IL NUOVO PROCEDIMENTO SOMMARIO:
LE PRIME QUESTIONI APPLICATIVE

 

                                                         

Sommario:

§ 1  -  Ambito di applicazione
§ 2  -  Fase introduttiva
§ 3  -  La fase istruttoria

 

 

§ 1 - Ambito di applicazione.

 

L'ambito di applicazione del nuovo procedimento sommario risulta definito, quanto meno in larghissima parte, dall'incipit dell'art. 702 bis c.p.c.

Secondo questa disposizione, tale modello processuale può essere adottato, in via alternativa con il procedimento ordinario, "nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica".

La precisa indicazione normativa induce ad escludere tutte le controversie contenute nell'elenco di cui all'art. 50 bis c.p.c.

Al riguardo è opportuno sottolineare che anche alle controversie societarie descritte nel n. 5 dell'art. 50 bis (impugnazione di delibere sociali e responsabilità degli organi societari), nonostante l'abrogazione del rito introdotto dal D.lgs n. 5 del 2003, si applica l'esclusione stabilita nell'art. 702 ter; rimangono invece astrattamente trattabili mediante il procedimento sommario le altre riserve di collegialità previste dall'art. 1 del D.lgs n. 5 del 2003 ed in particolare le materie indicate nelle lettere d) ed e), ovvero le cause d'intermediazione mobiliare e le controversie tra banche o tra banche e associazioni di consumatori.

E' tuttavia evidente che le cause in questione presentano caratteri di complessità difficilmente compatibili con l'adozione del rito sommario e, per quanto riguarda le azioni collettive, è opportuno evidenziare che si tratta di azioni regolate, quanto al rito, da una legge speciale (artt. 139, 140, 140 bis, quando andrà a regime, e 141 D.lgs n. 206 del 2005) che configura un procedimento a cognizione piena con eventuale incidente cautelare endoprocessuale, sostanzialmente  incompatibile con l'adozione del rito sommario, nonostante l'esclusione della riserva di collegialità.

Divergenti le opinioni della dottrina[1] sull'applicabilità del procedimento sommario alle cause assoggettabili al rito del lavoro e nelle opposizioni a decreto ingiuntivo, ovvero a controversie caratterizzate sì dalla cognizione del giudice monocratico, ma anche da un rito non del tutto coincidente con quello ordinario, regolato dal libro secondo del codice di procedura civile.

Per quanto riguarda le controversie assoggettate al rito del lavoro, le opinioni contrarie sono superiori a quelle favorevoli[2].

L'esclusione si fonda, in primo luogo, sul richiamo testuale dell'art. 702 ter, terzo comma, c.p.c.

La norma prevede che il giudice, una volta verificata la complessità della causa e l'inapplicabilità del procedimento sommario, "fissa l'udienza ex art. 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II".

Questo duplice indice relativo al procedimento ordinario, ha indotto a ritenere esclusa la compatibilità del procedimento sommario con ogni procedimento a cognizione piena non regolato dal libro II, ovvero non assoggettabile al rito cd. ordinario.

Ma una parte della dottrina[3] ha individuato una ragione ulteriore a sostegno dell'inapplicabilità del procedimento sommario alle controversie assoggettabili al rito del lavoro: l'art. 54 della l. n. 69 del 2009 delega il Governo ad adottare, entro ventiquattro mesi, uno o più decreti legislativi "in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nella giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legge speciale".

L'esigenza legislativa di porre fine alla proliferazione di riti, si realizza individuando esclusivamente tre modelli processuali all'interno dei quali far confluire i diversi procedimenti di cui sono costellate le leggi speciali.

Ferme le esclusioni dall'applicazione della semplificazione dei riti, contenute alla lettera a) dell'art. 54, il legislatore prevedi tre binari:

- il modello del processo del lavoro; nel quale sono prevalenti i caratteri della concentrazione ovvero dell'officiosità dell'istruzione;

- il modello del procedimento sommario, che includerebbe eventualmente anche i procedimenti camerali, nel quale "sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione" (con previsione espressa dell'impossibilità della conversione nel rito ordinario);

- ed il modello del procedimento ordinario mutuato dagli artt. 163 e ss. e dall'art. 311 c.p.c., con riferimento ai giudizi davanti al giudice di pace.

Poiché si ritiene che i tre modelli non ammettano reciproche interferenze, si ravvisa una ragione sistematica in più per escludere l'applicazione del procedimento sommario alle cause assoggettate al rito del lavoro.

La conclusione non appare del tutto convincente per tre ragioni: a) non v'è ragione per assimilare i procedimenti che saranno assoggettati al procedimento sommario secondo i criteri della delega contenuta nell'art. 54, l. n. 69 del 2009 e quello previsto dal codice caratterizzato, contrariamente ai primi, proprio dalla possibilità di cambiare il rito secondo la scelta del giudice; b) il richiamo all'art. 183 c.p.c. ed al libro secondo non è finalizzato ad individuare la categoria di controversie assoggettabili al procedimento sommario, essendo tale indicazione incentrata sul discrimine della cognizione del giudice monocratico ma prefigura un modello di prosecuzione del giudizio a cognizione piena del tutto compatibile con il rito del lavoro, attesa le forti analogie contenutistiche rinvenibili dai modelli di atti introduttivi dei due giudizi[4] e la non disagevole adattabilità del diverso regime delle decadenze istruttorie. Peraltro, sotto il profilo operativo, alcune tipologie di controversie lavoristiche (o previdenziali) e locatizie (occupazioni senza titolo, risoluzioni di contratti di comodato) presenterebbero proprio quei caratteri di semplificazione dell'istruzione, della trattazione e della decisione propri del procedimento sommario, mentre non sempre sarebbe possibile, per queste specifiche tipologie di controversie, l'accesso alla tutela d'urgenza, potendo mancare il periculum in mora.

Per quanto riguarda le opposizioni a decreto ingiuntivo assoggettate al rito cd. ordinario di cognizione del giudice monocratico, astrattamente non si ravvisano ostacoli applicativi ma, in concreto, l'estensione desta notevoli perplessità.

In primo luogo, l'introduzione con ricorso postula che il rispetto del termine perentorio stabilito nell'art. 641 c.p.c. si determini sulla base del suo deposito in cancelleria, essendo la notificazione del ricorso e del decreto rimessa alla discrezione temporale del giudice.

In secondo luogo non è chiaro come potrebbe procedersi alla riduzione della metà dei termini di comparizione prevista dall'art. 645 c.p.c. per le opposizioni a decreto ingiuntivo assoggettate al rito ordinario. Non sembrerebbe, peraltro, agevole l'assunzione in prima udienza dei provvedimenti ex artt. 648, 649 ed ex art. 186 ter, con la conseguenza di differire temporalmente ad un'udienza successiva le deliberazioni più incisive del procedimento.

Su un piano generale occorre mettere in guardia dal rischio del passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo nel caso in cui il giudice non ritenga compatibile con la struttura processuale del procedimento sommario, la proposizione dell'opposizione ex art. 645 c.p.c.

In questo caso, non essendo previsto dalla norma che sancisce l'inammissibilità del ricorso un provvedimento che consenta la trasmigrazione o la conversione del rito senza soluzione di continuità, sono davvero troppo elevati i rischi, almeno nella prima fase di applicazione della riforma, della proposizione di un ricorso ex art. 702 bis c.p.c. in funzione di opposizione a decreto ingiuntivo.

Si ritiene, in conclusione che i problemi di adattabilità siano superiori ai vantaggi, tenuto conto della possibilità di emettere i provvedimenti anticipatori sopra menzionati e chiudere il procedimento a cognizione piena ex art. 281 sexies c.p.c. ove la controversia non sia complessa.

Da escludere anche i procedimenti d'appello che si svolgono davanti al giudice monocratico, in quanto non è ammissibile che si passi da un procedimento a cognizione piena, ancorché semplificata, ad un procedimento caratterizzato da un'istruzione deformalizzata ed affidata ai poteri officiosi del giudice; senza contare poi l'impossibilità di prevedere un appello ex art. 702 quater che determinerebbe un numero potenziale complessivo di quattro gradi di giudizio.

Per quanto riguarda i procedimenti sommari tipizzati quali la convalida di sfratto e di licenza ed i procedimenti possessori[5], deve escludersi l'applicabilità del nuovo procedimento sommario per la completezza della disciplina processuale che caratterizza entrambe le fasi, quella sommaria e quella a cognizione piena (eventuale) di questi procedimenti.

Non sembrano esserci ostacoli né sistematici né applicativi all'ammissibilità della tutela cautelare in corso di causa, così come all'introduzione (eventuale o necessario) del giudizio di merito dopo la conclusione della fase cautelare ante causam mediante il ricorso al procedimento sommario, salve le generali esclusioni fondate sui criteri di competenza. L'idoneità al giudicato del provvedimento finale giustifica pienamente tale estensione.

Secondo un'autorevole dottrina[6] possono, infine, essere trattate con il procedimento sommario le opposizioni di cui agli artt. 615, 619 (quando a trattazione monocratica), sia instaurate prima dell'inizio dell'esecuzione, sia introdotte successivamente. La scelta dovrà essere effettuata ex art. 618, secondo comma, c.p.c., nel termine perentorio concesso dal giudice per l'introduzione del giudizio di merito. Anche per questo procedimento esiste, come nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, un problema di adattabilità della scansione dei termini di costituzione e comparizione previsti dall'art. 702 bis cod. proc. civ. e la previsione del dimezzamento dei termini di comparizione, proprio delle opposizioni ex art. 618 cod. proc. civ. deve, invece, escludersi, la compatibilità del modello del procedimento sommario con le opposizione agli atti esecutivi, in quanto non appellabili.[7]

Può, infine, ritenersi compatibile con il modello del procedimento sommario l'azione antidiscriminazione prevista dall'art. 44 del D.lgs n. 286 del 1998, in quanto sostanzialmente fondata su una fase cautelare e su una successiva statuizione a cognizione piena, ma caratterizzata da un forte tasso di atipicità e semplificazione dell'attività istruttoria, oltre che da una considerevole accentuazione dell'officiosità dei poteri istruttori del giudice[8].

Non appare invece compatibile con la struttura del procedimento sommario l'azione disciplinata dall'art. 152 del D.lgs n. 196 del 2003 ("Codice in materia di protezione dei dati personali"), in quanto dettagliatamente disciplinata sotto il profilo procedimentale e, conseguentemente, in relazione di specialità, rispetto al procedimento regolato dagli artt. 702 bis, ter e quater c.p.c.

Rispetto a questa pluralità di tutele differenziate sarà interessante verficarne la qualificazione legislativa in sede di decreti delegati, trattandosi di modelli processuali ibridi, in parte camerali (almeno per la fase di reclamo dell'incidente cautelare che è sempre previsto), in parte caratterizzati da istruzione deformalizzata, affidata al giudice, sostanzialmente definiti con sentenza, tutti accomunati dalla loro collocazione nella legislazione di settore e, conseguentemente, investiti dell'attività del legislatore delegato.

Peraltro, il nuovo procedimento sommario non subisce nessun altra limitazione applicativa, non essendo assoggettato ad alcuno specifico requisito endogeno di applicabilità.

Come è stato sottolineato in dottrina[9], si tratta di uno strumento processuale atipico perché svincolato da presupposti normativamente predeterminati, quali la natura delle eccezioni del convenuto, la limitazione dei mezzi di prova (es. documentali come nel procedimento monitorio) o la manifesta fondatezza delle domande o, infine, sull'urgenza di provvedere.

Si tratta di un modello ad applicazione generale alternativo e concorrente ai procedimenti a cognizione piena assoggettati al giudice monocratico e definiti con sentenza. Strumento sostitutivo pieno perché finalizzato all'emissione di un provvedimento idoneo al giudicato sostanziale e non limitato ad alcune tipologie di domande (es. di condanna), ma esteso ad ogni statuizione come sarà meglio evidenziato nella trattazione della fase deliberativa.

 

§ 2 - Fase introduttiva.

 

1) - Il procedimento di primo grado: gli atti introduttivi e le verifiche preliminari

 

Il procedimento s'introduce con ricorso il quale deve contenere tutti gli elementi indicati nei numeri da uno a sei dell'art. 163 c.p.c., salvo l'indicazione dell'udienza di comparizione che sarà fissata dal giudice, e con l'avvertimento al convenuto relativo alle conseguenze della costituzione tardiva.

Il primo quesito che pone il rinvio ai requisiti dell'art. 163 (e non all'art. 163 bis in quanto palesemente incompatibile con la struttura della fase introduttiva del procedimento) è se alla parte sia consentito chiedere l'abbreviazione dei termini di comparizione ove il giudice, per esigenze organizzative interne, abbia notevolmente superato la vacatio minima di almeno trenta giorni ovvero se tale istanza possa qualificarsi inammissibile de plano per l'incompatibilità con il rito adottato[10].

Fin dalle prime riflessioni relative all'applicazione pratica del procedimento si evidenzia l'esigenza primaria della fissazione di prassi omogenee.

Nel ricorso il giudice ha due vincoli temporali, esclusivamente finalizzati a non comprimere ingiustificatamente il diritto di difesa ma, come già osservato, non ha limiti nella determinazione cronologica dell'udienza di comparizione; l'omissione è opportuna, in considerazione dell'esito che avuto la norma, contenuta nel terzo comma dell'art. 415 c.p.c.

Deve concedere, come già osservato, un termine dilatorio di comparizione al convenuto di almeno trenta giorni (non liberi) prima della data fissata per la sua costituzione che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza.

A seguito della presentazione del ricorso, coincidente con la costituzione dell'attore, così come stabilito nell'art. 702 bis secondo comma c.p.c., si forma il fascicolo d'ufficio e si provvede alla designazione del giudice.

La norma prospetta un modulo organizzatorio valido esclusivamente per i tribunali non suddivisi in sezioni, prevedendo che il presidente del tribunale designi il magistrato; la disposizione deve essere, ovviamente, adattata ai tribunali suddivisi per sezioni mediante l'applicazione dell'art. 168 bis, primo comma, ultima parte, c.p.c. In questa situazione saranno i presidenti delle singole sezioni, dopo l'assegnazione del fascicolo secondo i criteri tabellari, a designare il singolo magistrato. Anche i comma secondo e terzo dovrebbero trovare applicazione, trattandosi di norme di organizzazione interna degli affari, mentre risultano incompatibili con l'introduzione della controversia con il ricorso il quarto e quinto comma del medesimo articolo.

L'inosservanza del termine dilatorio minimo di comparizione dovrebbe determinare la nullità sanabile della vocatio in jus [11], mentre, in caso di nullità della notificazione del ricorso e del decreto cui segua la mancata costituzione del convenuto, dovrebbe essere disposta la rinnovazione dell'incombente entro un termine perentorio.

L'inosservanza del termine dovrebbe determinare, ex art. 291, ultimo comma, c.p.c., la cancellazione della causa dal ruolo e l'estinzione del procedimento.

Si deve segnalare un'opinione parzialmente contraria[12] che ritiene invece sanzionabile con l'improcedibilità del ricorso l'omessa notificazione o la sua giuridica inesistenza. L'applicazione del regime di sanatoria delle nullità degli atti introduttivi, regolato dall'art. 164 c.p.c., pone, effettivamente, qualche problema di adattamento alla peculiarità delle scansioni procedimentali del nuovo rito sommario.

In particolare, premessa l'incontestata applicabilità del predetto regime giuridico agli atti introduttivi del procedimento sommario, è opportuno porsi il problema della loro rilevabilità. Seguendo la scansione dettata dal primo e secondo comma dell'art. 702 ter c.p.c., il giudice, qualora declini la propria competenza o ritenga inammissibile la domanda, provvede in via del tutto preliminare.

Nello stesso segmento temporale decide sulla compatibilità del rito prescelto dall'attore rispetto alla complessità della controversia.

Ne dovrebbe conseguire il differimento delle disposizioni relative all'integrazione o alla sanabilità degli atti introduttivi alla successiva udienza ex art. 183 c.p.c. ma la linearità di questa soluzione si scontra con l'eventualità che la scelta del giudice sia fondata su elementi incompleti se non fondata su una corretta instaurazione del contraddittorio, effettuata mediante l'esame della costituzione dei terzi chiamati e la completa formulazione degli atti introduttivi.

Potrebbe pertanto reputarsi opportuna l'anticipazione delle verifiche preliminari prima dei provvedimenti ex art 702 ter c.p.c. ed in particolare prima della scelta relativa al binario su cui far proseguire il procedimento.

Entrambe le soluzioni sono ammissibili, ma non può non sottolinearsi che l'anticipazione delle verifiche contrae i tempi d'integrazione e rinnovazione degli atti ed impone al terzo chiamato tempi molto ridotti di costituzione.

Peraltro dall'esame delle disposizioni contenute negli artt. 702 bis e ter, la sequenza prevista dal legislatore sembra fondarsi, quanto meno con riferimento alla completa instaurazione (soggettiva) del contraddittorio, sull'anticipazione dell'attività rivolta alla chiamata del terzo ad opera del convenuto, con differimento d'udienza, e sulla successiva valutazione del "peso" della controversia. Se così è, anche le verifiche di cui agli artt. 164 e 291 c.p.c. dovrebbero essere eseguite in tale fase. La mancata comparizione di entrambe le parti all'udienza fissata con decreto dal giudice ha dato luogo ad opinioni diverse, secondo quanto emerge dai dibattiti che si sviluppano on line [13], essendo emersi orientamenti favorevoli sia alla declaratoria di estinzione del procedimento, analogamente a quanto accade per i procedimenti cautelari,  sia ad una pronuncia d'improcedibilità, sia infine all'applicazione della generale disciplina dell'art. 181 e 309 cod. proc. civ. La vocazione al giudicato del giudizio che venga trattato attraverso il modello del procedimento sommario porterebbe a preferire l'ultima delle soluzioni anche in considerazione della sua minore incidenza sul complessivo carico delle spese di lite in caso di dimenticanza colpevole od incolpevole.

Per completare l'esame dell'attività processuale che precede l'effettiva trattazione della causa, rimane da valutare l'ammissibilità della chiamata in causa del terzo da parte dell'attore.

Al riguardo, premesso che conformemente all'unanime indicazione della dottrina[14], la previsione del quinto comma dell'art. 702 bis c.p.c. che riguarda la chiamata in causa del terzo ad opera del convenuto, deve essere integrata nel senso di ritenere ammissibile non solo la chiamata del terzo a garanzia ma anche quella generalmente fondata sulla "comunanza" di causa[15], è necessario stabilire quali siano i limiti, anche temporali di ammissibilità, della chiamata in causa dell'attore.

Al riguardo non sembrano esserci problemi a ritenere, simmetricamente alla posizione del convenuto, che non possa escludersi l'ammissibilità della chiamata in causa richiesta dall'attore quando ve ne siano le condizioni di legge, salva la valutazione della compatibilità del procedimento semplificato con un procedimento a pluralità di parti.

Ma, a parte questo rilievo di carattere generale, credo sia opportuno che:

a)   la chiamata di terzo ad opera dell'attore, in quanto non ammissibile indiscriminatamente, ma soltanto se giustificata dalle difese del convenuto, debba essere richiesta al più tardi nella prima udienza di comparizione, fissata dal giudice nel decreto notificato insieme al ricorso, attesa la rigida conformazione della fase introduttiva del procedimento sommario;

b)   in caso di fissazione dell'udienza ex art. 183 c.p.c. determinata dalla scelta del rito ordinario possa essere richiesta e scrutinata anche nelle verifiche preliminari di tale udienza, simmetricamente a quanto sostenuto per l'eventuale integrazione o rinnovazione degli atti introduttivi ex art. 164 c.p.c.;

c)    tendenziale inammissibilità della partecipazione di terzi titolari di una propria autonoma legittimazione a partecipare al giudizio nel corso successivo del procedimento sommario ed eventuale passaggio al rito ordinario se la pluralità di parti sia giustificata dall'esigenza di evitare la contraddittorietà di giudicati;

d)   astratta ammissibilità dell'intervento ad adiuvandum in quanto non idoneo ad affaticare la cognizione del giudice.

 

2) - la chiusura della fase introduttiva del procedimento sommario: i provvedimenti d'incompetenza e le evenienze processuali non previste dall'art. 702 ter c.p.c. : il difetto di giurisdizione

 

Secondo quanto stabilito nell'art. 702 ter, primo comma, c.p.c., il giudice declina la propria competenza con ordinanza, incontestatamente (ed esclusivamente) impugnabile con il regolamento necessario di competenza (art. 42 c.p.c.). Il provvedimento d'incompetenza deve contenere il provvedimento di riassunzione ai sensi dell'art. 50 c.p.c.

Anche il difetto di giurisdizione, qualora sia scrutinabile senza necessità di alcun accertamento complesso, può essere dichiarato con ordinanza prima della trattazione del procedimento sommario e, analogamente al provvedimento sull'incompetenza, deve, in virtù dell'art. 59 della L. n. 69 del 2009, indicare il giudice nazionale munito di giurisdizione e disporre la translatio judicii[16]. Il primo interrogativo da porsi riguarda l'ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione avverso il provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione, ove si ritenga compatibile con la natura del rito una decisione sulla giurisdizione e conseguentemente ammissibile l'adozione di un provvedimento impediente i rito di tale natura, in limine alla trattazione del procedimento sommario.

La risposta, alla luce dell'orientamento anche di recente confermato dalla Suprema Corte[17], dovrebbe essere negativa, in quanto si tende ad impedire il ricorso al regolamento preventivo ogni qual volta vi sia una pronuncia che chiude il procedimento anche se non di merito come accade con il provvedimento che declina la giurisdizione. Deve però osservarsi che l'orientamento si è consolidato in un sistema che non consentiva la translatio judicii e si riferiva a provvedimenti assunti in forma di sentenza. Peraltro c'è da osservare che il terzo comma dell'art. 59 della L. n. 69 del 2009 stabilisce che "restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione" e che un provvedimento che declina la giurisdizione chiude il procedimento davanti al giudice adito, tanto che dovrebbe contenere anche la statuizione sulle spese di lite.

Se così è, può escludersi il ricorso al regolamento preventivo di giurisdizione in quanto strumento finalizzato a risolvere la questione di giurisdizione nel corso di un procedimento e non in una fase di quiescenza.

Rimane comunque da stabilire quale sia la modalità d'impugnazione dell'ordinanza con la quale il giudice, senza aver preventivamente mutato il rito in ordinario, dichiari il proprio difetto di giurisdizione. L'alternativa si pone tra l'appello ex art. 702 quater c.p.c. ed il ricorso ex art. 111 Cost. davanti alla Corte di Cassazione.

Per quanto riguarda l'appello sembra insuperabile l'ostacolo testuale costituito dal combinato disposto dell'art. 702 ter, sesto comma e dell'art. 702 quater, primo comma. Dalla lettura delle due disposizioni si evince che possono essere impugnati in appello soltanto i provvedimenti sommari di merito e non quelli che definiscono esclusivamente in rito la causa[18].

Residuerebbe, di conseguenza, soltanto il ricorso ex art. 111 Cost davanti alla Corte di Cassazione, dovendosi escludere per manifesta incostituzionalità la soluzione che esclude la sindacabilità dell'ordinanza che pronuncia sul difetto di giurisdizione.

Peraltro, si deve evidenziare come il problema dell'impugnabilità delle eventuali pronunce impedienti in rito non sia stato affrontato dal legislatore. Si pensi ad un'azione soggetta ad un termine di decadenza[19] od al rilievo di un vizio degli atti introduttivi ritenuto, anche erroneamente, inemendabile[20].

Certamente l'inammissibilità per tardività non può rimanere priva di un controllo da parte del giudice superiore, mentre per gli altri vizi della vocatio in jus e dell'editio actionis può pensarsi anche ad un regime (non escluso dal complesso delle norme) di generale riproponibilità del ricorso. Qualora l'ordinanza contenga la statuizione sulle spese, ugualmente dovrà porsi il problema dell'impugnabilità.

Al problema, auspicabilmente di scarsa attuazione pratica, si possono proporre le seguenti soluzioni :

a)   estensione dell'appello anche alle ordinanze diverse dall'accoglimento o rigetto nel merito. E' probabile che questa sia la soluzione che potrà indicare la Corte di Cassazione eventualmente investita della questione ex art. 111 Cost., così come accaduto per i provvedimenti cautelari, ritenuti dopo l'intervento nomofilattico della Cassazione[21], tutti esclusivamente reclamabili, indipendentemente dalla natura e dal contenuto delle statuizioni;

 

b)   intervento chiarificatore della Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 363, quarto comma c.p.c., la quale, in sede di dichiarazione d'inammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., escluda che il giudice in sede di udienza di prima comparizione nel procedimento sommario possa emanare provvedimenti preliminari o pregiudiziali diversi da quelli indicati espressamente nell'art. 702 ter c.p.c. dovendo altrimenti procedere al mutamento del rito; ovvero, con un'interpretazione costituzionalmente orientata, estenda l'ambito di applicazione dell'appello;

 

c)    ammissibilità, in queste fattispecie, ed in particolare in sede di difetto di giurisdizione, del ricorso ex art. 111 Cost.

 

3)- I provvedimenti d'inammissibilità.

 

Se il ricorso non ha ad oggetto una domanda che rientri tra quelle indicate nell'art. 702 bis c.p.c., ovvero sia di competenza del tribunale in composizione collegiale, la norma prevede l'emissione di un'ordinanza non impugnabile d'inammissibilità.

La previsione, coordinata con l'ultimo comma dell'art. 702 ter c.p.c. ai sensi del quale "il giudice provvede in ogni caso sulle spese del procedimento ai sensi degli artt. 91 e seguenti", pone il problema dell'impugnabilità del provvedimento sulle spese[22], essendo difficilmente sostenibile, - anche alla luce dei principi generali in materia di obbligatoria statuizione sulle spese in caso di provvedimento che chiude un procedimento giurisdizionale - che la pronuncia d'inammissibilità non debba prevedere a carico dell'attore la rifusione delle spese in favore del convenuto costituito. Né pare meritevole di accoglimento la soluzione che imporrebbe, in contrasto con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, di promuovere un autonomo procedimento per il riconoscimento delle spese.

Si deve, pertanto, ritenere che, anche in questo caso, si pongano i problemi d'individuazione del corretto mezzo d'impugnazione evidenziati per le pronunce relative al difetto di giurisdizione ed a quelle che si chiudono in rito.

Peraltro il problema potrebbe complicarsi nel caso in cui la pronuncia d'inammissibilità non riguardi una causa rimessa alla competenza del tribunale in composizione collegiale, ma una domanda assoggettata ad altro rito speciale (rito del lavoro, opposizione a decreto ingiuntivo etc.).

In questo caso, se il giudice non ritiene compatibile con il nuovo rito sommario il procedimento speciale relativo alla domanda proposta, formula un provvedimento d'inammissibilità ovvero, con un'interpretazione estensiva, ma opportuna, del parametro della complessità della controversia, dispone il corretto incardinamento del procedimento verso il binario processuale che gli è proprio? La scelta tra le due opzioni non è priva di conseguenze pratiche, in quanto la pronuncia d'inammissibilità ripropone i problemi d'impugnabilità già affrontati; e, come già evidenziato, nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo od in altri procedimenti soggetti ad un termine di decadenza riguardante la loro proponibilità, anche i ben più rilevanti problemi della non riproponibilità dell'azione, ovvero, nel caso dell'opposizione a decreto ingiuntivo, del passaggio in giudicato del provvedimento monitorio.

 

4) - Il provvedimento di mutamento del rito.

 

Minori problemi applicativi pone il provvedimento disciplinato dall'art. 702 ter, terzo comma, c.p.c. di fissazione dell'udienza ex art. 183 c.p.c.

La scelta del giudice è ampiamente discrezionale e non sindacabile. Il parametro dell'istruzione non sommaria fotografa una conseguenza senza indicarne cause. Ne consegue che, al di là, dei lodevoli sforzi sistematici di qualificazione giuridica del procedimento variamente ritenuto: assimilabile ai provvedimenti sommari non cautelari in primo grado[23]; a cognizione piena ma semplificata[24] quanto meno in primo grado, assumendo nel secondo grado la caratteristica di un procedimento ordinario a cognizione piena; di carattere misto od ibrido in quanto fondato sulla predeterminazione normativa rigida della fase introduttiva e dalla destrutturazione della fase istruttoria[25], non si può ritenere che il giudice sia vincolato da parametri diversi da quello della complessità della controversia i cui indici solo esemplificativamente possono indicarsi :

a)   oggetto originario del processo e fatti costitutivi della domanda;

b)   impostazione del sistema difensivo del convenuto;

c)    valutazione delle eventuali domande riconvenzionali e di quelle formulate nei confronti dei terzi :

d)   valutazione di sintesi relativa alla semplicità della controversia.

A questa elencazione può aggiungersi la manifesta fondatezza o infondatezza della o delle domande proposte[26].

Nonostante gli sforzi esemplificativi non è agevole definire astrattamente quando una controversia possa qualificarsi complessa, ma si può ragionevolmente presumere che le controversie complesse siano in numero superiore di quelle che consentono l'accesso al rito semplificato.

La superfluità dell'istruzione probatoria è un indice rilevante quando non si accompagni alla necessità di decidere una questione di diritto su cui incidono una pluralità di fonti non solo interne o su cui si è creato un contrasto di orientamenti.

Peraltro, anche la previsione di un'istruzione probatoria orale limitata ad un numero esiguo di testi, su limitate circostanze di fatto, può rientrare nella categoria dell'istruzione semplificata. Spostando la riflessione sulla "complessità della controversia", dalla fase istruttoria in senso stretto a quella della trattazione delle questioni di diritto ed alla fase deliberativa, è opportuno evidenziare che il potere discrezionale del giudice di definire le scansioni del procedimento riguarda anche la fase decisionale, in particolare sotto il profilo dell'autorizzazione al deposito di memorie difensive[27]. Pertanto, nel caso in cui le questioni di diritto siano realmente complesse o si ponga il problema della scelta tra opzioni interpretazioni difformi riguardanti novità normative, si ritiene che le esigenze di un adeguato sviluppo dialettico del contraddittorio non siano compatibili con la semplificazione del rito.

Nello stesso tempo, quando la soluzione della controversia risieda, invece, su orientamenti consolidati, l'utilizzo del canale semplificato è del tutto auspicabile, soprattutto se si utilizza il modello, altrettanto semplificato, della motivazione per relationem , così come previsto dall'art. 118 disp. att., c.p.c., in vigore, unitamente al novellato articolo 132 c.p.c., che, dal 4 luglio 2009,  non richiede più l'esposizione dello svolgimento del processo.

La menzione della motivazione per relationem apre il problema che verrà affrontato nel paragrafo destinato alla fase deliberativa, dell'individuazione della disciplina processuale applicabile al provvedimento sommario di merito.

La scelta dell'ordinanza, senz'altro dettata dalla maggiore celerità di redazione del provvedimento, deve, infatti, essere compatibile con l'idoneità del provvedimento finale al passaggio in giudicato e con la previsione espressa (art. 702 ter, settimo comma, c.p.c.) dell'obbligatoria statuizione sulle spese, oltre che della trascrivibilità del provvedimento finale.

Si dovrà, pertanto, cercare di comprendere se all'ordinanza che chiude nel merito il procedimento sommario, siano applicabili, come sembra dall'espresso richiamo agli artt. 91 e seguenti, contenuto nel citato settimo comma dell'art. 702 ter, le nuove norme sulla responsabilità aggravata nonché l'art. 614 bis c.p.c. relativo alla previsione della fissazione di una somma da pagare per il soccombente commisurata alla durata della violazione degli obblighi di attuazione conseguenti ad un provvedimento decisorio di condanna.

La valutazione di compatibilità deve riguardare anche la nuova formulazione dell'art. 120 c.p.c. relativa all'applicabilità generale della misura, di carattere riparatorio, della pubblicazione della sentenza su testate giornalistiche, radiofoniche, televisive o siti internet.

La trascrivibilità del provvedimento porrà infine il problema dell'adattabilità di un modello di provvedimento privo di un sistema di pubblicazione come l'ordinanza, con il sistema di pubblicità relativo alla trascrizione ed il conseguente problema dell'applicazione analogica dell'art. 133 c.p.c.

In conclusione, la scelta del rito semplificato, una volta assunta, si dipana lungo tutto l'iter procedimentale il quale, anzi, dovrebbe volgere rapidamente verso le battute finali per essere coerente con il modello strutturale e funzionale su cui si fonda.

Esiste, pertanto, un ineliminabile tasso di soggettività nella scelta del giudice che può essere temperato mediante l'elaborazione, attraverso i protocolli predisposti in molti tribunali dagli osservatori della giustizia civile, di un catalogo di tipologie di controversie cui sia applicabile il procedimento sommario, distinte non solo per materia (cd. controversie seriali), ma anche alla stregua di fattori di complessità derivanti dalla valutazione dell'entità degli incombenti istruttori o della pluralità di parti o di domande.

Nei tribunali articolati per sezioni possono essere enucleate tipologie di controversie per ciascuna delle materie della sezioni sulla base della loro semplicità o della serialità delle decisioni, mentre sembra più complicato standardizzare in via predeterminata le controversie sulla base della limitatezza o complessità dell'istruttoria.

Il canale del procedimento sommario potrebbe, infine, essere adottato per tutte le controversie contumaciali.

Peraltro, la scelta del procedimento sommario non può, contrariamente a quella alternativa del rito ordinario, ritenersi irreversibile. Non sono da escludersi complicazioni endoprocedimentali non prevedibili nella fase introduttiva sia sotto il profilo della pluralità di parti (si pensi, nelle cause relative a diritti reali, anche molto semplici come alcune domande di usucapione, la scoperta dell'esistenza di una pluralità di litisconsorti emersi in corso di causa), sia sotto il profilo di sopravvenute esigenze istruttorie (in particolare consulenze tecniche d'ufficio).

Del resto non vi è nessun impedimento normativo a convertire il rito in ordinario in una fase successiva, potendosi tendenzialmente[28] conservare l'attività processuale già espletata, in quanto finalizzata all'emissione di un provvedimento che, come quello conclusivo del procedimento ordinario, è idoneo al giudicato.

Certamente questa evenienza processuale deve essere davvero residuale e ridursi a casi limite ma non se ne può escludere l'ammissibilità. Al fine di evitare l'utilizzo del procedimento sommario da parte dell'attore per comprimere le facoltà difensive del convenuto, da parte di alcuni tribunali viene anticipata, ove possibile, al momento dell'adozione del decreto di fissazione della prima udienza l'opzione contraria alla scelta del rito sommario, accompagnata dalla concessione di termini di costituzione e comparizione per il convenuto coerenti con quelli del procedimento a cognizione piena (ex art. 163 bis, 166 e 167 c.p.c.).

Il netto favore legislativo verso l'utilizzo diffuso del procedimento sommario si coglie non solo nella previsione di questo procedimento come uno dei tre modelli entro i quali far confluire la eccessiva variegazione di riti provenienti dalle leggi speciali, ma anche dalla norma contenuta nel quarto comma dell'art. 702 ter, c.p.c. secondo la quale il giudice, se ritiene che la domanda riconvenzionale tempestivamente proposta dal convenuto non sia assoggettabile, per la sua complessità, al procedimento sommario, ne dispone la separazione.

A parte questa funzione promozionale ed esortativa rivolta verso gli operatori del processo a cercare di raggiungere l'obiettivo della ragionevole durata del processo con le armi della tecnica processuale, la norma desta molte perplessità.

La prima, è di carattere logico.

Non è facile prevedere che una domanda riconvenzionale, caratterizzata dalla comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le pretese delle parti[29] o dalla medesima relazione sussistente tra domanda riconvenzionale ed eccezione dell'altra parte, possa essere trattata autonomamente in un procedimento separato, senza determinare un virtuale contrasto o una virtuale contraddittorietà di giudicati.

Deve, pertanto, concludersi che la norma attribuisce al giudice la facoltà ma non l'obbligo di separare i procedimenti e di trattenere nell'alveo del procedimento sommario la causa principale o la sola riconvenzionale. Ma se è così la disposizione è pleonastica.

Lo strumento processuale della riunione o separazione dei giudizi in funzione della razionalità e dell'economia del processo costituisce parte integrante dei poteri organizzatori del giudice della cognizione di merito. La netta propensione verso la riunione dei procedimenti relativi a cause connesse è stata ribadita anche dai più recenti orientamenti della Corte di Cassazione[30]. In particolare la Corte ha sottolineato che attraverso la riunione si realizza oltre che l'economia e il minor costo nei giudizi anche la certezza del diritto. Ne consegue l'esigenza di un'applicazione molto cauta del quarto comma dell'art. 702 ter, da escludersi ogni qual volta il nesso di pregiudizialità dipendenza o di alternatività tra domanda principale e riconvenzionale, e più in generale tra cause connesse, determinerebbe il rischio di giudicati contraddittori o contrastanti[31], oltre che una probabile duplicazione di attività difensiva ed istruttoria.

Non sembrano invece ravvisabili ostacoli all'applicazione dello strumento della riunione dei procedimenti sommari connessi, ad esempio per identità del titolo e dell'oggetto, tenuto conto del più che probabile utilizzo di questo canale processuale per le cause seriali.

 

 

§ 3 - La fase istruttoria.

 

Lo svolgimento dell'istruzione probatoria relativa al procedimento sommario è oggetto di una previsione scarna e sostanzialmente riproduttiva dell'art. 669 sexies, primo comma, c.p.c.

Il legislatore stabilisce che "alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti d'istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto".

Ne emerge un quadro normativo a maglie larghe caratterizzato da una radicale deformalizzazione dello svolgimento dell'istruzione probatoria, come è stato sottolineato da tutti i commentatori[32].

Si ritiene, tuttavia, opportuno, cercare di definire i confini dei poteri delle parti e del giudice all'interno di esso e, in particolare, evidenziare entro quale misura operi il principio dell'atipicità dell'assunzione delle prove costituende, di provenienza cautelare.

I poteri istruttori del giudice sono delimitati dall'allegazione dei fatti costitutivi ed impeditivi formulata dalle parti negli atti introduttivi. Non è ammissibile da parte del giudice un'autonoma estensione del thema decidendum né in ordine a nuove domande, né in ordine a fatti non allegati e dedotti dalle parti né si può configurare un ampliamento dei poteri istruttori del medesimo rimanendo, anche all'interno di questo rito, pienamente operante l'art. 115 c.p.c.

La mancanza di un'udienza di trattazione entro la quale cristallizzare le posizioni delle parti sembrerebbe aprire la possibilità di un'allegazione successiva dei fatti rilevanti ai fini del giudizio, non essendo espressamente previste preclusioni diverse da quelle fissate negli atti introduttivi. In più, il giudice sembra limitato solo dalla rilevanza dei mezzi di prova (sui fatti allegati) nella determinazione delle scelte riguardanti le istanze istruttorie indotte dalle parti. L'interrogativo, conseguentemente, riguarda l'esistenza di un limite temporale invalicabile desumibile in via sistematica nell'allegazione dei fatti e nella indicazione dei mezzi istruttori nel nuovo procedimento sommario. Le due diverse facoltà difensive non possono essere trattate unitariamente.  Certamente, al giudice, come nel procedimento ordinario, rimane il potere di rilevare d'ufficio le eccezioni in senso lato (il pagamento; la nullità di un contratto o di una clausola; l'invalidità derivante da un difetto di forma) nei limiti della manifestazione del potere di allegazione (e del diritto alla prova) delle parti ma non è di agevole comprensione fino a quando le parti possono incidere sulla determinazione del thema decidendum e probandum Esclusa, incontestatamente, l'ammissibilità di domande diverse da quelle formulate negli atti introduttivi (salva la limitata estensione dovuta alla chiamata del terzo nei limiti in cui tale facoltà si ritenga compatibile con il rito semplificato) e ritenuta la tendenziale concentrazione in un'unica udienza delle incombenze istruttorie, può ritenersi senz'altro esaurito il potere assertivo e istruttorio delle parti con il passaggio alla fase deliberativa. Più complesso si presenta il problema delle eventuali nuove allegazioni dei fatti che non sia dettata dalla domanda riconvenzionale del convenuto o dalla costituzione del terzo chiamato introdotte attraverso la formulazione dei mezzi istruttori. In questo caso, in mancanza di preclusioni espresse, nel rispetto del contraddittorio, il giudice sarà tenuto a valutare la rilevanza dei mezzi di prova e no la loro ammissibilità in mancanza dell'espressa previsione di un regime di decadenza, non ravvisandosi altrimenti alcuna differenza con il procedimento a cognizione piena proprio con riferimento alla fase in cui questa differenza dovrebbe manifestarsi con maggiore evidenza. La semplificazione, pertanto, dovrà in qualche modo riguardare anche l'articolazione temporale dei poteri delle parti e, comunque, si dovrà manifestare, a pena del fallimento del nuovo strumento, nella necessaria concentrazione in poche battute procedimentali dell'intero iter procedimentale.

Il problema, tuttavia, si complica alla luce dei nuovi principi codificati dalla L. n. 69 del 2009 nell'art. 115, primo comma, relativo al rilievo probatorio dei fatti non contestati e nel secondo comma dell'art. 101 riguardante la doverosità dell'attivazione del contraddittorio da parte del giudice nel caso in cui la decisione della causa dipenda da una questione rilevabile d'ufficio non emersa nel procedimento.

Al riguardo, l'obbligo di sollecitare l'esercizio del diritto di difesa, previsto nell'art. 101 c.p.c. è incontestatamente applicabile anche al procedimento sommario, trattandosi di un principio che discende direttamente dalla costituzionalizzazione del "giusto processo" contenuta nell'art. 111 Cost.

Sull'operatività del novellato art. 111 c.p.c. è, invece, necessario svolgere qualche considerazione.

Infatti, in mancanza di un'udienza di trattazione, entro la quale consumare, a pena di decadenza, i poteri di allegazione e contestazione dei fatti, come potrebbe la decisione fondarsi sul principio di non contestazione? Quando matura, per la parte costituita, lo sbarramento temporale relativo all'onere di specifica contestazione dei fatti?

Non è agevole trovare una risposta adeguata in quanto la prima udienza del procedimento sommario, potenzialmente conclusiva del procedimento, ha un contenuto aperto e non riconducibile ad una sequenza procedimentale predeterminata.

Si dovrebbe concludere che tale principio operi solo nel giudizio a cognizione piena per entrambe le parti e che il giudice non possa fondare la propria decisione sulla mancata contestazione di fatti allegati dall'attore da parte del convenuto in comparsa di risposta. Non possono, infatti, desumersi a carico del convenuto decadenze diverse da quelle espressamente codificate e richiamate nell'art. 702 bis, quarto comma, c.p.c.

La semplificazione della fase istruttoria non può arrivare fino al punto di escludere la prova dei fatti non contestati dal convenuto, in comparsa di risposta od in limine della prima udienza sia perché i tempi di articolazione delle difese per tale parte sono significativamente contratti, sia perché non si ravvisa un inequivoco riferimento normativo, analogo a quello derivante dagli art. 166, 167 e 183 c.p.c., per il procedimento a cognizione piena, sulla base del quale desumere l'esistenza di un obbligo di specifica contestazione dei fatti che dovrebbe consumarsi a pena di decadenza alla prima udienza del procedimento sommario, non potendosi attribuire alla locuzione "sentite le parti" un significato più ampio di quello che testualmente ha.

Analoghi interrogativi si pongono con riferimento alle decadenze che possono verificarsi in sede di assunzione delle prove costituende ex artt. 208 c.p.c. e 104, primo comma, disp. att., c.p.c. così come novellato dalla L. n. 69 del 2009.

Al riguardo è opportuno evidenziare :

a)   non dovrebbe essere necessaria una formale intimazione dei testimoni, ma il giudice può stabilire che l'istruzione probatoria si svolga in un'unica udienza, all'esito della quale si proceda direttamente alla fase deliberativa, salva, ovviamente la rimessione in termini ove ne ricorrano i presupposti di legge;

b)   l'ingiustificata comparizione di un testimone all'interno di un procedimento che deve procedere celermente, produrrà le conseguenze probatorie derivanti da tale omissione, essendo rimessa al potere officioso del giudice stabilire se procedere oltre o disporne l'accompagnamento coattivo;

c)    la scelta del procedimento sommario è incompatibile con un'istruzione probatoria scandita su più udienze o caratterizzata da una molteplicità di fatti contrastanti di cui fornire la prova. Il potere officioso del giudice si esprimerà in particolare nell'eliminazione rigorosa delle istanze istruttorie sovrabbondanti, non potendo tradursi in una funzione sostitutiva dell'onere probatorio a carico delle parti;

d)   La previsione testuale "atti d'istruzione rilevanti" invece che "indispensabili" come indicato nell'art. 669 sexies c.p.c. e negli artt. 345 e 437 c.p.c., non accentua né diminuisce il potere del giudice di semplificare l'istruzione probatoria del procedimento sommario eliminando formalità non necessarie ai fini dell'accertamento dei fatti e riducendo gli incombenti a quelli effettivamente necessari. All'interno della cornice costituzionale del rispetto del contraddittorio e, con riferimento alla fase istruttoria, del principio dell'effettiva parità delle armi nella formulazione delle istanze istruttorie e nell'assunzione delle prove (per esempio privilegiando in questa tipologia di procedimenti, il principio dell'unicità e contestualità della prova), si può procedere ad un'effettiva deformalizzazione dello svolgimento dell'istruttoria che, solo se limitata ad un'unica e non complessa sequenza procedimentale, risulta davvero compatibile con il procedimento sommario;

e)   Tendenzialmente incompatibile con la scelta del procedimento sommario è l'esigenza di procedere ad un accertamento tecnico, anche se non può desumersi dal sistema processuale alcun espresso divieto. La compatibilità potrebbe, però, riemergere, in caso di procedimenti riuniti quando l'oggetto e il titolo di ciascuna causa siano identici e sia sufficiente procedere ad un'unica consulenza tecnica.

 

§ 4 - la fase deliberativa e il procedimento d'appello

 

Il provvedimento conclusivo del procedimento sommario, di rigetto o di accoglimento, è espresso in forma d'ordinanza così come i provvedimenti d'incompetenza, inammissibilità e conversione del rito già esaminati.

Per il provvedimento di merito il legislatore però detta una disciplina normativa più dettagliata che, però, non ha mancato di determinare interpretazioni non univoche riguardanti in particolare, l'idoneità al giudicato del provvedimento di rigetto[33] e l'impugnabilità con l'appello di tale provvedimento[34].

Le disposizioni che riguardano l'ordinanza con la quale il giudice definisce nel merito il procedimento sommario sono:

- l'ultima parte del quinto comma dell'art. 702 ter, c.p.c. ai sensi del quale "il giudice provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande";

- il successivo sesto comma nel quale è stabilito che "l'ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale e per la trascrizione";

- ed infine l'art. 702 quater, c.p.c. che attribuisce gli effetti del giudicato sostanziale all'ordinanza "emessa ai sensi del sesto comma dell'art. 702 ter c.p.c."

Da questa sequenza normativa, non del tutto perspicua, sono state desunte due conseguenze: la prima, più radicale che sia appellabile solo la pronuncia di accoglimento, in quanto l'art. 702 quater, primo comma, si riferisce soltanto all'ordinanza provvisoriamente esecutiva o trascrivibile, ovvero ad un provvedimento che non può che essere di accoglimento (di condanna, costitutivo o dichiarativo).

La tesi desta qualche perplessità in ordine alla sua compatibilità costituzionale perché priva di qualsiasi stabilità di effetti la pronuncia di rigetto, vanificando l'attività procedimentale svolta dal giudice e dalle parti con adeguata esplicazione del contraddittorio, postulando, infine, la riproponibilità della domanda nelle forme della cognizione piena ed astrattamente anche sommaria, in quanto non vi sarebbero rispetto alla proposizione di una domanda con rito sommario nemmeno i vincoli, peraltro blandi, imposti dall'art. 669 septies c.p.c., per il provvedimento cautelare.

Ma ugualmente non condivisibile è la tesi dell'appellabilità secundum eventum litis.

L'elemento testuale derivante dal richiamo dell'art. 702 quater al solo sesto comma dell'art. 702 ter si può agevolmente superare considerando che il sesto comma dell'art. 702 ter è una specificazione del quinto comma il quale individua, in via generale, nell'ordinanza il provvedimento che definisce il merito.

I due comma dovrebbero essere letti in sequenza in modo da trarne l'unica interpretazione logica e costituzionalmente coerente : il provvedimento che definisce il merito è l'ordinanza ; quando ne ricorrono le condizioni è provvisoriamente esecutiva e trascrivibile. E' comunque sempre provvisoriamente esecutiva la pronuncia sulle spese che non può non conseguire anche al provvedimento di rigetto.

Con questa lineare interpretazione delle disposizioni esaminate non s'incontrano ostacoli interpretativi all'estensione dell'appello anche al provvedimento di rigetto, in ordine al quale, nella soluzione contraria, rimarrebbe il problema della ricerca di un adeguato strumento d'impugnazione per la statuizione sulle spese e la necessità di selezionare, all'interno di un'unica statuizione di accoglimento parziale, ciò che può essere impugnato da ciò che non può esserlo, con effetti davvero irrazionali.

Gli stessi gravi problemi si porrebbero con la limitazione del giudicato al solo provvedimento di accoglimento.

Sembra, in conclusione, più ragionevole ritenere che la pronuncia di rigetto e di accoglimento passi in giudicato, ove non impugnata, in primo grado o, invece, dopo la pronuncia di secondo grado in sede d'appello, una volta decorso il termine di cui agli art. 325 e 327 c.p.c., non essendone contestabile la ricorribilità in cassazione al pari delle altre sentenze d'appello.

Come è stato ampiamente sottolineato in dottrina, anche molto severamente[35], il giudizio d'appello è un procedimento a cognizione piena che dovrebbe essere disciplinato, salvo quanto espressamente contenuto dall'art. 702 quater, c.p.c., dalle norme che regolano il procedimento d'appello con l'esclusione dei termini per l'impugnazione.. L'atto introduttivo dovrebbe essere la citazione; la trattazione dovrebbe avere collegiale, l'istruzione probatoria dovrebbe svolgersi con le forme e l'ampiezza della cognizione piena.

I problemi applicativi sono, però, numerosi.

In primo luogo, se ne è già accennato nel paragrafo dedicato alla fase introduttiva, non è agevole comprendere se l'impugnazione ex art. 702 quater c.p.c. possa essere estesa alle pronunce di primo grado riguardanti :

a) la declaratoria di difetto di giurisdizione,

b) l'inammissibilità per l'operatività di una questione impediente in rito.

Si è già evidenziato che tali pronunce non possono rimanere prive del controllo da parte di un giudice superiore, salvo che non si escluda l'ammissibilità di tali provvedimenti da parte del giudice del procedimento sommario e non s'imponga in via interpretativa la conversione del rito.

Un argomento sistematico a favore dell'estensione dell'appello anche a queste ipotesi può desumersi dal fatto che il giudice dell'impugnazione potrà assumere in secondo grado provvedimenti di identico contenuto in tutti i casi in cui il giudice del sommario abbia superato l'eccezione processuale ed abbia definito il procedimento nel merito, mentre il giudice di secondo grado, investito dello specifico motivo di gravame, abbia riformato la sentenza di primo grado proprio sull'esistenza, negata in primo grado, dell'impedimento alla prosecuzione del giudizio.

Rimanendo sul piano dei motivi di censura di natura processuale, deve condividersi l'opinione[36] relativa all'inapplicabilità degli articoli 353 e 354 c.p.c.

Si deve escludere che il giudice d'appello possa rimettere la causa al giudice del precedente grado, attesa la diversa modulazione del rito in primo ed in secondo grado e la previsione della completezza della cognizione piena solo per il grado d'appello. Si deve, pertanto, ritenere che in queste ipotesi il giudice d'appello debba provvedere a rinnovare gli atti invalidi e a decidere nel merito.

L'altro profilo che ha generato un ampio dibattito tra i commentatori[37] riguarda la formulazione normativa dei poteri istruttori del giudice d'appello.

Secondo la norma "sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fini della decisione, ovvero se la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile".

Poiché sembra unanimemente condivisa la qualificazione giuridica del procedimento d'appello come giudizio a cognizione piena, giustificata dall'esigenza di garantire che ad una cognizione sommaria o semplificata segua un procedimento caratterizzato dalla piena esplicazione delle garanzie di difesa in vista dell'idoneità al giudicato del provvedimento decisorio di primo e di secondo grado, l'apparente assenza di limiti ai nova istruttori in appello è stata variamente interpretata.

Da un lato si è ritenuto che al potere di limitare l'ingresso di mezzi di prova in primo grado dovesse conseguire una maggiore estensione delle facoltà istruttorie delle parti in appello, con il solo limite della rilevanza; dall'altro ci si è chiesti perché ad una formulazione così aperta sia seguita la previsione della rimessione in termini, peraltro ormai di generale applicazione ai sensi del novellato art. 153, secondo comma c.p.c.

L'esigenza di dare un contenuto logico applicativo alla norma, certamente non perspicua, può essere, tuttavia, soddisfatta in modo non disagevole.

L'assoggettabilità del giudizio d'appello alla disciplina processuale del procedimento ordinario di secondo grado a cognizione piena consente di ritenere applicabili, in quanto compatibili, non solo le norme processuali proprie del modello da seguire, ma anche il diritto vivente che deriva dall'esercizio della nomofilachia della Corte.

Ne consegue che dall'attributo "rilevanti" invece che "indispensabili", come si riscontra nell'omologo art. 345 c.p.c., non può farsi discendere l'inoperatività dell'intera disciplina processuale relativa ai mezzi di prova in appello.

Anche nel procedimento ex art. 702 quater i poteri istruttori del giudice si fondano esclusivamente sulle istanze di parti; i nuovi mezzi di prova comprendono quelli richiesti e non accolti nel primo grado di giudizio.

Rispetto a tale categoria d'istanze istruttorie, si può agevolmente applicare il parametro della rilevanza, analogamente a quanto accade nel giudizio d'appello che segue ad un procedimento a cognizione piena.

Con riferimento, invece, ai mezzi di prova effettivamente formulati per la prima volta in appello, la loro ammissibilità dovrebbe essere rigorosamente fondata sui criteri di ammissibilità elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.

In particolare, il giudice non può aprire illimitatamente l'istruzione probatoria nel secondo grado anche in ordine ai mezzi di prova che le parti avrebbero avuto la piena disponibilità di dedurre in primo grado, solo perché nel procedimento sommario l'istruzione probatoria ha natura semplificata.

In conclusione il Collegio non dovrebbe ammettere prove costituende o documentali eziologicamente giustificate solo dalla peculiarità dell'esito del primo grado, se la parte ne ha omesso la deduzione colpevolmente.

Il discrimine dell'ammissibilità delle nuove prove dovrebbe essere quello della colpevole od incolpevole deduzione in primo grado. La rilevanza, contrariamente alla sequenza logico giuridica ordinariamente seguita, dovrebbe essere una precondizione di accesso alle nuove prove. Un prerequisito che, rispetto alle istanze istruttorie diligentemente formulate in primo grado, assumerebbe il ruolo di condizione esclusiva, mentre rispetto alle altre concorrerebbe con il criterio della imputabilità o non imputabilità della tempestiva formulazione.

L'interpretazione restrittiva che si propone si fonda sulla duplice considerazione dell'adeguato sviluppo del contraddittorio nel procedimento sommario secondo lo snodo processuale previsto dal legislatore e della previsione di un ricorso modesto all'appello in quanto strumento sovrabbondante, anche sotto il profilo delle spese per cause, prive di complessità.

Ma sarà l'uso prudente di questo nuovo procedimento e la correlativa assenza di abusi da parte del giudice del sommario, sicuramente munito di poteri officiosi idonei a contrarre le garanzie difensive, a definire quantitativamente e qualitativamente il ricorso all'appello.

 

Autrice: Dott.ssa Maria Acierno, Magistrato addetto all'ufficio del Massimario della Corte di Cassazione - Nov. 2009

 

 

 


[1] La dottrina ha fin dai primi commenti la novità ed i problemi applicativi del procedimento sommario di nuovo conio e numerosi sono stati i contributi intepretativi offerti : Consolo, La legge di riforma 18 giugno 2009 n. 69, altri profili significativi a prima lettura, in Corriere giuridico, p. Luiso, Il procedimento sommario di cognizione, in Giur. It., 2009, 1568; Carratta (-Mandrioli), Come cambia il processo civile, Torino, 2009, 139 e ss; Menchini, L'ultima "idea" del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa, in  www.judicium.it; Balena, La nuova pretesa pseudo riforma del processo civile, in Il giusto processo civile 2009, fasc. 3 p. altresì consultabile in www.judicium.it; dello steso autore, Il procedimento sommario di cognizione, in  Foro It., 2009, V, p. 324; Caponi, Un modello ricettivo delle prassi migliori : il procedimento sommario di cognizione, in  Foro It, 2009, V 334; Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione, in Guida al Diritto n. 28/2009 p. 37 e ss, consultabile anche in www.judicium.it, Arieta, Il rito semplificato di cognizione in www.judicium.it; Campese, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Testo di una relazione svolta in un incontro di studi della formazione decentrata di Napoli, gentilmente inviatomi dall'autore.

Sulla tendenza alla sommarizzazione del processo si rinvia a Proto Pisani Contro l'inutile sommarizzazione del processo, Foro It, 2007,V, 44 e, più in generale sulle riforme processuali senza interventi di strutturali Proto Pisani, la riforma del processo civile, ancora una riforma a costo zero (note a prima lettura, id, 2009, V, 221. Sulla tenuta costituzionale del processo di sommarizzazione, Graziosi, La cognizione sommaria del giudice civile nella prospettiva delle garnzie costituzionali, Riv. trim. dir. e proc., 2009, 137; per un ampio panorama compratistico, Gli strumenti di tutela sommaria nel processo societario in prospettiva europea, in Riv. trim. dir. e proc. 2004, 58

[2] Cfr. G. BALENA, La nuova pretesa riforma della giustizia civile, cit spec. § 23, in Il giusto processo civile, 2009 p.; F.P. LUISO, Il procedimento sommario di cognizione, in www.judicium.it p.; G. ARIETA Il rito "semplificato"di cognizione in www.judicium.it p.3,4; S. MENCHINI, L'ultima "idea" del legislatore per accelerare i tempi della tutela dichiarativa dei diritti: il processo sommario di cognizione. Favorevole all'estensione dell'applicabilità del procedimento sommario G. OLIVIERI, Il procedimento sommario di cognizione in www.judicium.it e C. CONSOLO, la legge di riforma 18 giugno 2009 n. 69: altri profili significativi a prima lettura, in Corriere Giuridico, 2009 p.

[3] G. ARIETA, Il rito semplificato di cognizione in, www.judicium.it, p. 4.

[4] Da non sottovalutare, sotto questo aspetto, la scelta del ricorso per l'instaurazione del giudizio sommario che presenta ulteriori elementi di similitudine con l'identico modello formale d'introduzione delle controversie assoggettate al rito lavoro e l'ampia scelta di modelli di provvedimenti di raccordo previsti dal codice di procedura civile per adeguare in funzione del rispetto del principio del contraddittorio, la disciplina degli atti introduttivi della fase sommaria con la prosecuzione a cognizione piena (si pensi ad esempio al procedimento di convalida di sfratto o di licenza per finita locazione).

[5] Contra Olivieri, cit. il quale ritiene che attraverso il modello del processo sommario si pervenga prima e con un unico procedimento, ad una tutela immediata in grado di condurre al giudicato sul merito possessorio. Seguendo questo orientamento il provvedimento sommario ex art. 702 bis cod. proc civ. a contenuto possessorio dovrà essere impugnato con appello ex art. 702 quater cod. proc. civ. e non con il reclamo ex art. 669 quaterdecies cod. proc. civ.

[6] Ancora Olivieri ult. cit

[7] Dopo la legge n. 69 del 2009 il regime d'inappellabilità previsto dall'art. 618 cod. proc. civ. è rimasto limitato alle opposizioni agli atti esecutivi, essendo stata reintrodotto l'appello per le opposizioni all'esecuzione.

[8] Cui può aggiungersi l'azione di medesima natura disciplinata dal D.lgs n. 216 del 2003, limitatamente alle discriminazioni per ragioni etniche e razziali

[9] S. MENCHINI, ult. cit., R. CAPONI, Un nuovo modello di trattazione piena : il procedimento sommario ex art. 702 bis. c .p.c. in www.judicium.it

[10] Diverso il caso in cui venga formulata un'istanza di anticipazione il cui accoglimento dovrebbe determinare la modifica integrale dei termini di costituzione e comparizione. Per l'applicazione del medesimo principio nel processo del lavoro vedi : Cass. n. 13162 del 2006, in www.italgiuregiustizia.it

[11] Così come accade in caso d'inosservanza del termine di cui all'art. 425, quinto comma c.p.c., cfr. Cass. n. 16880 del 2004 in www.italgiuregiustizia.it e BALENA ult. cit.

[12] Così Arieta, cit.

[13] Ci si riferisce in particolare a CIVILNET, una rete che consente il dialogo in web di giudici, avvocati ed accademici su temi processuali e sostanziali legati al processo civile e alla pagina di FACEBOOK creata proprio sul procedimento sommario dal Prof. Caponi.

[14] Diverso l'orientamento maggioritario dei giudici di Modena che hanno elaborato un proprio protocollo relativo al procedimento sommario. Secondo questo protocollo quando la chiamata di terzo non sia in garanzia non si deve fissare un'altra udienza e si deve dichiarare inammissibile la chiamata. Logico corollario di questa  impostazione è la correlativa inammissibilità della chiamata in causa richiesta dall'attore ex art. 183, comma quinto e art. 269, quinto comma c.p.c.

[15] Si pensi in particolare a tutti i casi in cui la mancata partecipazione del terzo espone al rischio di un contrasto od una contraddittorietà di giudicati. Vedi al riguardo  BALENA ult. cit. con riferimento in particolare alla chiamata di terzo "alternativa", ovvero quella fondata sulla contestazione della propria legittimazione passiva.

[16] L'innovazione recepisce l'indirizzo formatosi dopo la sentenza delle S.U. n. Cass. sez.un. 22 febbraio 2007 n.4109 in Foro It, 2007,I, 1010 con nota di ORIANI, E' possibile la translatio judicii nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale : divergenze e consonanze tra Corte di Cassazione e Corte Costituzionale, e Corte cost. 12 marzo 2007 n.77 in Foro It, 2007, I, 1013 con nota di ORIANI, ult. cit.

[17] S.U. Ord. n. 26296 del 2008 in www.italgiuregiustizia.it

[18]  Da segnalare la riflessione di BALENA, ult. cit. sull'inammissibilità delle pronunce di rito meramente dichiarative della prosecuzione del giudizio nel procedimento in questione da reputarsi, secondo l'Autore, comunque impugnabili con l'appello unitamente al merito, previa dichiarazione di riserva d'appello.

[19] Come ad esempio la riassunzione del procedimento a cognizione piena all'esito della fase cautelare relativa ad un provvedimento a strumentalità necessaria

[20] Quest'ultima ipotesi, dopo la recentissima modifica dell'art. 182 c.p.c. mediante l'introduzione del regime di sanatoria anche per i vizi dello jus postulandi, sembra poco probabile.

[21] Cass.n. 27187 del 2007 in Giur. It, 2009, p. 931 con nota di Impagnatiello

[22] Il problema viene, infatti, sollevato anche da G. BALENA, ult. cit.

[23] Proto Pisani cit; Olivieri cit.

[24] Biavati, cit.; Balena ult. cit.; Menchini cit.  Arieta cit. Caponi cit.;

[25] Graziosi-Acierno, La riforma 2009 nel primo grado di cognizione: qualche ritocco o un piccolo sisma? in corso di pubblicazione sulla Riv. Trim. Dir. e Proc., 2009
[26] L'elenco è tratto da G. ARIETA ult. cit

[27] In questa prospettiva uno dei primi provvedimenti circolanti on line , adottato dal Tribunale di Mondovì (ordinanza emessa il , contiene anche l'indicazione ex art. 81 bis delle disp. att. c.p.c. del calendario del processo mediante al scansione in due udienze, una istruttoria e una di discussione e decisione.

[28] Salva il rinnovo dell'assunzione delle prove costituende ove non raccolte nella fase sommaria in forma tipizzate o l'integrazione dell'istruzione già espletata.

[29] Secondo una delle più recenti definizioni della Corte di Cassazione ( Cass. n. 12985 del 2009 in www.italgiuregiustizia.it)

[30] Cass. n. 1815 del 2005 e n. 1237 del 2007( in www.italgiuregiustizia.it), quest'ultima con riferimento a ricorsi tributari

[31] Cfr. in particolare, Balena ult. cit che suggerisce di scrutinare, ai fini della separazione, molto attentamente la compatibilità tra i giudicati delle cause separate.

[32] Copiare sost. Prima nota con i richiami di dottrina

[33] Esclusa da CAPONI, op. cit.

[34] 

[35] A. Proto Pisani ult. cit. utilizza l'espressione molto forte "aborto".

[36] Così Balena ult. cit. e Menchini ult. cit.

[37]