banche aderenti.

- i trattati di tecnica bancaria del primo novecento fanno riferimento all'anatocismo trimestrale;

- alcune raccolte provinciali di usi registrano la pratica dell'anatocismo trimestrale fin dalla prima metà degli anni '30;

- esiste copia di un estrato conto scalare, con capitalizzazione trimestrale degli interessi, emesso dalla BNL, filiale di Asmara, per un conto corrente negli anni dal '40 al '48.

Sulla base di questi elementi, non risulta corrispondente al vero il fatto che la capitalizzazione degli interessi maturati nell'ambito dei conti correnti risale al solo 1952. Certo è che non ci sono segni univoci nel senso della frequenza trimestrale della capitalizzazione degli interessi.

2) sulla necessità del requisito della opinio juris per la sussistenza di un uso normativo.

La Cassazione con le più volte richiamate sentenze del '99 aveva affermato che gli usi contrari cui si fa riferimento nel 1283 devono rientrare fra gli usi normativi caratterizzati dall'usus, ripetizione generale e costante di un determinato comportamento, e dall'opinio juris seu necessitatis, convizione della giuridica obbligatorietà del comportamento.

Nel rapporto banche e clienti, questi sono indotti ad accettare le clausole pattizie in quanto unilateralmente predisposte dalla banca ma non in quanto obbligo giuridico.

Chi contrasta tale orientamento, sostiene che da diversi decenni ormai la dottrina dubita della necessità di un requisito soggettivo per il riconoscimento di una consuetudine e ciò perchè indurrebbe in un circolo vizioso:

- la regola giuridica consuetudinaria non si costituisce se non esiste l'opinio ma l'opinio presuppone una regola giuridica già formata.

E' sufficiente, invece, al fine di riconoscere un uso normativo, il convincimento delle parti di porre in essere comportamenti conformi ai precetti dell'ordinamento giuridico e, quindi, giuridicamente consentiti.

Nel caso di contratti bancari, l'uso si è formato appunto perchè vi è stata la convinzione della legittimità della clausola anatocistica.

3) sulla pretesa antinomia tra uso normativo e condizioni generali di contratto.

La Corte di Cassazione aveva sostenuto che le c.d. NBU predisposte dall'ABI non hanno natura normativa ma solo pattizia nel senso che si tratta di proproste di condizioni generali di contratto indirizzate dall'associazioni alle banche associate: assumono, pertanto, rilevanza nel singolo rapporto con il cliente in quanto richiamate nel contratto stesso, secondo la disciplina dettata dagli artt.1341 e 1342 cc.

In realtà, si è obiettato che non è sicura la fondatezza dell'idea di una incompatibilità in termini assoluti fra formazione di un uso normativo e adesione a contratti unilateralmente predisposti: nulla esclude che l'adesione a clausole contenute in formulari sia il frutto del convincimento che tali clausole rispondano a precetti giuridici vincolanti. Del resto la distinzione posta dalla Cassazione tra usi normativi ed usi negoziali è tutt'altro che netta dato che le due categorie tendono sempre di più ad avvicinarsi ed a confondersi.

4) sul carattere imperativo dell'art.1283 cc.

La Cassazione del '99 ha ritenuto che l'art.1283 cc avrebbe pacificamente carattere imperativo.

In realtà, la norma non può assumere tale carattere perchè nello stesso impianto codicistico vi sono norme che dettano una disciplina diversa: si tratta delle norme in materia di conto corrente ordinario che consentono l'anatocismo senza i limiti del 1283 cc.

Secondo questo orientamento, la legittimità della capitalizzazione trimestrale non discenderebbe da una espressa pattuizione anatocistica dell'uso normativo, ma troverebbe il suo fondamento nelle disposizioni che regolano il conto corrente ordinario:

- l'art.1831 cc stabilisce che la chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatta alle scadenze stabilite dal contratto o dagli usi e, in mancanza, ogni semestre;

- l'art.1823 cc, 2° comma, dispone che il saldo del conto è esigibile alla scadenza pattuita e che se non è richiesto il pagamento il saldo si considera quale prima rimessa di un nuovo conto e il contratto si intende rinnovato.

- l'art.1825 cc, infine, stabilisce che sulle rimesse decorrono gli interessi nella misura stabilita dal contratto o dagli usi, ovvero, in mancanza quella legale.

La clausola anatocistica, pertanto, è conforme alla specifica disciplina stabilita nel contratto di conto corrente, con la facoltà per le parti di stabilire convenzionalmente la data di chiusura del conto e la conseguenza, quindi, che il saldo, comprensivo degli interessi, se non viene chiesto il pagamento costituisce la prima rimessa del nuovo conto, sul quale vengono calcolati nuovi interessi.

Ora, l'attenzione sul conto corrente ordinario certamente è importante perchè permette di dubitare della qualità di norma imperativa del 1283 cc onde dedurne l'inderogabilità almeno per quanto riguarda la periodizzazione minima semestrale per la produzione di interessi su interessi.

Non appare, tuttavia, possibile l'applicazione indistinta dalla disciplina prevista per il conto corrente ordinario al conto corrente bancario per vari motivi:

- non si può non tenere conto che il 1857, mentre richiama alcune norme, non fa alcun espresso richiamo al 1823, 1825, 1831. Tale dato normativo non consente l'appplicazione analogica tanto più che vi è un diferente meccanismo contabile tra il c/c bancario e quello ordinario dato che solo quello bancario consente l'immediata disponibilità del saldo;

- l'art.1831 riguarda il conto corrente ordinario e presuppone necessariamente la presenza di reciproche rimesse e l'inesigibilità del saldo fino alla chiusura. Invece, l'art.1852 cc, in tema di conto corrente bancario prevede la possibilità di disporre in qualsiasi momento del saldo attivo. Se non è richiamato, l'art.1831 non può trovare applicazione;

- la cadenza dell'estratto conto nel conto corrente bancario è prevista dall'art.119 TUB e, quindi, annualmente o, a scelta del cliente, con periodicità mensile, trimestrale, semestrale.

5) sulla invalidità della clausola anatocistica per effetto della legge sulla trasparenza bancaria.

La Cassazione del '99 ha sostenuto che un'altra ragione di invalidità della clausola, quanto meno per i contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della L.154/92, deve essere ravvisata nell'art.4 di tale legge, che vieta le clausole contrattuali di rinvio agli usi.

La norma è stata poi trasfusa nell'art.117 TUB, 6° comma.

In realtà, si sostiene che proprio la L.154/92, sulla trasparenza bancaria fa riferimento alla capitalizzazione degli interessi, legittimandone l'adozione. Infatti, l'art.8 della L.154/92 prevedeva che la banca, nell'ambito delle periodiche comunicazioni alla clientela, dovesse dare una completa e chiara informazione sui tassi di interesse applicati nel corso del rapporto, sulla decorrenza delle valute e sulla capitalizzazione degli interessi con ciò dimostrando che la previsione dell'applicazione di interessi anatocistici era stata considerata dal legislatore e ritenuta lecita: la previsione non aveva senso se doveva trovare applicazione l'art.1283 cc.

Per la verità, la norma non è stata ripresa dal TUB all'art.119 per cui il pregio dell'argomentazione è meramente sistematico e la mancata riproduzione è dovuta al fatto che la determinazione della periodicità del conteggio degli interessi è stata dal TUB demandata al CICR.

6) sulla distinzione tra capitalizzazione di interessi dovuti dal cliente o dalla banca.

Una drastica applicazione del divieto di cui all'art.1283 cc, secondo il ragionamento della Cassazione, potrebbe indurre a negare l'ammissibilità della capitalizzazione annuale sui conti creditori perchè anche in questo caso mancherebbe l'uso normativo o la preventiva convenzione.

Si era sempre detto che non vi sarebbe squilibrio contrattuale per una capitalizzazione trimestrale sui conti debitori ed una annuale sui conti creditori perchè la differenziazione troverebbe la sua giustificazione nel rischio che la banca corre per l'esposizione conseguente all'utilizzo del fido.

Parte della dottrina individua la ratio del 1283 nell'esigenza di evitare scadenze dell'obbligazione degli interessi particolarmente ravvicinate ed in quanto tali foriere di effetti moltiplicatori automatici del debito pecuniario. Scorge la soluzione del problema nell'art.1284 cc che fissa in un anno il termine di scadenza ex lege dell'obbligazione di interessi: se, infatti, è la legge stessa a ritenere adeguato l'anno quale termine entro il quale l'obbligazione di interessi viene a scadenza, appare congruo ritenere che esso costituisca anche un termine reputato dalla legge sufficientemente ampio per precludere quell'effetto di moltiplicazione automatica del debito che l'art.1283 vuole evitare impedendo scadenze infrasemestrali.

Il riconoscimento della legittimità della capitalizzazione annuale su conti debitori, fa sì che, a seguito della dichiarazione di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale sarà ripetibile solo la differenza in favore del debitore tra quanto corrisposto a titolo di capitalizzazione trimestrale e quanto dovuto per capitalizzazione annuale ex lege degli interessi dovuti.

15. Conclusioni

Personalmente, mi sembra di poter condividere almeno in parte le critiche mosse al ragionamento della Corte di Cassazione, in particolare, quando si dubita del carattere imperativo dell'art.1283 cc.

Infatti, non solo sono presenti nell'ordinamento le deroghe già viste, ma con il nuovo art.120 TUB, il legislatore, senza toccare il divieto di anatocismo, ha riconosciuto la legittimità della capitalizzazione.

Quindi, a prescindere dall'analisi storica dell'uso e dalla sua natura, analisi che non può portare a risultati sicuri, l'inapplicabilità dell'art.1283 cc nei contratti bancari precedenti la delibera CICR, potrebbe discendere da un diverso ragionamento.

L'art.1283 cc non disciplina tutte le ipotesi di produzione di interessi su interessi ma riguarda solo il caso in cui l'obbligazione principale, produttiva di interessi semplici, non sia stata adempiuta.

Restano fuori dall'applicazione dell'art.1283 cc i casi in cui l'interesse composto concorre a determinare il corrispettivo pagato da una parte per la fruizione di capitali altrui secondo quanto preventivamente pattuito (così La Rocca).

La commissione di massimo scoperto.

La c.m.s. non era oggetto di disciplina nella vecchia contrattualistica. Le NBU si limitavano all'art.7, comma terzo, a stabilire che le operazioni di accredito e di addebito vengono regolate secondo i criteri concordati con il correntista o usualmente praticati dalle banche sulla piazza con le valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto. Secondo gli stessi criteri sono applicate e rese note le cms e le spese di tenuta conto.

Due i criteri alternativi: o l'accordo con il correntista o l'uso di piazza.

Spesso, non essendo la cms quantificata all'inizio del rapporto, costituiva una spiacevole sorpresa per il correntista.

Occorre stabilire i confini dell'istituto per individuare il fondamento e la natura giuridica della commissione in parola.

L'introduzione di una commissione sul credito accordato rinviene il suo fondamento nell'esigenza di riconoscere nell'ambito dell'unitario rapporto instauratosi con la banca in conseguenza della conclusione di un contratto di apertura di credito in conto corrente una duplice utilità in favore dell'accreditato: l'erogazione effettiva dei fondi a cui corrisponde in termini di controprestazione l'addebito degli interessi pattuiti e la contestauale messa a disposizione dei fondi stessi con conseguente obbligo di erogare il credito a carico della banca a semplice richiesta da parte del cliente. Questa seconda prestazione della banca va remunerata: la banca è costretta, a prescindere dal concreto utilizzo da parte dei clienti, a tenere a disposizione degli stessi una certa giacenza liquida con corrispondente incremento del costo di gestione della propria tesoreria; i clienti possono gestire la liquidità affidata loro, prelevando le somme necessarie, nei limiti dell'affidamento, in qualsiasi momento e senza preavviso.

Le banche italiane però invece di percepire una commissione di affidamento rapportata all'ammontare dell'accordato, nulla richiedono a tale titolo per incentivare l'acquisizione del cliente, ma applicano la cms. Questa si applica al massimo saldo dare del cliente, con riferimento a ciascun periodo di liquidazione degli interessi.

La cms non può essere considerata una componente dell'interesse o una modalità di calcolo dello stesso, a differenza dell'anatocismo (la Banca d'Italia ha chiarito che la cms non rientra nel Teg e va rilevata separatamente). Essa opera su un piano diverso rispetto agli interessi ai quali è comunque collegata, e costituisce la controprestazione per il rischio crescente che la banca si assume in proporzione dell'ammontare dell'utilizzo dei fondi.

La cms deve essere specificamente individuata nel suo ammontare. Se manca,deve essere stata pubblicizzata adeguatamente nel rispetto della prevsione dell'art 16 TUB, altrimenti è nulla ex art,117, 7° comma, TUB.

 

[1] Alla data dell'incontro, tenutosi il 21/2/02, la Corte non si era ancora pronunciata sulle questioni di incostituzionalità della norma. La decisione della Consulta, infatti, è stata depositata il 25/2/02: la sent. 29/02 ha riconosciuto la piena compatibilità della norma denunciata alla Costituzione laddove prende a riferimento il momento della pattuizione degli interessi, lasciando aperta la questione degli ulteriori istituti civilistici, estranei al meccanismo introdotto dalla nuova legge, applicabili in caso di sopravvenuta usurarietà del tasso pattuito; è stata, invece, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.1, commi 2 e 3, del D.L.394/00 nella parte in cui dispone che la prevista sostituzione del tasso si applica alle rate che scadono successivamente al 2/1/01 anzichè a quelle che scadono dal giorno stesso della data di entrata in vigore del decreto.

(articolo tratto da www.tidona.com)