Il contratto di appalto: nozioni generali. |
L'appalto è il contratto mediante il quale una parte assume, con l'organizzazione di
mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio, l'obbligo di compimento di un'opera o
di un servizio, dietro corrispettivo in danaro. (art. 1655 c.c.).
E' un contratto consensuale, oneroso e non necessità di forma scritta in quanto può
essere validamente concluso con libertà di forme.
Ampio è stato il dibattito sulla sua aleatorietà: attualmente non può essere più
definito di tipo aleatorio, come in realtà aveva fatto, a buona ragione, la dottrina
negli anni passati, ma commutativo in quanto l'art. 1664 c.c. prevede un sistema di
revisione dei prezzi: "Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano
verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera tali da
determinare un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo
convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo
medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il
decimo."
Non soltanto, ma addirittura al secondo comma del medesimo art. 1664 è previsto un equo
compenso nel caso in cui "nel corso d'opera si manifestino difficoltà di esecuzione
derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano
notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore".
Esso non è un contratto ad intuitu personae in quanto, genericamente, non si
scioglie alla morte dell'appaltatore. L'organizzazione dei mezzi, l'investimento dei
capitali e la prestazione dell'opera o del servizio ricadono tutti in capo
all'imprenditore il quale si impegna alla realizzazione di un risultato in cambio di un
corrispettivo.
Ma che cosa intendiamo per gestione a proprio rischio? Il concetto è semplice:
l'imprenditore o per meglio dire l'appaltatore impiega propri capitali per la
realizzazione dell'opera o del servizio; ciò significa che non gli è garantita la
remuneratività del lavoro svolto. Inoltre rimane proprietario dell'opera fino al momento
in cui quest'ultima non passa nelle mani del committente che avviene con l'accettazione e
rimangono in capo all'appaltatore tutti i rischi relativi al perimento del bene in corso
d'opera.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che l'appalto si differenzia dal
contratto d'opera in quanto in quest'ultima la prestazione di lavoro assume maggiore
rilievo rispetto all'organizzazione dell'impresa ovvero all'impiego di capitali:
"Quando un persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un
servizio, con il lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei
confronti del committente, si applicano le norme di questo capo (del lavoro autonomo),
salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV (art. 2222
c.c.)".
In tema di appalto notevole importanza riveste la figura del subappalto: l'art. 1656 c.c.
non consente il subappalto senza l'autorizzazione del committente, il quale può
concederla tacitamente o in maniera generica con dichiarazione che può essere contenuta
anche presso l'originario contratto di appalto (come avviene in genere). Questa norma è
stata introdotta per due ordini di motivi: il primo riguarda la salvaguardia degli
interessi del committente che ha ritenuto di avvalersi dell'impresa de quo e non di
un'eventuale imprese subappaltatrice; il secondo per evitare che si creino semplici
imprese di intermediazione. Le regole legali che riguardano il committente/appaltatore
sono tranquillamente estensibili ai rapporti subcommittente/subappaltatore con
l'attenuante del consenso riservato al committente: sulla dottrina c'è incertezza sulla
natura di tale consenso. Parte della dottrina afferma come nullo il contratto di
subappalto stipulato in mancanza di autorizzazione; altri lo definiscono annullabile;
altri come inadempimento del contratto di appalto, autorizzando il committente ad esperire
l'azione di risoluzione contrattuale per inadempimento dell'appaltatore; altri ancora
vedono nell'assenso del committente un requisito di efficacia puramente formale prevedendo
la possibilità di un consenso tardivo successivo al momento della stipula del contratto
di appalto.
Al termine dell'opera il committente ha il diritto/dovere di controllo di conformità e di
verifica dei lavori consegnati: tale controllo può essere svolto per mezzo di una persona
incaricata che la maggior parte delle volte è rappresentata dal c.d. "direttore dei
lavori". Quest'ultima figura rappresenta il tecnico preposto dal committente alla
supervisione/direzione tecnica dei lavori svolti dall'appaltatore. Esso non ha poteri
decisionali sul come organizzare il lavoro dell'appaltatore: infatti quest'ultimo deve
garantire un risultato che può essere raggiunto anche con strade diverse da quelle
indicate dal committente. Nel caso in cui il committente, anche a mezzo del direttore dei
lavori, imponga all'appaltatore una modalità di esecuzione dei lavori stessi secondo le
proprie direttive, non lasciando spazio a discrezionalità decisionale alcuna
all'appaltatore, quest'ultimo non risponde dei vizi dell'opera che si siano verificati
proprio per le modalità di esecuzione errate imposte dal committente, così come non
risponderà dei danni provocati a terzi verificatisi proprio a causa delle direttive
imposte dal committente il quale in condizioni normali non risponderebbe dei danni a terzi
provocati dall'appaltatore. E' in capo all'appaltatore, naturalmente, dimostrare tali
imposizioni ovvero che per fatto del committente non abbia avuto altra scelta se non
quella di eseguire i lavori così come imposti e con le modalità imposte dal committente
stesso.
"Qualora dall'opera appaltata (nella specie, costruzione di edificio) siano derivati,
per manchevolezze di progettazione e vizi di esecuzione, danni a terzi, e di tali danni
debbano solidalmente rispondere il committente e l'appaltatore, l'indagine diretta a
stabilire colpe e la graduazione del relativo onere risarcitorio, non può essere risolta
in senso favorevole al committente, con riguardo ai danni all'esecuzione dell'opera
medesima, per il solo fatto che una clausola del contratto ne preveda l'esonero da ogni
responsabilità, a fronte dell'impegno dell'appaltatore di adottare tutte le cautele
necessarie ad evitare pregiudizi ai terzi, atteso che, pur in presenza di una siffatta
clausola (la cui validità resta soggetta ai limiti fissati dall'art. 1229 c.c.) non può
essere esclusa l'addebitabilità al committente di quelle modalità esecutive
corrispondenti a disposizioni tassative impartite tramite il direttore dei lavori, che
esorbitino dall'esercizio di un mero potere di controllo e siano riconducibili ad una
penetrante ingerenza del committente incompatibile con l'autonomia dell'appaltatore (Cass.
Civ., 29 maggio 1984, n. 3280)".
Allo stesso modo sarà il committente responsabile dei danni a terzi provocati dai lavori
dell'appaltatore quando "
omissis, pur essendo l'attività
espletata dall'appaltatore, il committente abbia esercitato un penetrante potere di
controllo e sorveglianza sull'altrui operato (Cass., 29 maggio 1984, n. 3288)"
Un altro breve cenno merita il c.d. direttore dei lavori: "Negli appalti di opere
edilizie la figura del direttore dei lavori per conto dell'appaltatore è diversa da
quella del direttore dei lavori per conto del committente: il primo, quale collaboratore
professionale dell'imprenditore, ha il dovere di provvedere, dal punto di vista tecnico,
all'esecuzione dell'opera, organizzando l'attività necessaria, con la sua responsabilità
per danni causati a terzi per l'imprudente o difettoso svolgimento dei lavori; il secondo
ha soltanto il compito di controllare la corrispondenza dell'opera al progetto,
rispondendo dell'adempimento di tale obbligo solo verso il committente a norma dell'art.
2236 c.c., e, peraltro, ove abbia esercitato il compito suddetto, non può essere ritenuto
responsabile con l'appaltatore dei danni derivati al committente dalla difettosa
esecuzione dell'opera e dall'imprudente svolgimento dei lavori diretti al compimento di
essa (Cass. Civ., 9 maggio 1980, n. 3051)". Si veda anche Cass. Civ. 1/2/94, n.
967.
Se la verifica ha esito positivo, sorge l'obbligo per il committente di pagare il prezzo.
E' solo a questo punto che l'opera diventa di sua proprietà.
Quid nel caso in cui il committente, su esplicito invito dell'appaltatore, non esegua la
verifica o non ne comunichi i risultati entro un termine ragionevole? L'opera si considera
accettata comunque e l'appaltatore risponde solo dei vizi occulti dell'opera.
Completata l'opera, accettata, consegnata e pagata, cessano i rapporti tra committente e
appaltatore. A carico di quest'ultimo resta la garanzia per vizi e difformità dell'opera
non conosciuti o non riconoscibili al momento della verifica (art. 1667 c.c.).
I vizi dovranno essere denunciati a pena di decadenza entro 60 giorni dalla scoperta a
meno che l'appaltatore non li abbia riconosciuti o li abbia intenzionalmente occultati. In
ogni caso termine ultimo per la denuncia di tutti i vizi è di due anni dal dì di
consegna dell'opera.
Nel caso di citazione a giudizio in cui l'appaltatore cita il committente per il pagamento
del prezzo, quest'ultimo può far valere tale vizio sia in via d'eccezione che con domanda
riconvenzionale: può chiedere che i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore ovvero
che il prezzo sia diminuito ovvero, in caso di colpa dell'appaltatore, che sia pagato il
risarcimento del danno ovvero la risoluzione del contratto nel caso in cui i vizi siano
tali da rendere inidonea l'opera alla destinazione per cui è stata prodotta.
Nel caso di minaccia o rovina dell'opera esiste in capo all'appaltatore una
responsabilità che si prescrive nel termine di 10 anni dal compimento della stessa,
denunciabile nel termine di un anno dalla scoperta del vizio, a norma dell'art. 1669 c.c.
La dottrina è concorde nel ritenere tale tipo di responsabilità come extracontrattuale a
differenza di quella per i vizi disciplinati dagli art. 1667 e 1668 che è di ordine
contrattuale.
di Alessandro Ludovici