Corte di Cassazione, Sez.I°
10 agosto 2007 n. 17646


Svolgimento del processo

Il Tribunale di Rimini, con sentenza del 16 marzo 2002 n. 389 pronunciava la separazione personale dei coniugi D.M. e F.P., affidava il figlio Ma. alla madre, alla quale assegnava la casa coniugale, disponendo che il F. corrispondesse un assegno mensile di L. 700.000, di cui 500.000 per il mantenimento della moglie e 200.000 per il mantenimento del figlio, oltre al pagamento delle utenze domestiche della casa coniugale e delle spese mediche straordinarie riguardanti il figlio.

Con sentenza depositata il 18 settembre 2003, la Corte d'appello di Bologna rigettava l'impugnazione del F. osservando, in particolare:

a) che il Tribunale aveva fatto corretta applicazione dell'art. 151 c.c., comma 1, in ordine all'intollerabilità della prosecuzione della convivenza;

b) che la domanda subordinata del F. di "affidamento congiunto" del figlio, con l'adozione dei conseguenti provvedimenti di carattere patrimoniale, tra i quali la possibilità del rientro del padre nella casa coniugale, era inammissibile per difetto di specificità;

c) che l'eventuale riduzione dell'assegno di mantenimento per la moglie non poteva derivare dal riconoscimento e dalla corresponsione al marito di un valore locatizio fondato sull'assegnazione della casa coniugale alla madre affidataria e tutrice del figlio interdetto.

Avverso la sentenza d'appello F.P. proponeva ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi.

D.M. resisteva con controricorso.


Motivi della decisione

1. E' pregiudiziale l'esame del terzo motivo di ricorso che esprime una doglianza di violazione del contraddittorio con conseguente nullità della sentenza e del procedimento.

Sostiene il ricorrente che nel giudizio di appello, svoltosi con il rito camerale, la costituzione della parte appellata era avvenuta alla vigilia della Camera di consiglio con la conseguenza che l'appellante non aveva avuto la possibilità di esaminare la costituzione della controparte nè aveva potuto depositare memorie scritte entro un congruo termine al fine di replicare alle deduzioni contenute nella costituzione della parte appellata.

2. Il motivo non è fondato.

Come già affermato da questa Corte, nei procedimenti di natura contenziosa che si svolgono con il rito camerale deve essere assicurato il diritto di difesa e deve quindi essere realizzato il principio del contraddittorio; tuttavia, trattandosi di procedimenti caratterizzati da particolare celerità e semplicità di forme, ad essi non sono applicabili le disposizioni proprie del processo di cognizione ordinaria e, segnatamente, quelle di cui agli artt. 189 e 190 c.p.c. (Cass. 7 febbraio 1986, n. 986, Cass. 12 gennaio 2007, n. 565) Dagli atti processuali, esaminabili in questa sede data la natura de vizio denunciato, risulta che il 6 giugno 2003 sono comparse dinanzi al collegio in Camera di consiglio, che si è riservato la decisione, sia le parti personalmente che i loro procuratori. In quella sede, è stato, quindi, assicurato il contraddittorio, senza che sia stata nemmeno rappresentata al giudice, da parte dell'appellante, la necessità di disporre di un termine per controdedurre alla comparsa depositata dall'appellata.

3. Con il primo mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 151 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

La valutazione del giudice di merito circa l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza non era stata ancorata a fatti documentati oggettivamente idonei a rendere la convivenza intollerabile, non potendosi il giudizio sull'intollerabilità ridursi all'accertamento di un'insofferenza soggettiva.

4. Il motivo è infondato L'indagine sulla intollerabilità della prosecuzione della convivenza è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in Cassazione se sorretta da congrua motivazione.

Nella specie, il giudice di appello, ha ritenuto, condividendo l'opinione espressa dal Tribunale, che tra i coniugi era venuta meno la "affectio maritalis", per la causa "oggettiva" della "difficile realtà familiare, rappresentata dalla grave condizione di disabile del figlio, seguita ad una grave malattia neonatale, con pronuncia di interdizione del medesimo".

Tale enunciazione è stata formulata dalla Corte territoriale dopo aver riportato le censure dell'appellante, che si era lamentato anche del fatto che la motivazione della sentenza di primo grado riflettesse un giudizio unilaterale e malevolo nei suoi confronti, quasi che l'unico responsabile della pretesa crisi dei rapporti tra le parti fosse il convenuto.

La sentenza impugnata, quindi, non solo ha indicato quale fosse stata la causa determinante la situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza, ma ha anche precisato che tale causa doveva ritenersi di natura "oggettiva", in tal modo fornendo risposta alla doglianza formulata dall'appellante.

Del richiamo generico effettuato dal ricorrente alle pretese incongruenze e contraddizioni della sentenza di primo grado che sarebbero state poste in luce con il ricorso in appello e che non sarebbero state prese in considerazione dal giudice di secondo grado non può tenersi conto in questa sede in quanto esse non sono state esattamente riportate nel ricorso per Cassazione. In base al principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, questo deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 13 luglio 2004 n. 12912, Cass. 11 giugno 2004 n. 11133, Cass. 15 aprile 2004 n. 7178, tra le altre; da ultimo, vedi Cass. 45 maggio 2006 n. 12362, Cass. 4 aprile 2006 n. 7825).

5. Con il secondo mezzo d'impugnazione il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 155 c.c. e degli artt. 112, 113 e 342 c.p.c., nullità della sentenza e del procedimento, nonchè carenza di motivazione riguardo all'affidamento del figlio.

Il figlio Ma., nato il (OMISSIS) ed interdetto, era già maggiorenne al momento della pronuncia di primo grado e non poteva essere affidato dal Tribunale alla madre, a cui era stata assegnata la tutela e che non aveva chiesto l'affidamento. La Corte d'appello, di fronte alla richiesta dell'appellante di totale riforma della sentenza appellata e, in subordine, di affido congiunto, non aveva in alcun modo motivato la conferma delle statuizioni del giudice di primo grado.

Nell'atto di appello si era motivato a lungo sugli errori compiuti dal giudice di primo grado, sull'erronea ed infondata valutazione negativa della figura del marito, sull'ingiustificata delegittimazione ed emarginazione di quest'ultimo anche in ordine ai rapporti con il figlio, il quale, proprio a causa delle cagionevoli condizioni di salute, aveva particolare bisogno del contributo affettivo ed assistenziale di entrambi i genitori, sicchè la censura all'operato del giudice di appello si estendeva anche alla falsa applicazione dell'art. 342 c.p.c., laddove era stato ritenuto che la censura mossa dall'appellante in ordine all'affidamento non soddisfacesse i requisiti stabiliti da tale norma.

Parimenti ultra petitum era, secondo il ricorrente, la pronuncia relativa ai rapporti economici nella parte in cui, diversamente da quanto richiesto dalla controparte nelle proprie conclusioni del primo grado di giudizio, erano state poste a carico del marito, in aggiunta all'assegno mensile, anche le spese delle utenze domestiche della casa coniugale.

La controricorrente eccepisce che l'affidamento del figlio alla madre e l'assegnazione alla medesima della casa coniugale non avevano formato oggetto di appello, con la conseguenza che tali questioni non potevano essere sollevate in cassazione. Per la stessa ragione doveva essere ritenuta inammissibile la censura di ultrapetizione mossa alla sentenza di primo grado.

6. Il motivo è inammissibile.

Effettivamente, come sostenuto dalla controricorrente, la questione della non affidabilità del figlio, perchè maggiorenne, non ha formato oggetto del giudizio di secondo grado - essendosi il F. limitato a chiedere l'affidamento congiunto del figlio, che il Tribunale aveva affidato alla madre - sicchè essa non può essere introdotta in questa fase di legittimità.

Nemmeno il mancato accoglimento della domanda di affidamento congiunto può essere censurato in questa sede, avendo lo stesso ricorrente dedotto che la raggiunta maggior età del figlio impedisce l'affidamento del medesimo ad uno dei genitori ai sensi dell'art. 155 c.c..

La pronuncia del giudice di primo grado di assegnazione della casa coniugale alla D., così come la decisione del Tribunale di porre a carico del F., in aggiunta all'assegno mensile per il mantenimento della moglie e del figlio, anche il pagamento delle utenze domestiche della casa coniugale, non hanno formato oggetto di impugnazione in appello e, conseguentemente, le relative questioni, sollevate con il ricorso per Cassazione, non possono essere prese in considerazione da questa Corte.

7. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come nel dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente in ragione della soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.500,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre