Autonomia privata ed
accordi di ristrutturazione dei debiti

 

Relazione svolta da Enrico Gabrielli al Convegno "Contratto e crisi d'impresa" tenutosi a Verona il 19 e 20 maggio 2006. Lo scritto è destinato agli Studi in onore di Nicolò Lipari.

 

 

 

Sommario:

1. Premessa

2. Il problema del recupero dell'economicità aziendale e la composizione negoziale della crisi

3. L'art. 182-bis legge fallimentare

4. I presupposti e le parti dell'accordo

5. "Accordi" ed "accordo" di ristrutturazione

6. I contenuti e l'oggetto dell'accordo

7. L'accordo di ristrutturazione come operazione economica. Struttura e natura della fattispecie

8. L'efficacia e l'opponibilità: gli effetti verso i creditori aderenti. Gli effetti verso i creditori estranei

9. Conclusione

 

1. Premessa.

 

Monsieur Victor Alexis Désiré Dalloz, avvocato alla Corte di Cassazione di Parigi, nella sua "Giurisprudenza dei fallimenti, delle bancherotte, e della decozione", pubblicata in Italia nel 1833, trattando del "concordato" affermava che "ottenere un concordato dai creditori è oggi quello che prima dicevasi comporre il debito; le parole concordato, composizione di debito hanno, parlando legalmente, lo stesso preciso significato, è la sostituzione di un vocabolo ad un altro".

 

Da allora ad oggi tanta acqua è passata sotto i ponti della Senna, ma forse, "parlando legalmente" come direbbe monsieur Dalloz, poco è cambiato, come vedremo, quando sul piano dell'autonomia privata si discute del rapporto tra debitore e creditori al fine di scongiurare la crisi, l'insolvenza e quindi il fallimento.

 

2. Il problema del recupero dell'economicità aziendale e la composizione negoziale della crisi

 

Il problema del recupero dell'economicità aziendale e della salvezza dell'impresa in crisi, con la conseguente conservazione dei suoi valori, è da tempo uno dei temi più dibattuti e ricorrenti nella dottrina del diritto fallimentare, poiché in un moderno sistema di circolazione della ricchezza la soluzione di tale problema rappresenta una delle aspirazioni più sentite per un legislatore che possa effettivamente definirsi efficiente e che tenda ad evitare che sui mercati possa manifestarsi, a seguito della crisi di una o più imprese, il c.d. rischio sistemico.

 

La composizione negoziale dell'insolvenza è così da sempre fenomeno noto alla prassi e come tale ha suscitato l'attenzione degli interpreti, i quali, nel silenzio della legge fallimentare, prima della sua recente modifica attuata con il d.l. 14-3-2005, n. 35 (poi convertito nella l. 14-3-2005, n. 80), hanno inteso la formula, di derivazione aziendalistica, "ristrutturazione dei debiti"(1), nel senso della rinegoziazione da parte del debitore delle proprie esposizioni, al fine di operarne una novazione o una modificazione idonea a prevenire(2) o a rimuovere lo stato di decozione, per attuare un piano di risanamento dell'impresa, sul presupposto che vi sia una ragionevole prospettiva di reversibilità della crisi(3).

 

L'esigenza sottostante agli accordi di ristrutturazione infatti aveva prima di allora trovato una qualche forma di soluzione unicamente nel diritto degli affari, che, come spesso accade, precede il legislatore inerte nel tentativo di rinvenire all'interno del sistema, ovvero mediante il ricorso all'autonomia privata, strumenti formali o tecniche negoziali che possano consentire all'imprenditore in crisi di superare una fase di temporanea difficoltà mediante un accordo con il ceto dei creditori, a seguito del quale l'impresa possa evitare la dichiarazione di fallimento, ovvero, più proficuamente, recuperare la propria stabilità patrimoniale e finanziaria e ricollocarsi così sul mercato.

 

La figura degli accordi stragiudiziali, in realtà, era stata preceduta, nel progetto di riforma elaborato nel 2003 dalla Commissione Trevisanato, da alcuni tentativi di edificazione di fattispecie analoghe: la procedura di composizione stragiudiziale della crisi; le procedure di allerta e di prevenzione, ed altre, il cui scopo fondamentale era quello di prevenire la crisi e comunque di evitarne gli effetti più traumatici (quale quello del dissolvimento, a seguito dell'attività di liquidazione dei beni, dell'impresa).

 

L'intervento legislativo in tema di procedure concorsuali rivela, dunque, tra le proprie linee di fondo, la volontà di favorire le ipotesi di composizione negoziale dell'insolvenza, di affidare cioè la gestione della crisi di impresa ai soggetti direttamente coinvolti dal dissesto, riconoscendo loro la possibilità di promuovere e definire soluzioni pattizie alternative (ed in ipotesi insensibili) alla dichiarazione di fallimento.

 

La prassi, del resto, da tempo conosceva tecniche di recupero e di salvataggio dell'impresa in crisi, alcune di fonte legislativa (quale ad esempio quella prevista dalla legge bancaria e consistente nella cessione delle attività e passività ex artt. 58 e 90 t.u. l. banc.)(4), altre rimesse all'inventiva degli operatori del settore, e prevalentemente consistenti nelle cc.dd. convenzioni bancarie e negli accordi di ristrutturazione dei debiti dell'impresa conclusi in forma stragiudiziale, e quindi mediante convenzioni ed atti di autonomia privata.

 

La conclusione di accordi stragiudiziali, prima dell'introduzione nel sistema dell'art. 182-bis l. fall., doveva però sempre e comunque essere posta in relazione con il rischio della successiva dichiarazione di fallimento e le sue conseguenze.

 

L'accordo stragiudiziale, vincolante solo per le parti, non impediva, infatti, in presenza del presupposto oggettivo dell'insolvenza, la successiva dichiarazione di fallimento, accertato dal tribunale d'ufficio, ovvero, su ricorso di parte e quindi tale accordo diveniva suscettibile, per un verso, di azioni revocatorie, ovvero di azione diretta a far valere l'abusiva concessione del credito; per un altro, di comportamenti qualificabili, sotto diversi profili, in termini di rilevanza penale, con l'ulteriore pericolo per gli aderenti all'accordo di essere coinvolti in un concorso in bancarotta preferenziale.

 

Gli accordi di ristrutturazione erano dunque in bilico tra possibilità di operare il risanamento dell'impresa e il rischio di avere invece concorso ad aggravarlo.

 

Le parti (imprenditore in crisi e suoi creditori), pertanto, piuttosto che ricorrere a tali accordi oggettivamente privi di qualsiasi protezione, preferivano sovente il più agevole salvataggio offerto dal susseguirsi di procedure concorsuali. Si iniziava con l'amministrazione controllata, per poi passare al concordato preventivo e sfociare quindi nella dichiarazione di fallimento; oppure, di fronte alle difficoltà di congegnare piani di risanamento che esponevano, da un lato, i creditori "al rischio della successiva insolvenza", e, dall'altro, i soci dell'impresa alla necessità di apportare con sollecitudine ed immediatezza finanza aggiuntiva (anch'essa peraltro soggetta al pericolo di rivelarsi insufficiente per far fronte alle immediate scadenze nei pagamenti e quindi in seguito irrecuperabile in caso di successiva insolvenza), si sceglieva direttamente il più docile approdo offerto dal concordato preventivo, nella speranza che l'impresa, una volta conclusa la fase di liquidazione con la soddisfazione dei creditori del concorso secondo le percentuali a loro riservate dalla legge del concordato, potesse ritornare sul mercato, e in certi casi perfino essere nuovamente ammessa alla quotazione.

 

3. L'art. 182-bis legge fallimentare

 

Nel quadro sinteticamente delineato si può utilmente collocare l'art. 182-bis l. fall. di recente introdotto nel nostro sistema, dato che la fattispecie, insieme al novellato istituto del concordato preventivo, sembra essere l'istituto che più di ogni altro dovrebbe realizzare l'obiettivo del risanamento non traumatico della crisi d'impresa, effettuato mediante atti negoziali.

 

L'art. 182-bis, sul piano della disciplina, pone rimedio ad alcuni dei rischi, di cui si è detto, connessi all'eventuale successiva dichiarazione di fallimento dell'imprenditore.

 

Il legislatore fallimentare con l'art. 182-bis, infatti, ha voluto proteggere gli accordi conclusi tra imprenditore e suoi creditori dalla falcidia revocatoria, dato che questo è l'effetto legale tipico di tali accordi, a seguito della loro omologazione. Effetto che è disciplinato in un luogo diverso dall'art. 182-bis l. fall., poiché è previsto nel novellato art. 67, 2° co., lett. e), ove si stabilisce l'esenzione dalla revocatoria fallimentare degli atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione di un accordo di ristrutturazione omologato.

 

La figura dell'accordo omologato - che il legislatore ha volutamente dotato di una sua autonomia funzionale e strutturale rispetto al concordato preventivo(5) - nelle intenzioni del legislatore appare volta alla valorizzazione dell'autonomia privata nelle procedure concorsuali.

 

L'affermazione, che accompagna di frequente le riflessioni degli interpreti in materia, può certamente essere condivisa, ma si tratta di precisarne sia il contenuto, sia i limiti, al fine di collocarla in un corretto quadro sistematico e di evitare che, per un verso, rimanga una mera enunciazione di principio priva di un concreto valore costruttivo; per un altro, che divenga una sorta di schermo protettivo dietro il quale giustificare quelle costruzioni di c.d. "ingegneria concorsuale" che in realtà sovente nascondono vere e proprie operazioni illecite o comunque poste in essere in frode ai creditori o ad alcune delle loro possibili "classi"(6).

 

Sul terreno delle costruzioni concettuali e della disciplina applicabile, però, la nor-ma se da un lato elimina oramai ogni dubbio in ordine alla liceità ed alla ammissibilità degli accordi di ristrutturazione, di cui pure qualcuno aveva nel tempo dubitato(7); dall'altro, si rivela lacunosa e frutto di imprecisioni linguistiche(8).

 

L'art. 182-bis, infatti, non è sul punto esaustivo, dato che si limita ad indicare modalità, forme, tempi e sequenze procedimentali degli accordi, dei quali tuttavia non indica né il contenuto minimo essenziale, che rimette all'autonomia delle parti, né gli effetti tipici che, come detto, si rinvengono nell'art. 67, lett. e) l. fall., ove viene prevista la disciplina di protezione dall'inefficacia revocatoria.

 

Il che rende ancor più significativo lo sforzo ricostruttivo cui è chiamato l'interprete che voglia sistematicamente collocare la fattispecie nel contesto del diritto comune dei contratti e degli atti di privata autonomia.

 

4. I presupposti e le parti dell'accordo

 

Sul terreno della disciplina della fattispecie, e segnatamente dei suoi presupposti, occorre rilevare che, sul piano soggettivo, gli accordi di ristrutturazione possono essere conclusi dall'imprenditore commerciale soggetto al fallimento o all'amministrazione straordinaria(9).

 

Sul piano dei soggetti la legge non specifica quale tipologia di creditore possa prendere parte all'accordo, così come non identifica i creditori estranei all'accordo stesso.

 

Si deve tuttavia reputare che all'accordo possano partecipare anche soggetti terzi, vale a dire "non creditori" dell'imprenditore che propone l'accordo, e ciò proprio in considerazione della funzione di recupero dell'impresa che l'accordo persegue, al quale potranno ad esempio prendere parte quei soggetti che apportino finanza aggiuntiva, ovvero che concludano operazione di acquisto di beni dell'imprenditore (appositamente previste come parte dell'accordo, o della relazione che l'accompagna).

 

Con riferimento, invece, al presupposto oggettivo la norma tace.

 

Non è infatti espressamente previsto che una situazione di insolvenza o uno stato di crisi siano tra i presupposti per proporre l'accordo e ottenerne l'omologazione.

 

Il silenzio con specifico riguardo alla fattispecie appare, comunque, poco significativo, atteso che, per un verso, la collocazione dell'istituto nell'ambito del capo che disciplina (anche) il concordato preventivo, e dunque nel luogo che governa i rimedi alternativi alla dichiarazione di fallimento, richiama la conclusione che gli accordi si pongano in ogni caso nell'ambito di una situazione di crisi dell'imprenditore; per un altro, la nozione di crisi, secondo alcuno, dovrebbe essere intesa come "concetto di genere", comprensivo sia dello stato di insolvenza, sia del c.d. pericolo di insolvenza(10).

 

A fugare ogni dubbio in tal senso dovrebbe ora comunque soccorrere il 2° co. dell'art. 160 l. fall., ove si precisa che "ai fini di cui al primo comma per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza".

 

Sul piano della legittimazione ci si deve piuttosto chiedere se l'imprenditore il quale non versi in una situazione di crisi possa chiedere l'omologazione dell'accordo, e quindi ottenere il conseguente beneficio che ne deriva in caso di successivo fallimento.

 

In assenza di tale presupposto (che non è espressamente indicato dalla norma, ma che dovrebbe, per implicito, ricavarsi dal sistema, anche in ragione della collocazione dell'art. 182-bis), il beneficio connesso alla protezione dal pericolo della falcidia revocatoria gli dovrebbe essere negato con il rigetto dell'omologa(11).

 

Se così non fosse, infatti, la conclusione dell'accordo, in carenza del suo presupposto oggettivo (che ovviamente l'imprenditore avrebbe l'onere di provare nel momento in cui chiede l'omologazione, dato che siffatto accertamento nel merito è oramai precluso al tribunale), potrebbe assolvere, a vantaggio dell'imprenditore (non in crisi) ma che viceversa assumesse di trovarsi in tale situazione, ad una funzione elusiva del regolare adempimento delle proprie obbligazioni, nei confronti dei creditori "aderenti" all'accordo.

 

L'accordo, in tal caso, finirebbe per risolversi in un escamotage dell'imprenditore per ottenere nei loro confronti una rinegoziazione delle proprie esposizioni debitorie, che metta gli atti posti in essere in esecuzione dell'accordo medesimo al riparo da un'ipotetica inefficacia (derivante da un successivo fallimento) approfittando del c.d. l'ombrello protettivo offerto dalla disciplina dell'art. 67, lett. e) che, al contrario, sarebbe precluso ai creditori non aderenti, i quali resterebbero così colpiti dalla falcidia revocatoria.

 

Occorre infatti porre in evidenza che poiché non è normativamente previsto un limite temporale di durata dell'esenzione, ma è unicamente richiesto l'accertamento che si tratti di un mero atto esecutivo di un accordo omologato di ristrutturazione, l'effetto di esonero potrebbe prodursi anche per un lungo ed indeterminabile periodo(12).

 

5. "Accordi" ed "accordo" di ristrutturazione

 

L'art. 182-bis stabilisce che il debitore può depositare, con la dichiarazione e la documentazione di cui all'art. 161 l. fall., un accordo di ristrutturazione dei debiti(13).

 

Sul piano esegetico ci si può chiedere anzitutto perché la rubrica della norma usi il termine accordo al plurale, mentre il suo contenuto precettivo usi la formula al singolare.

 

La discrasia può essere spiegata (ammesso che sia frutto di consapevole scelta operata dal redattore della norma) reputando che il legislatore abbia voluto guardare la fattispecie nella pluralità delle forme mediante le quali, come detto, tali convenzioni possono in concreto presentarsi.

 

L'accordo infatti può ben comporsi di un unico atto, ovvero essere caratterizzato da una pluralità, da un fascio, di accordi conclusi con i creditori, ovvero soltanto con alcune loro classi.

 

Le singole convenzioni o pattuizioni che compongono "l'accordo", in ogni caso, seppur separatamente concepite e concluse, sono comunque tra loro funzionalmente collegate al fine del superamento della crisi, dando in tal modo luogo ad un'operazione economica funzionalmente unitaria.

 

L'accordo può così presentare condizioni economiche e termini di adempimento differenziati nelle singole convenzioni che lo compongono, in ragione della diversità e pluralità degli interessi in gioco.

 

L'art. 182-bis l. fall., in definitiva, stabilisce solo i limiti quantitativi (partecipazione di almeno il sessanta per cento dei creditori(14)) e qualitativi (necessaria idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei) dell'accordo, quale cornice entro la quale il potere di autonomia delle parti può realizzare forme di composizione e regolazione della crisi d'impresa e, per l'effetto, anche di prevenzione dell'insolvenza.

 

6. I contenuti e l'oggetto dell'accordo.

 

Sul piano della costruzione di tali accordi, un profilo particolarmente significativo assume il rapporto tra il loro contenuto e il potere di autonomia dei privati: la norma infatti parla di "ristrutturazione dei debiti", sicché l'oggetto dell'accordo sono i debiti.

 

La loro ristrutturazione, e quindi il recupero dell'economicità dell'impresa e della sua capacità di far fronte all'adempimento delle proprie obbligazioni, unitamente alla protezione di tali atti dalla falcidia revocatoria, rappresenta invece il profilo dinamico della fattispecie.

 

L'effetto immediato dell'omologazione dell'accordo sarà dunque quello, per un verso, di assicurare il regolare ed integrale pagamento dei debiti verso i creditori "estranei"; per un altro verso, di "ristrutturare" i debiti con l'assunzione di nuove obbligazioni nei confronti dei creditori "aderenti" e degli eventuali terzi.

 

Occorre infatti ribadire che legittimati a partecipare all'accordo non sono soltanto i creditori dell'imprenditore in crisi, ma qualunque "terzo" (ad esempio finanziatore bancario) che voglia essere parte del negozio di ristrutturazione.

 

L'effetto conseguente e non meno rilevante sarà quello di conservare, anche mediante l'ingresso della c.d. nuova finanza, il valore economico e la funzionalità dell'impresa e quindi non solo di rimuovere lo stato di crisi o di prevenire quello di insolvenza, ma di operare un vero e proprio rilancio dell'attività d'impresa.

 

L'accordo (sia concepito come unico, sia come fascio di accordi) avrà quindi contenuti dei più vari, in ragione della varietà delle situazioni da disciplinare e degli interessi in concreto coinvolti, anche se nella sua costruzione dovrà perseguire la duplice prospettiva di soddisfazione sia degli interessi dei creditori "estranei", sia di quelli "aderenti".

 

In particolare, per quanto riguarda i creditori estranei, l'accordo (e la connessa e collegata relazione dell'esperto) non potrà che limitarsi a prevedere tempi, modalità e condizioni per assicurare il loro regolare pagamento; diversamente, per i creditori aderenti(15) potrà invece essere costruito scegliendo all'uopo tra i numerosi strumenti e modelli negoziali presenti nell'ordinamento.

 

L'accordo per le regole e le clausole di cui si compone deve infatti essere in grado di agire, sull'insieme dei rapporti obbligatori preesistenti, mediante l'assunzione ad opera delle parti di obbligazioni connesse e coerenti con il fine perseguito.

 

I creditori aderenti potranno così obbligarsi a tenere nei confronti dell'imprenditore determinati comportamenti sia in chiave sostanziale (ad esempio con l'assunzione, da parte del creditore di obbligazioni a carattere negativo in ordine alla sospensione del diritto dei vari creditori bancari, commerciali, ecc., di chiedere ed ottenere l'adempimento della prestazione dovuta, la quale potrà variamente atteggiarsi, e quindi avere riguardo ad un determinato periodo di tempo, ovvero per sempre, ovvero fino al ricorrere di determinate circostanze), sia in chiave processuale (ad esempio con l'astensione dall'attivazione di procedure di recupero coattivo del credito); producendo in tal modo, rispetto alle precedenti obbligazioni, vuoi la loro estin-zione, vuoi una modificazione, vuoi, ancora, una combinazione tra le due ipotesi, che sia in grado di eliminare lo stato di crisi o di insolvenza in cui versa l'impresa.

 

Il negozio sarà dunque prevalentemente caratterizzato dall'adozione sia di modelli, anche parzialmente, estintivi e satisfattivi diversi dall'adempimento; sia di schemi puramente dilatori e non satisfattivi; sia di atti aventi natura e funzione dismissiva come la cessione parziale o totale dei beni ai creditori o a terzi; sia da pattuizioni aventi ad oggetto modalità operative di gestione della crisi, quali l'assunzione di particolari impegni di consultazione, o di rinegoziazione di patti, clausole o contratti(16).

 

L'accordo in tale direzione potrà essere costruito facendo leva su disposizioni tendenti al rifinanziamento dell'impresa, sia ad opera degli stessi creditori, sia di terzi, allo scopo di consentirne la ristrutturazione e la prosecuzione dell'attività(17); nonché mediante la concessione da parte del proponente di garanzie negative, che come è noto in alcune esperienze giuridiche continentali vengono collocate tra le tecniche di risanamento della crisi aziendale, ed in particolare tra quelle stragiudiziali, che operano nella fase antecedente allo svolgimento delle procedure concorsuali(18).

 

Resta ferma, inoltre, l'adottabilità di tutti gli altri schemi suggeriti dalla prassi, ed in parte recepiti positivamente nell'art. 160 l. fall., lett. a), in tema di concordato preventivo, che non a caso contiene anche la formula "ristrutturazione dei debiti".

 

7. L'accordo di ristrutturazione come operazione economica. Struttura e natura della fattispecie

 

L'art. 182-bis, pur rubricato sotto il titolo di accordi di ristrutturazione dei debiti, non detta dunque una disciplina dei relativi accordi, ma del procedimento per la produzione dei loro effetti.

 

La fattispecie normativa infatti si caratterizza in due fasi: la prima stragiudiziale riservata al potere di autonomia dei privati; la seconda giudiziale, per cui l'accordo necessita dell'intervento del giudice per produrre erga omnes gli effetti che gli sono propri.

 

L'accordo, in sé e per sé considerato, si configura dunque come atto di autonomia privata inserito in un procedimento giurisdizionale. La coerenza di un sistema concorsuale permeato da una disponibilità, sia pure limitata, dell'insolvenza, ovvero, più in generale della crisi d'impresa, presuppone l'esistenza di un equilibrato coordinamento tra l'autonomia dei privati ed i poteri del giudice.

 

La giurisprudenza che si è occupata del problema ha del resto di recente sostenuto che "l'intento di valorizzare l'autonomia privata per la gestione della crisi dell'impresa si è concretamente manifestato con l'introduzione di un sistema di soluzioni stragiudiziali, la cui efficacia sia garantita da un provvedimento di omologazione da parte dell'autorità giudiziaria che riguardi, peraltro, il solo controllo di legalità e di correttezza della procedura svolta"(19).

 

Il procedimento che conduce al fine perseguito dalla norma si articola mediante un susseguirsi di atti, e di attività, organizzati secondo la scansione del procedimento, e si completa soltanto in presenza dell'insieme, teleologicamente ordinato e funzionalmente connesso, degli elementi sostanziali e formali descritti dalla norma: accordo, pubblicazione, omologazione.

 

Tale procedimento rappresenta un'ulteriore ipotesi nella quale si assiste alla concorrente presenza della volontà dei privati e dell'intervento del giudice sugli atti di autonomia priva, che può strutturalmente scandirsi in tre fasi: preliminare, costitutiva, integrativa dell'efficacia(20).

 

Nella fase preliminare si assiste alla formazione della volontà delle parti (imprenditore, creditori ed eventuali terzi) che dà luogo ad un negozio plurilaterale con comunione di scopo(21), ovvero ad una pluralità di negozi bilaterali, qualora l'accordo si componga di un fascio di negozi tra loro diversi per i singoli contenuti sostanziali, ma in ogni caso funzionalmente collegati dal comune intento: la rimozione dello stato di crisi.

 

Negozio che, nel primo caso, potrà essere soggettivamente aperto all'adesione non solo del necessario sessanta per cento dei creditori, ma, a seconda della tecnica negoziale impiegata, anche di altri eventuali creditori che, in un tempo successivo (e direi fino al limite dato dal deposito dell'accordo, o dei singoli accordi, per la pubblicazione presso il registro delle imprese), vorranno aderirvi.

 

Ne segue che sia in caso di unico accordo, sia in caso di una pluralità di negozi che compongono l'accordo, unica è tuttavia l'operazione economica divisata dalle parti, così che in sede di disciplina concreta di tali accordi si deve avere riguardo non ai singoli segmenti che la compongono, ma all'operazione unitariamente considerata.

 

L'accordo ex art. 182-bis l. fall. configura infatti un'operazione economica unitaria(22), dato che, pur nella pluralità e diversità dei negozi che possono concorrere a costruirla, unico è l'effetto perseguito e realizzato: la rimozione della crisi, il regolare pagamento dei creditori estranei, la protezione dalla revocatoria degli atti e dei pagamenti effettuati in esecuzione dell'accordo.

 

Sicché ai fini sia della sua pubblicazione, sia della sua omologazione, "l'accordo" deve essere comunque unitariamente valutato, nel suo trattamento giuridico, con la conseguenza che l'omologazione (anche in presenza di un fascio di accordi) avrà ad oggetto "l'accordo" nella sua unità formale e non i singoli "accordi" atomisticamente considerati.

 

Nel caso dell'accordo di ristrutturazione l'unità dell'operazione, peraltro, trova conferma se la fattispecie viene guardata sul piano della disciplina dei suoi effetti patologici, giacché di volta in volta si tratterà di considerare se, a seconda di come essa è stata in concreto costruita (contratto plurilaterale con comunione di scopo ovvero collegamento tra negozi), l'eventuale vizio di uno dei singoli accordi (ovvero il suo inadempimento) sia in grado di far venir meno l'intero accordo, oppure se questo sopravviva comunque ai suoi singoli segmenti(23).

 

La fase costitutiva si caratterizza invece per la pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese: da quel giorno l'accordo acquista efficacia.

 

Tale efficacia, tuttavia, senza l'omologazione, non fa salvi sul piano dell'opponibilità, e quindi anche del concorso esecutivo, gli atti compiuti prima dell'omologazione.

 

L'omologazione chiude quindi il procedimento.

 

Il decreto di omologazione emesso dal tribunale competente, infatti, è un elemento esterno ed estraneo alla fattispecie, ma integrativo della stessa, dato che esso si configura come fatto impeditivo della condizione risolutiva dell'accordo, sicché il rigetto dell'omologazione rappresenta il fatto risolutivo dell'accordo medesimo.

 

8. L'efficacia e l'opponibilità: gli effetti verso i creditori aderenti. Gli effetti verso i creditori estranei

 

Il profilo degli effetti è stato relegato dal legislatore nella laconica enunciazione secondo cui "l'accordo acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione nel registro delle imprese"(24).

 

Si pone allora il problema di segnare le linee di demarcazione dell'efficacia dell'accordo.

 

A tal fine appare opportuno operare una partizione secondo le scansioni temporali lungo le quali si articola il procedimento distinguendo - in caso di successivo fallimento dell'imprenditore proponente l'accordo - la posizione delle differenti figure di creditori (aderenti o estranei) nella fase anteriore e in quella posteriore, sia alla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese, sia alla sua omologazione.

 

I pagamenti e gli atti effettuati dai creditori aderenti prima della pubblicazione dell'accordo sono soggetti alla dichiarazione d'inefficacia revocatoria.

 

I pagamenti e gli atti effettuati dai creditori aderenti dopo la pubblicazione dell'accordo e dopo la sua omologazione sono esenti dalla falcidia revocatoria, anche in caso di successivo fallimento dell'imprenditore.

 

Dubbia è invece, in ordine alla loro esenzione o meno dalla falcidia revocatoria, la sorte, in caso di successivo fallimento dell'imprenditore, dei pagamenti effettuati dopo la pubblicazione dell'accordo, ma prima della sua omologazione(25).

 

Un discorso diverso riguarda gli effetti nei confronti dei creditori "estranei".

 

L'obbligo del pagamento "regolare" per i creditori estranei, e quindi l'assenza di qualsiasi vincolatività per loro dell'accordo, comporta, infatti, una serie di conseguenze, che vanno al di là del problema relativo al significato della formula legislativa "assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei".

 

Gli interpreti, che finora si sono occupati della norma, propendono per intendere la formula nel senso di pagamento effettuato per intero e alla normale scadenza(26), poiché l'accordo con i creditori aderenti avrebbe anche lo scopo di liberare risorse finanziarie idonee a estinguere le passività nei confronti degli estranei(27).

 

Non si potrebbe infatti interpretare la locuzione né come pagamento effettuato con mezzi normali, poiché essa viene invocata dalla legge fallimentare a tutt'altri fini(28); né, come pure è stato prospettato in giurisprudenza, si potrebbe intendere il pagamento come «nella stessa misura offerta ai creditori aderenti»(29).

 

Rispetto a quest'ultima soluzione si è osservato che una lettura di questo tipo provocherebbe un incremento di ricorsi ex art.182-bis l. fall., in ragione del fatto che "il debitore potrebbe: a) pagare in percentuale i debiti privilegiati - di tutti - avendo negoziato il consenso solo con alcuni; b) pagare i debiti chirografari lasciando a costoro la sola possibilità di fare opposizione all'omologa (ma senza coinvolgerli preventivamente) entro il termine perentorio di trenta giorni, decorrente da una data - l'iscrizione nel registro delle imprese - di non agevole conoscibilità"(30).

 

L'efficacia dell'accordo ex art. 182-bis non può dunque estendersi al di là della cerchia delle parti che l'hanno sottoscritto, così che qualsiasi effetto da esso derivante che avesse come risultato quello di deprimere o svilire sia l'entità, sia il tempo di adempimento del credito dei non aderenti, non potrebbe che qualificarsi come atto in danno del creditore estraneo e come tale essere giuridicamente trattato, dato che una sostanziale modificazione dei poteri connessi alla pretesa creditoria dei non aderenti non troverebbe allo stato giustificazione alcuna.

 

Al medesimo tempo non è prevista alcuna protezione, né sospensione, (né prima della pubblicazione dell'accordo, né nel periodo intermedio tra la pubblicazione e l'omologazione, né dopo questa) del patrimonio del debitore nei confronti delle azioni esecutive o delle istanze di fallimento avanzate dai creditori non aderenti, con la conseguenza che l'imprenditore si troverà comunque sempre esposto all'aggressione esecutiva dei creditori estranei (sia di quelli anteriori all'omologa dell'accordo, che ad esempio non siano stati regolarmente pagati in esecuzione dell'accordo, sia di quelli successivi all'accordo).

 

La mancanza di un'efficacia preclusiva, o quanto meno sospensiva (come nel caso del concordato preventivo) di azioni esecutive sul patrimonio del debitore, nel periodo che corre tra il deposito dell'accordo e la sua omologazione, rappresenta un grave limite all'efficacia operativa della fattispecie, poiché la valutazione dell'accordo e della sua attuabilità, sia mediante la sicurezza del pagamento integrale e regolare dei creditori estranei, sia mediante la soddisfazione di quelli aderenti attuata con la "ristrutturazione" delle loro pretese, dovrebbe avere proprio il valore e la funzione di rimuovere le cause della crisi o dell'insolvenza.

 

In assenza di un'esplicita previsione in tal senso infatti rimane la libertà per i creditori estranei all'accordo di chiedere il fallimento dell'imprenditore che ha proposto l'accordo, anche quando è in corso il procedimento di omologazione, ovvero in corso di esecuzione dell'accordo medesimo(31). Tale libertà, in caso di successivo fallimento, tuttavia, diversamente dai creditori aderenti, non li sottrae dal rischio revocatorio per i pagamenti ricevuti e per gli atti posti in essere nel periodo anteriore alla dichiarazione di fallimento, dato che il c.d. "ombrello giudiziario", di cui agli artt. 67, lett. e) e 182-bis, non li ripara.

 

In conclusione, rispetto agli accordi stragiudiziali che la prassi già da tempo conosceva ed impiegava, per i creditori aderenti all'accordo di ristrutturazione l'unico effetto, in caso di successivo fallimento dell'imprenditore proponente, è l'esonero dalla revocatoria.

 

Si tratta di un rischio che, peraltro - visti i tempi oramai ristretti del periodo sospetto e quelli invece normalmente lunghi in cui si articola la procedura di ristrutturazione, prima dell'eventuale dichiarazione di fallimento dell'imprenditore proponente - finisce in realtà per essere limitato ad un arco temporale sufficientemente circoscritto.

 

Per i creditori "estranei" invece l'unico effetto è quello di rimanere liberi di agire per l'immediata realizzazione del proprio credito, ma rischiando così, come per il passato, la falcidia revocatoria o il concorso in bancarotta.

 

9. Conclusione

 

Il legislatore fallimentare, nel tentativo di ampliare il potere di autonomia dei privati per la soluzione della crisi d'impresa, con l'attuale disciplina degli accordi di ristrutturazione, come si è visto, ha finito in realtà per limitarne le potenzialità intrinseche, sicché, al di là di dell'effetto di esenzione dalla revocatoria per i soli creditori "aderenti", è forse oggettivamente lecito dubitare del suo effettivo valore innovativo.

 

Se dunque monsieur Victor Alexis Désiré Dalloz, oggi, dovesse essere chiamato a valutare l'istituto della ristrutturazione dei debiti, nonostante il lungo tempo da allora trascorso, sarebbe forse ancora indotto a ripetere che, tutto sommato, "le parole concordato, composizione di debito hanno, parlando legalmente, lo stesso preciso significato, è la sostituzione di un vocabolo ad un altro".

 

Autore: Enrico Gabrielli - Fonte: Esecuzione forzata, 2006, 3, 433

 

Note:

 

(1) Sull'impiego della formula "ristrutturazione dei debiti" cfr. le notazioni di FAUCEGLIA, Prime osservazioni sugli accordi di ristrutturazione dei debiti, DF, 2005, I, 842.

 

(2) Isolatamente OLIVA, Privatizzazione dell'insolvenza: inquadramento giuridico delle operazioni di ristrutturazione, Fa, 1999, 825 ss., prendeva in considerazione l'aspetto della prevenzione.

 

(3) L'elemento della reversibilità della crisi (e comunque della sua temporaneità) è positivamente contemplato nei due modelli di procedure stragiudiziali per il componimento del dissesto d'impresa: la c.d. amministrazione bancaria, così come regolata dalle istruzioni della Banca d'Italia del 23 giugno 1993 (sez. III, 3), in séguito alla direttiva comunitaria n. 89/146 ed al d.lg. 14-12-1992, n. 481, ed il "codice di comportamento tra banche per affrontare i processi di ristrutturazione atti a superare le crisi d'impresa" varato dall'Associazione bancaria italiana [su queste due figure cfr. BONFATTI, La "amministrazione bancaria" e i progetti di concertazione delle crisi, in BONFATTI e FALCONE (a cura di), Le procedure stragiudiziali per la composizione delle crisi di impresa. I "protagonisti", Milano, 1999, 37 ss.].

 

(4) Sulla quale mi permetto di rinviare a E. GABRIELLI, "Processo" e "negozio" nell'insolvenza bancaria, RiDP, 1999, 115 ss. (ora anche in ID., Studi sui contratti, Torino, 2000, 573 ss.); VATTERMOLI, Le cessioni "aggregate" nella liquidazione coatta amministrativa delle banche, Milano, 2001, 86; PERRINO, Le cessioni in blocco nella liquidazione coatta bancaria, Torino, 2005, 33 ss.; in giurisprudenza cfr. Cass., 25-9-1997, n. 9174, DB, 1999, 384, con nota di VATTERMOLI, Trasferimento d'azienda e cessione di attività e passività nella liquidazione coatta amministrativa delle banche; Cass., 2-3-2005, n. 4372, GC, 2006, I, 649.

 

(5) L'affermazione è oramai ricorrente, cfr., fra i più recenti per tutti, FABIANI, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l'incerta via italiana alla "reorganization", FI, 2006, I, 264; FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrut-turazione dei debiti (art. 182-bis legge fallim.) e gli effetti per coobbligati e fideiussori del debitore, DF, _2005, I, 857; JORIO, Le soluzioni concordate delle crisi d'impresa tra «privatizzazione» e tutela giudiziaria, _Fa, 2005, 1457; GIANNELLI, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento dell'impresa nella riforma delle procedure concorsuali. Prime riflessioni, DF, 2005, I, 1170; CANALE, Le _nuove norme sul concordato preventivo e sugli accordi di ristrutturazione, RDPr, 2005, 918; FAUCEGLIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge n. 80/2005, Fa, 2005, 1448; C. PROTO, Accordi di ristrutturazione dei debiti e tutela dei creditori, in AA.VV., La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, Milano, 2006, 300.

 

(6) Sul punto cfr. già E. GABRIELLI, Autonomia privata e procedure concorsuali, RiDP, 2005, 741.

 

(7) DIMUNDO, Pactum de non petendo e insolvenza, Fa, 1996, 905 ss., il quale, ritenendo non condivisibile l'acquiescenza a soluzioni interamente rimesse all'autonomia privata ed al suo ruolo di supplenza normativa, osserva che "nei secoli l'insolvenza dell'impresa mai è stata considerata come una situazione da abbandonare all'autonomia, all'arbitrio ed all'inventiva dei privati. Non si è considerato, in altri termini, che l'abbandono delle crisi dell'impresa all'iniziativa dei creditori forti è un fenomeno patologico che non va subìto con rassegnazione, come il meno peggio, ma che dev'essere rimosso, provvedendo con leggi a soddisfare le esigenze nuove che lo provocano"; in senso contrario cfr., però, G. ROSSI, Crisi delle imprese: la soluzione stragiudiziale, RS, 1996, 321.

T. Ferrara, 28-6-1980, GCo, 1981, II, 306 ss., con nota critica di MENGHI, Il concordato stragiudiziale: variazioni minime ad una voce per una grande fuga sul tema, secondo cui l'ambito di applicazione del concordato stragiudiziale sarebbe limitato alla sola ipotesi in cui l'impren-ditore non insolvente decida di chiudere la propria attività tacitando i creditori con pagamenti decurtati.

 

(8) Il giudizio negativo è ricorrente in dottrina, cfr. da ultimo PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, BBTC, 2006, I, 20.

 

(9) PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 30.

 

(10) PRESTI, op. cit., 31.

 

(11) Le opinioni sul punto sono discordi: per il loro esame cfr. FABIANI, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l'incerta via italiana alla "reorganization", cit., 263.

In giurisprudenza, cfr. T. Bari, decr. 21-11-2005, FI, 2006, I, 263, con nota di FABIANI, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l'incerta via italiana alla "reorganization", Fa, 2006, 171 con nota di PRESTI, L'art. 182-bis al primo vaglio giurisprudenziale, secondo cui "il presupposto soggettivo è il medesimo del fallimento: deve trattarsi di un imprenditore commerciale privato, non piccolo ex art. 1 l. fall., che versi tuttavia, ai sensi del novellato art. 160 l. fall. in 'stato di crisi'".

 

(12) C. PROTO, Accordi di ristrutturazione dei debiti e tutela dei creditori, cit., 294.

 

(13) Sul piano sostanziale, un primo dubbio interpretativo, emerge dal corretto significato da attribuire alla formula "dichiarazione", dato che il termine non compare nel corpo dell'art. 161 l . fall., che è invece richiamato dall'art. 182-bis.

L'imprecisione del legislatore sembra tuttavia riferibile allo strumento formale richiesto per la presentazione dell'accordo, che, come nel caso del concordato preventivo, dovrà essere depositato, al fine di ottenere l'omologa, mediante lo strumento del ricorso.

 

(14) Sul problema delle modalità di calcolo di tale percentuale, cfr. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 24.

 

(15) Nel silenzio della disposizione si deve ritenere che la percentuale sia individuabile a prescindere dall'esistenza di ragioni di prelazione in capo al creditore.

 

(16) Per un'indicazione esemplificativa di tali contenuti, cfr. C. PROTO, op. cit., 298.

 

(17) CANALE, op. cit., 913.

 

(18) Sul punto mi permetto di rinviare a E. GABRIELLI, Il pegno, in Tratt. di dir. civ., dir. da Sacco, Torino, 2005, 58 ss.

 

(19) Trib. Bari, decr. 21-11-2005, cit.

 

(20) Cfr., per un'ipotesi analoga, E. GABRIELLI, Poteri del giudice ed equità del contratto, CeI, 1991, 494 ss.

 

(21) Sul punto, cfr. anche PRESTI, op. cit., 20, nt. 8; C. PROTO, op. cit., 302.; T. Brescia, 22-2-2006, Fa, 2006, 669.

 

(22) Cfr. E. GABRIELLI, Il contratto e l'operazione economica, RDC, 2003, I, 93 ss.

 

(23) Sul punto cfr. anche C. PROTO, op. cit., 302.

 

(24) Sull'ambiguità della formulazione, e sui problemi di disciplina che suscita, cfr. PRESTI, op. cit., 37.

Sul punto va rilevato che la sinteticità della norma non prevede gli effetti dell'accordo sul piano della circolazione dei diritti per l'ipotesi in cui nell'accordo sia prevista la cessione o comunque la circolazione di beni mobili o immobili soggetti a trascrizione. In tal caso infatti la pubblicazione nel registro delle imprese non sarà sufficiente e si dovrà operare con gli strumenti normativi offerti da quest'ultima disciplina per tutelare l'accordo dalle pretese configgenti di eventuali terzi aventi causa dall'imprenditore alienante.

 

(25) Cfr. ad esempio GIANNELLI, op. cit., 1170, il quale sostiene che "prima dell'omologazione gli atti già compiuti in esecuzione dell'accordo siano sempre revocabili in caso di sopravvenuto fallimento dell'imprenditore; dal momento però che l'accordo è efficace fin dal deposito presso il registro delle imprese ne deriva che chi abbia eseguito pagamenti o acquisito garanzie in esecuzione del piano lo fa a suo rischio e pericolo"; ARATO, Fallimento: le nuove norme introdotte con la l. 80/2005, DF, 2006, I,173, secondo il quale "i pagamenti eseguiti in esecuzione dell'accordo, che, ai sensi dell'art. 182-bis, comma 5, è immediatamente esecutivo dalla pubblicazione nel registro delle imprese ma prima che sia omologato dovrebbero restare esentati dalla revocatoria a seguito della successiva omologa in quanto l'efficacia dell'accordo già raggiunto è risolutivamente condizionata alla mancata omologa dello stesso"; PRESTI, op. cit., 38, secondo il quale l'omologazione ha un limitato effetto retroattivo, in quanto consentirebbe di fruire dell'esenzione non solo per atti, pagamenti e garanzie posti in essere successivamente, ma anche per quelli anteriori, purché effettuati dopo la pubblicazione; il che consentirebbe di porre una sicura data di riferimento, evitando in tal modo il rischio che gli accordi di ristrutturazione si risolvano in tentativi di giustificare a posteriori operazioni lesive della par condicio; cfr. anche C. PROTO, op. cit., 301.

 

(26) Cfr. in tal senso, fra gli altri, GUGLIELMUCCI, La riforma in via d'urgenza della legge fallimentare, cit., 125; ARATO, op. cit., 173; MARANO, Le ristrutturazioni dei debiti e la continuazione dell'impresa, Fa, 2006, 103; CAFFI, Considerazioni sul nuovo art. 182-bis della legge fallimentare, DF, 2005, I, 880; FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 862. In giurisprudenza cfr. T. Brescia, decr. 22-2-2006, cit.

 

(27) Così FABIANI, Il regolare pagamento dei creditori estranei negli accordi di cui all'art. 182-bis. l. fall., in corso di pubbl. FI, 2006, I.

 

(28) FABIANI, Il regolare pagamento dei creditori estranei negli accordi di cui all'art. 182-bis. l. fall., cit.; G. FAUCEGLIA, Gli accordi di ristrutturazione, cit., 1448.

 

(29) Così invece T. Milano, decr. 21-12-2005, Fa, 2006, 670.

 

(30) FABIANI, Il regolare pagamento dei creditori estranei negli accordi di cui all'art. 182-bis l. fall., cit., il quale osserva che se si consideri che l'istituto di cui all'art. 182-bis l. fall. non solo non imponga il rispetto della par condicio creditorum, ma quasi ne presupponga proprio la deroga, e poiché il debitore può raggiungere un accordo diverso con ciascuno dei creditori, indipendentemente dalla qualificazione che si abbia di tali accordi, ciò che rileva è la volontà del creditore di ricevere un pagamento con determinate modalità nella consapevolezza che quella manifestazione di volontà è destinata ad inserirsi in un più ampio accordo di cui il debitore chiederà l'omologazione.

Ne segue che i creditori estranei non potrebbero essere soddisfatti nella stessa misura riconosciuta agli aderenti "perché ciò che potrebbe mancare è proprio l'altro polo del confronto, ovverosia una percentuale per una categoria di creditori".

 

(31) C. PROTO, Accordi di ristrutturazione dei debiti e tutela dei creditori, cit., 307.