La consulenza tecnica
tra mezzo istruttorio e mezzo di prova
aspetti problematici e profili applicativi
1 - Premessa;
2 - Sulla natura della consulenza tecnica dufficio;
3 - Consulenza ed onere della prova;
4 - Lattività del consulente «percipiente»: la raccolta delle informazioni e
lacquisizione dei documenti;
5 - La disponibilità da parte del giudice della consulenza;
6 - La valutazione della attività del consulente: la sostituzione e la rinnovazione;
7 - Diritto alla prova contraria e la consulenza tecnica di parte.
1. Premessa
Il tema della consulenza tecnica dufficio e del relativo
inquadramento sistematico allinterno dei mezzi di prova è da sempre molto discusso [ 1 ]. Nuovo interesse alle dispute sulla
natura della consulenza tecnica, il cui precedente nel codice del 1865 era lo strumento
della c.d. perizia [ 2 ], proviene dalla
riforma del processo amministrativo, portata dalla L. 21/07/2000 n° 205, «Disposizioni
in materia di giustizia amministrativa» [ 3 ];
la legge, frutto di un lungo iter parlamentare e volta a sistemare taluni
interventi della Corte Costituzionale non soltanto su norme processuali [ 4
], agli artt. 1 comma 3 e art. 16 sancisce la caducazione
del divieto di disporre la consulenza tecnica dufficio nel processo amministrativo
ed in particolare innanzi al T.A.R [ 5 ].
La questione, che qui si intende affrontare, presuppone un breve excursus storico
sullevoluzione del processo amministrativo che ha condotto allammissibilità
di simile mezzo istruttorio, per poi verificare, qualora ve ne fossero, le ricadute
sistematiche sul processo civile ed in particolare sulla sistemazione dommatica
dellistituto in parola.
La consulenza tecnica non era ammessa o addirittura nemmeno configurabile nel processo
amministrativo, così come derivato dalle leggi abolitrici del contenzioso amministrativo
e dalle successive modifiche, soprattutto per una caratteristica di fondo, essendo esso
configurabile [ 6 ], almeno fino alla
sentenza della Corte di Cassazione n. 500/1999, come processo caducatorio, ovvero sulla
sola legittimità dellatto [ 7 ].
Pertanto, alcuni commentatori, particolarmente illuminati, affermavano che il processo
amministrativo era un processo caratterizzato dalla «limitatezza dei mezzi di prova» [ 8 ], come del resto lo sono tutti i processi
di mera legittimità [ 9 ].
Proprio questa natura è stata oggetto di profonda rivisitazione da parte della legge
205/2000, anche per leffetto dirompente delle sentenze gemelle della Suprema Corte
n. 500 e 501 del 1999. Simili decisioni hanno messo fine alla giurisprudenza consolidata,
se non addirittura monolitica, sulla irrisarcibilità della lesione dellinteresse
legittimo [10]. In realtà, però,
vè da chiarire come la Cassazione non avesse mai escluso, come del resto non era
nemmeno pensabile dato il sicuro supporto normativo, la risarcibilità dellinteresse
legittimo oppositivo (fulgido esempio di simile indirizzo è da rintracciare nella
risarcibilità del danno derivante da occupazione acquisitiva), il cui ristoro era
variamente giustificato [11], ma negava in
maniera categorica la risarcibilità di quello pretensivo [12].
La sentenza n. 500, anche se poi superata dalla stessa l. 205 /2000, ha affermato un
principio rivoluzionario, ammettendo non solo la risarcibilità dellinteresse
legittimo oppositivo, ma anche di quello pretensivo, sintetizzabile come «pretesa ad
avere unutilità che non si ha» [13].
Simile pronuncia, però, conservava immutato il principio del doppio binario, per cui
innanzi al giudice amministrativo si determinava la caducazione dellatto illegittimo
e, successivamente, innanzi al giudice ordinario si chiedeva il risarcimento per la
lesione corrispondente [14].
La legge 205 ha eliminato questo doppio binario necessario, affermando che, non solo nelle
materie ove il T.A.R. ha giurisdizione esclusiva, ma anche nel caso di riparto in base
alla situazione sostanziale, ipotesi ormai del tutto residuale visto lart. 7 della
medesima legge, il giudice amministrativo possa non solo pronunciare sentenze caducatorie,
ma anche risarcitorie derivanti dalla lesione degli interessi legittimi [15].
Simile rivoluzione copernicana non poteva non avere il suo portato in ambito probatorio;
infatti, non potendo più limitarsi alla sola pronuncia caducatoria, facilmente
assimilabile al giudizio di mera legittimità, il giudice deve poter disporre di una serie
di mezzi istruttori in ordine ai fatti allegati dalle parti, anche perché il giudizio
dalla mera legittimità dellatto si sposta sulla liceità del rapporto [16]. In particolare, potendo essere chiamato
alla pronuncia di sentenze di condanna o costitutive nei confronti della stessa
amministrazione, il giudice speciale potrebbe incappare in talune situazioni in cui è
necessario lausilio del consulente tecnico al fine della integrazione delle sue
conoscenze.
In linea di estrema sintesi possiamo sostenere che - nonostante la riformulazione
dellart. 44 RD. 1924/1054, sul funzionamento del Consiglio di Stato, attinente,
comunque, allistruzione del ricorso - il solo dato sistematico non è sufficiente
per far qualificare la consulenza tecnica dufficio come un vero e proprio mezzo di
prova o un mezzo istruttorio [17], ed
inoltre simile notazione da sola non ha una vis atractiva tale da influenzare la
qualificazione della consulenza tecnica nel processo civile.
Inoltre, vè da considerare come la distinzione tra mero mezzo istruttorio e mezzo
di prova sia del tutto sconosciuta al diritto processuale amministrativo; pertanto,
peccherebbe per eccesso colui che volesse desumere dal dato sistematico degli artt. 21 e
33 l. 1034/1971, 44 TU Cons. Stato e 7 l. 205/2000 la volontà del legislatore di
affermare incondizionatamente la natura di mezzo di prova della consulenza nel processo
amministrativo, ed ancor più se si volesse trarne argomento per definire la natura del
succitato mezzo nellambito del processo civile. Per di più, va notato che
lintera istruttoria del processo amministrativo è particolare in quanto essa non è
regolata dal principio dispositivo ma dal principio «dispositivo con metodo acquisitivo»
[18]. Simile principio permetterebbe al
giudice di attenuare lapplicazione del principio dellonere della prova,
gravando della prova dei fatti principali allegati quelle parti che siano più prossime
alla fonte della prova stessa [19]. Tale
principio potrebbe avere una limitata applicazione anche per la consulenza tecnica al fine
di evitare quei rigorismi che hanno caratterizzato la giurisprudenza nella applicazione
del principio di cui allart. 2697 c.c. [20]. Infatti, se il giudice ritenesse la prova del fatto principale sia
acquisibile solo tramite la consulenza, proprio in virtù del principio
dell«acquisizione», sarebbe costretto ad ammetterla [21]. Questa riflessione è già stata avviata anche tra i
processualisti civili ed ha interessato pure la giurisprudenza [22], e proprio in tema di consulenza ha trovato dei punti fermi. In
particolare, la considerazione che la mancata disposizione della consulenza va motivata
espressamente, che il vizio della motivazione è deducibile come motivo di gravame (anche
in Cassazione) e che essa non è negabile quando appare mezzo necessario od indispensabile
per la prova del fatto.
Pertanto, occorre risolvere la questione della natura di siffatto istituto analizzandone i
profili funzionali e strutturali e, rispetto a questultimi, bisognerà esaminare
altri indici normativi che fanno propendere per luna o laltra soluzione.
2. Sulla natura della consulenza tecnica dufficio
La natura della consulenza ha sempre oscillato tra quella di mezzo
istruttorio e quella di mezzo di prova. Parte della dottrina, non solo quella meno recente
[23], ha sempre definito simile istituto non come un
vero mezzo di prova, ma, piuttosto, come un mero mezzo istruttorio, arrivando a simile
conclusione sulla base di una sequenza di considerazioni di ordine generale. In primis, il
dato semantico: la consulenza tecnica nel codice attuale ha una collocazione diversa da
quella che aveva nel codice del 1865, dove parlandosi di «perizia» [24] non si dava rilievo allaspetto soggettivo dellistituto, ma al
risultato della stessa [25], ovvero alla dichiarazione
del perito che, comunque, poteva essere assimilabile ad una prova documentale; il codice
vigente, invece, dà molta più importanza al profilo soggettivo, inquadrando il
consulente fra gli ausiliari del giudice, anzi identificandolo nel suo principale
ausiliario, che lo aiuta ad una migliore valutazione dei fatti, già allegati ed
asseverati dalle parti, fornendogli le massime dellesperienza di quello specifico
settore di materie che il giudice non conosce [26], e
che se anche conoscesse non potrebbe utilizzare per il divieto di scienza privata [27], che nellipotesi considerata tutelerebbe il
principio del contraddittorio [28]. Pertanto, e qui si
individua il secondo motivo per cui la consulenza non sarebbe mezzo di prova tout court,
la sua attività, a differenza di quella del testimone che è di mera narrazione dei
fatti, costituirebbe una valutazione degli stessi, o meglio di prevalenza di simile fase
su quella propriamente rappresentativa [29]. La
medesima notazione si fa nel processo amministrativo da parte della giurisprudenza per
distinguere le perizie (ammesse già prima della legge 205 del 2000 e della stessa
sentenza della Corte Cost. del 1987, nella materia delledilizia [30]) dalle verificazioni; per cui, mentre le prime consentirebbero una
valutazione tecnica di determinate situazioni da utilizzare ai fini della decisione della
controversia, le seconde costituirebbero soltanto un mero accertamento disposto al fine di
completare la conoscenza dei fatti raggiunti con listruttoria procedimentale [31].
La terza ragione sarebbe costituita dal dato sistematico, ovvero dalla collocazione
dellistituto allinterno del codice; come notato da autorevole dottrina, la
natura di mezzo latamente istruttorio deriverebbe dal fatto che esso risulta regolato pur
sempre allinterno della sezione dedicata allistruzione probatoria, senza
essere ricompreso fra gli altri mezzi di prova, diversamente da quanto avveniva nel codice
previgente [32].
Dalla natura di ausiliario del giudice e dagli altri dati indicati, i commentatori che
ritengono la consulenza mero mezzo istruttorio fanno derivare tutta una serie di altri
corollari difficilmente contestabili se non si cambia limpostazione di fondo. La
conseguenza principale che si fa derivare dal postulato sopra enunciato, sapientemente
avversata da qualche autore [33], è quella per cui il
risultato finale della attività del consulente tecnico, non essendo un mezzo di prova,
non può valere da sola ad assolvere lonere di cui allart. 2697 c.c.
Procedendo in base al presupposto che lattività del consulente sia di mera
valutazione dei fatti già acquisiti, o che tuttal più la fase valutativa sia
comunque preminente rispetto a quella narrativa, si disconosce sia parte del dato
normativo- sistematico, sia leffettiva modalità di svolgimento dello stesso mezzo
di prova. Come sottolineato da una sentenza a sezione unite della Cassazione la consulenza
tecnica appare come un vero e proprio Giano bifronte; simile istituto, infatti, e non in
ultimo per la sua collocazione sistematica allinterno della sezione III del libro
secondo dedicata allistruzione probatoria, ha sovente una funzione (non di mera
valutazione di risultanze già presenti negli atti processuali, ma) di vero e proprio
strumento per lasseverazione dei fatti allegati da entrambe le parti, e quindi per
accertare lesistenza e la verità di alcuni fatti così come allegati dalle parti.
Questa considerazione di fondo sta alla base della distinzione che la Suprema Corte ha
tracciato tra consulente «deducente», tenuto alla sola valutazione di fatti già
acquisiti ed asseverati, e «percipiente» [34],
avente il compito non della sola valutazione, ma di costituire fonte oggettiva di prova.
Pertanto, in relazione a questultima figura di consulente parte della dottrina ha
ritenuto che listituto non possa più esser distinto dalla testimonianza sulla base
della prevalenza del momento valutativo su quello narrativo, anche per la debolezza di
simile dato quantitativo, bensì debba essere praticamente ad essa assimilato in quanto
anche tale istituto, come la testimonianza, consisterebbe in una dichiarazione di scienza
resa al giudice di fatti di cui si è avuto conoscenza; pertanto gli unici dati
differenziali sarebbero costituiti da elementi di tipo formale, quali la «parte
processuale» da cui è provenuto lincarico; la valutazione preventiva di
attendibilità; la sua formazione tramite procedimenti tipizzati che ne aumentano la forza
persuasiva [35].
Sulla base di quanto sostenuto possiamo ritenere che qualora il giudice incarichi il
consulente della sola percezione dei fatti allegati non siamo lontani da una prova in
senso stretto [36].
3. Consulenza ed onere della prova
Tuttavia, ancora ostano a simile inquadramento dogmatico almeno due
problematiche, di origine prevalentemente giurisprudenziale, ed intimamente legate tra
loro, riguardanti la surrogabilità e la soddisfazione dellonere della prova tramite
simile mezzo e la discrezionalità del giudice nel disporlo o ritenerlo opportuna.
Partendo dalla prima problematica citata, la giurisprudenza, almeno fino alla sentenza del
1996 delle sezioni unite, forse sulla scorta dellindirizzo dominante che riteneva
listituto de quo quale mero mezzo istruttorio, sostiene limpossibilità che la
sola consulenza tecnica sia in grado di soddisfare lonere della prova a carico delle
parti di cui allart. 2697 c.c.[37] Per vero si
ritiene necessario al fine della sua soddisfazione che le parti deducano i fatti e gli
elementi specifici posti a fondamento di rispettivi diritti [38].
In realtà, lindirizzo in esame non è del tutto pacifico nella medesima
giurisprudenza, la quale ha anche sostenuto, daltra parte, come la mancata
ammissione della consulenza assurga a error in procedendo, sub specie della violazione
della legge processuale, censurabile in sede di legittimità [39].
Da quanto affermato in giurisprudenza appare chiara lesigenza di contemperare almeno
due opposte necessità: quella di non disconoscere la c.t.u. come mezzo istruttorio ex se
- quindi, di accertamento della verità dei fatti così come allegati dalle parti- e
quella, non meno conformante il processo civile, di evitare che con tale istituto si violi
il principio dispositivo [40]. Il principio
dispositivo avrebbe, peraltro, due profili applicativi diversi, ovvero non concernerebbe,
come di solito si sostiene, solo la piena disponibilità dei mezzi istruttori a favore
delle parti, ma anche la stessa proposizione della domanda nel processo civile e,
conseguentemente, la possibilità di richiedere la tutela giurisdizionale della propria
situazione giuridica soggettiva [41] (esigenza
espressa dal vecchio brocardo latino Nemo iudex sine actore, e che troverebbe lunica
deroga, peraltro prevista nello stesso art. 2907 c.c., nella legittimazione straordinaria
o nella sostituzione processuale, nonostante la formulazione ambigua della norma lasci
spazio a non pochi dubbi interpretativi). Levidente differenza di ampiezza e di
portata di codeste applicazioni del principio dispositivo, conduce necessariamente a delle
differenze sul piano applicativo; infatti, mentre il principio dispositivo in senso
sostanziale non verrebbe in considerazione nella fattispecie in esame, o meglio, non
sarebbe posto in discussione dalla qualificazione della c.t.u. come mezzo di prova tout
court [42]; lo stesso non potrebbe dirsi rispetto alla
diversa applicazione del principio in parola, anche denominato principio dispositivo in
senso processuale [43], ossia alla piena
disponibilità delle parti dei mezzi di prova, che troverebbe, secondo la dottrina
tradizionale, sicuro fondamento nellart. 115 c.p.c.
In conclusione, la tesi dellinidoneità della consulenza tecnica a soddisfare la
regola di cui allart. 2697 c.c. sarebbe fallace per due ordini di ragioni: perché
è valida solo se applicata limitata al solo principio dispositivo in tema di prove, e
perché, per di più simile principio non può considerarsi assoluto ed intangibile,
incontrando pesanti deroghe allinterno del sistema processuale.
Di conseguenza, appare del tutto inconferente sostenere che la c.t.u. non sia sufficiente
a soddisfare lonere della prova, una volta appuratane la natura di mezzo prova tout
court e superato lostacolo costituto dalla presunta violazione del principio di
disponibilità della azione e della domanda.
Per vero se rivolgessimo la nostra attenzione al processo amministrativo ante riforma si
potrebbe facilmente notare come i due principi vivono in maniera del tutto distinta.
Infatti, mentre nessuno pone in dubbio che il ricorso amministrativo sia fondato anche
esso sul principio dispositivo in senso sostanziale (in altri termini anche qui vige il
principio nemo iudex sine actore [44]), se si pone
mente allambito strettamente probatorio i commentatori non esitano, invece, a
sostenere che nel processo amministrativo il giudice «è investito di funzioni
inquirenti, ossia di ampia facoltà dindagine e di larghi poteri discrezionali per
la scelta dei mezzi di prova per le modalità della loro esecuzione, in modo da assicurare
la massima possibile chiarezza e certezza intorno alla realtà dei fatti sui i quali il
giudizio si basa» [45]. Inoltre, la giurisprudenza
amministrativa ha sempre ritenuto che in questo processo il principio dispositivo sia
attenuato, e con esso anche lonere della prova [46],
tramite lutilizzo del metodo acquisitivo [47].
Tuttavia, questo metodo verrebbe in esame tutte le volte in cui i mezzi di prova siano
nella esclusiva disponibilità della parte pubblica, oppure la parte (di solito quella
privata) sia nella completa impossibilità di procedere allasseverazione dei fatti
posti a base delle propria domanda [48].
Pertanto, a conclusione di questo discorso e del confronto con le soluzioni istruttorie
utilizzate nel processo amministrativo, sembra potersi confermare lopinione di
quella parte della dottrina processualcivilista, la quale ha sostenuto che il principio
della domanda potrebbe ben convivere con un sistema inquisitorio sotto il profilo
probatorio [49].
Inoltre, codesta problematica, che risulta essere oziosa, ricade, in quanto ne
costituisce, come ampiamente notato in precedenza, il portato necessario, nella più ampia
discussione sulla natura di simile istituto. Una volta affermato, come ha fatto la Suprema
Corte a sezioni unite, che la consulenza tecnica nella sua veste «percipiente»
costituisce un mezzo di prova ex se si esclude incondizionatamente lapplicazione
della regola dellonere della prova qualora i fatti primari allegati dalle parti
siano asseverati come esistenti con la sola c.t.u [50].
Successivamente, ci si potrà domandare, come hanno fatto taluni interpreti, a quale mezzo
istruttorio la C.T.U. presenti profili più similari, anche considerando i vari modi di
atteggiarsi di simile strumento, che si desumono, soprattutto, dallo specifico incarico
che il giudice ha dato al suo ausiliario [51].
4. Lattività del consulente «percipiente»: la raccolta delle informazioni e
lacquisizione dei documenti
Come giustamente notato, lattività più frequentemente demandata al
c.t.u. è quella di svolgere le indagini tecniche da eseguirsi anche al di fuori
delludienza e della circoscrizione giudiziaria [52],
alla presenza o meno del giudice [53]. Proprio in
relazione a simili attività, come ampiamente richiamato dalla stessa giurisprudenza, il
consulente è tenuto a verificare leffettiva esistenza di alcuni fatti affermati
dalle parti o ad appurare se essi si siano verificati nelle modalità in cui sono stati
indicati da queste [54]. Ma proprio in riferimento a
siffatte operazioni (che tendono ad avvicinarsi molto anche agli esperimenti, la cui
natura probatoria non mai è stata posta in dubbio), dottrina e giurisprudenza si sono
soffermati almeno su due distinti problemi non di poco momento: la rilevanza delle
informazioni assunte dalle parti e dai terzi e dellacquisizione di documenti non
prodotti dalle parti.
In generale il problema è stato risolto dalla giurisprudenza nel senso che simili fatti,
appresi dal consulente al di fuori degli atti processuali, possono valere a fondare il
convincimento del giudice purché se ne citi la fonte di provenienza al fine di consentire
il controllo ad opera delle altre parti [55].
In linea di minore approssimazione, lanalisi della normativa sulle indagini che il
c.t.u. può compiere fuori udienza sembra potersi desumere che lautonomia di tale
strumento sia molto limitata infatti il c.t.u. potrà procedere a simili accertamenti solo
quando sia stato espressamente autorizzato da parte del giudice (art. 194 c.p.c.) ed
inoltre non potrà ricevere, a norma dellart. 90 disp. att., nessun altro scritto
allinfuori di quelli contenenti osservazioni ed istanze delle parti.
La giurisprudenza e la dottrina, però, hanno attenuato simili rigorismi sia per quanto
concerne il profilo della previa autorizzazione [56],
non ritenendo affette da nullità quelle attività non espressamente autorizzate dal
giudice, sia per quanto riguarda le informazioni e i chiarimenti da parte dei terzi. Per
quel che attiene le informazioni richieste ai terzi od alle parti, il consulente deve
indicare nella relazione la fonte di provenienza, ma, come sovente afferma la
giurisprudenza e la stessa dottrina, la sua attività non può risolversi in un mezzo
sostitutivo dellonere della prova [57], e a ciò
si deve aggiungere il divieto per il giudice di affidare ab initio mandati di carattere
esplorativo [58]. Tuttavia, le informazioni così
acquisite hanno il valore di indagini liberamente apprezzabili dal giudice (come del resto
lo sono tutte le prove che non siano legali) [59], e,
come hanno ritenuto eminenti commentatori, non possono avere valore confessorio o
negoziale [60]. Simile approdo appare in
controtendenza rispetto alla lettera della legge la quale, ponendo la distinzione tra la
confessione giudiziale e stragiudiziale, ha sancito che questultima si abbia anche
quando venga fatta ad un terzo ed acquisisce la natura di prova liberamente valutabile dal
giudice; difatti, la norma ha voluto cristallizzare nella formula legislativa la massima
desperienza per cui la confessione resa ad un terzo ha minore attendibilità della
veridicità dei fatti confessati di quella resa alla stessa controparte od in un atto
mortis causa e, quindi, non si vede perché la ammissione di fatti sfavorevoli ad una
parte riportati nella relazione del consulente non possa essere considerata come
confessione stragiudiziale [61].
Particolare, invece, è la soluzione raggiunta dalla giurisprudenza amministrativa in
merito al rapporto intercorrente tra lassolvimento dellonere della prova e
luso dei poteri officiosi del giudice. Infatti, si è più volte osservato che nel
processo amministrativo non è necessario che la parte produca in giudizio il materiale
probatorio salvo che non sia nella sua completa disponibilità, ma se questo è nella
disponibilità della amministrazione la parte privata può limitarsi ad indicarlo e può
chiedere al giudice lacquisizione [62]. Da
queste notazioni si desume come il principio dellonere della prova venga applicato
solo come estrema ratio e solo qualora la prova non sia raggiungibile tramite
lesercizio dei poteri ufficiosi del giudice [63].
Del pari discutibile è laltra conclusione cui giunge qualche commentatore
allunisono con parte della giurisprudenza, per cui simili informazioni debbono
essere necessariamente riferite a fatti meramente accessori [64], rientranti nellambito strettamente tecnico, non potendo concernere i
«fatti posti o le situazioni sostenute che, in quanto posti a fondamento delle domande e
delle eccezioni, debbono essere provate dalle parti»; opinando diversamente si
ammetterebbe una forma di prova testimoniale o di interrogatorio da parte di un organo del
processo diverso da quello previsto dalla legge processuale senza le apposite garanzie [65].
Il problema andrebbe impostato in maniera diversa, distinguendo opposte esigenze: se da un
lato, ammettendo la consulenza «percipiente», si rischia di violare i limiti di
ammissibilità soggettivi e oggettivi delle prove di cui la consulenza terrebbe il luogo,
dallaltro si rischia di ammettere una prova su fatti mai allegati dalle stesse parti
oppure si può giungere ad una prova di un fatto senza dare il giusto spazio alla
controprova, ledendo il principio del contraddittorio, od infine si rischia di sollevare
le parti dallassolvimento dellonere della prova.
Per quanto concerne lonere della prova bisogna riferirsi a quanto sopra affermato in
merito, mentre per la presunta violazione del principio dispositivo si deve rimandare a
quanto si dirà in seguito. Rimane da affrontare la violazione dei limiti di
ammissibilità delle prove che la consulenza andrebbe a sostituire; simile problematica,
di recentemente riaffermata [66], va analizzata a
fondo dovendosi intendere la ragione per la quale il legislatore nel corso degli anni ha
elaborato i criteri di ammissibilità delle prove. Bisogna, preliminarmente, distinguere
tra prove precostituite e costituende, poiché mentre per le prime si porrà un problema
di ammissibilità, per le seconde si pone il diverso problema della ritualità della
produzione. Comunque, in entrambi i casi il problema di fondo rimane immutato ed è quello
se le parti possano usare il veicolo della consulenza per derogare ai limiti di
ammissibilità e di ritualità delle prove. In realtà, il problema sollevato da queste
questioni concerne il più ampio dibattito sulla introduzione delle prove atipiche e sulla
immensa rilevanza che queste stanno assumendo nel nostro processo grazie anche al
grimaldello del principio del libero convincimento del giudice [67]. Pertanto, il problema della violazione di simili limiti di ammissibilità
e ritualità delle prove potrebbe essere risolto rivalutando lo strumento
dellautorizzazione ex art. 194 c.p.c., con la quale il giudice potrebbe da un lato
ammonire sanzionare di «inesistenza» le produzioni documentali fuori termine [68], e dallaltro potrebbe imporre al consulente il
rispetto delle regole di ammissibilità delle testimonianze e successivamente esercitare
il potere, sempre ufficioso (ma che attiva il diritto al contraddittorio), di disporre la
deposizione di persone indicate nella relazione del consulente [69].
Del pari, però, una volta ammesso simile mezzo in siffatti termini non vi sono ostacoli a
vedervi una prova rappresentativa, che avrà i caratteri dellispezione nel caso la
situazione da accertare sia ancora persistente, oppure quelli dellesperimento se la
situazione sia già passata, ma debba essere ricostruita [70].
La giurisprudenza e la dottrina si sono soffermate anche sulla possibilità che nello
svolgimento delle sue attività il consulente acquisisca dei documenti, dalle parti o da
terzi, che non siano stati prodotti in giudizio. Occorre distinguere due ipotesi che
vengono soventemente confuse: il documento proveniente dai terzi e il documento
proveniente dalle parti. Mentre il primo caso (il documento proveniente dai terzi) deve
essere assimilato allassunzione dinformazioni da parte dei terzi, e per
effetto del dettato della norma cui allart. 194 c.p.c., simile attività è
sottoposta allautorizzazione del giudice, nella seconda ipotesi (documento
proveniente dalle parti), invece, si può ulteriormente distinguere il caso in cui i
documenti incartino le osservazioni delle parti che presiedono allo svolgimento della
consulenza, oppure si riferiscano ai fatti oggetto dellattività del consulente,
dalla diversa eventualità in cui le produzioni documentali non riguardino direttamente
lopera del consulente, ma siano ad essa, in qualche maniera, collegabili. Quindi, se
per i documenti aventi ad oggetto osservazioni ed istanze relative allattività del
consulente non vi sarebbero problemi di sorta, atteso che essi tenderebbero ad attuare il
principio del contraddittorio, i problemi si ripropongono in merito alla documentazione
aliunde prodotta dalle parti innanzi al consulente e non appartenente agli atti della
causa.
In giurisprudenza come in dottrina si fronteggiano due opposte tendenze. La prima prende
le mosse dal dettato del secondo comma dellart. 90 disp. att. c.p.c., il quale
statuisce espressamente che non sono producibili al consulente tecnico altri documenti
allinfuori di quelli previsti dallart. 194 c.p.c. e cioè le memorie
contenenti osservazioni ed istanze. Laltro orientamento, sostenuto da
autorevolissima dottrina e dalla più recente giurisprudenza, tende a restringere la
portata della lettera dellart. 94 disp. att. c.p.c. sostenendo che la ratio sottesa
alla norma in parola è quella di evitare delle violazioni del principio del
contraddittorio [71]. Se questa è la finalità, si è
sostenuto che la norma non pone alcun divieto, ma impone solo alla parte, che voglia
produrre simile documentazione, lobbligo di comunicarla allaltra parte a pena
d nullità (relativa) della stessa consulenza [72].
Questa considerazione rende necessaria una piccola chiarificazione; infatti, richiamando
quanto sopra detto in merito al principio dispositivo in senso stretto e in senso lato,
appare chiaro che la c.t.u. è un mezzo di prova dufficio e, quindi, deroga al
principio dispositivo in tema di prova, ma ciò non può portarci ad affermare che la
consulenza possa essere veicolo per introdurre altri fatti primari di cui le parti non
hanno fatto menzione [73]; pertanto, se simili
documenti possono sì portare alla prova non solo di fatti secondari (come vorrebbe una
certa giurisprudenza) [74] ma anche di fatti primari,
essi non possono introdurre dei fatti primari autonomi distinti da quelli oggetto della
causa.
Di conseguenza, appare evidente come le varie soluzioni in merito devono tener conto delle
opposte esigenze, ossia da un lato quella di evitare che siano introdotti nel processo
fatti che non erano stati richiamati dalle parti e, quindi, non vi appartenevano, e
dallaltro quella di evitare unapplicazione secca del principio dellonere
della prova, soprattutto per quei fatti che sono dimostrabili solo tramite lausilio
di cognizioni tecniche, evitando però che la CTU diventi solo loccasione per
violare le norme sulla acquisizione delle prove. Comunque, non è da sottacere come, una
volta introdotti nel processo e provati dei fatti che le parti non avevano contemplato,
sarà difficile poi per il giudice non tenerne conto in sede di decisione, dato che
appaiono del tutto vani i c.d. processi di esclusione mentale, essendo nota
lefficacia pervasiva della prova sia pur successivamente ritenuta inammissibile.
Pertanto, lunica soluzione al dilemma sopra posto è quella per cui il giudice, nel
momento dellaffidamento della consulenza tecnica, deve tracciare in maniera sicura
ed in relazione ai fatti allegati dalle parti i compiti del c.t.u., in modo che possa non
ammettere quelle parti del suo operato che abbiano violato simili limiti, evitando una
inutile e pericolosa precognizione [75].
Va richiamato a completezza del argomento de quo che nel febbraio dello scorso anno è
entrato in vigore il regolamento per lattuazione del processo telematico (D.M., 13
febbraio 2001, n. 123, Regolamento recante disciplina sulluso di strumenti
informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo
dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti) che agli artt. 13, 14 e 15 ha
introdotto una evidente novità anche in tema di consulenza tecnica [76]. Anche se non è possibile una trattazione ex professo dellargomento,
che pur la meriterebbe, di grande rilevanza appare lart. 13 terzo comma, ove
stabilisce che «gli atti probatori prodotti sono inseriti in apposite sezioni del
fascicolo informatico contenenti ciascuna lindicazione del giudizio e della parte
cui si riferiscono» che se collegato al successivo art. 15, laddove stabilisce che la
relazione di cui allart. 195 c.p.c. può essere depositata come documento
informatico sottoscritto con firma digitale nel medesimo fascicolo, fa presumere che vi
sarà anche una sezione dello stesso dedicata alle prove dufficio (tra cui la
consulenza tecnica) e per la quale vi sarà la presenza dei quesiti formulati dal giudice
al perito. In particolare, questo continuo controllo di corrispondenza che lo stesso
consulente potrà effettuare tra i quesiti formulatigli ed il proprio operato potranno
determinarlo ad un maggiore rigore nella formulazione della propria perizia; inoltre, il
giudice sarà facilitato, data la divisione in sezioni della parte del fascicolo
riguardante le prove, nella individuazione di quelle deviazioni che il perito potrà aver
commesso nellesecuzione del proprio incarico, anche al fine dellesercizio dei
suoi poteri latamente sanzionatori di rinnovazione, sostituzione o di integrazione della
consulenza. Comunque, tale innovazione non potrà certo portarci a facili conclusioni che
tendano a meccanizzare la valutazione del risultato della consulenza, ossia a soluzioni
che tendano ad escludere il potere valutativo del giudice, altrimenti si rischierebbe di
ricadere nel velleitario quanto inutile ideale illuministico che vedeva il giudice quale
bocca della legge o vox iuris.
5. La disponibilità da parte del giudice della consulenza
In giurisprudenza, ma anche in dottrina, suole affermarsi che la nomina
del c.t.u. (un discorso a parte, invece, merita il consulente di parte, dato che la sua
nomina può anche avvenire al di fuori di espresso provvedimento del giudice di
investitura di quello dufficio, ma la cui sussistenza rileva soprattutto in punto di
efficacia della relativa relazione)[77] è una
attività discrezionale del giudice e, quindi, rimessa al suo libero apprezzamento [78], salvo i casi di nomina obbligatoria (la cui unica
ipotesi è rintracciabile nelle cause relativi a sinistri marittimi, mentre è caduta la
nomina obbligatoria per le cause previdenziali [79])
Ulteriore indirizzo, sempre collocantesi nel filone di pensiero che disconosce alla c.t.u.
natura di prova, ha ritenuto che simile caratteristica dellistituto legittimerebbe
una nomina del consulente alla stessa udienza di prima comparizione ex art. 180 c.p.c.,
anche per il carattere non tassativo delle attività risultante dalla norma succitata,
giustificando, così, una soluzione che appare discutibile per molti versi [80]. In particolare, pur non ammettendo che la c.t.u. sia un mezzo di prova, ma
determini, comunque, laccertamento ex se dei fatti allegati dalle parti, ammettendo
simile strumento già nella prima udienza di comparizione ex art. 180 c.p.c., sembra che
si voglia sostenere la pratica, contraria al principio del contraddittorio, delle
decisioni c.d. della «terza via» [81]; come ha
notato la dottrina unanime, simile disfunzione sarebbe da escludere anche alla luce del
dettato del comma 3 dellart. 183 c.p.c. e del terzo comma dellart. 184 c.p.c. [82]; Proprio questultima norma consente alle parti
di richiedere lammissione o di far acquisire mezzi di prova che si rendano necessari
in relazioni a quelli disposti dufficio [83].
Pertanto, non solo le parti potranno proporre deduzioni circa la rilevanza e
lammissibilità delle prove dufficio, ma potranno chiedere lammissione
di controprove, dirette od indirette, tendenti a negare lesistenza o la veridicità
dei fatti cui le prime si rivolgono [84].
Tuttavia, questa impostazione va necessariamente coordinata con una recente pronuncia del
Supremo Collegio [85], la quale ha ritenuto in
generale che la sequenza delle udienze del 180, 183 c.p.c. ha «natura tendenzialmente
inderogabile» e, quindi, il giudice, al di là di una effettiva richiesta delle parti
(come in realtà credevano le corti di merito) [86] o
dalla contumacia del convenuto, deve necessariamente concedere (in ogni caso) il termine
per la proposizione delle eccezioni in senso stretto previsto dal secondo comma
dellart. 180 c.p.c. Il Supremo giudice, però, ha soggiunto che le parti possono
accordarsi per anticipare fasi successive, poiché hanno una «limitata disponibilità del
processo». Ora, seguendo il ragionamento della Corte, sembra legittimarsi la pratica
anticipativa della consulenza sin dalludienza di comparizione; tuttavia non sembra
che il giudice in tale udienza possa legittimamente disporre la consulenza tecnica,
poiché dovrebbe prima aspettare che su concorde volontà delle parti si anticipi la fase
istruttoria.
In realtà, però, difficilmente il giudice potrebbe disporre la consulenza ed al tempo
stesso assegnare il termine ex art 180 c.p.c., senza rischiare di porre in essere una
attività del tutto inutile [87].
6. La valutazione della attività del consulente: la sostituzione e la rinnovazione
In relazione allistituto in esame almeno altri due profili hanno
suscitato il vivo interesse della dottrina e della giurisprudenza: la valutazione
dellattività del c.t.u. e la nomina del consulente tecnico di parte.
Partendo dal primo profilo bisogna sottolineare come la valutazione del giudice
sullattività del consulente darà luogo ad almeno tre alternative: la sostituzione,
la rinnovazione delle indagini, laccoglimento o il rifiuto da parte del giudice dei
risultati raggiunti. Tuttavia, la dottrina tradizionale tiene nettamente distinti i
profili della sostituzione e della rinnovazione della consulenza dai diversi casi
delladesione o della mancata adesione ai risultati a cui è giunto il consulente,
anche per il fatto che, mentre la sostituzione e la rinnovazione sono state regolate in
maniera espressa dal legislatore, le altre due ipotesi rientrano nel processo di
motivazione e nelle modalità di redazione della sentenza o del provvedimento del giudice [88].
In realtà, però, la scelta della trattazione congiunta delle ipotesi de quibus appare
giustificata, poiché anche la sostituzione e la rinnovazione della consulenza
presuppongono una sorta di giudizio negativo o, comunque, di insufficienza
dellattività espletata [89]. La rinnovazione si
caratterizza e si distingue dalla sostituzione, perché da un lato è disposta a seguito
della conclusione della stessa, mentre la sostituzione di solito si verifica nella stessa
fase di esecuzione della consulenza, ed in secondo luogo perché per lesercizio del
potere di sostituzione devono ricorrere «gravi motivi» di cui il giudice è tenuto a
dare conto nella motivazione dellordinanza di sostituzione [90]. La funzione dei due istituti risulta diversa: infatti, se da un lato la
rinnovazione è disposta quando la consulenza abbia raggiunto risultati non adeguati allo
scopo, oppure quando questa sia affetta da qualche forma di nullità, la sostituzione,
invece, ha una funzione prettamente sanzionatoria di inadempienze dello stesso consulente [91]. Inoltre, secondo la giurisprudenza prevalente, la
relativa decisione, rientrando nei poteri discrezionali del giudice che lha
disposta, non sarebbe censurabile in sede di legittimità [92], pertanto il giudice potrebbe decidere di non procedere ad una vera e
propria rinnovazione, ma ad una ben minore integrazione, oppure a delle precisazioni della
stessa [93].
Gli istituti della sostituzione, della rinnovazione e della integrazione della consulenza,
non avevano ragione di esistere per le verificazioni tecniche che spesso il giudice
amministrativo domandava alla stessa amministrazione parte in causa, salvo un affidamento
ad altra amministrazione [94]. Tuttavia, se le
verificazioni comportavano dei problemi di terzietà dellorgano tecnico preposto
allacclaramento [95], da quando la consulenza,
già per le materie del pubblico impiego e per le materie di giurisdizione esclusiva, ha
fatto ingresso nel processo amministrativo, si sono posti dei problemi per i provvedimenti
di revoca e rinnovazione della medesima.
6.1. La rinnovazione della consulenza in appello
Un problema non di poco momento concerne la rinnovazione della consulenza in appello [96]. In particolare, al di là delle pronunce
possibiliste della giurisprudenza [97] e della
dottrina, è necessario verificare fino a che punto sia possibile ammettere
lapplicazione dellistituto de quo alla luce del nuovo art. 345 c.p.c. e del
divieto dei nova in appello [98]. In particolare, per
la soluzione di questo interrogativo occorrerebbe partire dal concetto di prova nuova per
verificare quando sia possibile disporre la consulenza in appello, tuttavia dapprima
analizzeremo i vari orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in merito alla
rinnovazione delle prove, ed anche della consulenza, in appello [99].
In generale, il potere di rinnovazione di tutte le prove nella fase dappello di
solito è dettata da due esigenze, sottolineate da attenta dottrina, che sono da un lato
quella di rimediare a nullità ed irregolarità che si sono verificate in sede di
assunzione del mezzo di prova e dallaltro quella di precisare le risultanze
scaturite dallassunzione, facendo rivivere le impressioni che un contatto con la
prova può ingenerare [100]. Tuttavia, risulta arduo
comprendere, dato che della funzione di recupero della immediatezza e della oralità nel
fase di gravame per effetto della rinnovazione sono in molti a dubitare [101], quel particolare indirizzo giurisprudenziale che permette non solo al
giudice dappello di rinnovare la consulenza tecnica in appello, al di là di un
vizio di quella in primo grado, ma, addirittura, una volta assunti i rispettivi risultati
aderire alla consulenza disposta in prime cure [102].
Invero, nellipotesi prospettata non si riesce a comprendere, al di fuori
dellincertezza del giudice sulladesione immediata ai risultati della prima
consulenza, la necessità di una rinnovazione dellattività gia svolta- che,
successivamente, risulterà del tutto inservibile e per giunta contraria ad un principio
di celerità a cui sembra essere stato improntato il giudizio di gravame [103] per una semplice conferma delle risultanze probatorie della prima
fase. In realtà, anche se nella materia de qua è facile cadere in giudizi di mera
opportunità, va però rilevato che, essendo la consulenza un mezzo di prova molto
dispendioso, il giudice non dovrebbe disporlo quando ciò sia non indispensabile, poiché
la rinnovazione deve essere considerata a differenza della giurisprudenza e della
tradizione del nostro codice del tutto eccezionale. Infatti, se la rinnovazione
presuppone, comunque, un giudizio o di incompletezza o di inaffidabilità della
istruttoria di primo grado, come si potrà successivamente, ritenere la prima prova, che
invece era stata considerat dapprima insufficiente, più completa della seconda e, dunque,
in grado di fondare la decisione del giudice dellappello? Pertanto, lunica
soluzione plausibile a questo indirizzo potrebbe essere quella per cui si potrà procedere
alla rinnovazione solo «quando sia sollevata plausibile controversia sulle risultanze
desunte da quella prova del giudice di primo grado» [104] e quando solo a seguito della rinnovazione questi dubbi siano colmabili.
In altri termini, il giudice dovrà effettuare un giudizio di indispensabilità della
rinnovazione se non vorrà ledere il principio di economia processuale.
6.2 La rinnovazione della consulenza tecnica nel sistema delle
prove non nuove in appello
In particolare, parte della dottrina ha ritenuto che la norma contenuta nellultimo
comma dellart. 345 c.p.c. non solo determini un limite per lammissione delle
prove nuove, ma costituisca di per sé un ostacolo invalicabile per le prove non nuove in
appello. Il divieto deriverebbe dal fatto che la norma di cui allart. 345 c.p.c.,,
sarebbe espressione del principio di unitarietà della prova e dellistruzione
probatoria, per cui le prove in appello, oltre ad essere indispensabili, dovrebbero essere
anche necessariamente nuove [105]. Tuttavia, per
lanalisi che qui si va svolgendo e, in particolare, per un mezzo di prova
dufficio come la consulenza, il principio di unitarietà può avere una
limitatissima applicazione; di fatti, potendo essere considerate prove «non nuove» anche
quelle ammesse in primo grado, ma poi non esperite e così quelle che dapprima ritenute
ammissibili in primo grado siano successivamente non ammessa perché irrilevanti superflue
od addirittura inammissibili [106], e potendo
verificarsi ciò anche per la consulenza (pensiamo ad esempio al caso in cui il giudice
ammessa in un primo momento la consulenza perché ritenuta rilevante, successivamente non
la esperisca, risultando laccertamento demandato al consulente tecnico già
contenuto in un documento della pubblica amministrazione), è necessario chiedersi se la
richiesta istruttoria in appello sia preclusa alla parte. Sebbene la consulenza sia un
mezzo di prova ufficioso che non abbisogna di unapposita richiesta di parte, dovendo
anche il giudice rispettare le preclusioni maturate per le parti e non potendo luso
dei poteri ufficiosi rimettere in termini le parti al di fuori della ipotesi di cui al 184
bis c.p.c., è necessario intendersi sul significato che per il giudice può assumere il
principio in esame. Per di più, va chiarito che il principio in esame, nel modo in cui è
stato usato, o meglio è stato criticato [107], è
servito alla dottrina per giustificare uno scavalcamento delle preclusioni istruttorie
maturate nel processo di primo grado. Simile esigenza (id est: quella di superare le
preclusioni istruttorie maturate nel processo di primo grado) è stata soddisfatta in due
modi dalla dottrina. Alcuni autori hanno ritenuto, in ossequio alla tradizione, di
conservare il principio dellunitarietà della prova e dellistruzione
probatoria in sé, superando il limite alla riproposizione delle istanze istruttorie
formulate o meno nel giudizio di primo grado ma precluse o per effetto del meccanismo di
cui allart. 184 c.p.c. o per quelli di cui agli artt. 208 c.p.c.104 disp. att.
c.p.c.. In particolare, si è ritenuto che il principio in parola costituisca un principio
di civiltà giuridica che «permetterebbe di preservare listruttoria espletata dagli
infidi attacchi di prove costituite ad hoc, per confutarla e smontarla brano a brano» [108], e, pertanto, non essendo incompatibile il
requisito della novità con la remissione in termini, le eventuali decadenze verificatesi
nel corso del processo di primo grado dovrebbero essere superate o tramite norme apposite
(id est: il secondo comma del 208 c.p.c.) oppure tramite il rimedio generale dellart
184 bis c.p.c. [109] In altre parole, questa
dottrina, rivitalizzando le opinioni di illustri commentatori, ha sostenuto che il
principio di contestualità o di unità, generalizzato dallart. 184 c.p.c., andrebbe
coordinato con il principio dei nova in appello di cui al 345 c.p.c.; per questa ragione,
il terzo comma dellart. 345 c.p.c. riguarderebbe essenzialmente solo le prove
diverse sui medesimi fatti di cui in prime cure e, conseguentemente, le parti, se da un
lato avranno la possibilità nei limiti di cui al terzo comma dellart 345 c.p.c. di
dedurre nuove prove sui fatti principali già dedotti in primo grado, daltro canto
potranno chiedere lammissione di quelle prove che per un motivo od un altro non sono
state assunte [110].
Diversamente altra dottrina ha dato una interpretazione restrittiva dellart. 345
c.p.c. e con esso del principio di unità o di contestualità; infatti, ha sostenuto che,
essendo prevista dallart. 356 c.p.c. la facoltà per il giudice di rinnovare
lassunzione delle prove e dato il fatto che queste non vengono essenzialmente
qualificate come nuove, la portata dellart 345 c.p.c. verrebbe ad essere ridotta ai
soli criteri di ammissibilità delle prove nuove. Pertanto, il giudice dovrebbe disporre
di tutte le prove non ammesse o di cui non sia stata possibile lammissione per varie
cause [111].
In fine, riportando questa impostazione nellambito della consulenza ed al problema
pratico sopra individuato, ed ammettendo che la istanza per la richiesta della consulenza
soffra le stesse limitazione che sono imposte alle istanze istruttorie di parte, si
potrebbe sostenere che se si aderisse alla prima impostazione la richiesta di rinnovazione
sarebbe preclusa salvo la possibilità di una remissione in termini; se, invece, si
seguisse laltra opinione, in qualsiasi momento il giudice potrebbe rinnovare o
disporre la prova pur prescindendo dalla sua novità
6.3. Lapplicabilità dei limiti di cui al terzo comma
dellart. 345 c.p.c. alla consulenza tecnica e la prova nuova
Parte della dottrina ed anche la giurisprudenza ritengono questo un falso problema
poiché, ritenendo che la consulenza non sia una prova, ma solo un mezzo istruttorio in
grado di fornire al giudice degli elementi di valutazione tecnica dei fatti già acquisiti
e asseverati al processo, non credono che sia applicabile lart. 345 secondo comma
c.p.c.; infatti, starebbe sempre alla discrezionalità del giudice decidere o meno di
disporla, anche per la prima volta in appello. Più in generale, soprattutto la
giurisprudenza, ma anche la giurisprudenza teorica, ha generalizzato consimili
affermazioni ritenendo non solo che la consulenza tecnica, per la sua particolare natura,
sia da escludere dallambito di applicazione dellart. 345 c.p.c., ma anche che
si dovrebbe escludere lapplicazione della norma in esame a tutte le prove
disponibili dufficio [112].
Tuttavia, questo orientamento avrebbe bisogno di un approfondimento e di una rivisitazione
critica. In particolare, sembra spesso confondersi nella materia de qua due profili che,
sebbene intimamente connessi, devono essere analizzati distintamente; nello specifico si
dovrebbe distinguere il profilo della introduzione in sede di gravame della prova, da
quello diverso dei fatti principali e secondari che la prova dovrebbe andare ad asseverare
[113]. Infatti, la questione posta nei termini di
cui sopra coinvolgerebbe non solo il corretto inquadramento dellultimo comma
dellart. 345 c.p.c., ma anche lesatto coordinamento della questione in esame
con la portata del primo e del secondo capoverso dello stesso articolo. Di fatti, è del
tutto distinta lindagine sullambito di estensione delle prove nuove in appello
dalla diversa analisi della ammissibilità dellintroduzione di nuovi fatti (primari
o secondari) tendenti a fondare eccezioni nuove o domande nuove. Per di più, va chiarito
che non si può parlare di prova nuova laddove fossimo di fronte a prove già richieste in
primo grado, pertanto questa categoria semantica verrebbe in considerazione soltanto in
due casi: o nel caso in cui si chieda lammissione di prove diverse da quelle
richieste in prime cure per laccertamento di fatti già introdotti in primo grado,
oppure quando si voglia ripetere la prova già ammessa in primo grado ma per
lasseveramento di un fatto diverso [114].
Ora, se si cercasse di calare questi concetti sul tema del potere probatorio ufficioso in
appello si verrebbero a stagliare una serie di interrogativi che spesso rendono
incomprensibile il sistema. In primis, non appare chiaro perché in grado dappello,
nonostante lampia dicitura dellultimo comma dellart. 345 c.p.c. questa
norma non sia applicabile alle prove disposte ex officio, mentre le parti soffrirebbero
tali limitazioni. Secundum, del pari difficilmente decifrabile appare la compatibilità
della affermazione cui sopra con la ricorrente asserzione, in particolare, della dottrina,
ma anche, della giurisprudenza, per cui una ampia ammissione dei poteri ufficiosi
lederebbe il principio di imparzialità del giudice [115].
Tertium, non si capisce perché spesso parte della dottrina per alcuni poteri ufficiosi
del giudice, in particolare per la possibilità della prova testimoniale di cui
allart. 281 ter, giunge a conclusioni diametralmente opposte a quelle raggiunte per
il resto delle prove ufficiose. In fine, va precisato come sia possibile conciliare le
pronunce limitative dei poteri istruttori ufficiosi della giurisprudenza e la tendenza a
vedere la prova ufficiosa come estrema ratio, con il principio, sopra richiamato, per cui
il giudice non soffrirebbe limiti allammissione di mezzi di prova nella fase di
gravame [116]. Ovviamente, questo esercizio deve
necessariamente passare per lelaborazione che il concetto di eccezione rilevabile
dufficio contemplato dallart. 345 c.p.c. e quello di indispensabilità hanno
subito da parte della dottrina.
Comunque, lapprofondimento delle problematiche sopra richiamate deve,
necessariamente, partire dal concetto di prova nuova, seguendo due strade distinte per le
due ipotesi di prova nuova sopra richiamate. Difatti, mentre la prima ipotesi di prova
nuova - in una concezione di lessoniana memoria [117],
ossia quella per cui il fatto da provare sia diverso da quelli già introdotti in primo
grado - concernendo essenzialmente lintroduzione di fatti nuovi nella fase di
gravame, atterrebbe ai primi due commi dellart. 345 c.p.c. (per cui la ricaduta a
livello probatorio sarebbe soltanto indiretta e consequenziale), la seconda ipotesi,
invece, (quella per cui il fatto da provare sia identico a quello introdotto in prima
istanza, ma diverga solo il mezzo di prova) riguarderebbe essenzialmente la prova e
lambito di applicazione dei criteri indicati nellultimo comma dellart.
345 c.p.c. In realtà, i due concetti sembrano evocare delle problematiche del tutto
distinte e, pertanto, una loro completa omologazione ed accostamento, così come sostenuto
dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ha la veste dellartifizio logico. In altre
parole, per i fatti nuovi allegati per la prima volta nella fase di impugnazione e, per di
più, introdotti tramite la prova ammessa dufficio, vi dovrebbe essere un doppio
vaglio costituito non solo dalla verifica della corrispondenza ai canoni di cui al terzo
comma dellart. 345 c.p.c., ma anche dal previo controllo sulla compatibilità
dellintroduzione dei fatti nuovi con i primi due commi del medesimo articolo. In
altre parole, a modestissimo avviso di chi scrive, si potrebbe ritenere che il concetto di
«prova nuova» andrebbe limitato rispetto alla concezione tradizionale, restringendolo al
caso della sola prova diversa sullo stesso oggetto del giudizio di primo grado; infatti,
nella diversa ipotesi in cui la prova si caratterizzasse per la novità dei fatti, il
problema maggiore da risolvere sarebbe costituito dallammissibilità di fatti nuovi
in sede di gravame.
Pertanto, partendo dalla prima ipotesi riprendono vigore gli interrogativi sopra esposti
sulla applicazione della norma di cui allart. 345 c.p.c. A nostro sommesso avviso,
infatti, il giudice non potrebbe introdurre tramite lesercizio del potere ufficioso
dei fatti nuovi che le parti non avevano già allegato in primo grado. Con minore
approssimazione, siccome lart. 345 c.p.c. sembra essere diretto non soltanto nei
confronti delle parti, ma anche dello stesso giudice, questi potrebbe introdurre nuovi
fatti solo nei limiti in cui ciò sia consentito alle stesse parti in questa fase di
gravame. Pur essendo consapevoli che questa impostazione potrebbe sembrare eccessivamente
rigida e potrebbe ostacolare il giudice nella ricerca della verità, risultando,per
giunta, contraria agli orientamenti giurisprudenziali dominanti in merito, tuttavia
possiamo sostenere che, ragionando a contrario, si rischierebbe di ledere non
solo il principio di imparzialità del giudice, ma anche quello del contraddittorio,
ledendo anche la struttura dellappello rischiando di trasformarlo in un novum
iudicium. Infatti, se il giudice, ammettendo ad esempio la consulenza tecnica, affidasse
al consulente il compito di accertare dei fatti che non sono stati introdotti dalle parti
né in primo grado né in fase di gravame, le parti non avrebbero la possibilità di
contraddire in merito (se non tramite la consulenza di parte), e il giudice dovrebbe, per
di più, permettere alle parti di introdurre a loro volta, proprio per il rispetto del
principio sopra menzionato, altri fatti principali che andrebbero a fondare domande od
eccezioni la cui necessità sia derivata dalla prova ufficiosa; in tal caso si
rischierebbe di travisare la natura che lappello doveva assumere tramite la riforma
dellart. 345 c.p.c., ossia di semplice revisio, per farlo diventare un vero e
proprio novum iudicium dove il secondo giudice possa essere reinvestito di tutta la
questione e senza limiti di sorta. Pertanto il giudice, nellammettere le prove
dufficio, dovrebbe soffrire le stesse limitazioni delle parti e, più in
particolare, qualora la prova introduca dei fatti nuovi essa sarà ammissibile solo
laddove questi siano introducibili in appello, ossia nei limiti tracciati dalla dottrina
sul primo e sul secondo comma dellart. 345 c.p.c. [118] Di fatti, nellipotesi sopra ricordata sarebbe leso anche il
principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato nel senso che il giudice,
quandanche provocasse successivamente il contraddittorio sulla questione, avrebbe
sicuramente determinato la lesione del principio dispositivo in senso sostanziale poiché
avrebbe introdotto nel giudizio dei fatti di cui solo lui aveva rintracciato la
decisività (iudex iusta alligata iudicare debet).
Qualora, invece, fossimo di fronte ad una prova disposta dal giudice diversa da quelle
assunte in primo grado, ma che tenda ad asseverare un fatto già acquisito alla fase
dellappello per leffetto devolutivo dello stesso, allora in tale evenienza uno
sbarramento al potere ufficioso deve comunque essere eretto. La dottrina più attenta alla
problematica de qua ha sostanzialmente cercato di interpretare in tal senso il requisito
della indispensabilità [119] . E stato
sostenuto che questo criterio sarebbe un criterio di ammissibilità limitato alle sole
prove nuove disposte dufficio e non riguarderebbe le prove disponibili dalle parti [120]. A simile conclusione si sarebbe giunti tramite
il parallelismo con la medesima disposizione dellart. 437 c.p.c. e mediante la
ricostruzione unitaria del concetto di indispensabilità tramite lanalisi congiunta
delle norme di cui agli artt. 118 e 210 c.pc. Però, questa ricostruzione è stata
sottoposta ad un serio vaglio critico da parte di recente dottrina, che, pur enucleando un
preciso criterio di indispensabilità diverso da quello di rilevanza [121], ha omesso di applicare il medesimo criterio per lammissione di
tutte le prove dufficio e nello specifico anche per la prova testimoniale di cui
allart. 231 ter, la quale entra anche essa nella congerie dei poteri ufficiosi del
giudice.
Qualunque, sia il concetto che si voglia assumere di indispensabilità [122] e pur nella coscienza che esso assume significati diversi tra il processo
ordinario, e quello del lavoro e pur escludendo che esso possa costituire un semplice
ammonimento od «invito al giudice dappello ad essere.
.parco
nellammissione delle nuove prove» [123] ,
esso costituisce un vero e proprio limite interno allammissione di prove nuove
dufficio [124] nellaccezione di cui
sopra, mentre laltro criterio (quello della causa non imputabile), se pur non
diretto espressamente al potere istruttorio dufficio, ne costituisce un
evidentissimo limite esterno, per cui con il potere conferito al giudice, ossia quello di
disporre anche in appello quelle prove che si ritengono rilevanti, non si può derogare a
quei limiti incidenti sulle richieste istruttorie derivanti dalla struttura
dellappello e dalle preclusioni maturate nel primo grado [125].
Pertanto, giungendo a conclusione possiamo affermare che, essendo la consulenza tecnica
una prova disponibile dufficio, il suo esperimento per la prima volta in fase di
gravame subirebbe due ordini di limitazioni diverse a seconda che introduca ex se fatti
nuovi non richiamati dalle parti, oppure si limiti a provare in maniera alternativa fatti
gia presenti. Nella prima ipotesi, sarebbe ammissibile solo nel limite in cui i fatti
possano entrare per la prima volta in sede di gravame; nel secondo caso essa sarebbe
ammissibile purché essa sia indispensabile e non vada a sollevare le parti dalle
preclusioni maturate.
6.4 La consulenza tecnica nellappello lavoro. Un caso di
difficile decodificazione: lart. 441 c.p.c.
Un discorso parzialmente diverso merita la consulenza nellappello per le cause
trattate con il rito del lavoro. Da ultimo attenta dottrina ha avuto modo di rimeditare la
portata dellart. 441 c.p.c. , in particolare, il rapporto che intercorrerebbe con il
secondo comma dellart. 437 c.p.c. Già in precedenza alcuni commentatori avevano
sostenuto che la consulenza tecnica in appello era disponibile per la prima volta solo se
il ricorso a tale strumento era ritenuto indispensabile [126]. In tal modo, si cercava una sorta di parallelismo tra il secondo comma
dellart 437 e il terzo comma dellart. 345 c.p.c., per cui la consulenza
disposta per la prima volta in appello sarebbe stata assoggettata nel rito ordinario ai
limiti di cui al terzo comma dellart. 345 c.p.c., e nel rito lavoristico ai medesimi
limiti sanciti dallart. 437 c.p.c. Ciò nonostante, recente dottrina ha ritenuto
che, in realtà, la consulenza disposta per la prima volta in appello sarebbe svincolata
dal requisito della indispensabilità, poiché la lettera dellart. 441 c.pc. non
ricalcherebbe quella del vecchio art. 453 c.p.c., non prevedendo alcun limite
allesercizio del potere di disporre la consulenza tecnica [127]. Da questa premessa, la dottrina in parola ha fatto derivare una soluzione
sistematica sulla stessa natura della consulenza; infatti, se lart. 441 c.p.c. non
pone limiti al potere del giudice di disporre la consulenza tecnica in appello allora essa
non può essere parificata agli stessi mezzi di prova esperibili ex officio.
A questa soluzione non si può certamente aderire poiché non appare sufficiente desumere
lassenza di limiti alla nomina del consulente per la prima volta in appello da parte
del giudice del lavoro dal semplice dato storico costituito dalla formulazione letterale
dellart. 453 c.p.c., e, ancor più, non è accettabile la soluzione adottata in
ordine alla natura della consulenza. Infatti, già ampiamente abbiamo discorso sulla
riconducibilità del mezzo in parola tra i mezzi di prova disponibili dufficio,
tuttavia va precisato che se poniamo a confronto lart. 441 c.p.c. e lart. 356
c.p.c., tra le due norme possiamo individuare una relazione di genere a specie, poiché se
nellart. 356 c.p.c. si fa riferimento allassunzione della prova
distinta dalla rinnovazione della stessa e con tale riferimento si è voluto indicare
lassunzione delle prove nuove, i cui limiti di ammissibilità sono rintracciabili
nel terzo comma dellart. 345 c.p.c., nulla vieta che lart. 441 c.p.c. faccia
rinvio implicito allart. 437 secondo comma c.p.c. ai fini della individuazione dei
limiti di ammissibilità della prova nuova nellappello del rito del lavoro. In
particolare, ragionando diversamente si dovrebbe ritenere che il requisito della
indispensabilità sia ulteriormente limitato nella fase di gravame del rito lavoristico,
dandone così una interpretazione abrogante [128].
Pertanto, si può concludere che essendo la consulenza una prova nella disponibilità del
giudice, dovrebbe seguire gli stessi limiti di ammissibilità a cui sono sottoposti gli
altri poteri probatori del giudice in appello; mentre non si vede perché dal confronto
con una norma abrogata si debbano desumere o trarre argomentazioni per sostenere una tesi
circa la natura della consulenza tecnica.
6.5 La modalità di riproposizione delle istanze istruttorie in
appello
Una questione connessa a quella sopra enunciata riguarda le modalità con cui le parti in
grado dappello debbano rinnovare la richiesta della consulenza tecnica negata nel
corso del primo grado. Il problema è vedere se sia applicabile alle prove, ed in
particolare anche alla consulenza, lart. 346 c.p.c. [129] Proprio risolvendo questo problema preliminare della natura della
consulenza (di cui si è già ampiamente discettato) si potrà rispondere al quesito se la
richiesta in appello della consulenza debba essere fatta come motivo specifico o tramite
una semplice riproposizione della istanza nel corso della prima udienza, e se la semplice
riproposizione delle domande e delle eccezioni a cui le prove erano collegate determini la
loro implicita riproposizione senza alcuna attività propositiva [130]. In realtà la Suprema Corte, da ultimo [131], ha affermato che lart. 346 c.p.c. non può essere riferito alle
prove, riguardando il solo thema decidendum e non il thema probandum, ma esse devono
essere oggetto di riproposizione, oppure oggetto di uno specifico mezzo di gravame laddove
ciò sia necessario. In particolare, La Suprema Corte nellipotesi in questione ha
giustamente notato come sarebbe irrazionale attribuire al giudice il compito di ricercare
ex officio i mezzi proposti dalle parti in primo grado e collegati a quei capi della
pronuncia di prima istanza espressamente impugnata. Tuttavia, questa statuizione sembra
non essere risolutiva della questione; però ad una più attenta analisi della pronuncia
del supremo giudice si evince che, sia pur nel rispetto dellindirizzo
giurisprudenziale più copioso, la corte ha sostanzialmente ritenuto che le istanze
istruttorie devono essere oggetto di riproposizione od addirittura di un motivo specifico
dappello [132]. Tutta questa dissertazione non
riguarda le prove nuove, o meglio quelle prove che tendano ad asseverare i fatti nuovi
introdotti per la prima volta in appello, poiché esse necessariamente seguiranno le
modalità di introduzione dei nuovi fatti nella fase di gravame, ossia essi saranno
indicati nellatto introduttivo dellappello [133].
Di conseguenza, la questione sembra traslarsi, una volta chiarito il modus con cui le
istanze istruttorie possono essere riproposte in fase dappello, al tempus, ossia al
dies ad quem per riproporre le deduzioni. In merito si fronteggiano opposte teorie:
infatti, se parte della dottrina ritiene che la riproposizione debba avvenire
necessariamente negli atti introduttivi [134], altra
parte ritiene che listanza non sia sottoposta a particolari decadenze e possa essere
presentata fino alludienza di precisazione delle conclusioni [135]; in fine, altri commentatori hanno invece sostenuto che la riproposizione
seguirebbe le stesse preclusioni previste in primo grado [136].
Pur volendo aderire alla soluzione che vede lappello con una struttura
concentratissima, e quindi esclude lapplicabilità dellart. 184
c.p.c., non fossaltro per evitare leventualità di una fase istruttoria nella
fase di gravame, va precisato come le notazioni sul tempus ed il modus della
riproposizione delle istanze istruttorie possano avere applicazione per la consulenza
tecnica. Per quel che concerne il mezzo istruttorio in esame, va sempre tenuto presente
che è un mezzo istruttorio nella piena ed esclusiva disponibilità del giudice e,
pertanto, questi può disporla di propria iniziativa anche al di fuori di una richiesta
delle parti [137]. Tuttavia, a modesto avviso dello
scrivente, sembrerebbe che una rinnovazione della consulenza tecnica oppure la nomina del
c.t.u. per la prima volta in appello, senza una esplicita istanza della parte, possano
costituire una sorta di remissione in termini occulta tendente a scavalcare il dettato
dellart. 346 c.p.c. Inoltre, in questo modo si permetterebbe al giudice, a cui poi
è data la facoltà di formulare i quesiti al perito, di violare in maniera più agevole
il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato a cui sembrerebbe
essere inverato lart. 346 c.p.c. e, più in generale la stessa struttura
dellappello riformato. Infatti, se la struttura dellappello e quella di
revisio prioris istantiae, è rimessa alla parte lindividuazione del capo della
sentenza da dover censurare e, conseguentemente, quali prove nuove o non nuove siano
necessarie per sostenere le proprie censure; diversamente, si attribuirebbe al giudice il
potere non solo di disporre del processo, ma con esso anche della situazione sostanziale
azionata.
6.6 I risultati della consulenza e la loro valutazione
Per quanto concerne la valutazione dei risultati della consulenza tecnica la
giurisprudenza è ormai da anni su posizioni monolitiche nellaffermare che il
giudice, essendo il peritum peritorum, può discostarsi in qualsivoglia momento dalle
risultanze della consulenza purché, nel discostarsi dalle valutazioni del tecnico, motivi
espressamente simile scelta [138]. Qualora invece
ritenga di non doversene allontanare può fare un semplice riferimento alla consulenza,
dando luogo così ad una motivazione per relationem [139].
Diversa appare, invece, la problematica del consulente che, tracimando il campo del
proprio incarico, abbia tratto delle conseguenze giuridiche dagli accertamenti svolti non
limitando la propria analisi al campo meramente tecnico e fattuale al quale simile mezzo
è destinato, ma invadendo il campo riservato alla cognizione del giudice. In tal caso il
giudice non potrà avvalersi dello strumento della motivazione per relationem, ma, qualora
voglia aderire alle conclusioni raggiunte dal consulente, dovrà formare una propria ed
autonoma motivazione, tenendo conto delle deduzioni che abbiano fatto sul punto le parti [140].
7. Diritto alla prova contraria e la consulenza tecnica di parte
La consulenza tecnica di parte è un istituto rilevante sotto molteplici
angoli prospettici. Infatti, essa non rileva solo come esempio e modo di estrinsecazione
del principio di difesa e del suo corollario della parità delle armi, ma dovrebbe essere
analizzata anche sotto il diverso profilo della rilevanza probatoria. In realtà, però, i
due aspetti non sono nettamente separati, bensì si contemperano e si fondono; infatti,
proprio dalla rilevanza della consulenza di parte come controprova alla consulenza tecnica
dufficio si capisce come questa ricada nellambito di applicazione
dellart. 184 c.p.c. Simile conclusione, però, non è condivisa da tutti i
commentatori ed in particolare dalla giurisprudenza. La Suprema Corte in più occasioni ha
chiarito, con un orientamento che è stato fatto proprio anche dalla Corte Costituzionale [141], come il consulente tecnico di parte sia
espressione della parte processuale per cui presta la sua opera [142] e, pertanto, il risultato delle sue operazioni non può essere considerato
come una acquisizione istruttoria o latamente probatoria, bensì una mera allegazione
difensiva a contenuto tecnico della parte [143]. Da
simile postulato fondamentale la giurisprudenza trae una serie di corollari necessari. In
primis, essendo la c.t.p. una attività non istruttoria, essa non sarebbe sottoposta alle
preclusioni di cui al 184 c.p.c., e quindi queste allegazioni tecniche, tendenti a
criticare, a confutare oppure a sostenere lesistenza di fatti impeditivi della
ricostruzione operata dal c.t.u. [144] potrebbero
essere proposte fino alludienza di precisazione delle conclusioni, eliminando così
il problema dellammissibilità della controprova qualora la relazione del c.t.u. sia
depositata ben oltre il limite stabilito dallart. 184 c.p.c. In secondo luogo, si
ritiene che, non essendo la c.t.p. una prova vera e propria, il giudice non abbia un
obbligo di motivare espressamente, salvo che la c.t.p. abbia un contenuto preciso,
circostanziato e tale da condurre a conclusioni difformi da quelle a cui è giunto il
c.t.u. [145] Infine, questo istituto si
distinguerebbe nettamente dalla c.d. perizia stragiudiziale giurata, la quale,
se come la c.t.p. è una mera allegazione tecnica, se ne differenzia da un lato per il
diverso onere motivazionale che incombe sul giudice per disattenderla [146] e dallaltro per la possibilità che ha la parte, che se ne voglia
avvalere, di far testimoniare il perito su quanto ha accertato direttamente, così come ha
ammesso la stessa giurisprudenza [147].
Tuttavia, questa impostazione sembra essere basata sulla sola ipotesi del consulente
tecnico deducente. Infatti, in questo caso il problema della controprova non
si può nemmeno ipotizzare, dacché la consulenza di parte andrebbe a confutare o ad
inficiare una attività che istruttoria non è, ma è meramente ausiliaria. Quando,
invece, lattività del consulente dufficio non sia stata meramente valutativa,
bensì percipiente o ricostruttiva, allora un problema di controprova si pone. La stessa
giurisprudenza non sembra essere del tutto sorda alla tutela del principio del
contraddittorio. Infatti, non si vede per quale ragione si sarebbe considerata affetta da
nullità relativa lattività del consulente dufficio che non abbia comunicato
linizio delle attività o la ripresa delle attività al consulente di parte [148], se non per il fine di una effettiva tutela del
diritto alla difesa e alla prova contraria. Se ciò viene collegato al dovere del giudice
di motivare in maniera specifica la scelta che lo ha portato a disattendere le risultanze
(verosimili) a cui era giunta la consulenza di parte [149], appare evidente che siamo di fronte ad un vero strumento probatorio nelle
mani delle parti e non di mere allegazioni tecniche. Difatti, non si nota quale sia la
differenza tra questo strumento ed altre prove costituende che non siano legali, giacché
il giudice conserva la prerogativa del libero convincimento, ma al tempo stesso è tenuto
a motivare le ragioni che lo hanno portato a non accogliere le risultanze della c.t.p. [150]
Pertanto appare verosimile collocare la consulenza di parte nellalveo del principio
del contraddittorio in materia probatoria e quindi la sua proposizione deve sottostare
necessariamente alle preclusioni di cui al 184 c.p.c., a meno che non si tratti di
attività di mera valutazione di dati già acquisiti alla causa.
Volgendo lattenzione alla trattazione che ha avuto largomento de quo nel
processo amministrativo, possiamo notare come la giurisprudenza ha ritenuto che da un lato
le perizie di parte nel processo dimpugnazione non hanno alcun valore e il giudice
dovrà ritenerle tanquam non esset, dallaltro tutte le volte che sia stata disposta
una verificazione lamministrazione incaricata dovrà assicurare il rispetto del
principio del contraddittorio [151]; pertanto una
violazione di siffatto principio rende nulla la prova esperita e ne impone la
rinnovazione. Tuttavia, il principio del contraddittorio troverebbe una attenuazione
laddove lincarico del consulente sia limitato allinterpretazione di norme
ovvero allanalisi di materiale documentale, poiché in queste ipotesi, secondo il
Consiglio di Stato, la controdeduzione su questo materiale sarebbe sempre possibile [152]. In realtà, questo indirizzo solleva più di una
notazione critica; Il supremo collegio amministrativo da un canto sembra aver interpretato
la stessa valenza del principio del contraddittorio, dallaltro sembra voler
ammettere la consulenza (tra laltro confusa con le attività di verificazione
proprio a testimonianza della non completa distinzione tra i due istituti) anche per
linterpretazione delle norme. Per quanto concerne il primo punto va notato che il
principio del contraddittorio non va confuso con quello di parità delle armi [153]; poiché se questultimo tende a dare alla
parte una pari opportunità di difesa nei confronti della controparte, il principio del
contraddittorio agirebbe a monte ossia già nel procedimento di formazione della prova. In
altri termini nella consulenza la presenza del consulente di parte potrebbe non solo far
constare il dissenso del perito di parte in ordine alle soluzioni a cui fosse giunto
lesperto nominato dal giudice, ma, permetterebbe, altresì, che le sue notazioni
siano fatte proprie già dalla relazione del consulente dufficio. Pertanto, non si
può lecitamente sostenere - come ha fatto il giudice amministrativo - che il principio
del contraddittorio potrebbe essere recuperato anche tramite delle controdeduzioni
successive sulle prove ammesse; in realtà, in tal guisa si recupererebbe solo il
principio di parità delle armi e non quello del contraddittorio. Per quanto concerne la
seconda notazione occorre osservare che difficilmente si potrebbe demandare al consulente
linterpretazione delle norme - salvo si tratti del diritto straniero o degli usi che
vengono considerati dei veri e propri fatti sottratti alla regola dettata dallantico
brocardo Jura novit curia - poiché a ciò osterebbe il principio per cui solo al giudice
è demandata linterpretazione della legge in quanto è lunico peritum
peritorum.
Nondimeno, tornando al processo civile, va precisato che il problema della controprova
avverso le risultanze della c.t.u. non è limitato alla sola consulenza di parte, ma
concerne la produzione di altre prove precostituite o costituende, quali testimonianze o
documenti. In tale ipotesi si ripropone il problema delle preclusioni istruttorie e della
correlativa possibilità di derogarvi per effetto dellultimo comma dellart.
184 c.p.c., ossia chiedendo al giudice la fissazione di ulteriori termini a seguito della
conclusione della consulenza dufficio (rectius. del deposito della relazione) [154]. Simile orientamento non appare del tutto
pacifico, di fatti è stato sostenuto che, essendo il complesso di norme sulla consulenza
una normativa speciale, esse escluderebbero lapplicazione dellultimo comma
dellart. 184 c.p.c., e che il diritto di difesa in relazione alla c.t.u. sarebbe
assicurato dalla possibilità di nominare un c.t.p. ex art. 201 c.p.c., e, pertanto, il
diritto alla controprova potrebbe essere ammesso anche al di fuori dei termini preclusivi
indicati dallart. 184 c.p.c. [155]
Diversamente, è stato sostenuto che lammissione della prova contraria avverso la
consulenza dufficio (nel solo caso di consulenza percipiente o ricostruttiva)
sarebbe possibile solo quando la consulenza abbia introdotto nuovi temi dindagine
che prima non appartenevano al thema decidendum; in tal caso, considerando che la mancata
produzione del mezzo di prova non è riconducibile ad un comportamento omissivo o quanto
meno intenzionale della parte, lammissione deve considerarsi rientrante nel diritto
contemplato dallultimo comma del 184 c.p.c.; diversamente, qualora la consulenza non
vada ad arricchire loggetto della causa e, quindi, verta su fatti già allegati
dalle parti, la preclusione deve considerarsi pienamente lecita, perché è stata la
stessa parte, non producendo le prove in suo possesso, a far nascere lesigenza della
consulenza tecnica [156], i cui risultati non
possono essere disconosciuti successivamente. Simile interpretazione permetterebbe di
attualizzare il dettato dellultimo comma del 184 c.p.c., secondo cui
lammissione dei mezzi deve essere «necessaria» [157].
Questa prospettiva, però, potrebbe sollevare qualche dubbio ricostruttivo. Difatti, se si
ammettesse lapplicabilità dellart. 184 c.p.c. solo quando la consulenza
tecnica abbia arricchito il thema probandum, si potrebbe desumere che la consulenza o
meglio lincarico che il giudice affida al consulente possa tracimare largine
costituito dalloggetto della causa e dal thema decidendum e che va a definire
indirettamente il thema probandum, ma di ciò si può ragionevolmente dubitare anche in
relazione a quanto sopra sostenuto circa laffidamento dellincarico dal giudice
al consulente.
Simile affermazione presta poi il fianco ad altre critiche. Infatti, se è lecito pensare
che la parte che voglia far ammettere la prova contraria alle risultanze della c.t.u.,
avendone la disponibilità, può incorrere nelle preclusioni istruttorie [158], appare evidente che simile omissione o inattività, su cui la dottrina
succitata fonda lesistenza della preclusione stessa, non sia rimproverabile alla
parte. Difatti, la prova, fino alle risultanze della consulenza tecnica, poteva non avere
quei caratteri di rilevanza ed utilità indispensabili per la sua ammissione od
acquisizione [159]. Pertanto, alla parte non deve
essere precluso il diritto alla controprova, tuttavia le si potrà eccepire di non essersi
riservata di produrre delle prove contrarie magari per farsi assegnare dal giudice il
termine perentorio per dedurle.
In questa sede va chiarito, infine, che la perizia stragiudiziale giurata
sopra menzionata va necessariamente distinta da un diverso fenomeno, approfondito
recentemente da attenta dottrina, e cioè quello della perizia arbitrale [160]. La perizia arbitrale, la cui natura è ampiamente dibattuta [161], andrebbe ad identificare due fenomeni molto
diversi tra loro. La prima ipotesi ricorrerebbe quando le parti di rapporti derivanti da
contratti di scambio (do ut des oppure do ut facias) deferiscono ad un terzo la
composizione delle divergenze che sorgono in sede di esecuzione delle prestazioni;
Laltro caso si verificherebbe nei contratti assicurativi, quando si deferisca a dei
terzi laccertamento dellesistenza di elementi in grado di rilevare
lesistenza del danno, per cui si era stipulata la polizza, oppure il nesso di
causalità o lentità del danno subito (come ad esempio la invalidità lavorativa od
il danno biologico derivante dal sinistro stradale) [162].
Anche se il fenomeno in questione sembra non avere punti di contatto con la consulenza
tecnica ed in particolare con la c.t.p., in quanto esso non può essere inquadrato tra i
fenomeni processuali di natura probatoria, ipotesi avanzata soprattutto dalla dottrina di
matrice tedesca [163], va rilevato, nondimeno, che
la perizia arbitrale, come hanno evidenziato i commentatori che al tema hanno tributato i
maggiori apporti, suscita dei problemi sistematici in materia probatoria di non poco
momento. Il nodo gordiano da scogliere è quello di stabilire se le parti possano al di
fuori della fase propriamente processuale accertare alcuni elementi di fatto del rapporto
tra loro intercorso o di quello sorto (come nel caso dei sinistri) e quale sia poi il
valore che questo accertamento possa avere in una successiva fase contenziosa. Comunque,
le questioni sollevate richiamano sicuramente le problematiche connesse al c.d. negozio di
accertamento [164] e alla sua valenza
nellambito processuale, nonché alla configurabilità di un negozio probatorio nel
nostro ordinamento. In particolare, non potendosi condurre unanalisi ex professo
sulla materia de qua, che richiederebbe ben diversa sede, va notato che
laccertamento che le parti possono fare dei fatti oggetto della successiva
controversia, sicuramente è parzialmente diverso dallaccertamento che le parti
possono affidare al perito arbitrale, il quale, come ha notato la dottrina specializzata,
potrebbe essere investito non soltanto dellaccertamento in fatto ma anche
dellinterpretazione della relativa disciplina giuridica e della sua applicazione al
caso. Pertanto, se in merito a questultima ipotesi (rectius: accertamento del fatto
ed indagine in diritto), lincarico al terzo sembra ripercorrere i tratti
dellarbitrato parziale, nel caso in cui lincarico al terzo concerna solo
lacclaramento dei fatti oggetto di possibile controversia allora non sarebbe consona
lapplicazione della normativa sullarbitrato. Nondimeno, una volta ammessa la
possibilità per le parti - anche tramite luso della confessione stragiudiziale, che
contenga una dichiarazione complessa [165] - di
introdurre accertamenti preventivi nel processo, bisognerà però verificare se questa
introduzione non trovi dei dati ostativi altrove, ossia nel carattere indisponibile delle
norme processuali e nelle facoltà delle parti nel processo [166]. Inoltre, bisognerà verificare se questi accertamenti siano
irretrattabili nel corso del processo e, quindi, se il giudice possa ad esempio demandare
ad un proprio consulente un accertamento sulla stessa materia della perizia stragiudiziale
compiuta. Però, va chiarito che le questioni sollevate andrebbero approfondite in altra
sede, anche perché esse coinvolgono uno studio sulla effettiva disponibilità degli
istituti processuali, anche alla luce degli ultimi orientamenti giurisprudenziali ed il
rapporto intercorrente tra alcuni contratti dispositivi, stipulati al fine della
risoluzione delle controversie in atto o future, ed alcuni istituti processuali.
NOTE:
[ 1 ] Cfr. VERDE, Profili del processo
civile, II, Napoli, 2000, 00140; PROTETTI, La consulenza tecnica nel processo
civile, Milano, 1994; DE TILLA, Il consulente tecnico nellevoluzione
giurisprudenziale, GC, 1993, II, 61; GIUDICEANDREA, Consulente tecnico, ED, IX, 1961, 531;
VELLANI, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, Dig. disc. priv., sez. civ.,
III, Torino, 1988, 525; id, Consulente tecnico, NDI, Torino, 1981, 507; BARONE, Consulente
tecnico, EGI, VIII, Roma, 1988, 4.
[ 2 ] La differenza tra perizia e consulenza tecnica
sarebbe da rintracciare nel fatto che mentre la prima, secondo limpostazione del
codice del 1865, andrebbe ad indicare il mezzo di prova e cioè il risultato
delattività del perito, la consulenza tecnica, ponendo un maggiore accento sulla
figura del consulente, supera gli angusti limiti della perizia stessa; infatti il compito
del consulente, come già notato da illustre dottrina (v. CARNELUTTI, Diritto e processo,
Napoli, 1958, 81), sarebbe quello di fornire al giudice quel bagaglio di conoscenze
tecniche necessarie allo svolgimento della causa durante tutto liter procedimentale
e non al solo fine di acquisire o valutare fatti oppure ricostruire avvenimenti,.cfr.,
GIUDICEANDREA, Consulente tecnico (dir. proc.civ.), ED, IX, 1961, 531
[ 3 ] In realtà, appare difficile intendere la precisa
occasio legis della riforma in questione poiché essa, non avendo agito sulla sola
normativa riguardante il processo amministrativo, essendone testimonianza lart. 6,
sembra essere stata dettata da una pluralità di finalità, non ultima la conservazione
degli organi della giurisdizione amministrativa, che a seguito della sentenza n. 500 del
1999 della Cassazione, anche latamente interpretativa del pregresso art. 33 del dlgs
80/1998, avevano perso gran parte della loro ragione di esistere e di distinguersi dalla
giurisdizione ordinaria.
[ 4 ] La sentenza della Corte Costituzionale ha
riguardato lart. 33 ed in via incidentale gli art. 34 e 35 del dlgs. 80/1998,
poiché la Corte, avendo dichiarato lincostituzionalità dellart. 33 per
eccesso di delega, (cfr., Corte Cost., 17-7-2000, n. 292, FI, 2000, I, 2393), aveva
spianato la strada per la dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 34 e 35 dello
stesso decreto. Questa ipotesi ricostruttiva è confermata dallordinanza di
remissione alla Consulta da parte delle sezioni unite della Suprema Corte (cfr., Cass.,
25-0-2000, 43/SU/2000, FI, 2000, I, 2143) per unidentica questione di
costituzionalità dellart. 34 dlgs. 80/98. Tuttavia, il legislatore per scongiurare
che lintento sotteso al dlgs 80/1998 venisse tradito ha approvato, in tempi
estremamente celeri, la l. 205/2000, elidendo il profilo di illegittimità che affliggeva
il più volte citato dlgs 80/1998. Su queste tematiche cfr., GALLI; Corso di diritto
amministrativo, II, Padova 2001, 1437 ss.; CASETTA, Manuale di diritto amministrativo,
Milano, 2001, 673 ss.
[ 5 ] In realtà, lammissibilità della
consulenza tecnica nel processo amministrativo è stata il frutto di una lenta
elaborazione giurisprudenziale a cui è seguita la riforma della L. 205/2000. Infatti, in
origine la giurisprudenza sulla scorta dellart. 44 del RD. 2606-1924, n. 1054
(Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato), non riteneva ammissibile la c.t.u.,
salvo che si trattasse di ipotesi di giurisdizione di merito, poiché avrebbe introdotto
dei profili di apprezzamento tecnico dei fatti incompatibili con la natura del processo
amministrativo. Pertanto, le eventuali carenze di accertamenti tecnici erano colmabili
tramite luso delle «verificazioni», (cfr., Cons. Stato sez. IV, 27-5-1991, n. 321,
FI, 1992, III, 114; Cons. Stato, sez. VI, 13-7-1985, n. 422, FI, 1986, III, 422) oppure
tramite i pareri al Consiglio superiore di sanità ex art. 77 del T.U. 27-7-1934, n. 1265.
Successivamente, la Corte Costituzionale ha integrato il disposto dellart. 44 del
R.D. n. 1054 del 1924, nella parte in cui non prevedeva la esperibilità della consulenza
tecnica di cui al 424 c.p.c. per le controversie di lavoro dei pubblici dipendenti
devolute alla cognizione dellA.G.A., cfr., Corte Cost., 23-4-1987, n. 146, FI, 1987,
I, 1349. In fine, lart. 35 comma 3 del Dlgs. 80/1998, ha esteso lesperibilità
del mezzo de quo a tutte le controversie riservate alla giurisdizione esclusiva dei Tar.
Dacché, attualmente si potrebbe ipotizzare una estensione delluso della consulenza
anche ai casi di giurisdizione di legittimità od ordinaria, se si ammettesse, come ha
fatto parte della giurisprudenza amministrativa, ancor prima della l205/2000, una
sindacabilità da parte del giudice amministrativo (sia di primo che di secondo grado)
dell«attendibilità» della valutazione tecnica, ossia del contenuto tecnico
dellatto espressione della valutazione tecnica della P.A. cfr., Cons. Stato, sez.
IV, 9-4-1999, n. 601, FI, 2001, I, 9 ss.; per la completa ricostruzione del processo che
ha portato allammissibilità della c.t.u. nel processo amministrativo, cfr.,
LAZZARA, «Discrezionalità tecnica» e situazioni giuridiche soggettive, in nota a Cons.
Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, DPrA, 1999, 239-251. Tuttavia, la questione, anche
se non priva di aspetti rilevanti circa lesperibilità della c.t.u., attiene in modo
più precipuo alla sindacabilità degli atti espressione della cd. «discrezionalità
tecnica», cfr., DELSIGNORE, Il sindacato del giudice amministrativo: nuovi orientamenti
del Consiglio di Stato, in nota a Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, cit., 185
ss. e 203 ss., LAZZARA, c, in nota a Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, cit.,
213 ss.; SCHINAIA, Il controllo del giudice amministrativo sullesercizio della
discrezionalità della pubblica amministrazione, DPrA, 1999, 4, 1101 ss.
[ 6 ] In realtà, questa affermazione va
necessariamente temperata, perché la giurisprudenza amministrativa laveva ammessa,
non solo nelle materie di giurisdizione esclusiva (cfr., T.A.R. Lombardia sez. Milano,
20-8-1996, n. 1319, GC, 1997, I, 1138), ma anche nelle controversie del pubblico impiego,
allora non ancora devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, cfr., T.A.R.
Lombardia sez. Milano, 11-4-1996, n. 463, FI, 1997, III, 118; T.A.R. Puglia sez. II, Bari,
6-10-1994, n. 1301, T.A.R., 1994, I, 4606; T.A.R. Lombardia sez. Brescia, 23-10-1987 n.
1107, Riv. giur. polizia locale 1990, 90; in senso contrario cfr., T.A.R. Calabria sez.
Reggio Calabria, 22-7-1987 n. 346, Riv. giur. polizia locale, 1998, 785.
[ 7 ] Sulla relazione univoca tra limitazione dei mezzi
istruttori e la natura caducatoria del processo amministrativo, cfr., GALLI, Corso di
diritto amministrativo, 1996, 923.
[ 8 ] Cfr., NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna,
1994, 232, il quale ulteriormente sosteneva, in maniera acuta, la differenza,
allinterno dell art. 44 del R.D. 26 giugno 1924, n. 1054, degli
«schiarimenti» e «verificazioni» dalla consulenza o dalla perizia; infatti, mentre i
primi concernevano il solo accertamento di fatti ulteriori, le seconde concernevano la
valutazione degli stessi, v. Cons. Stato, sez. IV, 13-7-1985, n. 422, inedita; tuttavia,
attenta dottrina, già a metà degli anni ottanta, aveva notato che, nonostante le norme
riguardanti il processo amministrativo fossero abbastanza datate, vi erano in esse
numerosi spunti per affermare lampiezza dei mezzi istruttori del giudice
amministrativo; in particolare questa affermazione era giustificata dalluso che i
T.A.R. facevano delle verificazioni, cfr., SPAGNUOLO VIGORITA, Notazioni
sullistruttoria nel processo amministrativo, DPrA, 1984, 13-15, 16 ss.
[ 9 ] Sulla esclusione nei giudizi di legittimità di
apposite fasi istruttorie cfr., LUISO, Diritto processuale civile, II, Il processo di
cognizione, Milano, 2000, 418-419, il quale, per il giudizio di Cassazione, fa derivare
simile inammissibilità dal divieto di nuove allegazioni, per cui innanzi alla Corte non
sarebbe possibile una adeguamento della realtà processuale alla realtà sostanziale.
[10] Tuttavia, già i primi tentativi si possono
rintracciare nelle storiche relazioni di PUGLIATTI e NICOLO al Convegno nazionale
sullammissibilità del danno patrimoniale derivante da lesione degli interessi
legittimi (Napoli, 27-28-29 ottobre 1963), in Atti del convegno, Milano, 1965
[11] Di solito la giurisprudenza giustificava la
tutela risarcitoria innanzi al giudice ordinario degli interessi legittimi oppositivi
sulla base della teoria della degradazione; in altri termini, a seguito della caducazione
per effetto della pronuncia giurisprudenziale, del provvedimento amministrativo
autoritativo incidente su un diritto soggettivo dellinteressato, questultimo
si riespandeva e poteva essere risarcito per lingiusta lesione, cfr., GALLI, Corso
di diritto amministrativo, Padova, 1996,
[12] Per la distinzione chiara sul concetto di
interesse pretensivo ed oppositivo, cfr., NICOLO, Istituzioni di Diritto Privato, I,
Milano, 1962, 11; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, 699.
[13] In tal senso, cfr., GAZZONI, op. ult. cit., 74
[14] Per lanalisi del «doppio binario», cfr.,
GALLI, Corso di diritto amministrativo, I, Padova, 2000, 29-30.
[15] Non è da sottacere che la riforma in parola ha
un ulteriore merito, ovverosia quello di evitare i non pochi contrasti di giudicati dei
giudici amministrativi ed ordinari, soprattutto in materia di provvedimenti ablatori, in
tal senso, cfr, CALABRO, Pronti a giocare la sfida della qualità, Guida al diritto,
2000, 30.
[16] Prima la ricostruzione del fatto era quella
operata dalla stessa amministrazione nella istruttoria presente in ciascun procedimento
amministrativo, oggi invece simile costruzione non può più essere sufficiente, proprio
per affrontare il giudizio di liceità; ciò sarebbe dovuto proprio al fatto che il
giudizio amministrativo si è trasformato da un giudizio sullatto ad un processo sul
rapporto, cfr., ROMANO, I caratteri originari della giurisdizione amministrativa e la loro
evoluzione, DPrA, 1994, 677 ss.; per la tendenza ad ampliare la conoscenza del fatto da
parte del giudice amministrativo al di fuori ed al di là della prospettazione
dellistruttoria procedimentale, GALLO, La prova nel processo amministrativo, Milano,
1994, 20.
[17] Per la sua qualificazione, nel processo
amministrativo riformato, in termini di mezzo istruttorio e non come mezzo di prova, cfr.,
SCOLA TRENTINI, Il nuovo processo amministrativo, Commento alla legge 21 luglio 2000, n.
205, Rimini, 2000, 123.
[18] Per la definizione di metodo acquisitivo, cfr.,
BENVENUTI, Listruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953.
[19] In realtà, non solo il giudice, per effetto del
principio richiamato, avrebbe la facoltà di individuare il soggetto onerato della prova
di un fatto da chiunque introdotto nel processo, ma la parte potrebbe addirittura
limitarsi a fornire al giudice una semplice ricostruzione attendibile dei fatti, cfr.,
NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1984, 232;
[20] Va precisato che pur esistendo un principio di
acquisizione anche nel processo civile che trova il proprio fondamento sia nel
secondo comma dellart. 245 c.p.c., laddove si afferma che la rinuncia
allaudizione del testimone dovrebbe essere accettata dallaltra parte, sia
nelle numerose pronunce della Suprema Corte, la quale ha affermato che il giudice può
fondare il proprio convincimento su tutto il materiale probatorio acquisito senza tener
conto della sua provenienza (cfr., GRASSELLI, Listruzione probatoria nel processo
civile riformato, Padova, 2000, 38-40) esso è ontologicamente distinto dal
medesimo principio esistente nel processo amministrativo; infatti, se nel processo civile
il principio in parola andrebbe ad incidere soprattutto sul potere del giudice di
valutazione del materiale probatorio, nel processo amministrativo esso costituirebbe una
regola di giudizio alternativa a quella dellonere della prova (infatti non a caso la
dottrina specialistica parla di onere dellallegazione o del principio di prova), tal
che permetterebbe un ampio utilizzo dei poteri istruttori del giudice amministrativo prima
dellapplicazione della regola di giudizio contenuta nellart. 2697 c.c.; cfr.,
sul metodo acquisitivo, SPAGNUOLO VIGORITA, op. cit., 18 ss.
[21] In tal senso in motivazione, cfr., Cons. Stato,
sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, cit.
[22] Per tutte, cfr., Cass., 23-10-1997, 10415, GCM,
1997,1994.
[23] In tal senso, cfr., LUISO, Diritto processuale
civile, II, Il processo di cognizione, Milano, 2000, 90, dove la consulenza viene
affiancata allinterrogatorio libero per rifluire nella categoria dei mezzi
istruttori in senso lato. Laddove, però, può replicarsi che, mentre
linterrogatorio libero, ove sia disatteso, può portare alla formazione di argomenti
di prova e ha come funzione propria, non quella di provare i fatti allegati dalle parti,
bensì di chiarire il thema decidendum, la consulenza tecnica, invece, anche per una sua
collocazione sistematica nel codice, non tende al chiarimento delle posizioni delle parti,
altresì, seguendo la dottrina tradizionale, alla valutazione di fatti gia acquisiti al
processo.
[24] Per delle profonde considerazioni
sullinadeguatezza del termine «consulente tecnico», cfr., FRANCHI, Consulente
tecnico, Commentario del cod. di proc. civ. diretto da E. Allorio, I, Torino, 1973, 686.
[25] Così, VELLANI, Consulenza tecnica nel diritto
processuale civile, Digesto/civ., III, Torino, 1988, 525.
[26] Parte della dottrina, partendo dalla natura
ausiliaria del consulente, ha sostenuto che la attività del consulente, essendo
prevalentemente quella di valutazione, dovrebbe concentrarsi nella fase di decisione,
cfr., MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, Milano, 2000,
186 ss.
[27] Sulla natura del divieto di scienza privata cfr.,
Verde, Dispositivo, (principio), EG. Treccani, XI, Roma, 1988.
[28] Simile esigenza, evidenziata da attenta dottrina,
è soddisfatta dalla possibilità di nominare dei consulenti tecnici di parte ex art. 194
c.p.c., cfr., LUISO, Diritto processuale civile, II, Il processo di cognizione, cit., 91.
[29] Simile distinzione è stata analizzata in
dottrina in maniera critica, anche in relazione alla figura della «testimonianza
tecnica», ovvero di quella testimonianza che non può essere fatta se non si hanno delle
conoscenze tecniche, a tal proposito, cfr., DENTI, Testimonianza tecnica, Riv. dir. proc.,
1962, 8 ss.
[30] Cfr., T.A.R. Lombardia sez. Milano, 10-4-1996, n.
458, GC., 1996, I, 1360; T.A.R. Umbria 8-10-1982 n. 145, FI, 1984, III,107.
[31] Per la distinzione tra i due mezzi e
lammissibilità delle sole verificazioni nei giudizi ordinari di legittimità cfr.,
Cons. Stato sez.VI, 13-7-1985 n. 422, Riv. giur. edilizia 1985, I,779; in dottrina, cfr.,
SPAGNUOLO VIGORITA, op. cit., 13-15; GALLO, op. loc. ult. cit.; in fine va rilevato come
parte della dottrina amministrativa ha ritenuto che la c.t..u. sia diversa da entrambi gli
istituti citati (verificazioni e perizie) perché ne fonderebbe i caratteri; inoltre ha
rilevato, giustamente, che la consulenza non è solo un semplice mezzo istruttorio, in
quanto oltre alla fase accertativa ne avrebbe anche una deducente, cfr., LAZZARA, op.
cit., 248.
[32] Così, MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II,
Il processo di cognizione, cit., 186 ss.; Occorre precisare, però, che i dati normativi
non si limitano agli artt. 194 e ss., ma la disciplina dellistituto sarebbe
costituita, oltre che dalle citate disposizioni anche dagli art. 62 ss., 424 (Assistenza
del consulente tecnico nel rito del lavoro), 258 ss. (ispezioni, riproduzioni meccaniche e
dagli esperimenti) ed infine dagli artt. 263 ss. c.p.c. sul rendimento dei conti. Per
quanto concerne gli artt. 62 ss., acuti commentatori hanno giustamente notato come tali
norme, come del resto molte altre allinterno del nostro codice, non sarebbero norme
prettamente processuali, bensì norme ordinamentali, (cfr., CAPPONI, Appunti sulla legge
processuale civile. Fonti e vicende, Torino, 1999, 6-7.); da simile inquadramento si
potrebbe giungere a ritenere inconferenti, rispetto allambito dellindagine de
qua (rectius: la natura di mezzo probatorio della consulenza), le tesi che facciano leva
su codesti dati nomativi. Lindirizzo abbracciato appare altresì sostenuto dalle
norme di cui agli artt. 424 e 263 ss. c.p.c.; infatti, quanto alla prima soccorre il dato
sistematico, poiché se il legislatore del 1973 ha inteso includere la consulenza tra gli
altri mezzi istruttori dufficio, non si vede perché simile dato non sia
utilizzabile per classificare come tale la consulenza nel processo di cognizione
ordinario. Quanto alle seconde la loro natura di norme regolanti un mezzo di prova non è
posta in dubbio; quindi, non si dovrebbe fare una distinzione sulla base del singolo nomen
del mezzo utilizzato, al fine della sua classificazione o meno allinterno delle
prove, ma è solo dalla concreta analisi dei compiti demandati a codesti ausiliari che se
ne può sostenere luna piuttosto che laltra natura.
[33] Cfr., VERDE, Profili del processo civile, II,
processo di cognizione, 1996, 140
[34] Cfr., Cass. sez. un., 4-11-1996, n. 9522, Danno e
resp. 1997, 15
[35] Cfr., PROTO PISANI, Lezioni di diritto
processuale civile, Napoli, 1996, 477.
[36] Anche in giurisprudenza si è fatta strada simile
impostazione, cfr., Cass., 14-1-1999, n. 321, RFI, 1999, «Consulente tecnico», 10;
Cass., 29-3-1999, 2957, RFI. 1999, «Consulente tecnico», n. 8.
[37] Cfr., Cass., 1-10-1999, n. 10871, RFI, 1999,
«Consulente tecnico», n. 6.
[38] Cfr., Cass., 1-10-1999, n. 10871, cit.; Cass.,
13-5-1999, n. 4755, RFI, 1999, «Consulente tecnico», n. 7.
[39] Cfr., Cass., 14-1-1999, n. 321, RFI, 1999,
«Consulente tecnico», n.10
[40] Per le origini e la portata del principio
richiamato cfr., VERDE, Dispositivo, (principio), cit., 1 ss
[41] VERDE, Profili del processo civile; I, Principi
generali, 1994, 113 ss. e 128 ss. il quale distingue il principio dispositivo in senso
stretto (ossia il principio dispositivo in senso processuale) da quello in senso ampio
(ovvero in senso sostanziale), laddove ha correttamente ritenuto che se da un lato il
principio dispositivo da ultimo considerato concerne soprattutto la domanda e la
disponibilità della stessa, nel primo viene in rilievo un problema di mera tecnica
processuale; per la medesima matrice romanistica (iudex iuxata alligata et probata partium
iudicare debet) delle due accezioni del principio dispositivo, cfr., VERDE, Dispositivo
(principio), cit., 1; CAPPELLETTI; La testimonianza della parte nel sistema
delloralità, Milano, 1962, 305; CAVALLONE, Il giudice e la prova nel processo
civile, Padova, 1991, 3 ss. Per vero nel sistema processuale romano la confusione tra
situazione sostanziale e la corrispondente tutela processuale sarebbe ravvisabile già nel
termine actio,il quale sarebbe stato utilizzato come sinonimo sia di azione che di diritto
cfr., GUARINO, Diritto privato Romano, Napoli, 1994, 187 in nota n. 15.1.2.
[42] La sua violazione potrebbe avvenire solo dove il
giudice incaricasse il proprio ausiliario di indagare su fatti non configurati dalle parti
(rectius: non allegati), determinando il «passaggio da un sistema dispositivo ad uno
inquisitorio», v. GIUDICEANDREA, op. cit.
[43] Per simile distinzione rispetto a quello in senso
lato cfr., VERDE, op. ult. cit.
[44] Sulla natura di processo di parti del processo
amministrativo, DE LISE, La prova nella procedura delle giurisdizioni amministrative, CS,
1974, II, 959; BENVENUTI, Istruzione nel processo amministrativo, ED, XXIII, 206 ss.
[45] Cfr., ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo,
II, Giustizia amministrativa, Milano 1954, 296; in giurisprudenza conformemente, cfr.,
Cons., Stato, Sez. IV, 16-2-1938, FA, 1938 I, 1, 157; Cons., Stato, Sez. IV, 11-7-1941,
FA, 1941, I, 1, 294; T.A.R. Sicilia sez. Catania, 5-12-1985 n. 1447, T.A.R. 1986, I,811;
Consiglio Stato sez.VI, 9-5-1983 n. 345, CS, 1983, I, 569.
[46] Per lattenuazione del principio
dellonere della prova tramite il metodo acquisitivo, cfr., Cons. Stato sez. IV,
22-7-2000, n. 3493, FA, 2000,2132.
[47] Per la definizione giurisprudenziale del metodo
acquisitivo, cfr., Cons. Stato sez. V, 26-6-2000, n. 3631, FA, 2000, 2183; per
lesercizio del metodo, cfr., Cons. Stato, sez. IV, 28-12-2000, n. 7003, FA, 2000,
XII
[48] Cfr., Cons. Stato sez. V, 15 giugno 2000, n.
3317, FA, 2000, 2161; Cons. Stato sez. V, 24 aprile 2000, n. 2429, Ragiusan, 2000, 59. In
realtà, il metodo acquisitivo sembra ricalcare il principio della «vicinanza della
prova» che ha permesso alla giurisprudenza civile di escludere la prova negativa. In tal
ultimo senso in merito alla prova dellinadempimento, cfr., Cass., SU., 30-10-2001,
n. 1353, FI, 2002, I, 769.
[49] In maniera chiara e con numerosi rinvii alla
dottrina specialistica sul tema cfr., MANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Nozioni
introduttive e disposizioni in generale, Milano, 2000, 99-107. tuttavia, qualcuno ha
sollevato qualche perplessità sulla concreta possibilità che un sistema inquisitorio
leda il concetto dellimparzialità del giudice, per il tema del rapporto tra
imparzialità e principio dispositivo cfr., LIEBMAN, Fondamento del principio dispositivo,
RDPr., 1960, 551 ss.; VERDE, Dispositivo (principio), cit.
[50] Altresì, secondo parte della giurisprudenza di
legittimità il non ammettere la consulenza quando questa sia lunica fonte di
accertamento dei fatti posti a fondamento delle domande o delle eccezioni delle parti da
luogo ad un vizio di violazione della legge processuale censurabile in Cassazione, cfr.
Cass., 14-1-1999, n. 321, RFI, 1999, «Consulente tecnico», n. 10.
[51] Sarebbe errato, invece, ritenere, come ha
sostenuto qualche interprete, che siccome questo strumento non è completamente
assimilabile né alla testimonianza né allispezione le sue risultanze non sono
sufficienti ad assolvere lonere della prova, cfr., GIUDICIANDREA, Consulente tecnico
(dir. proc.civ.), ED., IX, 1961, 531
[52] Nel processo amministrativo, almeno fino alla
entrata in vigore della legge 205 del 2000, tale compito come sopra affermato era affidato
alle perizie e agli schiarimenti, cfr., Cons. Stato sez.VI, 13-7-1985 n. 422, FA, 1985,
1379. Tuttavia, una particolarità di questo meccanismo è quella (il presente è
dobbligo perché le verificazioni e gli schiarimenti sono esperibili anche nel nuovo
processo amministrativo) per cui simili accertamenti sono effettuati dalla stessa
amministrazione parte del giudizio (T.A.R. Sicilia sez. I, Palermo, 15-7-1999, n. 1477,
ined.), salvo che il giudice non ritenesse di affidare ad altre amministrazioni
laccertamento dei fatti, cfr., Cons. Stato, sez. V, 19-11-1992 n. 1336, CS, 1992,
1633; però laddove sia la stessa amministrazione parte della controversia ad effettuare
la verificazione bisogna rispettare il principio del contraddittorio sotto pena della
rinnovazione, cfr., T.A.R. Friuli Venezia Giulia 20-2-1991 n. 62, FA, 1991, 2345.
[53] Per una completa disamina degli incarichi del
consulente, cfr., VELLANI, Consulenza tecnica nel diritto processuale civile, cit., 531
ss.; BARONE, Consulente tecnico, EGI, VIII, Roma, 1988, 4.
[54] Cfr., PROTETTI, La consulenza tecnica nel
processo civile, Milano, 1999, 73, il quale parla in genere dellaccertamento di
elementi di fatto necessari al fine di assolvere lincarico.
[55] In tal senso, cfr. MARTINO, Codice di procedura
civile commentato, a cura di VERDE-VACCARELLA, Torino, 1996, p. 153; PROTETTI, op.
ult. cit., 73-74; in giurisprudenza, Cass., sez. lav., 29-5-1998, n. 5345, RFI, 1998,
«Consulente tecnico», n. 14; In realtà, simile indirizzo andrebbe riletto alla luce
della modifica dellart. 111 Cost. e dellintroduzione del principio del
«giusto processo»; ma altri e ben più gravi problemi di compatibilità con il sistema
dei principi processuali pone lindirizzo in questione; in particolare pone un
problema di compatibilità con il principio dispositivo in senso stretto, poiché
sostenendo che il giudice possa fondare il proprio convincimento sulla base dei fatti
aliunde acquisiti, non significa solo derogare al principio dispositivo in materia di
prove, che conosce frequenti eccezioni nel nostro ordinamento, ma significa che il giudice
può fondare il proprio convincimento su fatti non solo non provati dalle parti ma nemmeno
allegati su cui le parti non hanno fondato le loro domande od eccezioni. In definita, si
consentirebbe una deroga inammissibile al principio della domanda che favorirebbe le
decisioni della «terza via». La soluzione a questa empasse sarebbe quella di far
rifluire la consulenza nei limiti dei normali mezzi di prova; infatti, non essendo tesa
che allasseveramento dei fatti allegati negli atti di parte, essa dovrebbe limitarsi
ad accertarne leffettiva sussistenza nei limiti richiesti dalle parti (cfr.,
MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova, 2000, 417 ss., il quale, da simile
assimilazione, trae numerosi spunti in ordine al principio dellonere della prova);
ma il problema imperioso è quello di evitare che il giudice entri a contatto con
materiale che non sarebbe mai dovuto entrare nel suo ambito conoscitivo, e su cui
inevitabilmente andrà a fondare la propria motivazione, in quanto appare davvero
difficoltoso fare un processo di eliminazione mentale che non sia una operazione posticcia
ed artefatta. In senso parzialmente conforme, ma riferita al caso generale della prova
esperita in maniera erronea, cfr. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, cit., 109.
[56] Cfr., Cass., 11 marzo 1995, n. 2865, GIUS, 1995,
2438; Cass., sez. lav., 7-1-1995, RFI, 1995, «Consulente tecnico», n. 29; Cass., sez.
lav., 30 maggio 1983 n. 3734, GCM, 1983,; contra, cfr., Cass., sez. lav., 26 ottobre 1995,
n. 11133, RFI, 1995, «Consulente tecnico», n. 29, per cui laver ascoltato o
chiesto chiarimenti a terzi senza la preventiva autorizzazione non è solo un causa di
nullità della stessa, ma anche della stessa sentenza che fosse fondata su di essa.
[57] In realtà, il continuo riferimento nelle massime
alla presunta violazione del principio dellonere della prova per effetto
dellammissione della consulenza tecnica (per unampia rassegna in merito, cfr.,
DE TILLA, Il consulente tecnico nellevoluzione giurisprudenziale, GC, 1993, II, 61)
ha un senso solo se limitato ed arginato in ben più ristretti limiti semantici; ovvero al
solo fine di evitare gli incarichi esplorativi.
[58] Cfr., BARONE, Consulente tecnico, cit., 5; in
giurisprudenza, cfr., Cass., 14 febbraio 1980, n. 1058, RFI, 1980 «Consulente tecnico»,
n. 16
[59] Sulla differenza tra prova legale e prova non
legale, cfr. VERDE, Prova, ED, Milano, 1988, XXXVII, 605 ss
[60] Cfr., SATTA- PUNZI, Diritto processuale civile,
Milano, 1992, 347, SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1960,
112; MARTINO, Codice di procedura civile commentato, a cura di VERDE-VACCARELLA, Torino,
1996,
[61] Cfr. VERDE, Profili del processo civile, II,
cit., 126; LUISO, Diritto processuale civile, II, cit., 141, 142, il quale fa rilevare
che, essendo la confessione stragiudiziale una c.d. probatio probanda, ovvero una prova
che a sua volta deve essere provata, individua due mezzi fondamentali per dedurla in
giudizio, ossia o tramite un documento oppure per mezzo di una testimonianza; tuttavia,
lA. soggiunge che mentre la confessione introdotta con la testimonianza
incontrerebbe gli stessi limiti oggettivi e soggettivi che incontra lo specifico mezzo
istruttorio, la prova documentale non avrebbe limiti (nel provare lesistenza della
confessione); quindi non vi sarebbero ostacoli nellammettere che simile confessione
sia contenuta nella relazione conclusiva del consulente di per sé documento.
[62] Cfr., Cons. Stato, sez.V, 22-11-1991 n. 1323, CS,
1991, I, 995; Cons. Stato, sez.VI, 7-5-1991 n. 284, FA, 1980, 1480
[63] In tal senso, cfr., T.A.R. Piemonte sez. II,
29-5-1995, n. 373, FA, 1995, 2744; in particolare sulluso dei poteri del giudice
come estrema ratio cfr., T.A.R. Lombardia sez. III, Milano, 20-9-1996, n. 1319, GC, 1997,
I, 1138.
[64] Cfr., PROTETTI, Il consulente tecnico nella
elaborazione giurisprudenziale, cit., 63-64.
[65] Cass., 19-2-1980, n. 6569, GCM, 1980, fasc. 12;
Cass., 28-6-1979, n. 3616 GCM, 1979, fasc. 6; Cfr., SATTA, Commentario, cit., II, 1, 112
[66] Ad onor del vero qualche illustre autore ha avuto
modo di sollevare unulteriore problematica concernente la violazione, per il tramite
della consulenza tecnica, dei limiti di ammissibilità delle prove. Infatti, se il
consulente può acquisire documenti sentire persone, anche con una certa ampiezza dati gli
ultimi indirizzi giurisprudenziali, e questi mezzi sono liberamente valutabili dal giudice
e sui i quali può fondare la decisione, la consulenza potrebbe essere lo strumento,
questa volta nelle mani del giudice, per violare i limiti di ammissibilità delle prove,
trasformando la consulenza e, quindi, la relazione in una grande prova atipica liberamente
valutabile, cfr., PROTO PISANI, Appunti sulle prove civili, FI, 1994, V, 75).
[67] Cfr.,VIAZZI La riforma del processo civile e
alcune prassi giurisprudenziali in materia di prove: un nodo irrisolto, FI, 1994, V, 106;
sul problema delle prove atipiche attenta dottrina (cfr. Verde, Dispositivo (principio)
cit.,) aveva già sottolineato come in questa stessa nozione vi fosse un profondo equivoco
di fondo laddove si assimila la prova atipica allindizio, poiché si è voluto
«legittimare la atipicità del procedimento con la minore rilevanza assegnata alla fonte
di prova». In realtà, si sarebbero accostate due fonti di prova ontologicamente diverse.
[68] La Suprema corte di Cassazione ha ritenuto che il
materiale acquisito irritualmente, perché al di fuori del contraddittorio delle parti,
potrebbe fondare una nullità rilevabile anche in sede di legittimità e quindi ben oltre
il limite della prima udienza successiva al deposito della relazione, solo se la parte
indichi il contenuto della consulenza e in quali punti della motivazione il giudice abbia
utilizzato la stessa , cfr., Cass. sez. II, 7 dicembre 1994, n. 10500.
[69] Tuttavia, la giurisprudenza sembra di contrario
avviso, poiché ritiene che le nullità relative allespletamento della consulenza
avrebbero tutte carattere relativo e devono essere fatte valere nella prima udienza
successiva al deposito della relazione restando altrimenti sanate, cfr., Cass. sez. I,
1-10-1999, n. 10870, GCM, 1999, 2051; Cass. civile sez. II, 9-2-1995, n. 1457, GCM, 311.
[70] Per la differenza tra situazioni di fatto ancora
esistenti e situazioni di fatto passate, cfr., MONTELEONE, op. cit., 265, 418.
[71] SATTA, Commentario, cit., II, 1, cit., 113;
ANDRIOLI, Commentario, cit., II, 111;
[72] Cfr., Cass., 14-4-1999, n. 8659, RFI, 1999,
«Consulente tecnico», n. 31, per cui per tener conto di documenti non ritualmente
prodotti nella causa è necessario il consenso delle parti ed in mancanza la loro
utilizzazione determina la nullità relativa della consulenza; A. Bologna, 5-2-1997,
FI, 1997, I, 2284.
[73] Il giudice, per il tramite del consulente, è
infatti sprovvisto del potere di allegazione avendo solo, in via eccezionale, quello
istruttorio, cfr., LUISO, Diritto Processuale Civile, II, Processo di cognizione, Milano,
2000, 84
[74] Cfr.,Cass., sez. lav., 29-5-1998, n. 4520, RFI,
1998, «Consulente tecnico», n. 14; A. Milano. 20-1-1998, GI, 1998,I, 1431; Il
significato più plausibile alla ricorrente affermazione giurisprudenziale per cui la
c.t.u. non può avere ad oggetto che fatti secondari e che comunque da sola non può
soddisfare lonere della prova va rintracciato nel fatto che deve essere preclusa al
giudice la nomina di consulenti con funzioni meramente esplorative, ovvero simile mezzo
deve essere una sorta di exstema ratio laddove alla prova non si possa giungere con gli
ordinari mezzi di prova nella disponibilità delle parti, cfr., Cass., 14-1-1999, n. 321,
cit.; in dottrina MONTELEONE, Diritto processuale civile, cit., 417 ss.
[75] In conseguenza di quanto sopra espresso non sono
condivisibili le ricorrenti affermazioni della giurisprudenza di legittimità per cui il
giudice possa trarre il proprio convincimento da quelle parti della consulenza che
nonostante abbiano scavalcato i limiti del mandato non siano sostanzialmente estranei
alloggetto dellindagine in funzione della quale la c.t.u. era stata disposta,
cfr., Cass. sez. lav., 7-1-1995, n. 202, RFI, 1995, «Consulente tecnico», n. 29; Cass.
sez. lav., 4-2-1993, n. 1374, RFI, 1993, «Consulente tecnico», n. 9;
[76] Per un primo commento del decreto, cfr.,
GATTAMELATA, Un nuovo tassello per un processo telematico (riflessioni sul decreto del
Ministero della Giustizia 13 febbraio 2001, n 123), NLCC, 2001, 532 ss.
[77] Infatti, se vi è stata la nomina di c.t.u.
linvestitura di quello di parte va considerata come espressione del principio del
contraddittorio, mentre in assenza di simile nomina la sua relazione avrà efficacia di
una perizia stragiudiziale di parte o addirittura di mera allegazione difensiva su cui il
giudice non è tenuto a pronunciarsi in maniera espressa, cfr., Cass., 6-11-1998, n.
11190, GCM, 1998, 2284.
[78] In tal senso, cfr. MARTINO, Codice di procedura
civile commentato, a cura di VERDE-VACCARELLA, Torino, 1996, 146, in giurisprudenza, v.,
Cass., 19-8-1998, n. 8200, RFI, 1998, «Consulente tecnico», n. 10, per cui la
discrezionalità del giudice nella nomina del consulente deriverebbe dal non essere mezzo
di prova.
[79] Sulla non estendibilità della natura
obbligatoria al giudizio di appello, cfr. Cass., lav., 7-6-1999, n. 5578, RFI, 1999,
«Consulente tecnico», n. 3, per cui il giudice dappello può ritenere non idonea
la valutazione del giudice del primo grado ed ammettere la c.t.u., anche se oggi simile
possibilità andrebbe valutata alla luce dellart. 345 c.p.c. (i cd. «nova») cfr.,
MARTINO, Codice di procedura civile commentato, a cura di VERDE-VACCARELLA, Torino, 1996,
146; non concorda con questa soluzione Il Tedoldi il quale sostiene che per le cause
previdenziali lobbligatorietà della consulenza sarebbe caduta solo nella fase
dappello e non in primo grado, poiché ciò dovrebbe desumersi dalla lettera
dellart. 445 c.p.c., cfr., TEDOLDI, Listruzione probatoria nellappello
civile, Padova, 2000, 286.
[80] Cfr., T. Lecce, 22 novembre 1996, F.I.
1997,I,1627, in maniera contraria v. P. Monza, 25 settembre 1995, G. I., 1995, I, 2, 870;
Implicitamente favorevole in dottrina cfr., TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di
cognizione, Milano 1996, 115, il quale sostiene che «lesercizio del potere
istruttorio in qualunque momento del processo riaprirà i termini per una nuova
istruttoria».
[81] Tuttavia si è ritenuto che il comma 3
dellart. 183 c.p.c., ma simile ragionamento può essere esteso anche in relazione al
comma 3 dellart. 184 c.p.c., non sia un vero dovere, bensì solo una facoltà dello
stesso giudice che eviterebbe le c.d. «pronunce a sorpresa», cfr., in nota, MANDRIOLI,
Diritto processuale civile, II, il processo di cognizione, cit., 78; del pari, ciò non ha
impedito che si sollevassero numerose eccezioni dincostituzionalità, v.,
ANDOLINA-VIGNERA, Il modello di costituzionalità del processo civile italiano, Torino,
1990, 162.
[82] Non è da sottacere che entrambe le norme hanno
portata applicativa di principi costituzionali, come ad esempio lart. 24 secondo
comma Cost., (in tal senso, cfr., CAPPONI, Appunti sulla legge processuale civile, cit.,
19 ss.), anche se per effetto della legge costituzionale n. 2 del 1999, che ha riformato
il testo dellart. 111 Cost., oggi simili disposizioni sembrano andare ad applicare
il principio del giusto processo.
[83] Tuttavia, la giurisprudenza prima
dellintroduzione del principio del giusto processo riteneva di voler limitare il
diritto alla controprova solo in relazione a quelle prove disposte dufficio,
disconoscendo un eguale diritto avverso a tutta quella congerie di strumenti che va sotto
il nome di prove atipiche, cfr., GRASSO, La pronuncia di ufficio, Milano, 1967, 121 e 310;
sul problema più generale della prova atipica e dellapplicazione del principio del
contraddittorio cfr., TARZIA Problemi del contraddittorio nell'istruzione probatoria
civile, RDPr., 1984, 564
[84] Cfr., TARZIA, Lineamenti del nuovo processo di
cognizione, Milano 1996, 115.
[85] Cfr., Cass., 24-5-2000, n. 6808, CG, 10, 1317 ss.
[86] Cfr., Trib. Bari, 28 luglio 1996, GI, 1997, I, 2,
104; Trib. Brescia, 2 maggio 1996, GM, 1996, 858.
[87] Tuttavia, nella relazione illustrativa
dellultimo progetto di legge recante «modifiche urgenti al codice di procedura
civile approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 dicembre 2001, nel primo gruppo di
ipotesi di riforma alla lettera b) può leggersi che l «udienza di prima
comparizione, che non costituisce più la prima di una predeterminata e rigida serie di
udienze di trattazione e di ammissione delle prove, ma soltanto la prima (e potenzialmente
anche lultima) di una serie duttilmente adeguata alle esigenze della lite», ciò
sembra confermare lindirizzo giurisprudenziale che si è criticato. In realtà,
andrebbe riesumata la vecchia polemica sulla disponibilità o meno della sequenza
processuale, vista anche la natura pubblicistica del processo.
[88] Cfr., VELLANI, op. cit., 537; BARONE, op. cit.,
5.
[89] PICARDI, Codice civile di procedura civile
commentato, Milano, 2000, 197
[90] Per quanto concerne i gravi motivi, essi devono
essere riferibili alla fase dello svolgimento dellattività , altrimenti, qualora
siano riferiti alla fase della valutazione delloperato del consulente, sarebbero dei
presupposti per la rinnovazione delle c.t.u., in tal senso, cfr. PROTETTI, La
consulenza tecnica nel processo civile, cit., 120-121.
[91] Cfr., MARTINO, op. cit., 160, il quale sostiene
la progressività tra i due istituti. A simile impostazione non si può convenire, atteso
che gli istituti in parola, sebbene siano previsti dalla stessa norma, hanno presupposti
di fatto e funzione dialmetramente opposte.
[92] In merito Cfr., Cass., 4-8-1995, n. 8611, RFI,
1995, «Consulente tecnico» n. 19.
[93] PROTETTI, La consulenza tecnica nel
processo civile, cit., 120; in giurisprudenza, cfr., Cass. sez. lav., 10-6-1998, n. 5777,
Riv. it. medicina legale 1999, 985; inoltre, la giurisprudenza ritiene che nonostante vi
sia stata la rinnovazione della consulenza in appello, il giudice non sarebbe vincolato al
rispetto delle risultanze di questo rinnovato accertamento, potendo fondare la propria
decisione sulla base del pregresso accertamento, cfr., Cass., 27-3-1998, n. 3240, RFI;
1998, «Consulente tecnico», n. 38; Cass., sez. lav., 22-11-1979 n. 6092,
[94] Cfr., Cons.giust.amm. Sicilia sez. giurisd.,
23-12-1999, n. 681, CS, 1999, I, 2197; per laffidamento degli incarichi ad
amministrazioni che non siano parti del giudizio, cfr., Cons.giust.amm. Sicilia sez.
giurisd., 18-3-1998, n. 174; Riv. giur. polizia 1999, 106; in dottrina cfr., SPAGNUOLO
VIGORITA, op. cit., 12 ss., LAZZARA, «Discrezionalità tecnica» e situazioni giuridiche
soggettive, cit., 212 ss.
[95] Cfr., LUISO, Il principio del contraddittorio e
listruttoria nel processo amministrativo e tributario, DPrA, 2000, 328 ss.
[96] Per una disamina dellistruzione probatoria
in appello cfr., TEDOLDI, Listruzione probatoria nellappello civile, Padova,
2000; RUFFINI, La prova nel giudizio civile di appello, Padova, 1999.
[97] La giurisprudenza ritiene che rientri nei poteri
discrezionali del giudice di appello non solo disporre la rinnovazione della consulenza in
appello, ma addirittura fondare il proprio convincimento sulla base della consulenza di
primo grado, cfr., Cass., 27 marzo 1998, n. 3240,cit;
[98] Tuttavia vè da considerare che la
rinnovazione della consulenza in appello, ipotesi distinta da quella proposta nel testo,
generalmente è considerata dalla giurisprudenza, purché la rinnovazione si limiti alla
sola rivalutazione tecnica dei risultati della prima consulenza, come non ricadente sotto
il fuoco dellart. 345 c.p.c., cfr., Cass., 19-5-1999, n. 4852, Danno e resp.
1999,1104.
[99] Cfr., LUISO, Diritto processuale civile. II. Il
processo di cognizione, Milano, 375 ss., per il quale non si ha prova nuova quando: la
richiesta istruttoria sia stata già avanzata in primo grado, ma questa sia stata
disattesa (in tale ipotesi la riproposizione della domanda o delleccezione su cui il
giudice ha evitato di pronunciarsi fa rivivere ex se le istanze istruttorie), nel caso di
richiesta di riassunzione perché la prova è stata assunta male (è il caso della
richiesta di rinnovazione della consulenza). In giurisprudenza prevale lindirizzo di
ammettere con una certa larghezza le prove nuove precostituite, in particolare i
documenti, cfr., Cass., sez. lav., 22 luglio 1987, n. 6381, GCM, 1987, VII.
[100] Cfr., TEDOLDI, Listruzione probatoria
nellappello civile, Padova, 2000, 256 ss.
[101] Sul tramonto del principio di oralità, cfr.,
VOCINO, Oralità, ED, XXX, Milano, 1980, 610, per una completa disamina del problema
in appello e con unampio riferimento delle posizioni dottrinali, cfr., RUFFINI, La
prova nel giudizio civile di appello, cit., 135-188.
[102] Cfr., nota 96.
[103] Per il principio di economia processuale,
COMOGLIO, Il principio di economia processuale, II, Padova1982, 33; contra, nel senso che
leconomia può nuocere allimmediatezza, cfr.,CARNELUTTI, Il sistema del
diritto processuale civile, II, Padova, 1938, 638
[104] Cfr., CAPPELLETTI, La testimonianza della
parte nel sistema delloralità, I, Milano, 1962, 130
[105] Sulla elaborazione e sulla attuale vigenza del
principio cfr., RUFFINI, La prova nel giudizio civile dappello, cit.,69-78.
[106] Per questa nozione di prova non nuova, cfr.,
RUFFINI, op. cit., 189
[107] Cfr., RUFFINI, op. cit., 69 ss.
[108] Cfr., TEDOLDI, Listruzione probatoria
nellappello civile, Padova, 2000, 176-177.
[109] Cfr., op. ult. cit., 177 ss.
[110] Cfr., TEDOLDI, op. ult. cit., 180-187.
[111] Cfr., RUFFINI, op. cit., 188 ss.
[112] In tal senso, cfr., TEDOLDI, Listruzione
probatoria nellappello civile, cit., 245 ss. BALENA, La riforma del processo civile
di cognizione, Napoli, 1994, 427; FAZZALARI, Il processo ordinario di cognizione , II,
Torino, 1990, 52; BUCCI-CRESCENZA-MALPICA, Manuale pratico del processo civile,
Padova,1991, 238, in giurisprudenza v. Cass. 30-7-1987, 6594
[113] Sulla intrinseca connessione
dellindagine delle prove nuove al tema delle nuove eccezioni e delle nuove domande,
cfr., LUISO, Diritto processuale civile, II, cit., 376.
[114] Cfr. RUFFINI, La prova nel giudizio civile
dappello, Padova, 1999, 100 ss; TEDOLDI, op. cit., 171;TARZIA; Lineamenti del nuovo
processo di cognizione, Milano, 1991, 78;LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile,
II, Milano, 1984, 307; in giurisprudenza, cfr., Cass., 11-9-1996, n. 8219, GI, 1997, I, 1,
1242,
[115] Cfr., LIEBMAN, Fondamento del principio
dispositivo, RDPr, 1960, 551; MONTESANO, Le prove disponibili dufficio e
limparzialità del giudice civile, RTPC, 1978, 189, VERDE, Dispositivo (principio),
cit.
[116] Cfr., TEDOLDI, op. cit., 254-256.
[117] Cfr., LESSONA, Trattato delle prove in materia
civile, I, Torino, 1927, 348, per cui «la prova nuova, (omissis), è così la prova che
ha per oggetto diverso e mezzo identico, quanto quella che ha per oggetto identico e mezzo
diverso».
[118] Sul tema in particolare cfr., TEDOLDI, op.
loc. cit., 113 ss., anche se già altri commentatori avevano rilevato la differenza tra i
due concetti, cfr., FERRI, Profili dellappello limitato, 145 PROTO PISANI, La nuova
disciplina del processo ordinario di cognizione di primo grado e dappello, FI, 1991,
V, 318 ss.; BALENA; La riforma del processo di cognizione , Napoli, 1994, 181; tuttavia,
vè da chiarire che anche in merito allallegazione di nuovi fatti a suffragio
delle eccezioni rilevabili dufficio, cè chi ha sostenuto che il giudice non
avrebbe dei poteri di allegazione ma solo il potere di rilevare ex officio leffetto
giuridico prodotto del fatto già allegato dalle parti, cfr., CAPPONI, in
VACCARELLA-CAPPONI-CECCHELLA, Il processo civile dopo le riforme, Torino, 1992, 272;
ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 73 ss e 160; COSTANTINO,
in AA.VV., Provvedimenti urgenti per il processo civile, a cura di G. Tarzia e F.
Cipriani, Padova, 1992, 87; contro questa ricostruzione cfr., FABBRINI, Leccezionidi
merito nello svolgimento del giudizio di cognizione , in Studi in memoria di Carlo Furno,
Milano, 1973, 504.
[119] Per una completa ricostruzione delle varie
tesi sul concetto di indispensabilità, cfr., RUFFINI, La prova nel giudizio civile
dappello, cit., 14-33 e 239 ss.
[120] Cfr., SATTA-PUNZI, Diritto processuale civile,
Padova, 1996, 573
[121] Cfr. TEDOLDI; op. cit., 190 ss.Questa
distinzione è stata usata dallautore al fine di proprorre una soluzione alternativa
a quella proposta già da PROTO PISANI (cfr., PROTO PISANI, op. ult. cit., 213 ss.), per
la quale la prova sarebbe indispensabile qualora la esistenza o linesistenza di un
fatto siano state affermate in primo grado sulla base della regola di giudizio costituita
dallonere della prova. Sul fondamento di tale regola, cfr., VERDE, Lonere
della prova, Camerino, 1974, 17-20 e26-27
[122] Sulla natura indeterminata di questo concetto,
cfr. SASSANI, Commentario alla riforma del processo civile, a cura di
CONSOLO-LUISO-SASSANI, Milano 1996, 389 ss., per il quale dellindispensabilità non
si può fare un vero e proprio concetto univoco ed unico spendibile in ogni situazione, ma
esso andrebbe chiarito facendo riferimento al concetto, contenuto nello stesso articolo,
dellassenza di colpa nel non aver disposto in primo grado il mezzo di prova
richiesto; infatti, essendovi un collegamento tra allegazione di nuovi fatti e diritto di
prova per effetto dellart. 2697 c.c., tutte le volte che nuovi fatti siano entrati
nel processo solo in appello essi sono bisognevoli di prova. Pertanto, in simili ipotesi,
il non ammettere le prove richieste sarebbe da considerare come una violazione del diritto
alla difesa ex art 24 Cost. sub species del diritto al contraddittorio; per una diversa
opinione, cfr., MANDRIOLI, Diritto Processuale civile. II. Il processo di cognizione,
Milano, 2000, 417.
[123] Cfr., LUISO, Il processo del lavoro, cit.,
[124] Tuttavia, per quanto concerne la consulenza,
la richiesta di rinnovazione, secondo la giurisprudenza, non darebbe luogo
allapplicazione del divieto di cui al terzo comma dellart. 345 c.p.c. laddove
la parte ne richieda la rinnovazione limitatamente alle valutazioni tecniche fatte proprie
dal giudice, cfr., Cass., 19 maggio 1999, n. 4852, Danno e resp. 1999,1104; Cass., 29
novembre 1995, n. 12416, GCM, 1995, XI. Simile pronuncia fa implicitamente intendere che
qualora invece si vogliano censurare gli accertamenti della consulenza allora essa va
sottoposta al regime delle prove nuove in appello. Inoltre, il giudice potrebbe anche
semplicemente chiedere spiegazioni al consulente nominato in primo grado senza dar luogo
alla rinnovazione; cfr., Cass. sez. lav., 10 giugno 1998, n. 5777, Riv. it. medicina
legale 1999, 985.
[125] Questa preoccupazione ed in particolare che il
criterio dellindisponibilità non fungesse da una generale sanatoria delle
preclusioni istruttorie maturate è stata sentita da più autori; per una completa
disamina cfr., RUFFINI, La prova nel giudizio civile dappello, cit., 20 e 239 ss.;
[126] Cfr., MONTESANO-VACCARELLA, Manuale di diritto
processuale del lavoro, Napoli, 1996, 272.
[127] Cfr., TEDOLDI, op. cit., 283-287.
[128] Per lassenza di un criterio di
indispensabilità per lesercizio in appello dei poteri ufficiosi, cfr., LUISO, Il
processo del lavoro, Torino, 1992, 292, sulla sua necessità cfr., invece,
MONTESANO-VACCARELLA, op. cit., 272.
[129] La problematica ruota attorno alla corretta
individuazione e nel senso che si vuole attribuire allespressione domande ed
eccezioni non accolte dellart. 346 c.p.c. Nel senso che le domande di cui
allart. 346 c.p.c. comprendano anche le domande istruttorie cfr., CHIARLONI,
Limpugnazione incidentale nel processo civile, Milano, 1969, 146 ss., BONSIGNORI,
Leffetto devolutivo dellappello, RTDpC, 1974, 1326.
[130] Questo sembra essere lindirizzo
prevalente della giurisprudenza, cfr., Cass., 5-7-1996, n. 170, FI, 1997, I, 2262; Cass.,
19-6-1993, n. 6843, RFI, 1993, «Appello civile», n. 47; Cass., 8-5-1993, n. 5320, ibid,
50; in dottrina cfr., RUFFINI, La prova nel giudizio civile dappello, cit., 54;
nondimeno, non sono assenti delle pronunce discordanti, cfr., Cass., 17-8-2000, n. 10902,
RFI, 2000, «Lavoro e previdenza», n. 226; Cass., 22 marzo 1994, n. 2716, RFI, 1994,
cit., n. 244; Cass., 28-4-1975, n. 1647, RFI, 1975, «Appello civile», n. 119; Cass.
7-8-1990, n. 7961, RFI, 1990, «Prova documentale», n. 36;
[131] Cfr., Cass., 26- 10- 2000, n. 14135, con nota
di RASCIO, Una (condivisibile) decisione circa la necessità di riproporre in appello le
istanze disattese dal giudice di primo grado, FI, 2002, I, 227 ss.
[132] In senso contrario, cfr., Cass., 5 luglio
1996, n. 6170, FI, 1997, I, 2262, con nota di RASCIO, che ritiene la riproposizione
necessaria perché la riproposizione è strumentale alla pronuncia in quel grado.
Tuttavia, è difficile che il giudice possa semplicemente disattendere la richiesta di
consulenza sic et simpliciter senza incorrere in un vizio di motivazione della stessa
sentenza, perciò solo ricorribile in cassazione, cfr., Cass., 20 febbraio 1998, n. 1783,
MCC, 1998, n. 6047; acutamente, parte della dottrina ha ritenuto che qualora la richiesta
del mezzo istruttorio (non ammesso in primo grado) vada a costituire una delle ragioni
dellappello, non basterà la semplice riproposizione, ma sarà necessario un motivo
specifico dappello; al contrario, qualora la richiesta di una prova non
accoltarientri nella censura della generale ingiustizia della statuizione del primo
giudice, allora sarà sufficiente la semplice riproposizione, cfr., TEDOLDI,
Listruzione probatoria nellappello civile, cit., 155-156.
[133] Cfr., TEDOLDI, op. cit., 160-163.
[134] In varia maniera, cfr., MANDRIOLI, Diritto
processuale civile, II, cit., 413, nota 2; ATTARDI, Le nuove disposizioni sul processo
civile, cit., 151 ss.; CHIARLONI, Appello (dir. proc. civ.), EG Traccani, II, Roma, 1988,
11.
[135] Cfr., RUFFINI, op. cit., 53.
[136] Cfr., TEDOLDI, op. cit., 158-160.
[137] Tuttavia, va rilevato come la giurisprudenza
non senta questo problema, sostanzialmente affermando la completa riproponibilità della
consulenza al di là di una richiesta rituale o meno delle parti, cfr., Cass, sez. lav.,
10-6-1998, n. 5777, RFI, 1998, «Consulente tecnico», n. 25
[138] In particolare, come sostenuto in
giurisprudenza, la confutazione delle ragioni del consulente non può essere vaga o
indefinita, salvo incorrere in un evidente ed insuperabile vizio di motivazione, ma deve
essere ancorata «alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente
motivata, dovendo indicare in particolare gli elementi di cui si e' avvalso per
ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si e' basato, ovvero gli
elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico - giuridici per
addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. In materia di
valutazione di immobili ai fini della liquidazione», cfr., Cass., 14-1-1999, n. 333,
RFIt., 1999, «Consulente tecnico», n. 24; Cass., 11-12-1999, n. 13863, GCM, 1999,2485.
[139] Cfr., Cass. sez. lav. , 23-11-1994, n. 9929,
RFI., 1995, «Consulente tecnico», n. 30
[140] Cass. sez. lav., 4-2-1999, n. 996, GCM, 1999,
263.
[141] Corte cost. 13-4-1995, n. 124, GiC. 1995, 970
[142] Cass., 21-8-1985, n. 4460, GI. 1986, I, 1,
195;
[143] Cass. sez. lav., 23 maggio 1998, n. 5151, GCM.
1998,1118, Cass., 28 luglio 1989 n. 3527, GCM. 1989, fasc. 7.
[144] Cass. 9-5-1988, n. 3505, Cass., 25-3-1987, n.
2900, GCM, 1987, III.
[145] Cass., 10-1-1995, n. 245, Giust. civ. Mass.
1995, 43; Cass., 21-2-1995, n. 1863, GCM. 1995, 390
[146] Cfr., Cass., 29-9-1997, n. 8240, GCM, 1997,
1566.
[147] Cfr., Cass., 19 maggio 1997, n. 4437, GCM,
1997, 785: Per cui a simile conclusione si giunge considerando limpossibilità
giuridica di ammettere una formazione stragiudiziale della consulenza. Se si pone mente al
processo amministrativo si può subito cogliere, secondo linsegnamento di alcuni
autori, che proprio la limitatezza dei mezzi di cognizione, anche dopo la legge 205/2000,
non permetterebbe lesperimento della testimonianza del perito di parte, al di fuori
delle cause risarcitorie, cfr., TRAVI, Giustizia amministrativa e giurisdizione esclusiva
nelle recenti riforme, FI, 2001, V, 68 ss., 73.
[148] Così, v. Cass. sez. lav. 23-12-1999, n.
14483, RFI, 1999 «Consulente tecnico», n. 29 ;Cass. 1-10-1999, n. 10870, RFI, 1999
«Consulente tecnico», n. 30.
[149] Tuttavia lobbligo di motivazione
esplicita del non accoglimento delle risultanze della consulenza di parte si radica solo
laddove la consulenza non si sia limitata ad una generica censura delloperato del
c.t.u., ma abbia avuto carattere circostanziato e specifico in modo da condurre, ove sene
accerti il fondamento, ad una decisione diversa da quella adottata in sentenza, cfr.,
Cass. 9-12-1995, n. 12630, RFI, 1995, «Consulente tecnico», n. 23; Cass., 22-4-1982,
RFI, 1982, «Consulente tecnico», n. 29
[150] Vè da precisare come la giurisprudenza
aveva già sostenuto che la richiesta di parte di una nuova consulenza deve essere
disattesa con valide argomentazioni, cfr., Cass., sez. lav., 14 luglio 1994, n. 6593, RFI,
1995, «Consulente tecnico», n. 20, quindi a maggior ragione è tenuto a motivare il
diniego quando lesigenza della consulenza sia derivante dalle risultanze di una
c.t.p.
[151] Cfr., Cons. Stato sez. IV, 29 novembre 2000,
n. 6335, FA, 2000, XI; T.A.R. Friuli Venezia Giulia 20 febbraio 1991 n. 62, FA, 1991,
2345.
[152] Cfr., Cons. Stato sez.V 19 novembre 1992 n.
1336, CS, 1992, 1633.
[153] Per una completa disamina dei principi
costituzionali attinenti al processo ed al loro grado di attuazione, cfr., TROCKER,
Processo civile e costituzione, Milano, 1974
[154] In tal senso, LUISO, in CONSOLO LUISO SASSANI,
La riforma del processo civile, Milano,
[155] Così, SABATO, Deduzioni istruttorie delle
parti e mezzi di prova disposti dufficio: riflessioni sul nuovo testo dellart.
184 c.p.c., FN, II,1996,
[156] In realtà la possibilità di produrre nuove
prove avvalendosi dellultimo comma dellart. 184 c.p.c. e per ciò solo
eccedendo il limite della preclusione cosa che non avviene nel caso di prova
documentale - deve trovare il proprio fondamento sullassenza di colpa, potendosi
affermare il parallelismo con lart. 184 bis. Infatti, laddove lesigenza della
consulenza sia stata dovuta alla strategia processuale di una parte, questa deve
sopportare, per il principio dellautoresponsabilità, gli effetti del proprio
comportamento. Tuttavia, appare almeno criticabile questo orientamento laddove si
consideri che la parte potrebbe considerare favorevole a sé la prova solo allesito
della consulenza tecnica. Quindi, la produzione successiva della controprova risponderebbe
al principio di difesa, venendo così in rilevo anche laspetto necessitato della
prova di cui al 184 ult. comma c.p.c.
[157] Cfr., SABATO, Deduzioni istruttorie e mezzi di
prova disposti dufficio: riflessioni sul nuovo testo dellart. 184 c.p.c., cit.
[158] Occorre precisare che la preclusione collegata
allattività istruttoria non è collegata al luogo fisico della terza udienza ossia
quella del 184 c.p.c., bensì, come ha sostenuto la Suprema Corte, essa è legata al
momento di svolgimento dellattività istruttoria in qualsiasi udienza essa avvenga,
sia pure quella di cui al 183 c.p.c.,dato che le attività previste dal 184 c.p.c. sono
esperibili nella stessa udienza di trattazione salvo che non venga richiesto il doppio
termine per il deposito delle memorie, cfr., T. Pistoia, 20-06-1997, FI, 1997, I, 3693,;
in dottrina cfr., CAPPONI (CAPPONI-VACCARELLA-CECCHELLA), Il processo civile dopo le
riforme, Torino 1992, 103 ss., BALENA, Le preclusioni nel processo di primo grado, GI,
1996, IV, 265.
[159] Sulla necessità di ulteriori prove a seguito
dei risultati delle prime, cfr., SASSANI, in CONSOLO-LUISO-SASSANI, Commento alla riforma
del processo civile, Milano, 1996, 168.
[160] Cfr., BOVE, La perizia arbitrale, Torino,
2001.
[161] Sono state elaborati in merito cinque grandi
filoni di pensiero, cfr., BOVE, op. cit., 9-10.
[162] Cfr., BOVE, La perizia arbitrale, cit., 3-8.
[163] Cfr., SACHSE, Beweisvertage, in ZZP, (54),
1929, 409 ss.; per lintera probelamtica die contratti processuali, SCHIEDEMAIR,
Vereinbarungen im ZivilprozeB, Bonn, 1935.
[164] Già Santoro Passarelli, riconosceva diritto
di cittadinanza a questa categoria e soprattutto distingue tale istituto dal potere di
accertamento del giudice, laddove sostiene che «le parti, nel negozio di accertamento
(corsivo nostro), hanno a differenza del giudice, un potere di disposizione, e non di
accertamento in senso proprio. Possono rendere certa la situazione disponendone», cfr.,
SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1976, 177 ss.
[165] Cfr., sul tema della introduzione della
confessione stragiudiziale nel processo, VERDE, Profili del processo civile, II, cit.,
123-126
[166] Cfr., BOVE, op. cit., 162 -170.
di Luca Petrone - tratto da: www.judicium.it