SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 24 febbraio - 14 aprile 2010, n. 8964



(Presidente Carnevale - Relatore Nappi)

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Milano ha confermato la revoca del fallimento di F. M. A., dichiarato fallito il 23 novembre 2001 nella qualità di unico socio illimitatamente responsabile della s.r.l. Istituto A. O., già dichiarata fallita il 10 dicembre 1998. Hanno ritenuto i giudici del merito che, benché debbano certamente distinguersi il fallimento della società dal fallimento del socio illimitatamente responsabile, ciò nondimeno l'erronea indicazione nella citazione a giudizio del curatore come organo del fallimento della società, anziché del socio, non incideva sul significato dell'opposizione, evidentemente proposta contro la sentenza dichiarativa del fallimento di F. M. A., e non ha precluso al curatore l'esercizio del suo diritto di difesa. Tanto premesso, hanno ritenuto che l'estensione del fallimento ai soci è prevista dall'art. 147 legge fall., esclusivamente per le società di persone, nelle quali la responsabilità illimitata e solidale dei soci è propria del tipo legale di società. Sicché non può estendersi il fallimento di una società di capitali al socio unico illimitatamente responsabile.

Ricorre per cassazione il Fallimento Istituto A. O. s.r.l. e propone tre motivi d'impugnazione, illustrati anche da memoria. Non ha spiegato difese F. M. A..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli art. 2362 e s. c.c., 81 c.p.c., 147 e 148 legge fall., vizio di motivazione sul dedotto difetto di legittimazione passiva del curatore del fallimento della società.

Sostiene che i giudici del merito, pur consapevoli della distinzione dei fallimenti del socio e della società, ha erroneamente interpretato l'atto di citazione in opposizione al fallimento, notificato al curatore del fallimento della società anziché al curatore del fallimento del socio. Infatti, benché sia certo che F. M. A. avesse inteso impugnare la sentenza dichiarativa del proprio fallimento, ciò non esclude che egli abbia erroneamente citato in giudizio il curatore del fallimento della società.

Il motivo è infondato.

Com'è noto, la "legitimatio ad processum" va "riferita alla capacità delle parti a stare in giudizio, in proprio o con la debita rappresentanza, assistenza o autorizzazione" (art. 75 c.p.c.). La "legitimatio ad causam", attiva e passiva (che si ricollega al principio di cui all'art. 81 c.p.c., inteso a prevenire una sentenza "inutiliter data"), attiene invece all'astratta possibilità che le parti del giudizio siano i soggetti cui si riferisce la norma invocata: richiede perciò solo l'interpretazione di tale norma, ai fini della "verifica, secondo la prospettazione offerta dall'attore, della regolarità processuale del contraddittorio" (Cass., sez. I, 16 maggio 2007, n. 11321, m. 599090, Cass., sez. III, 20 dicembre 2005, n. 28227, m. 586093), così distinguendosi dall'effettiva titolarità del rapporto, che richiede anche un accertamento del fatto cui si ricollega la postulata qualificazione di diritto sostanziale. Attenendo alla regolarità del contraddittorio, dunque, l'accertamento della legittimazione passiva del convenuto esige che vi sia identità tra la persona fisica chiamata in giudizio e il destinatario effettivo della pretesa fatta valere dall'attore. Non rileva perciò se l'attore abbia ben qualificato il convenuto, ma rileva se la persona chiamata in giudizio sia proprio quella legittimata a contraddire la pretesa dell'attore.

Nel caso in esame si pone appunto una questione di legitimatio ad causam. E non v'è dubbio che F. M. A. indicò erroneamente il proprio contraddittore quale curatore del fallimento della società. Ma altrettanto certo è che la persona chiamata in giudizio era curatore del fallimento del socio e che la pretesa dell'attore era proprio quella di ottenere la revoca del fallimento del socio. Sicché il contraddittorio fu regolarmente costituito.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli art. 147 e 148 legge fall., vizi di motivazione della decisione impugnata in ordine all'estensibilità del fallimento dell'Istituto A. O. s.r.l. al socio illimitatamente responsabile.

Sostiene che nell'art. 147 legge fall., la previsione dell'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili non contiene più il riferimento del precedente codice di commercio alle sole società di persone. Sicché deve ritenersi applicabile in ogni caso in cui un socio, anche di società di capitali, risulti illimitatamente responsabile; tanto più se si consideri che una tale responsabilità non è affatto eccezionale, quando si tratti di socio unico.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, "l'applicabilità dell'art. 147 della legge fall., che consente l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, è subordinata alla duplice condizione che il socio sia illimitatamente responsabile e che l'ente sia costituito nelle forme e con i caratteri della società con soci a responsabilità illimitata; esso si riferisce esclusivamente alle società di persone, nelle quali la responsabilità illimitata del socio è conseguenza della natura del modello societario, e non è pertanto applicabile alle società di capitali, in cui la responsabilità illimitata rappresenta un'eventualità collegata all'assunzione da parte del socio, nel corso della vita sociale e con riferimento ad uno specifico periodo, di una responsabilità personale e solidale, in conseguenza della concentrazione nelle sue mani della totalità delle azioni o delle quote (artt. 2362 e 2497 c.c.), e quale riflesso del suo potere di determinare in via assoluta la volontà dell'ente" (Cass., sez. I, 12 novembre 2008, n. 27013, m. 605472). La norma non è dunque "estensibile ai soci occasionalmente responsabili delle obbligazioni contratte per accadimenti specifici e storicamente delimitabili, come nel caso di socio unico di società per azioni, ai sensi dell'art. 2362 c.c. (nel testo anteriore al d.lgs. n. 6 del 2003), disposizione di natura eccezionale ed impositiva, in capo all'unico azionista, di una responsabilità lato sensu fideiussoria ex lege, ma solo in via temporanea" (Cass., sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2711, m. 606495).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 92 legge fall., e vizi di motivazione della decisione impugnata, lamentando che erroneamente i giudici d'appello abbiano ritenuto congrua la compensazione solo parziale delle spese del giudizio di primo grado.

Il motivo è infondato, perché i giudici del merito hanno congruamente giustificato la compensazione solo parziale delle spese di una controversia nella quale il fallimento era totalmente soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.