Affido condiviso della prole con la separazione e il divorzio: i presupposti, gli effetti sulla responsabilità dei genitori, le forme di collocamento dei figli, il trasferimento del genitore collocatario.

 
Come noto, alla separazione dei genitori l’affido condiviso dei figli rappresenta ormai una regola dalle rare eccezioni. 
Ma conosciamo il vero significato di questo termine? Che cosa comporta avere la responsabilità genitoriale sui figli? Inoltre, l’affidamento riguarda tutti i figli, anche quelli maggiorenni? Che differenza c’è tra affidamento e collocamento dei figli? Il genitore che vive coi figli si può trasferire con loro?
In questa guida cercheremo di dare risposta a queste ed a molte altre domande.
 
 
Cosa prevede la legge?
I figli (nati sia fuori che dentro il matrimonio) hanno il diritto di essere mantenuti, educati, istruiti e assistiti da entrambi i genitori, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni; dunque, su madre e padre non grava un semplice dovere morale di prendersi cura dei figli, ma un vero e proprio dovere giuridico [1] .
Tale dovere non viene meno nel caso di separazione e divorzio dei genitori, situazione per la quale va comunque garantito ai figli il cosiddetto diritto alla bigenitorialità, ossia il diritto dei figli di conservare rapporti equilibrati e continuativi sia con la madre e il padre che con i parenti di ciascun ramo genitoriale [2]. In tal caso, però, il giudice dovrà decidere sull’affidamento dei figli che, in base alle regole generali, deve essere disposto in modo condiviso [3].
Ma vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.
 
 
Cosa significa avere l’affidamento condiviso dei figli?
In caso di separazione dei genitori, il giudice deve sempre privilegiare, nella propria decisione, la soluzione di affidare loro i figli in modo condiviso.
Tale scelta comporta, all’atto pratico, l’obbligo per entrambi i genitori:
– di esercitare la responsabilità genitoriale sulla prole e
– di condividere le decisioni di maggiore importanza riguardanti i figli.
 
Per dare un contenuto concreto a queste espressioni, richiamiamo qui di seguito le parole usate da alcune Corti, secondo le quali i genitori che abbiano l’affido condiviso dei figli:
– dovranno predisporre e attuare un programma condiviso per l’educazione, la formazione, la cura e la gestione dei figli nel rispetto delle loro esigenze e delle loro richieste [4];
– ripartirsi i compiti e la responsabilità nella gestione del figlio, permettendo di realizzare un bilanciamento delle sfere di competenza [5];
– impegnarsi a realizzare una linea comune nell’educazione dei figli; in una fase transitoria essa può anche essere dettata, tramite alcune prescrizioni, dal giudice, purché partendo dal ragionevole presupposto di poter giungere a un riequilibrio dei rapporti tra i genitori [6];
– permettere ciascuno all’altro genitore di avere rapporti col figlio, nella consapevolezza che la sua cultura, la personalità e le sue idee sono diverse da quelle proprie.

L’affidamento condiviso, tuttavia, non comporta necessariamente che ciascun genitore trascorra con i propri figli lo stesso tempo rispetto all’altro genitore. Non c’è quindi una parificazione (come vedremo a breve) circa modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra i figli e ciascuno dei genitori, essendo impossibile un convivenza del minore con entrambi i genitori.
 
 
Che significa avere la responsabilità genitoriale sui figli?
Come abbiamo visto, l’affido condiviso comporta l’assunzione della responsabilità genitoriale [7] da parte sia della madre che del padre; essa implica la necessità per i genitori di prendere tutte le decisioni riguardo alla vita dei figli.
Va però fatta, a riguardo, una distinzione tra le questioni di ordinaria amministrazione (che potremmo definire quotidiane) e quelle riguardanti questioni di maggiore importanza per la vita dei figli.
Mentre, infatti, ciascun genitore può prendere le decisioni di ordinaria amministrazione (circa il mantenimento, la cura e l’istruzione) che ritiene più opportune per i figli durante il periodo che trascorre con loro, al contrario, i genitori devono sempre assumere insieme le decisioni di maggior interesse per i figli (ad esempio quelle relative alla scelta della scuola che il minore dovrà frequentare), tenendo conto delle loro capacità, inclinazione naturale e aspirazioni.
Ciò comporta, ad esempio, che il giudice non può approvare (cioè omologare) un accordo col quale i genitori limitino l’esercizio della responsabilità genitoriale di uno di loro su questioni di ordinaria amministrazione durante i periodi di tempo di convivenza con la prole oppure che escluda il genitore che non vive con i figli dalle decisioni di maggiore importanza che li riguardano.
Il giudice può, infatti, limitare la responsabilità del genitore circa le decisioni di maggior interesse solo per ragioni specifiche: si pensi, ad esempio, al caso in cui un minore sia affetto da una grave patologia che richieda la necessità di prendere decisioni rapide in merito alle sue cure mediche e uno dei genitori non possa essere col figlio in modo continuativo [8].
 
 
Quali sono le decisioni di maggior interesse per i figli?
La legge [9] individua con precisione gli ambiti riguardanti le questioni di maggior interesse per la prole sulle quali i genitori non solo hanno l’obbligo di informarsi reciprocamente, ma soprattutto di darsi una regolamentazione.
Si tratta delle questioni relative a:
– l’educazione (anche religiosa);
– l’istruzione (ad es. la scelta della scuola alla quale iscrivere il figlio);
– la salute (come, ad esempio, la scelta di una specifica terapia da seguire oppure di un medico, pediatra di base o specialista, al quale rivolgersi).
Si tratta, tuttavia, di una elencazione di massima, poiché di fatto, le scelte “di maggior interesse” per i figli possono ben riguardare anche l’ambito sociale o lo svolgimento di attività extra e parascolastiche, come la partecipazione dei figli a gite o a corsi o viaggi all’estero oppure lo svolgimento di attività sportive [10].
 
 
Che succede se i genitori non trovano un accordo sulle scelte riguardanti i figli?
Se i genitori non riescono a decidere insieme sulle questioni di ordinaria e straordinaria amministrazione relative ai figli, in tal caso tale compito (tanto più nel secondo caso) va affidato al giudice.
Con riguardo alle questioni di ordinaria amministazione, il magistrato può dettare delle precise condizioni, stabilendo che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale in modo separato. Nel caso in cui un genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento (disponendo l’eventuale affido esclusivo).
In caso di contrasto, il giudice potrebbe anche attribuire il potere di decidere ad un solo genitore: quello che gli sembri maggiormente in grado di curare l’interesse del figlio. Infatti, una persistente situazione di conflittualità tra i genitori non consentirebbe loro di prendere anche le più semplici decisioni quotidiane (e, perciò, tantomeno, quelle di maggior importanza) se non col serio rischio di pregiudicare la serenità del figlio e di dover ricorrere al tribunale allorquando sorga ogni minimo contrasto tra i genitori.
 
 
L’affidamento condiviso riguarda solo i figli minori?
In linea generale, le norme in tema di affidamento non sono applicabili ai figli maggiorenni (anche se non autosufficienti economicamente o portatori di handicap grave).
Per quanto riguarda, nello specifico, i portatori di handicap, anche se la legge prevede espressamente che ad essi vada applicata la disciplina dettata per i figli minori [11], tale previsione è da intendersi con riferimento al solo obbligo di mantenimento. Se, infatti, non viene accertata (in uno specifico giudizio di interdizione o di inabilitazione) l’incapacità di agire del giovane, egli devepresumersi capace di intendere e di volere e, in quanto tale, di scegliere con chi e come vivere.
In altre parole, non si può concludere in modo automatico che il figlio maggiorenne, portatore di handicap grave, non abbia capacità di agire, ma occorre procedere prima all’accertamento di tale incapacità al fine di adottare le misure a sua tutela previste dalla legge [12]. 
 
 
Chi amministra i beni dei figli quando l’affido è condiviso?
Secondo la dottrina [13] l’amministrazione dei beni spetta ad entrambi i genitori .
Nel caso di affido condiviso i genitori hanno l’usufrutto legale sui beni dei figli fino alla maggiore età o all’emancipazione [14]; il giudice può, comunque, stabilire quote disuguali tra i genitori nel godimento dei beni.
 
 
L’affido condiviso si applica anche se c’è conflitto tra i genitori?
L’esistenza di un conflitto tra i genitori (che potremmo definire quasi fisiologico quando la coppia si separa) non rappresenta un motivo per escludere, in modo automatico, l’affido condiviso dei figli. In generale si ritiene, infatti, che se, in ogni ipotesi di conflitto, si decidesse di affidare i figli in via esclusiva al genitore collocatario, l’affido condiviso sarebbe applicato solo in modo residuale, anche perché ciascun genitore potrebbe utilizzare il conflitto in modo strumentale per orientare il giudice verso un affidamento esclusivo [15]. La situazione va, cioè, valutata caso per caso.
In ogni caso, i giudici hanno optato per la soluzione dell’affido condiviso anche in casi di elevato livello di conflittualità e di un clima di reciproche accuse da parte dei genitori e i rispettivi nuclei familiari [16].
Secondo i giudici, infatti, i genitori che si assumono la loro responsabilità verso i figli minori devono tenere distinti il loro rapporto di coppia (che è quasi inevitabile che sia caratterizzato da un rapporto di tensione dopo la separazione) da quello genitoriale; in questo contesto, anzi, l’affido condiviso può contribuire a superare le tensioni e a recuperare un clima di serenità tra i genitori, relativa essenzialmente a scelte attinenti alla vita quotidiana dei figli, consentendo una loro consapevole e comune partecipazione al progetto educativo dei figli [17]. Va infatti sempre privilegiato il benessere della prole, consentendo al genitore con loro non convivente di conservare rapporti con i figli.
Nel caso, invece, di esasperata e insanabile conflittualità, caratterizzata, ad esempio, dal fatto di screditare gravemente la capacità educativa dell’altro genitore con ripetute accuse, può essere disposto l’affidamento esclusivo: in questi casi, infatti, se pur l’affido condiviso è in astratto possibile, esso, per essere concretizzato, richiede una convergenza d’intenti dei genitori e una consapevole adesione ad un programma educativo comune difficilmente realizzabile tra chi ha scelto di chiudere la relazione familiare con toni d’acceso conflitto [18].
 
 
Cos’è il collocamento dei figli?
L’affidamento dei figli non va confuso con il loro collocamento.
In ogni provvedimento che dispone l’affido condiviso, infatti, il giudice individua (nell’esclusivo interesse dei figli) il genitore presso il quale i minori dovranno fissare la loro residenza abituale (è questo il cosiddetto collocamento).
La scelta del genitore presso cui collocare i figli è, in linea generale, indipendente dall’addebito della separazione ad uno dei coniugi: salvo il caso, infatti, in cui le violazioni riguardino proprio i figli ( si pensi al caso di violenze perpetrate a loro danno) la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio (ad esempio l’infedeltà) non può  tradursi anche in un pregiudizio per la prole, non nuocendo al suo corretto sviluppo psico-fisico, né compromettendo il suo rapporto con il genitore che ha avuto l’addebito [19].
 
 
In che modo i figli possono essere collocati?
Il collocamento può avere tre forme: prevalente, a residenza alternata e invariato.
Esaminiamole nello specifico.
1.Collocamento prevalente
Questa soluzione prevede che i figli abbiano residenza prevalente presso la casa del genitore ritenuto dal giudice più idoneo: il cosiddetto genitore “collocatario“.
Si tratta della forma di affido più diffusa nella prassi, in quanto ritenuta quella maggiormente in grado di tutelare gli interessi del minore; si pensa, infatti, che il continuo e periodico cambiamento della collocazione e della gestione del quotidiano possa provocare nel minore la perdita di stabili punti di riferimento [20].
Tale soluzione comporta comunque la necessità di assicurare ai figli e al genitore non collocatario di poter avere rapporti equilibrati e costanti: a tale scopo il provvedimento del giudice deve anche stabilire tempi e modalità di frequentazione dei figli minori col suddetto genitore (cosiddetto diritto di visita), prevedendo quando il genitore potrà incontrare i figli, quando essi dovranno trasferirsi presso la sua abitazione, con quale dei genitori i figli dovranno passare vacanze o festività.
A riguardo, quando i genitori si mostrano in grado di gestire di comune accordo questo aspetto dell’affidamento, possono bastare delle semplici linee guida (cosiddetta “cornice minima”); se, al contrario, tra loro esiste una maggiore conflittualità, è opportuno che il giudice detti regole precise, demandando all’accordo delle parti solo la soluzione di problemi particolari che, volta per volta, dovessero emergere [21].
2.Collocamento alternato
Questa forma di collocamento prevede che il minore viva per periodi alterni presso ciascuno dei genitori.
Essa, tuttavia, trova scarsa applicazione nella pratica poiché, secondo quello che è però l’orientamento prevalente, costringendo i figli a continui cambi di residenza e di gestione delle quotidiane attività, tale collocamento non sarebbe in grado di garantire loro un regime di vita razionale e potrebbe determinare negli stessi genitori la perdita dei necessari punti di riferimento [22].
3.Collocamento invariato
Si tratta di una forma di collocamento peculiare, di solito prevista per accordo della coppia.
Essa implica l’alternanza dei genitori nell’abitare la casa familiare. In altre parole, proprio per evitare ai figli continui spostamenti di residenza, sono la madre e il padre a muoversi da casa secondo turni (di solito, ma non necessariamente, settimanali) prestabiliti, mentre i figli restano collocati nell’ambiente domestico nel quale sono cresciuti, così conservando le proprie abitudini e i propri interessi.
In tale ipotesi, ciascun genitore (alternativamente collocatario) è tenuto:
– a garantire ai figli, durante il periodo di convivenza, i rapporti con l’altro genitore
– e a lasciare all’altro l’uso della casa con tutte le sue pertinenze, una volta terminato il periodo di propria spettanza.
L’affidamento con collocamento invariato ha trovato più volte applicazione [23] in tutti quei casi in cui i giudici non hanno ritenuto che la peculiare condizione concordata dai genitori fosse in qualche modo pregiudizievole per i figli.
 
 
L’affido condiviso va previsto anche se le residenze dei genitori sono distanti?
In linea generale, si ritiene attualmente che la distanza dei luoghi di residenza dei genitori condiviso non rappresenti un ostacolo per il giudice nel disporre l’affido condiviso; essa può semmai incidere sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore (ossia sul diritto di visita) [24] .
Naturalmente, in questi casi il magistrato dovrà cercare di bilanciare le esigenze di tutti i soggetti coinvolti nella crisi familiare, consentendo al minore e al genitore non convivente di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo.
Dunque, anche nei casi di accesa conflittualità tra i genitori e di trasferimento attuato in modo unilaterale dal genitore collocatario, il giudice può disporre l’affido condiviso, prevedendo, ad esempio, una cadenza mensile (per alcuni giorni consecutivi, uno dei quali la domenica) degli incontri tra padre e figlio presso il luogo di residenza di quest’ultimo [25].
E d’altronde, come si è detto, prevedere in questi casi l’affidamento esclusivo indurrebbe il genitore affidatario ad escludere del tutto l’altro dalle scelte di vita, di educazione, istruzione e cura del minore, fino a sminuire talmente la figura genitoriale da pregiudicare in modo definitivo il figlio nel suo diritto di mantenere un equilibrato rapporto continuativo e di ricevere affetto e cure da entrambi i genitori [26].
 
 
Il genitore che vive con i figli è libero di cambiare residenza?
La legge non prevede delle regole precise riguardo alla residenza dei figli. Essa stabilisce solo che i minori hanno diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori [2].
Al contempo, però, anche i genitori hanno – come qualsiasi altro cittadino – il diritto di scegliere il luogo dove vivere e collocare la propria residenza abituale.
Dunque, i genitori non potrebbero prevedere, neppure tramite accordo, un divieto per il collocatario dei figli di trasferire altrove la propria residenza; si tratterebbe, infatti, di un accordo contrario all’ordine pubblico, in quanto si porrebbe in contrasto con diritti fondamentali della persona; si pensi, solo per fare un esempio, alla necessità di trasferirsi per motivi di studio, di lavoro o di ricevere una migliore assistenza [27].
Ma come fa il giudice a decidere sull’affidamento (e collocamento) se i genitori vivono in Stati diversi?
In tal caso, egli è tenuto ad individuare il genitore maggiormente in grado, a suo avviso, di assicurare ai minori la permanenza nell’ambito culturale, parentale e territoriale a loro consueto.
Il trasferimento all’estero, infatti, comportando l’inevitabile distacco dall’ambiente di vita abituale, potrebbe rappresentare un trauma per il minore il quale ha diritto di conservare le proprie relazioni sociali e familiari, assunte come elementi integranti della sua identità [28].
 
 
Il genitore che vuole trasferirsi col figlio deve chiedere il consenso all’altro?
Circa la necessità, per il genitore collocatario dei figli che intenda cambiare la propria residenza insieme ai minori, di ottenere il consenso dell’altro genitore, esistono a riguardo due diversi orientamenti:
– secondo il primo, il genitore collocatario non ha bisogno di ottenere tale consenso se la decisione è assunta nell’interesse del figlio (si pensi dall’esigenza di avvalersi del contributo e del sostegno oppure a ragione legate necessità lavorative) [29];
– secondo, invece, un altro orientamento, occorre che il genitore che intende trasferirsi ottenga il consenso all’altro. All’atto pratico, quindi, ove non ottenga tale consenso, il genitore collocatario dei figli dovrà rivolgersi al giudice per ottenere la modifica delle condizioni di separazione e delle modalità dell’affidamento [30] a prescindere da quali siano le ragioni alla base della sua decisione; in caso contrario, egli non solo rischia di incorrere nelle sanzioni previste dalla legge in caso di mancato rispetto dei provvedimenti giudiziali in vigore [31] ma anche di veder collocato il figlio presso l’altro genitore [32]. 
 
 
Che succede se il genitore collocatario si trasferisce all’estero?
Se il genitore presso cui è collocata la prole conduce quest’ultima, contro la volontà dell’altro genitore (o a sua insaputa) in uno Stato diverso rispetto a quello dove essa ha la sua residenza abituale, ciò rappresenta una condotta illegittima (nella specie, il reato di sottrazione internazionale di minori) a seguito della quale l’autorità competente del luogo ove il minore è stato condotto può ordinarne il rimpatrio immediato del minore [33] .
L’allontanamento della prole, infatti, rappresenta un ostacolo al concreto esercizio delle modalità dell’affidamento in quanto finisce col condizionare in modo significativo l’esercizio del diritto-dovere del genitore non collocatario a frequentare i minori, a causa dell’inevitabile diradamento degli incontri tra genitore e figlio [34].
Al fine di valutare l’illegittimità o meno del trasferimento all’estero, l’autorità competente dovrà accertarsi che esso sia stato effettuato contro la volontà dell’altro genitore o del diverso soggetto o ente avente, all’atto del trasferimento, la responsabilità genitoriale sul minore.
La domanda di rimpatrio deve presentarsi entro un anno dall’illecito trasferimento, ma il giudice può in ogni caso decidere di non disporre il rimpatrio del minore quando ritenga che esso potrebbe arrecargli un grave pregiudizio.
 
 
Se i genitori sono d’accordo, il giudice può escludere l’affido condiviso?
L’affido condiviso rappresenta una regola dalle poche eccezioni che, in ogni caso, solo il giudice può prevedere. A nulla varrebbe, dunque, l’ eventuale accordo intervenuto tra i genitori in una procedura consensuale che preveda la rinuncia all’affido condiviso da parte di uno di loro; l’unico e il solo obiettivo che, infatti, il giudice deve perseguire è rappresentato dall’interesse dei minori a ricevere cure e assistenza morale e materiale sia dalla madre che dal padre [35].
Per tale ragione, il magistrato non è in alcun modo vincolato da una eventuale richiesta congiunta dei genitori di affido esclusivo ad uno solo di loro; egli potrà disporre, infatti, l’affido esclusivo solo qualora ritenga che per le particolari circostanze l’affido condiviso possa pregiudicare una serena crescita dei figli (si pensi al caso in cui un genitore sia consapevole, per una particolare dipendenza dalla quale è affetto, di poter costituire un concreto pericolo per i propri figli).
 
Autore: Avv. Maria Elena Casarano – www.laleggepertutti.it
Aprile 2016
 
Note:
[1] Art. 315 bis comma 1° cod. civ. 
[2] Art. 337 ter comma 1° cod. civ.
[3] Cass., sent. n.16593/2008.
[4] C. App. Caltanissetta, 18.06.2008; Trib. Bologna n. 800/2006; Trib. Bologna 29.05.2007; Trib. Viterbo 18.10.2006.
[5] C. App. Bologna, n. 36/2007.
[6] Trib. Messina, 30.03.2007.
[7]  Art. 337 ter comma 3° cod. civ.
[8] C. App. Roma, 11.09.2006.
[9]  Art. 337 ter comma 3° cod. civ. 
[10] C. App. Catania, sent.15.02.2007.
[11] Art. 337 septies comma 2° cod. civ. 
[12] Cass., sent. n. 12977/2012e Trib. Padova, 22.05.2006.
[13] Arceri, Ruscello, Mantovani.
[14] Art. 324 comma 1° cod. civ. 
[15] C. App. Catania, 4.02.2009; Trib. Catania, 1°.06. 2006; Trib. Messina, 13.12.2006.
[16] Trib. Torino 8.02.2010; C. App. Roma, 27.07.2007, Trib. Ascoli Piceno, sent. n. 13/2006; App. Trento 15.06.2006; Trib. Bologna, sent. n.2683/2006.
[17] Trib. Potenza 7.04.2008; Trib. Bologna, 15.01.2008; Trib. Messina 5.04.2007.
[18] Cass. sent. n. 16593/2008; C. App. Bari, 19.01.2007.
[19] Cass, sent. n. 17089/2013.
[20] Trib. min. Milano, 21.01. 2013; Trib. min. L’Aquila 2.03.2007; Trib. Firenze 13.12.2006; Trib. Messina 18.07.2006.
[21] Cass., sent. n. 17882/2005.
[22] Cass. sent. n. 21099/2007 e Trib. Min. Milano, 21.01.2013.
[23] Trib. Milano 13.06.2013; Trib. Varese, sent. n. 158/2013; Trib. min. Trieste, 29.02.2012; Trib. min. Milano, sent. n. 4380/2008; Trib. Bologna, 15.02.2005; Trib. Palermo 27.03.2007.
[24] Cass. sent. n. 24526/2010; in senso contrario: C.App. Bologna 28.12.2006 e C. App. Roma. 30.10.2006 che hanno ritenuto rilevante la vicinanza delle residenze.
[25] C. App. Caltanissetta, 29.07.2006.
[26] Trib. Min. Roma. 14.05.2010.
[27] Trib. Vigevano, 18.09.2006.
[28] Trib. Mantova. 31.08.2006.
[29] Cass., sent. n. 11062/2011 e n. 13619/10.
[30] Art. 337 sexies comma 2° cod. civ. 
[31] Ai sensi dell’art. 709 ter comma 2° cod. civ..
[32] Trib. Tivol,i 1.02 2011; C.App. Firenze, 10.06.2009; Trib. Bari, 10.03 2009; C.App. Napoli, 12.12.2008; C.App. Napoli, 17.10.2008; C.App. Roma 1.10. 2008; Trib. Pisa, 24.01.2008.
[33] Conv. dell’Aja 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori e Reg. CE 27 novembre 2003 n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
[34] C.App. Venezia, 17.09.2007.
[35] Cfr. Trib. Varese, 21.01.2013; Trib. Messina, 25.01. 2011; Trib. Bari, 10.10. 2008; Trib. Bologna, 29.05.2007.