Come intendere l'intollerabilità della convivenza?
Commento alla sentenza Cass. Sez. I, 10/08/2007, n. 17646
Autore: Dott.ssa A. Arceri - Magistrato del Tribunale di Bologna - tratto dal sito www.questionididirittodifamiglia.it
Massima |
1) L'indagine sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza è riservata al giudice di merito, ed è incensurabile in Cassazione se sorretta da congrua motivazione. 2) Una difficile situazione familiare, rappresentata dalla condizione di disabilità del figlio, affetto da infermità conseguita a grave malattia neonatale, ed interdetto |
1. L'intollerabilità della convivenza come unico presupposto della pronuncia di separazione
In seguito alla riforma del diritto di famiglia del 1975, la separazione
coniugale non si fonda più sulla colpa, vale a dire su specifici addebiti
imputabili all'uno o all'altro coniuge (1) ora
la relativa pronuncia richiede, come chiaramente si desume dall'art. 151 c.c.,
l'accertamento della intollerabilità della convivenza (2).
Detta situazione afferisce, per quanto emerge
dalla semplice lettura del disposto normativo, alla convivenza in sé, e dunque
non al comportamento dei coniugi, bensì al rapporto di coppia (3), di cui il giudice, valutando ed apprezzando il
contenuto degli atti processuali, i fatti e le circostanze che gli sono stati
rappresentati, deve constatare il deterioramento, indipendentemente da ogni
considerazione circa la sua genesi, o che dir si voglia dalla riconducibilità
alla condotta dell'uno o dell'altro coniuge, che potrà tutt'al più rilevare ove,
in uno con la richiesta di separazione coniugale, venga altresì proposta domanda
di addebito (4).
In tutti gli altri casi,
pertanto, l'attenzione del giudice dovrà limitarsi a cogliere la profonda crisi
in atto, sia essa temporanea o definitiva , e l'impossibilità attuale di
componimento di essa: la situazione, in sostanza, deve esser tale da rendere
imprescindibile l'instaurazione di vita separata.
2. Intollerabilità in senso oggettivo ed in senso soggettivo: quale
tra le alternative?
Come è noto, dottrina e giurisprudenza hanno a lungo dibattuto il concetto di
intollerabilità, sulla cui elaborazione, per quanto è dato constatare, non si è
ancora giunti a risultati definitivi, e ad applicazioni conformi (5).
Di
intollerabilità della convivenza, infatti, si è data, in primo luogo, una
definizione oggettiva, che, per il vero, è quella più frequentemente enunciata:
secondo tale impostazione, l'intollerabilità deve assumere rilievo obiettivo, e
deve sostanziarsi in fatti, situazioni e motivazioni che giustifichino
l'interruzione della vita matrimoniale secondo una comune valutazione sociale
(6). Non sarebbe pertanto sufficiente, a
decretare situazione di intollerabilità, la manifestazione della volontà di uno
dei coniugi di separarsi (7), ma occorrerebbe,
invece, verificare l'esistenza di dati obiettivi, che giustifichino la decisione
di interrompere la vita matrimoniale, non già in base alla sensibilità del solo
soggetto che la deduce, ma in riferimento alla sensibilità dell' "uomo medio"
(8).
Si tratta, indubbiamente, di una tesi
garantista, che mediante l'aggancio a parametri in un certo qual modo "certi" ed
il più possibile determinati, intende coniugare il concetto di separazione come
strumento di tutela di interessi di carattere generale, o meglio di tutela
dell'interesse superiore della famiglia, con quello di separazione come mezzo di
realizzazione individuale, che consente di liberarsi di un legame divenuto -
secondo la prospettazione di colui che richiede la separazione -
insopportabile.
Per tale via, potrebbe giungersi, in casi estremi, alla
rejezione della domanda di separazione, laddove la stessa non sia, secondo
l'insindacabile giudizio dell'organo decidente, sorretta da circostanze e
motivazioni tali da rappresentare, secondo valutazione da eseguirsi sulla scorta
di parametri obiettivi e conformi al comune sentire, una situazione di
improseguibilità della vita matrimoniale (9).
In tali ipotesi, in sostanza, il giudice
potrebbe giudicare prevalente l'interesse pubblico alla conservazione in vita
del nucleo familiare, sacrificando gli intenti di dissociazione manifestati dal
coniuge che richiede la separazione.
Di intollerabilità si è anche parlato,
secondo altra tesi, in senso soggettivo: essa consisterebbe nel senso di pena
(di sofferenza, di frustrazione) che "la prosecuzione o la ripresa della
stessa (della convivenza n.d..r) provoca in capo al coniuge che la domanda,
sicché il compito del giudice adito si limiterebbe ad una sorta di presa d'atto
della volontà unilaterale di un coniuge di troncare la vita in comune. Il
giudice, in quest'ottica, avrebbe solo il potere di accertare se, nella
percezione soggettiva di almeno uno dei coniugi, i fatti addotti determinino una
situazione di intollerabilità" (10).
La tesi soggettiva ha giustificato allarmismi e critiche; da più parti,
infatti, si è sottolineato come la stessa finisca per ancorare la pronuncia di
separazione ad una mera asserzione unilaterale, giustificando la completa
obliterazione della responsabilità che gli sposi assumono contraendo il vincolo
matrimoniale, e rendendo lecito, in definitiva, l'abuso del diritto di separarsi
(11) (ed anzi, proprio per questo, da parte di
taluno, si è proposta una concezione intermedia tra le due opposte, per cui la
separazione sarebbe legittimata da "elementi soggettivi, ma oggettivamente
accertabili" (12)).
D'altra parte,
però, ci si è resi conto anche degli assurdi risvolti applicativi cui
condurrebbe la rigida applicazione della tesi oggettiva, se portata alle estreme
conseguenze: il giudice dovrebbe assumere le vesti di "difensore del vincolo",
e, al di sotto di una certa soglia di tollerabilità, ancorata a parametri del
tutto incerti ed opinabili, la prosecuzione della convivenza matrimoniale
diverrebbe addirittura "esigibile" (13).
Invero, l'orientamento soggettivo, pur
formalmente minoritario (14), è a mio avviso
quello che più rispetta la nuova veste che la riforma del 1975 ha dato alla
separazione coniugale, ed in definitiva, ciò che avviene nella prassi.
Da un
lato, si è infatti correttamente rilevato che dopo l'individuazione, ad unico
presupposto fondante la separazione, del presupposto della intollerabilità, il
matrimonio è divenuto rapporto fondato, precipuamente, sul persistente accordo
dei coniugi: venuto meno il consenso - in definitiva, anche per volontà di un
solo coniuge - e quindi l'affectio coniugalis, può ottenersi la pronuncia
di separazione (15). Ed anzi, nulla osta a che
la domanda possa essere vittoriosamente proposta anche da chi, con i propri
comportamenti, ha dato luogo alla intollerabilità, rilevando tale condotta, ove
ne sia fatta richiesta da parte del resistente, sul differente piano
dell'abbebito (16).
Dall'altro si constata
che, nella prassi giudiziaria, le enunciazioni dell'impostazione oggettiva hanno
perso ogni significato, in quanto "i tribunali sono soliti accordare la
separazione a chiunque lo chieda, anche nel caso in cui l'altro coniuge si
opponga" (17).
Del resto, fondandosi il
matrimonio sul reciproco affetto, e sulla collaborazione di entrambi i coniugi
alla vita familiare, non può non convenirsi che il deposito, da parte di uno di
essi, della richiesta di separazione, e l'esternazione della chiara volontà di
non voler proseguire la convivenza, è fatto già di per sé sufficiente a minare
in radice la fiducia reciproca, e rendere intollerabile la prosecuzione di una
relazione con chi, chiaramente, ha mostrato di non volerlo fare (18). Se si ragionasse in senso contrario, d'altra
parte, si giungerebbe al paradosso di costringere il coniuge che desidera
ottenere la separazione a porre in essere atti e comportamenti che rendano la
convivenza visibilmente impossibile, "traducendo nei fatti l'intenzione prima
solo manifestata e costringendo il giudice, nel momento di presentazione di una
successiva istanza, a riconoscere finalmente l'esistenza dei presupposti per la
separazione" (19).
Né,
soprattutto, si scorge come, dopo aver reputato la manifestazione di volontà di
un solo coniuge d'interrompere la vita in comune insufficiente ad integrare il
presupposto della intollerabilità della convivenza, potrebbe ipotizzarsi una
coazione a proseguire la vita familiare (20).
3. La statuizione della sentenza in commento e l'implicita adesione
all'impostazione soggettivistica, in questa come in altre pronunce.
La sentenza che si commenta risente, indubbiamente, delle contraddizioni che
si sono evidenziate.
A ben vedere, infatti, a fronte delle proteste del
marito, il quale rilevava come, da parte del giudice del merito, si fosse
pronunciata la separazione coniugale non già sulla base di fatti e comportamenti
concreti che, secondo il comune sentire, determinassero intollerabilità della
convivenza, ma - alla resa dei conti - sulla scorta di una manifestazione di
insofferenza (unilaterale) della moglie alla prosecuzione della vita
matrimoniale, la Corte ha avvertito la necessità di smentire che si fosse
pronunciata la separazione sulla scorta di una mera manifestazione
d'insofferenza da parte della donna, ma ha viceversa qualificato la presenza di
un figlio gravemente disabile quale situazione obiettivamente valutabile in
termini di intollerabilità.
A ben vedere, tuttavia, la presenza di un figlio
disabile all'interno del nucleo familiare non significa certo, automaticamente,
che il rapporto matrimoniale non possa ulteriormente proseguire: al contrario,
le necessità di curare ed amare un figlio bisognoso potrebbero paradossalmente
rappresentare motivo di solidarietà e di profonda unione tra i coniugi impegnati
nell'assistenza, un motivo per restare uniti, anziché per separarsi.
Pertanto, dietro la formula motivazionale, si legge senz'altro una scelta
mancata: in definitiva, ciò che ha decretato la pronuncia di separazione non è
certo la situazione del figlio disabile, ed il continuo sacrificio imposto ai
coniugi dalle sue necessità di cura ed accudimento.
Se così fosse, qualsiasi
problematica di qualche rilievo che si presenti nel corso della vita coniugale
(che sicuramente, non mancherà), come potrebbe essere un periodo di difficoltà
finanziaria, la perdita di un lavoro, il cattivo rendimento scolastico di un
figlio, il contrasto sui criteri educativi e di istruzione della prole, e la
stessa "incompatibilità di carattere" (formula, frequentemente impiegata, in
seno alla quale può rientrare, invero, di tutto) potranno diventare motivi
obiettivi cui agganciare la valutazione di intollerabilità.
Ed allora, ci si
accorge che la pretesa di enucleare ragioni obiettive, generalmente valevoli,
per addivenire alla pronuncia di separazione è opera fine a sé stessa,
completamente inutile, perché la verità è una sola: chiedere la separazione
significa esprimere la volontà di porre fine ad un consorzio di vita che oggi
più che mai si fonda, esclusivamente, sulla permanenza del consenso di entrambi.
E non esistono mezzi per porre rimedio - soprattutto mediante imposizioni - al
distacco affettivo, ed al venir meno della volontà di stare insieme, anche
vivacemente osteggiato dal coniuge che subisce l'abbandono da parte dell'altro.
4. Conclusioni
La sentenza in commento offre,
indubbiamente, buona occasione per meditare sull'atteggiamento dei nostri
giudici nei confronti della intollerabilità della convivenza. Nei rari casi in
cui - in presenza di opposizione alla pronuncia - accade di dover assumere una
precisa posizione, esternando una giuridica definizione di tale concetto, la
tendenza dei giudici è quella di rifugiarsi nella più tranquillizzante nozione
oggettiva, anche se, di fatto, si finisce, nella maggior parte dei casi, o per
dare comunque rilievo all'unilaterale manifestazione di volontà del coniuge
ricorrente (magari in contumacia del convenuto, o anche in caso di opposizione
di costui alla pronuncia), oppure, come nel caso della sentenza in commento, per
esaltare l'importanza di circostanze e fatti che certamente non integrano, di
per sé stessi, un vero e proprio ostacolo alla prosecuzione della convivenza, ma
dando per scontato che siano tali, ed avvicinandosi in tal modo, ed in concreto,
alla concezione opposta (21).
Così, la
pesante situazione del figlio invalido, ed il sistema di vita, improntato
all'abnegazione ed al sacrificio, che ne consegue, non potrebbero certo
qualificarsi motivi sufficienti per giustificare la rottura del rapporto con
chi, di tale situazione, non è sicuramente responsabile, vale a dire il partner.
Si tratta, piuttosto, di una scelta di dissociazione, squisitamente egoistica,
che l'individuo compie in esercizio di facoltà che - indipendentemente dal
giudizio che sulle stesse può esprimersi da un punto di vista etico e morale -
gli è attribuita, ancor prima che dalla legge ordinaria, dalla Costituzione,
quella di inserirsi e, specularmente, estraniarsi, dalle formazioni sociali in
cui egli ha inteso trovare appagamento e realizzazione alle proprie aspirazioni
ed inclinazioni,e che non rispondono più - secondo il suo intimo ed
insindacabile apprezzamento - a tale finalità.
Tale facoltà, è bene
precisarlo, si pone nettamente in contrasto con l'esigenza di unità della
famiglia, ma è ben vero che l'intero sistema normativo vigente - ad iniziare
dalle norme che hanno ridisegnato l'istituto della separazione, introdotto il
divorzio ed esaltato, sempre più, la signoria della volontà delle parti del
rapporto - antepone ormai il diritto di ciascun individuo a quello del gruppo,
le egoistiche esigenze individuali a quelle di salvaguardia del
matrimonio.
Note:
(1) Gli artt. 151-153 del codice del 1942, stabilivano, si
rammenta, che la separazione potesse aver luogo per adulterio, per volontario
abbandono, per eccessi, sevizie, minacce, ingiurie gravi, condanna penale
superiore ai cinque anni, mancata fissazione della residenza ad opera del
marito. Non era ammessa invece la separazione per adulterio del marito, se non
quando la stessa, per modalità e circostanze, determinava ingiuria grave alla
moglie. La giurisprudenza successiva, per temperare la rigidità del disposto,
elaborò il concetto di separazione per giusta causa, coincidente nella sostanza
con l'attuale modello di separazione, che poteva essere pronunciata quando,
anche per fatti indipendenti dalla responsabilità dei coniugi, la convivenza non
era più ulteriormente proseguibile.
(2) Nell'economia
della presente trattazione, non ci si sofferma sull'ulteriore presupposto
previsto, in alternativa, dalla norma citata, che è rappresentato dal compimento
di atti pregiudizievoli nei confronti della prole.
(3) Con
efficace espressione di sintesi, si è detto che vi è stato un passaggio "dalla
rilevanza della condotta alla rilevanza della situazione": P. Zatti, in Tr.
Rescigno 1996, p. 166.
(4) Cass. 7 dicembre 1994, n. 10512,
in Foro It., 1995, I, c. 1202.
(5) Potrebbe infatti
anche trattarsi di difficoltà temporanea di rapporti, sempre che momentaneamente
senza alternativa soluzione: la separazione, del resto, è situazione in ogni
momento emendabile da parte dei coniugi, mediante riconciliazione (artt. 154 -
157 c.c.).
(6) Sostengono l'impostazione oggettivistica:
F. Morozzo Della Rocca, Separazione personale (diritto privato), Enc.
Dir. XLI, Milano 1989, p. 1384; M. Briguglio, Separazione personale dei
coniugi, Nov. Dig. App. VII, Torino 1987, p. 124; in giurisprudenza: Cass. 8
maggio 2003, n. 6970, in Fam. Dir., 2003, p. 319, secondo la quale la
manifestazione unilaterale di volontà di separarsi non concreta, di per sé sola,
il presupposto per la pronuncia di separazione coniugale.
(7) Cass. 23 maggio 2003, n. 6970, in Fam. Dir., 2003, p. 319;
Cass. 10 gennaio 1986, n. 67, in Giust. Civ., 1986, I, p. 2213; Cass. 21
febbraio 1983, n. 1304, in Dir. Fam. Pers., 1983, p. 492; nella
giurisprudenza di merito: Trib. Terni, 29 settembre 1992, in Rass. Giur.
Umbra, 1993, p. 42; Trib Modena, 18 aprile 1991, in Corr. Giur.,
1991, p. 1011 ed in Giur. It., 1992, I, 2, c. 632; Trib. Genova, 15
aprile 1980, in Giur. Mer. 1981, p. 939.
(8) M.
Calogero, La separazione giudiziale, in Tr. Zatti, vol I, Famiglia e
matrimonio, Milano 2002, p. 1035.
(9) App. Genova, 10
agosto 1987, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1988, I, p. 245, con nota di M.
Mantovani, che ha reputato insufficiente ed inidonea, a giustificare la
pronuncia di separazione, la prospettazione di una situazione di conflitto con
il coniuge anziano, malato e bisognoso di assistenza.
(10) Il corsivo è
di R. Giovagnoli, Separazione e divorzio, Percorsi giurisprudenziali,
Milano 2007, p. 31-32. Vedasi, nello stesso senso, M. Sesta, Diritto di
famiglia, Padova 2005, pag. 292, che rileva: "per il primo orientamento si è
inclini a risolvere l'intollerabilità nella penosità soggettiva della vita in
comune, demandando dunque al giudice una valutazione che non è più di controllo
sull'oggettività dei fatti addotti a fondamento dell'istanza di separazione, ma
mera constatazione di uno stato d'animo soggettivo".
(11)
U. Breccia, voce Separazione personale dei coniugi, in Nov. Dig. Disc.
Priv., XVIII, Torino 1998, p. 384; C. Grassetti, Dello scioglimento del
matrimonio e della separazione tra i coniugi, in Comm. Cian, Oppo
Trabucchi, Padova 1992, p. 685, il quale ha rilevato che intendendo
l'intollerabilità in senso soggettivo, si giunge al risultato, giudicato iniquo,
di attribuire il diritto di domandare la separazione (anche) al coniuge che ha
determinato, con i propri comportamenti, l'insorgenza della intollerabilità, e
ciò a dispetto della volontà dell'altro coniuge di mantenere l'unità familiare;
F. Scardulla, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano
2003, p. 111, il quale ritiene che i fatti obiettivi che fondano la pronuncia di
separazione debbano in ogni caso sostanziarsi in violazioni dei doveri
matrimoniali.
(12) U. Breccia, op. cit., pag. 380;
M. Calogero, op. cit., pag. 1035; Zatti, op. cit., pag. 153.
(13) M. Calogero, op. cit., pag. 1035.
(14) In giurisprudenza, v. per esempio Cass. 10 giugno
1992, n. 7148, in Mass. Foro It., 1992, la quale ha rilevato che, ai fini
dell'accoglimento della domanda di separazione, non occorre che vi sia una
situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben
potendo la frattura "dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco
spirituale di una sola delle parti"; per la giurisprudenza di merito: Trib.
Lecce, 14 ottobre 1994, in Dir. Fam., 1995, p. 1047; App. Catania, 29
maggio 1994, in Separazione e divorzio, Percorsi giurisprudenziali, cit.,
p. 35, che ha reputato sufficiente, a decretare intollerabilità, l'insofferenza
manifestata da un coniuge nei confronti della routine matrimoniale e dei
sacrifici e le rinunce reciproche al vincolo nuziale collegati; Trib. Pavia, 16
ottobre 1987, in Giur. Mer., 1988, p. 482; Trib. Firenze, 25 ottobre
1980, in Dir. FAm., 1981, p. 541.
(15) M. Sesta,
op. cit., p. 291.
(16) In giurisprudenza: Cass. 17
gennaio 1983, n. 364, in Dir. Fam. Pers., 1983, p. 468.
(17) Il corsivo è di B. De Filippis, op. cit. p. 116.
(18) P. Dalla Valle, La separazione personale dei
coniugi. Profili sostanziali, in Separazione Divorzio Annullamento,
opera diretta da G. Sicchiero, Bologna 2005, p. 97, secondo la quale "In
concreto tuttavia il principio si scontra con l'impossibilità di oggettivare dei
parametri condivisi secondo i qulai giudicare se la convivenza tra i coniugi
possa o meno considerarsi di intollerabile prosecuzione. Occorre per forza
prendere atto della valutazione di intollerabilità che, anche a prescindere da
una verbalizzazione della domanda introduttiva, implicitamente sia stata
effettuata dal ricorrente".
(19) B. De Filippis, op.
cit., p. 116.
(20) Così, anche "provocatoriamente", B.
De Filippis, op. cit., p. 117, il quale rimarca come l'obbligo di restare
insieme, in seguito al rigetto della richiesta unilaterale di separazione, non
potrebbe esser certo eseguito valendosi dell'ufficiale giudiziario o della forza
pubblica.
(21) M. Sesta, op. cit., p.
294.