Responsabilità medica alla luce delle recenti sentenze della corte di cassazione

 
Sommario:

1. Premessa

2 La natura giuridica della prestazione medica.

3. Il nesso causale e la responsabilità omissiva del medico;

3.1 Il nesso causale e la responsabilità omissiva del medico: le pronunce giurisprudenziali;

4. La responsabilità del medico e/o della struttura sanitaria.

4.1 La distinzione tra la responsabilità per il fatto del personale medico e per il fatto del personale ausiliario.

4.2 La responsabilità per fatto proprio del medico e/o per la insufficiente gestione del presidio sanitario.

4.3. La responsabilità per omessa vigilanza.

5. La tutela risarcitoria

6. Per una rifondazione della responsabilita' medica

 

Premessa

La problematica [2] inerente la responsabilità del medico, rectius la responsabilità medica, risente fortemente di alcune tesi enunciate lo scorso secolo - dalla filosofia utilitaristica ed edonistica - circa un diritto assoluto alla salute [3]; quest'ultima intesa come uno status non più coincidente con la 'assenza di malattie' ma come condizione di benessere psico fisico e sociale dell'individuo.

L'avere indotto a credere che sia possibile raggiungere e/o mantenere un 'completo benessere di natura fisica, psichica e sociale' ha avuto come risultato il pretendere dalla scienza medica la soluzione a tutti i problemi, appunto, di natura medica che di solito affliggono gli individui.

Tale assunto è stato favorito anche dai mezzi di informazione (la stampa ma anche la fiction televisiva ha la sua parte di responsabilità) che hanno posto in risalto i risultati dell'arte medica come conseguenza di una attività professionale quasi routinaria, dimenticando che 'prima della malattia c'è il malato' con una sua specificità che lo rende diverso da tutti gli altri.

Ciò ha portato, quindi, l'individuo a 'pretendere' dalla prestazione medica un esito sicuro e certo e a considerare il proprio benessere fisico come una conditio in assenza della quale la vita perde valore perché decurtata di alcune sue caratteristiche.

Il rapporto medico-paziente, rectius utente, negli ultimi anni è mutato ed ha assunto i toni della pretesa - da parte di quest'ultimo - a godere di una sorte di 'ipermedicalizzazione' a fronte di qualsiasi tipo di malattia.

Tale impostazione è stata fortemente criticata dalla Chiesa cattolica [4], per le sue implicazioni nei confronti dei cd soggetti deboli (i portatori di handicap, i malati, i non autosufficienti, i feti, ecc.) che rispetto all'affermarsi di una 'religione della salute' individuale non avrebbero margini di tutela.

L'uomo del terzo millennio, chiamato ad elaborare un diritto ontologicamente fondato, è chiamato a creare uno " jus " fondato sulla persona. Infatti, la persona al centro della società civile porta in sè quella idea dell'essere che le consente, al tempo stesso, di edificarsi e di edificare la società, in virtù della riscoperta della sua essenza [5].

A livello di normativa comunitaria abbiamo assistito ad una confortante 'convergenza' tra il Trattato di Nizza, istitutivo della Carta europea dei diritti, e l'art. 32 della nostra Costituzione.

E' da queste premesse che intendiamo partire per analizzare il tema di questo contributo in quanto, in aggiunta ai necessari riferimenti legislativi e giurisprudenziali che fanno luce su questa scottante materia, ci sono implicazioni di ordine morale, filosofico e sociologico anch'esse importanti per sviscerare la tematica della responsabilità medica, che però non possono essere esposte in questa sede.

La natura giuridica della prestazione medica.

Dal punto di vista giuridico, il rapporto tra medico e utente è un contratto d'opera, rectius, d'opera intellettuale, regolato dagli articoli 2229 - 2238 del codice civile [6].

Trattasi, quindi di una tipologia di contratto avente le seguenti caratteristiche: bilateralità, consensualità, ad effetti obbligatori tra le parti, sinallagmatico e, solitamente, a titolo oneroso.

Il medico - in qualità di parte contraente - deve comportarsi secondo buona fede.

Nel contratto di prestazione di opera intellettuale, quale è l'attività medica, le obbligazioni assunte dal professionista sono, a seconda della teoria accettata, obbligazioni di mezzi [7] oppure di risultato [8].

Nella obbligazione di mezzi trova applicazione la norma di cui all'art. 1176 c.c. [9], per cui il debitore deve provare che il suo comportamento sia stato diligente; mentre nella ipotesi della obbligazione di risultato si applica l'art. 1218 c.c. [10] con la conseguenza che la diligenza adoperata dal debitore è irrilevante ai fini della esclusione della responsabilità circa i risultati raggiunti.

La natura [11] della responsabilità del medico nei confronti del paziente è ancora controversa in giurisprudenza anche se esiste una prevalenza della tesi favorevole a ricondurre tale tipologia di obbligazione a quella di mezzi [12]. Di conseguenza il medico, ai fini della obbligazione assunta, risponderebbe della adeguatezza o meno del proprio comportamento professionale e non dei risultati raggiunti.

Altro discorso vale, invece, per la chirurgia estetica [13] rispetto alla quale il medico chirurgo può assumere sia una obbligazione di mezzi sia una obbligazione di risultato, sempre che quest'ultima sia stata esplicitata nel contratto. La previsione di una responsabilità di risultato non esime, comunque, l'utente dal dimostrare che il raggiungimento di un certo risultato estetico rientra nelle obbligazioni scaturenti dal contratto in questione [14].

Per meglio dire, la mancata realizzazione del risultato non sarebbe fonte di obbligazione per il professionista, in quanto oggetto della obbligazione è la attività professionale e non un risultato, benchè la attività medica sia - comunque - sempre finalizzata alla guarigione dell'utente.

Nel caso di prestazione medica, quindi, ricorrere all'art. 1176 c.c. o all'art. 1218 c.c. non ha finalità meramente accademiche ma produce notevoli conseguenze circa il criterio di distinzione da adottare a seconda che trattasi di obbligazione di mezzi o di risultati.

Da una lettura dell'art. 1176 c.c. appare, in prima battuta, che il debitore sia tenuto a dimostrare di essere stato diligente in merito alla propria prestazione, in caso contrario scatterebbe l'ipotesi di responsabilità [15].

L'art. 1218 c.c. presuppone, invece, che la non attribuibilità della responsabilità a carico del debitore, id est il professionista medico, richiede che lo stesso dimostri la non imputabilità del fatto specifico che ha provocato l'evento a se stesso.

Un acuto studioso [16] della materia, facendo propria la tesi della responsabilità di mezzi, ha rilevato che "con la conclusione del contratto il medico si obbliga nei confronti del malato a svolgere l'attività professionale necessaria ed utile in relazione al caso concreto e in vista del risultato che attraverso il mezzo tecnico-professionale il malato spera di conseguire. Il professionista si obbliga a prestare la sua opera con la dovuta necessaria diligenza senza garantire al malato la guarigione che dovrebbe essere prodotta dal trattamento, l'inadempimento consiste nella violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale, cioè nell'inosservanza della diligenza prevista dall'art. 1176, comma 2° c.c.".

In tale ottica [17], il medico risponderà per inadempimento della obbligazione quando non abbia posto in essere le cure appropriate, da valutare sulla scorta dei protocolli terapeutici, oppure abbia commesso un errore terapeutico. Tale responsabilità scatta anche nel caso in cui la prestazione sia andata a buon fine, cioè quando l'utente sia guarito.

Circa l'ampiezza della responsabilità medica, una recente sentenza [18] ha allargato i confini del concetto di trattamento medico includendovi anche i trattamenti che, solitamente, si accompagnano al trattamento chirurgico, quali: il trattamento farmacologico, la attività diagnostica e lo stesso ricovero ospedaliero, sulla cui durata la responsabilità cade sul professionista medico che, pertanto, risponderà del ricovero protratto senza necessità qualora dallo stesso sia scaturito un evento lesivo, ad esempio una infezione contratta durante la degenza.

A questo punto, particolare attenzione merita il concetto di 'diligenza' che è alla base della disciplina delle obbligazioni ed è chiaro che, parlandosi di una obbligazione di mezzi e non di risultato, per definire tale categoria non è sufficiente fermarsi al concetto di 'diligenza del pater familias' ma si deve tenere a mente la specifica attività posta in essere dal professionista medico.

Ci permettiamo di introdurre tale distinzione confortati, in tale senso, dallo stesso testo dell'art. 1176 c.c. che al primo comma fa riferimento alla 'diligenza del buon padre di famiglia', sic et simpliciter, mentre al secondo comma, parlando di obbligazioni che scaturiscono dall'esercizio di un'attività professionale, stabilisce che la diligenza 'deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata'.

Possiamo quindi parlare in tale circostanza di una diligenza 'qualificata' nel senso di aggiuntiva a quella 'di base', cioè del pater familias [19]. Nel nostro argomentare siamo 'in linea' con diverse pronunce della Suprema Corte [20].

Il nesso causale e la responsabilità omissiva del medico

La problematica avente ad oggetto una esaustiva definizione del concetto di causa e del correlato rapporto di causalità riguarda non solo il diritto ma anche la filosofia e le scienze sociali.

Nel nostro campo - quello giuridico - assume una sua pregnanza poiché il rapporto di causalità diventa il criterio di imputazione oggettiva di un evento alla condotta di un soggetto.

La materia è oggetto di disciplina legislativa da parte degli artt. 40 [21] e 41  [22]  del codice penale, dai quali si evince come l'attribuibilità di un evento ad una determinata persona necessita della esistenza di un nesso di causalità tra la condotta, attiva od omissiva, e l'evento.

Atteso che la produzione dell'evento può scaturire dalla presenza di una pluralità di condizioni, occorre stabilire caso per caso quand'è che al soggetto possa imputarsi l'evento.

La elaborazione compiuta, in merito, dalla dottrina [23] ha portato al parto di numerose teorie che ci limitiamo ad indicare in breve:

La c.d. 'teoria condizionalistica' , parimenti chiamata della 'equivalenza delle cause'. Secondo la tradizionale teoria condizionalistica (o dell'equivalenza) deve intendersi per causa qualsiasi antecedente che ha prodotto un determinato evento. In altri termini, è causa ogni condizione necessaria, ossia ogni fatto la cui presenza è stata indispensabile per il verificarsi dell'evento. Per accertare l'esistenza del nesso condizionalistico si utilizza il procedimento di eliminazione mentale (la cosiddetta formula della condicio sine qua non): pertanto, è causa ogni fatto che se eliminato, cioè non considerato, fa venire meno l'evento.

La teoria della 'causalità umana' che prende in considerazione le serie causali sopravvenute, autonome ed indipendenti, in grado - da sole - di determinare l'evento. Per la tesi della causalità umana (formulata da Antolisei), gli eventi che rientrano nella sfera di controllo dell'individuo sono considerati conseguenze della sua condotta. In altri termini, i risultati che l'uomo può dominare sono causati dall'uomo stesso. Pertanto solo i fatti eccezionali, intesi come quelli che hanno una probabilità minima di verificarsi, sfuggono alla signoria dell'uomo.

In realtà la tesi, pur tentando di differenziarsi da quella della causalità adeguata, insistendo sulla differenza tra fatto atipico e fatto eccezionale, non riesce a proporsi come concezione autonoma poiché anche in questo caso c'è una contaminazione inopportuna tra piani oggettivo e soggettivo che genera confusione tra rapporto di causalità e imputazione psicologica. E inoltre, i casi indicati per esemplificare l'intervento di un fattore eccezionale sono spiegabili anche in base alla tesi della causalità adeguata.

La teoria della causalità adeguata è stata elaborata, in Germania alla fine del secolo scorso per attenuare la rigidità dell'applicazione della teoria condizionalistica alle ipotesi contraddistinte da un decorso causale atipico, cioè estraneo all'ordinaria prevedibilità, come i delitti aggravati dall'evento. La tesi in esame opera una selezione tra i molteplici antecedenti della teoria condizionalistica: per cui, è causa solo quella condizione adeguata a produrre l'evento secondo il criterio della probabilità, sulla base dell'id quod plerumque accidit.

Più precisamente, per accertare l'esistenza del nesso causale, l'interprete deve formulare un giudizio probabilistico ex ante e in concreto: bisogna, in altri termini, rapportarsi alle conoscenze presenti al momento dell'azione ed acquisibili ex ante da un osservatore attento, aggiungendovi inoltre quelle più approfondite eventualmente possedute dall'agente in concreto.

La dottrina più recente (Stella, Fiandaca-Musco) ha elaborato la teoria condizionalistica orientata secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche 'rivisitando' la teoria condizionalistica attraverso i seguenti correttivi: 1) la valutazione dei fattori dolo e colpa delimitano l'ambito di rilevanza dei possibili antecedenti del risultato lesivo, sanando in questo modo l'obiezione del regresso all'infinito; 2) la considerazione dell'evento concreto, cioè verificatosi con queste modalità e in questo momento (non dell'evento astratto) smonta l'obiezione relativa alla causalità alternativa ipotetica, mentre la valutazione della lesività del singolo fattore causale considerato vanifica la critica riguardante la causalità alternativa addizionale; 3) il metodo generalizzante di spiegazione causale, caratterizzato da leggi generali che individuano rapporti di successione regolare tra azione criminosa ed evento, considerati come accadimenti ripetibili (cioè non unici) ha risolto il principale problema della teoria condizionalistica, relativo alla conoscenza in anticipo dei rapporti di derivazione tra determinati antecedenti e conseguenti.

In altri termini, l'accadimento particolare va spiegato in base ad una legge generale di copertura, ossia ad una legge scientifica, che in alcuni casi è universale (in quanto ad un evento si accompagna sempre un altro evento), in altri (i più frequenti) non può che essere statistica (ad un certo evento si accompagna un altro evento in un'elevata percentuale di casi. L'evento, cioè, è solo probabile, sia pure in misura notevole). Ciò in quanto è praticamente impossibile rinvenire tante leggi universali quante sono le condizioni implicate nella produzione dell'evento. Dunque, l'accertamento del nesso causale da parte del giudice comporta che egli ricorra (nella maggior parte dei casi) a leggi statistiche e quindi avrà carattere probabilistico.

Pertanto, nelle ipotesi in cui non si possiedono conoscenze soddisfacenti sul meccanismo di produzione del fenomeno, come nei casi del talidomide [24] e delle macchie blu [25], la spiegazione statistica può condurre all'individuazione di un nesso causale penalmente rilevante, sulla base degli elementi di prova raccolti.

La causalità omissiva è disciplinata dall'art. 40 c.p., comma 2, dove si legge che "non impedire l'evento.equivale a cagionarlo".

Si normativizza, quindi, una imputabilità oggettiva nei confronti del soggetto che viola uno specifico obbligo di agire; nel nostro caso, ci si riferisce al mancato adempimento al quale è tenuto il professionista medico nello svolgimento delle sue funzioni.

Poiché il medico ha nei confronti del paziente il ruolo di garante del bene 'salute', nel caso di colposa mancanza da parte del sanitario si configura una fattispecie di reato omissivo improprio.

Il nesso causale e la responsabilità omissiva del medico: le pronunce giurisprudenziali

Ad avviso della Suprema Corte [26], la causa rilevante è quella che si estrinseca nella condotta umana, attiva od omissiva, che è conditio sine qua non nella catena degli antecedenti che sono stati determinanti nella produzione dell'evento.

In tema di nesso di causalità riguardante la responsabilità professionale per omissioni la Corte di Cassazione [27]  ha adottato nel corso degli anni posizioni diverse che possiamo riassumere nel seguente modo:

.  la esistenza del nesso causale era fondata su spiegazioni probabilistiche che non consentivano di arrivare a giudizi certi ma a giudizi basati sulla considerazione che le possibilità di successo dell'intervento medico mancato erano 'notevoli', 'rilevanti', ecc. Tale orientamento prevedeva, in materia di colpa professionale medica, la esistenza di un grado di responsabilità quando la omissione di un intervento chirurgico necessario - sebbene non in grado di garantire la sopravvivenza del paziente, in termini di certezza - faceva venir meno una limitata probabilità di successo.

Da ciò si desume che la Cassazione nel passato, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta del medico e l'evento, riteneva sufficiente basarsi sul criterio della probabilità e della idoneità della condotta a produrre determinati effetti, giungendo a quantificare al 50% la esistenza di una probabilità giuridicamente rilevabile [28];

.  le Sezioni unite hanno, invece, affermato che la esistenza del nesso di causalità debba essere provata attraverso la esistenza e l'impiego di una legge scientifica di copertura, al fine di potersi parlare di un coefficiente probabilistico 'prossimo a cento'; non è quindi sufficiente la esistenza di una 'elevata probabilità' circa il verificarsi dell'evento in quanto la rilevanza causale del fatto nella produzione dell'evento dannoso deve essere accertata in termini di assoluta certezza. Così facendo si è voluto sancire il concetto che non ha senso parlare in astratto di 'alto grado di probabilità' se manca una legge o una proposizione scientifica che permettano di enunciare una connessione tra eventi in una percentuale vicina a cento.

In tema di causalità omissiva è stato altresì sancito che è possibile ravvisare il nesso causale se l'azione doverosa omessa avrebbe impedito l'evento con alto grado di probabilità logica ovvero con elevata probabilità razionale, cioè con una probabilità vicina alla certezza [29. E' stato altresì rilevato come debba essere svolta una distinzione tra probabilità statistica e probabilità logica e che ricorrendosi alla prima la sua alta probabilità "non ha valore eziologico effettivo quando risulti che, in realtà, un certo evento è stato cagionato da una diversa condizione; e, come, al contrario, una percentuale statistica medio-bassa potrebbe invece risultare positivamente suffragata in concreto dalla verifica della insussistenza di altre possibili cause esclusive dell'evento, di cui si sia potuto escludere l'interferenza".

.  da premettere che in ambito sanitario la condotta omissiva postula come modello alternativo una condotta attiva, imposta dall'ordinamento giuridico. A fronte di tale condotta esiste, rectius esistono, sia una posizione di garanzia sia degli specifici doveri di diligenza, entrambi i quali sono alla base della colpa dell'agente. Sempre in ambito sanitario, la esistenza di una pluralità di fattori tra loro interagenti ha condotto la dottrina ad elaborare la teoria della 'imputazione oggettiva dell'evento [30]'.

Il nesso di causalità tra la condotta del sanitario e il danno verificatosi all'utente deve essere accertato dal giudice secondo regole probatorie stringenti e, comunque, tali da consentire una pronuncia di responsabilità dell'imputato dotata di elevato e persuasivo grado di credibilità razionale. Tale impostazione è stata ribadita attraverso una serie di sentenze  [31]  le quali hanno esplicitato come il nesso di causalità vada accertato non ricorrendo a criteri di probabilità statistica ma sulla scorta di criteri probatori ai quali si rifà il giudice in sede penale [32]. Sulla base di tali criteri, e quando possa escludersi un processo causale alternativo, si deve arrivare a stabilire che sia stata proprio la condotta omissiva del medico a causare l'evento.

Il giudice, utilizzando il modello c.d. della 'sussunzione sotto leggi scientifiche' deve compiere una operazione logica tale da consentirgli di ri - descrivere "il singolo evento nelle modalità tipiche e ripetibili dell'accadimento lesivo, deve necessariamente ricorrere ad una serie di 'assunzioni tacite' e presupporre come presenti determinate 'condizioni iniziali' non conosciute o soltanto congetturate, sulla base delle quali 'ceteris paribus', mantiene validità l'impiego della legge stessa".

Particolarmente illuminante è la sentenza [33]  con la quale sono stati enunciati i seguenti principi di diritto al fine di accertare la esistenza del nesso di causalità: a) il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; b) non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificare la validità nel caso concreto; c) l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio.

Il nesso causale preso in considerazione dalla Sezioni Unite va individuato, quindi, in termini di certezza non oggettiva ma di certezza processuale "che, in quanto tale, non può essere individuata se non con l'utilizzo degli strumenti di cui il giudice dispone per le sue valutazioni probatorie: 'certezza' che deve essere, pertanto, raggiunta dal giudice valorizzando tutte le circostanze del caso concreto sottoposto al suo esame, secondo un procedimento logico - analogo a quello seguito allorquando si tratta di valutare la prova indiziaria, la cui disciplina è dettata dal secondo comma dell'art. 192 del codice di procedura penale - che consenta di ricollegare un evento ad una condotta omissiva 'al di là di ogni ragionevole dubbio'".

Lo stesso procedimento [34]  deve essere adottato dal giudice di merito che in tema di ricostruzione del nesso di causalità in presenza di reato colposo deve verificare la assenza di fattori alternativi e la esistenza di una condotta omissiva del medico quale condizione necessaria per il verificarsi dell'evento lesivo.

Dello stesso tenore è una recente sentenza della Cassazione la quale ha stabilito che l'evento che ha causato le lesioni del dipendente è da considerare conditio sine qua non dell'evento mortale anche in presenza di una condotta medica caratterizzata da imperizia e negligenza [35].

La responsabilità del medico e/o della struttura sanitaria.

Nell'ambito dell'esercizio dell'attività medica si distinguono due tipologie di responsabilità [36]: quella di natura contrattuale, ex art. 1218 c.c., che presuppone l'esistenza di un rapporto di natura obbligatoria avente ad oggetto la prestazione medica e quella c.d. aquiliana, ex art. 2043 c.c. [37]. derivante da una condotta che sostanzi un atto illecito.

Dalla relazione ministeriale di accompagnamento del disegno di legge del codice civile emerge che al fine di evitare richieste risarcitorie da parte del paziente e, allo stesso tempo, per indurre il sanitario ad una maggiore riflessione sulle conseguenze dei propri atti, si operò, tramite l'art. 2236 c.c. [38], una limitazione di responsabilità - qualora la prestazione del medico riguardasse la soluzione di problemi di particolare complessità - ai soli casi di dolo e colpa grave.

Si ritiene, quindi, essere in presenza di una ipotesi riconducibile ad una prestazione di particolare complessità, allorchè attraverso una valutazione del caso concreto siano ravvisabili condizioni tali da renderlo di speciale difficoltà. La difficoltà, va tenuto presente che, non può essere valutata una tantum ma occorre tenere a mente sia il bagaglio di conoscenze del singolo medico sia le condizioni che hanno caratterizzato l'intervento.

N elle obbligazioni di mezzi è il paziente che deve provare il comportamento non diligente del sanitario e la esistenza del nesso causale tra la condotta di questi e l'evento lesivo.

Il medico, da parte sua, deve provare che non ha agito con colpa e che l'evento dannoso è stato cagionato dal sopravvenire di cause imprevedibili e, comunque, a lui non imputabili.

L'intervento medico di tipo routinario non può portare alla creazione di una ipotesi di responsabilità oggettiva, ex art. 2050 c.c. perché altrimenti si passerebbe da una obbligazione di mezzi ad una obbligazione di risultati.

Per quanto attiene alla responsabilità a carico della struttura sanitaria, un primo orientamento giurisprudenziale [39] reputava l'accettazione del paziente nell'ospedale, ai fini del ricovero oppure di una visita ambulatoriale, comportare la conclusione di un contratto d'opera professionale tra il paziente e l'ente ospedaliero, il quale assume a proprio carico, nei confronti del malato l'obbligazione di compiere l'attivita' diagnostica e la conseguente attivita' terapeutica in relazione alla specifica situazione patologica del paziente preso in cura.

La giurisprudenza [40] opera, inoltre, una distinzione a seconda che la struttura sanitaria sia pubblica o privata : di conseguenza la responsabilità per fatto illecito opera sul soggetto che gestisce il nosocomio, sia esso a regime pubblico o privato. In tale ipotesi le norme richiamate per suffragare il criterio di imputazione sono, rispettivamente, l'art. 28 della Costituzione e l'art. 2049 c.c. [41].

Tale principio che conduce alla estensione della responsabilità di tipo civile, ex art. 2049 c.c., opera in presenza di qualsiasi rapporto di natura subordinata ad eccezione del caso in cui il datore di lavoro sia un ente pubblico; infatti, in costanza di un rapporto di pubblico impiego non può più parlarsi di responsabilità indiretta ma diretta, in virtù del principio di immedesimazione organica che opera tra l'ente ed i suoi dipendenti.

In presenza di tale rapporto di immedesimazione organica scatta, ex art. 28 della Costituzione [42], un concorso di responsabilità tra i dipendenti e l'ente pubblico.

Per un altro orientamento [43], la responsabilita' dell'ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, e del medico suo dipendente per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica, inserendosi nell'ambito del rapporto giuridico pubblico (o privato) tra l'ente gestore ed il privato che ha richiesto ed usufruito del servizio, ha natura contrattuale di tipo professionale. Dubbi in merito al fondamento di tale tesi sono stati espressi nel corso degli anni, in particolare per quanto concerne il richiamo all'art. 28 della Costituzione che non sarebbe esaustivo del problema relativo alla natura della responsabilità del medico dipendente.

Non può, a nostro avviso, essere accolta la tesi giurisprudenziale, enunciata dal Tribunale di Udine del 13.5.1991, che, al fine di assicurare una presunta maggiore protezione della salute, introduce una responsabilità di tipo oggettivo a carico della struttura sanitaria. In mancanza di una standardizzazione degli strumenti di cui un ospedale deve essere in possesso non è consentito, quindi, sancire una responsabilità della struttura a priori.

Resta da citare un recente orientamento dottrinale [44] secondo il quale nei confronti del medico, dipendente ospedaliero, si configurerebbe pur sempre una responsabilita' contrattuale nascente da "un'obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto" [45], in quanto poiche' sicuramente sul medico gravano gli obblighi di cura impostigli dall'arte che professa, il vincolo con il paziente esiste, nonostante non dia adito ad un obbligo di prestazione, e la violazione di esso si configura come culpa in non facendo, la quale da' origine a responsabilita' contrattuale.

Detto orientamento è stato recepito dalla suprema Corte con la seguente motivazione " La soluzione merita di essere condivisa. Va subito rilevato che non si puo' criticare la definizione come "contrattuale " della responsabilita' del medico dipendente di struttura sanitaria, limitandosi ad invocare la rigidita' del catalogo delle fonti ex art. 1173 c.c. [46]. che non consentirebbe obbligazioni contrattuali in assenza di contratto. Infatti la piu' recente ed autorevole dottrina ha rilevato che l'art. 1173 c.c., stabilendo che le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da altro atto o fatto idoneo a produrle in conformita' dell'ordinamento giuridico, consente di inserire tra le fonti principi, soprattutto di rango costituzionale (tra cui, con specifico riguardo alla fattispecie, puo' annoverarsi il diritto alla salute), che trascendono singole proposizioni legislative."

Poiche' a questo rapporto contrattuale non partecipa il medico dipendente, che provvede allo svolgimento dell'attivita' diagnostica o terapeutica, quale organo dell'ente ospedaliero, la responsabilita' del predetto sanitario verso il paziente per danno cagionato da un suo danno diagnostico o terapeutico e' soltanto extracontrattuale, con la conseguenza che il diritto al risarcimento del danno spettante al paziente si prescrive in cinque anni.

Sulla scia della teoria che colloca la responsabilità medica tra quelle di mezzi, assume importanza la scelta del mezzo impiegato dal sanitario per dare esecuzione alla prestazione.

Diciamo ciò perché come è stato giustamente osservato  [47]  "Il professionista.non potrebbe limitare la propria responsabilità alla diligenza richiestagli, dal punto di vista professionale delle conoscenze tecniche adeguate (profilo soggettivo), qualora si avvalesse di strumenti inadeguati, in quanto risulterebbe spezzata la continuità e la coerenza, nel corso della preparazione ed esecuzione della prestazione, della diligenza richiestagli."

Data la estrema articolazione caratterizzante la obbligazione medica è da ritenere che la stessa non sia circoscrivibile alla sola prestazione ma comprenda anche altri aspetti insiti nello stesso rapporto, quali: il dovere di protezione, il principio di buona fede [48], ecc.; dello stesso avviso è la Suprema Corte la quale ha argomentato che la obbligazione scaturente dalla erogazione del servizio all'interno di un presidio ospedaliero non sia circoscrivibile alla sola prestazione del medico ma rientri nel più vasto ambito della 'assistenza sanitaria', derivante dal contratto atipico individuato quale obbligazione di risultato.

Una pronuncia del Consiglio di Stato, Sezione V, la n. 32/2005, ha fornito una serie di importanti 'delucidazioni' in materia di risarcimento del danno imputabile alla P.A. a seguito di attività provvedimentale e quindi suscettibile di lesione di interessi legittimi:

a) la colpa deve essere ascrivibile alla P.A. come apparato e non al singolo funzionario che agisce

b) il privato che risulti danneggiato non ha l'onere di provare la colpa dell'amministrazione, ma può fornire al giudice alcuni elementi indiziari, quali: la gravità della violazione, il carattere vincolato della PA, ecc.

Il medico dipendente dell'ente ospedaliero assume una obbligazione di natura contrattuale perché fondata sul 'contatto sociale' [49] che si ritiene dia origine ad un "rapporto contrattuale di fatto". Il "contatto" che si crea al momento dell'accettazione del paziente in ospedale - pur non costituendo formalmente un atto negoziale - da origine ad una vera obbligazione da parte del sanitario accettante con la conseguenza che quest'ultimo diviene contrattualmente responsabile verso il "malato" che abbia subito un danno.

In buona sostanza, secondo la Cassazione la definizione giuridica del rapporto che lega il medico alla struttura sanitaria la si evince dal contenuto del rapporto che si instaura tra il medico ed il degente e non quello che attiene al contratto tra medico e struttura.

In merito alla natura giuridica della responsabilità dell'ente ospedaliero [50] e del medico dipendente, la Cassazione [51] ha ravvisato esistere una responsabilità a carico dell'ente, gestore di un servizio pubblico sanitario e del medico suo dipendente per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica, inserendosi nell'ambito del rapporto giuridico di natura pubblica o privata tra l'ente gestore e il privato, che ha usufruito del suddetto servizio, la natura contrattuale di tipo professionale.

Da ciò deriva che la responsabilità, sia quella in capo all'ente sia quella relativa al medico - dipendente della struttura -, è disciplinata dalle norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto di opera professionale.

A tale fine la Cassazione [52] ha più volte ribadito che la accettazione dell'utente/paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto.

4.1 La distinzione tra la responsabilità per il fatto del personale medico e per il fatto del personale ausiliario.

In merito agli interventi medico-chirurgici svolti in equipe la giurisprudenza, allorchè è stata chiamata a pronunciarsi sulle responsabilità dei singoli componenti la equipe lo ha fatto in maniera contrastante.

La Cassazione attraverso una sentenza [53] ha affermato vigere il principio del 'controllo incrociato' in base al quale ciascuno dei sanitari impegnati nell'operazione avrebbe il dovere di controllare l'operato dei colleghi al fine di accertarsi della assenza di comportamenti negligenti o imprudenti.

Altra sentenza [54]  -di poco successiva alla precedente- sancisce, invece, una delimitazione delle singole responsabilità dei sanitari operanti in equipe, per cui ciascuno risponderebbe per il proprio ambito di specializzazione.

Una sentenza espressa sulla falsariga di quella riportata nella precedente nota affronta il problema della ripartizione dei compiti tra il Primario e l'Aiuto medico, alla luce del Dpr 761/1979, giungendo a concludere che la chiamata in causa dell'aiuto non è automatica purchè lo stesso abbia agito con diligenza. (Cass. sez. IV del 2.5.1989)

Lo scrivente è dell'avviso che, sussistendo un rapporto di subordinazione gerarchica, il primario ha il dovere di vigilare e controllare, tenuto conto della specificità del caso, l'operato degli altri sanitari che con lui collaborano [55]. La presenza di una condotta colposa da parte di un collaboratore, non rilevata dal capo equipe, comporterà automaticamente, una duplice, seppur diversificata, responsabilità.

Lo stesso ragionamento non potrà condursi nell'ipotesi in cui manchi il rapporto di gerarchia, pertanto si farà riferimento al principio sopra citato dell'affidamento sulla professionalità degli altri operatori per cui la responsabilità rimane circoscritta a chi è incorso in colpa; semprechè la responsabilità del singolo componente non si sia manifestata attraverso una condotta di natura colposa tale da potere/dovere essere rilevata dal primario.

Appare chiaro che il criterio della prevedibilità e evitabilità ritorna in ogni caso ad integrare quello dell'affidamento.

Al fine di potersi parlare di attività professionale medica svolta in equipe [56] non necessita l'esercizio di una attività medica di tipo chirurgico in quanto il lavoro in equipe viene svolto ogni volta che sono presenti operatori sanitari - medici e non medici - ciascuno dei quali sia titolare di una specifica competenza.

In base al principio di affidamento, il singolo membro della equipe confida che gli altri componenti lavorino nel rispetto delle regole e valorizzando al massimo le proprie conoscenze e competenze professionali.

Il citato principio di affidamento permette di circoscrivere la responsabilità del singolo componente della equipe alla attività svolta.

Poiché l'attività medica svolta in equipe presuppone il concorso di più professionisti per il raggiungimento di un unico fine, id est la salute del paziente, in caso di esito negativo il singolo professionista non potrà invocare solo il rispetto dei canoni di diligenza e prudenza ma dovrà, necessariamente, avere preso contezza degli altri aspetti dell'intervento.

La Cassazione ha sancito, in merito a tale aspetto, che il principio di affidamento non potrà essere invocato quale esimente nei seguenti casi: "a) errore commesso da altro operatore ma in una materia non specialistica, rientrante nel bagaglio professionale di ogni professionista medio; b) nel caso di un errore commesso in un settore specialistico cui abbia assistito altro operatore pure specializzato in tale settore; c) errore commesso in un settore specialistico, ma talmente grossolano da non poter sfuggire ad altro professionista, pur non specialista in quel settore".

Abbiamo già precisato che la responsabilità susseguente al ricovero presso una struttura sanitaria non è solamente di tipo medico ma attiene più complessivamente alla 'assistenza sanitaria', in senso lato, in quanto comprende anche una serie di prestazioni che fanno da corollario alla prestazione medica tout court

Diverse tra queste prestazioni rientrano nella sfera di responsabilità non del medico ma del personale dell'area comparto e dell'area dirigenziale, (quali: biologi, analisti, infermieri, tecnici, operatori di supporto, ecc.); il sanitario medico che si avvale della prestazione del sanitario non medico, ad esempio del personale infermieristico, risponde comunque del dovere di vigilanza sull'attività degli ausiliari.

Il presidio ospedaliero risponde anche dei comportamenti colposi cagionati da queste categorie di lavoratori, sia a causa di una loro non idonea formazione, sia per una carenza, in termini numerici, degli stessi.

Al fine di separare la responsabilità in capo al primario da quella imputabile al personale medico-collaboratore, la Suprema Corte, (partendo dal presupposto che il primario non può essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso per il solo fatto che si sia verificato - in sua assenza - presso la sua unità di degenza), ha ridefinito la responsabilità del primario individuando tre diversi ambiti: a) la c.d. 'responsabilità del malato' che impone al direttore medico di unità operativa, ex primario, il dovere di conoscenza della situazione in cui versano i degenti  [57]; b) una componente del dovere di vigilanza sull'attività del personale sanitario comprende anche l'acquisizione - ad opera del direttore medico - di notizie in merito alle azioni condotte dai propri collaboratori nei confronti degli utenti; [58] c) il paziente deve esser informato circa i maggiori rischi a cui va incontro a causa della ridotta/obsoleta apparecchiatura necessaria [59].

La Cassazione [60] ha stabilito, inoltre, che il personale sanitario non medico deve prestare ascolto alle segnalazioni dei parenti degli ammalati, sul peggioramento delle condizioni di salute dei loro cari, ed agire di conseguenza. Nella stessa sentenza si è ribadito che, comunque, il medico a capo dell'equipe risponde anche dell'operato degli altri che con lui collaborano e che, pur essendo questi ultimi portatori di una posizione di garanzia, ai sensi degli artt. 2 e 32 della Costituzione, " non può valersi quale scusante della propria condotta omissiva, in quanto vale qui la regola sempre affermata da questa Suprema Corte secondo la quale chi versa in colpa non può invocare a propria scusante la condotta colposa altrui ".

Egli risponde anche nell'ipotesi in cui, dopo avere operato un paziente in condizioni critiche, lo abbia affidato ad un reparto privo delle specifiche condizioni richieste per la gestione in sicurezza del decorso post operatorio [61].

Un'altra sentenza [62] dello stesso anno ha invece 'delimitato' la responsabilità del primario per eventi dannosi prodottisi in sua assenza non essendo possibile richiedergli un controllo continuativo. E' stato però ribadito che egli ha il dovere di vigilanza sui propri collaboratori.

Già in precedenza la Suprema Corte aveva statuito che " se non può cero affermarsi che il primario sia responsabile di tutto quanto accade nel suo reparto.egli ha tuttavia il dovere di informarsi dello stato di ogni paziente ricoverato, di seguirne il decorso anche quando non provveda direttamente alla visita, di dare le istruzioni del caso o comunque di controllare che quelle impartite degli altri medici siano corrette ed adeguate. E ciò quand'anche abbia affidato l'ammalato ad un medico in sottordine" [63].

4.2 La responsabilità per fatto proprio del medico e/o per la insufficiente gestione del presidio sanitario .

Come precedentemente affermato, la responsabilità medica non si limita alla prestazione di tipo sanitario ma coinvolge il più ampio concetto di 'assistenza sanitaria', rispetto alla quale la suprema Corte ha dettagliatamente specificato il contenuto [64].

Rientrano in questo ambito anche le obbligazioni riferite all'accoglienza alberghiera, all'utilizzo delle apparecchiature [65] -mediche e non- di proprietà della struttura sanitaria e di cui fruiscono i medici ed il restante personale dell'area sanitaria, ecc.

In riferimento all'ipotesi in cui il danno subito dall'utente abbia origine non da una prestazione di tipo prettamente medica ma derivi dall'utilizzo di macchinari, suppellettili, dotazioni di qualunque tipo appartenenti alla struttura, è più appropriato, quindi, parlare di responsabilità sanitaria che di responsabilità medica.

La responsabilità sanitaria, infatti consente di inserire in tale categoria tipologie di responsabilità non ascrivibili, a rigore, nella categoria della responsabilità medica; la responsabilità medica, invece, attiene alla sola prestazione resa dal sanitario medico.

La disciplina giuridica di tale materia è fornita dagli artt. del c.c. 1218 e 1228 [66], mentre il primo ha per oggetto l'inadempimento delle obbligazioni a carico della struttura sanitaria; il secondo disciplina la responsabilità per fatto degli ausiliari, nel nostro caso la struttura risponde delle prestazioni erogate dai terzi (medici, sanitari non medici, tecnici, ecc.).

Riguardo la natura giuridica della responsabilità a carico della struttura la suprema Corte [67] ha più volte ritenuto di doversi parlare di responsabilità contrattuale.

In merito alla responsabilità del medico dipendente dell'Ente ospedaliero la responsabilità a cui si è fatto esplicito richiamo [68] è quella di tipo contrattuale, in quanto inerisce all'esercizio di attività di tipo professionali.

La responsabilità dell'Ente sussiste sia nella ipotesi in cui l'utente si sia rivolto direttamente ad una struttura sanitaria (pubblica o privata che sia) quanto nel caso in cui l'utente abbia scelto il medico e, successivamente, abbia individuato la struttura all'interno della quale ricoverarsi.

Continuando nella elencazione dei casi che possono verificarsi, sembra che nella ipotesi in cui il contratto abbia avuto come controparti l'utente ed il medico e quest'ultimo abbia contattato la struttura sanitaria per potere effettuare l'intervento, la struttura sarà chiamata a rispondere solo in relazione alle prestazioni accessorie pattuite. In questa ipotesi gli articoli da richiamare sono, rispettivamente: l'art. 2050 c.c. [69], se i mezzi usati dal medico siano pericolosi; e l'art. 2051 c.c. [70] se il danno sia stato cagionato da una cosa custodita.

Sulla ascrivibilità del difetto di organizzazione tra le cause di responsabilità si è pronunciato favorevolmente il giudice di primo grado [71] anche se mancano a tutt'oggi dei criteri certi in presenza o in assenza dei quali potere desumere se la struttura sanitaria sia in regola o meno.

Possiamo però fondatamente ritenere che alcuni indici riguardino, come acutamente scritto [72]: il personale del ruolo sanitario laureato e non, che deve essere qualificato e sufficiente di numero, una logistica dei servizi a supporto delle prestazioni erogate, la presenza di locali idonei e consoni; una dotazione tecnologica moderna; farmaci sicuri, efficaci e validi; utilizzo di sangue sicuro; ecc.

La responsabilità per omessa vigilanza.

Una forma di ulteriore responsabilità a carico della struttura sanitaria è quella che attiene all'obbligo di vigilanza da declinarsi a seconda della tipologia di utenza (paziente in condizioni c.d. 'normali', utente in trattamento da TSO - trattamento sanitario obbligatorio- , utente con ridotta o nulla capacità di intendere e di volere, paziente minorenne, ecc.).

Nel caso del malato di mente affidato alla custodia del Dipartimento di Salute Mentale e/o del centro diurno di Salute Mentale, vige una responsabilità dell'azienda sanitaria, ai sensi dell' art. 2047 c.c , in merito alla eventuale condotta dannosa posta in essere dal malato di mente. La assistenza e la sorveglianza del malato di mente, da parte dell'operatore sanitario, si sostanzia - per legge - non più nella custodia ma nella cura e nell'assistenza del paziente.

Così come la struttura sanitaria è ritenuta responsabile per la caduta dell'utente ricoverato all'interno della Unità Operativa o nelle sue pertinenze, oltre che del furto di neonato.

Altra ipotesi di responsabilità a carico della struttura attiene alla mancata adozione di misure di igiene nelle procedure assistenziali da parte del personale sanitario ed alla scorretta gestione di procedure diagnostiche, chirurgiche e terapeutiche in conformità agli standard previsti, dalle quali siano scaturite le infezioni nosocomiali.

La responsabilità per omessa vigilanza può comportare una responsabilità di natura contrattuale e/o di natura extracontrattuale.

La tutela risarcitoria

Prima degli anni ottanta del secolo scorso, l'art. 2059 del c.c. nello stabilire che il danno non patrimoniale da diritto a risarcimento solo nei casi individuati dalla legge, circoscriveva la risarcibilità alla sola ipotesi esplicitata attraverso l'art. 185 del codice penale, disciplinante il danno non patrimoniale derivante da reato.

La stessa relazione di accompagnamento al codice civile si basava su tale interpretazione allorchè affermava che " soltanto nel caso di reato è più intensa l'offesa all'ordine giuridico e maggiormente sentito il bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo"  [73].

L'allora vigente sistema risarcitorio prevedeva tre ipotesi di risarcimento .

Il primo caso aveva ad oggetto il risarcimento da danno patrimoniale, rappresentato dalla perdita di reddito o dalle spese di varia natura originate dal sinistro e disciplinato dall'art. 2043 c.c., riguardante il sistema di responsabilità per illecito extracontrattuale.

Il secondo caso ineriva il danno biologico [74], definito - da una serie di pronunce della Cassazione [75]- come quella "menomazione dell'integrità psicofisica della persona in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore dell'uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica".

Infine, il danno morale soggettivo, inteso quale il patema d'animo con le correlate sofferenze di ordine psichico e strettamente personali, che il soggetto è costretto a subire in conseguenza dell'illecito e che sono in qualche modo presunti dalla legge. Si tratta, a ben vedere, del danno non patrimoniale per antonomasia, il cui risarcimento è finalizzato a lenire, attraverso lo strumento del denaro, i dolori sofferti, sempre che nel fatto illecito altrui fossero ravvisabili gli estremi del reato.

Sulla scorta di tale impostazione ed in riferimento all'art. 185 c.p. si riteneva, quindi, ineludibile - ai fini del risarcimento - la esistenza di una concreta fattispecie delittuosa comprensiva di tutti i suoi elementi costitutivi - ed in mancanza di elementi probatori non operava la presunzione di legge.

A seguito della evoluzione compiuta dalla dottrina in materia di risarcimento del danno non patrimoniale, determinata anche da una rilettura del codice civile 'costituzionalmente orientata', tale indirizzo interpretativo è stato messo in discussione.

L'attacco a tale teoria è stato duplice: da una parte la legislazione dello Stato che ha disciplinato nuove fattispecie di risarcibilità del danno non patrimoniale, di per sé avulse da motivazioni di tipo repressivo e dall'altro le pronunce della Cassazione e della Corte Costituzionale che hanno fatto emergere interessi costituzionalmente garantiti - per tutti, il diritto alla persona - che, in caso di lesione, danno diritto ad essere risarciti a prescindere dalla esistenza di una fattispecie penalmente rilevante.

Il risultato di tale elaborazione ha fatto sì che sia l'art. 2059 c.c. sia l'art. 185 c.p. vengano applicati anche se il fatto illecito che ha provocato la lesione del bene giuridico non assurga al rango di reato 'essendo sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente preveduto dalla legge come reato'.

Le sentenze della Cassazione [76] dell'anno 2003 n. 8827 e 8828 rappresentano il 'punto di svolta' in materia di risarcimento del danno.

La tematica del risarcimento danni [77] va, quindi, oggi affrontata attraverso una 'diversa' lettura degli articoli 2059 c.c. [78] e 185 c.p. [79], senza tralasciare il principio contenuto nell'art. 32 della Costituzione che resta l'articolo principe in materia [80].

Grazie ad una evoluzione registrata in materia di tutela del danno, in senso lato, si è optato per un risarcimento del danno tout court e non solo del danno avente valenza economica. La necessità di dovere garantire una tutela più ampia al danneggiato è stata recepita dalla suprema Corte che a cominciare dal 1981 ha ammesso a risarcimento il danno non patrimoniale che è il danno biologico [81].

La stessa interpretazione letterale dell'art. 2059 va superata allorchè si sia in presenza di una lesione riguardante valori della persona costituzionalmente garantiti, quali sono i diritti inviolabili della persona.

L'attuale ordinamento giuridico, alla luce del dettato costituzionale, comporta pertanto una rivisitazione del concetto di danno non patrimoniale, concetto che finisce per comprendere ciascuna ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona.

Sia il danno morale che quello biologico danno diritto al loro risarcimento a favore dell'utente, poiché l'art. 32 Cost. consente di affermare che, comunque, trattandosi di danni connessi alla violazione di un articolo della Costituzione, essi vanno annoverati tra quelli risarcibili; ciò anche se appare non in linea con una interpretazione di tipo letterale dell'art. 2059.

Nella sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986 è svolta una articolata disamina del concetto di salute, rectius diritto alla salute, letto alla luce dell'articolo 32 della Costituzione e tale da indurre la Corte ad una 'rivisitazione' degli articoli del codice civile 2043 [82] e 2059.

La questione di incostituzionalità dell'art. 2059 c.c. verteva sulla estensione attribuita a questo articolo che ad una prima lettura - peraltro avulsa dal riscontro dell'art. 32 Costituzione - appariva non 'spendibile' al fine di legittimare un risarcimento del danno biologico [83].

La Corte nel suo excursus fa riferimento a due precedenti sentenze, la n. 87 del 1979 [84] e la n. 88 dello stesso anno [85], entrambe soffermatesi sull'art. 2059 c.c. per poi passare ad una lettura dell'art. 2059 c.c. 'arricchita' dal riferimento costituzionale fornito dall'art. 32 [86], per arrivare a concludere che "l'art. 2059 c.c. attiene esclusivamente ai danni morali subiettivi e non esclude che altre disposizioni prevedano la risarcibilità, in ogni caso, del danno biologico, per sé considerato; poiché lo stesso diritto vigente individua nell'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32 Cost., la disposizione che disciplina la risarcibilità, per sé, in ogni caso, del danno biologico; mentre va dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale, così, come prospettata, dell'art. 2059 c.c., va dato atto che il combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c., consente la risarcibilità, in ogni caso, del  danno biologico".

La Corte Costituzionale in una successiva sentenza ha sancito il superamento della cristallizzata affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale considerato dall'art. 2059 cod. civ. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo [87];

Va altresì detto che la stessa chance [88], definita come la occasione favorevole che attraverso un intervento medico sia possibile raggiungere un determinato risultato, ha un valore giuridico ed economico.

Tale affermazione è stata ribadita dalla Cassazione con sentenza n. 4400/2004.

6. Per una rifondazione della responsabilita' medica

La tematica relativa alla responsabilità medica per colpa ha assunto dimensioni tali da avere fatto 'germogliare' all'interno della medicina legale una sub specializzazione denominata come 'medicina legale della responsabilità medica'.

Sulla scorta delle sentenze pronunciate in Italia negli ultimi decenni in materia di responsabilità penale e civile del sanitario medico c'è chi [89] ritiene che una valutazione delle probabilità effettuata ex ante non consente di arrivare a un grado di certezza tale da potere produrre un giudizio di condanna.

La rapida, e certamente incompleta, carrellata di pronunce giurisprudenziali contenute nel presente contributo evidenzia, a parere dello scrivente, un orientamento giurisprudenziale - al quale a volte ha fatto da 'sponda' anche una elaborazione dottrinale - 'severo' nei confronti della classe medica e, sostanzialmente,'tarato' sulla tutela della salute che, comunque, rimane un diritto costituzionalmente garantito.

Ed è proprio partendo dalla centralità del malato - nella sua dimensione di persona - che è auspicabile una rifondazione della responsabilità medica.

Di conseguenza, appare opportuno 'rinunziare', sulla falsariga di quanto già accade nei paesi di common law, a sentenze di condanna penali e puntare più sulla responsabilità civile, nei cui procedimenti la parte lesa potrà beneficiare della regola probatoria della preponderanza dell'evidenza o del più probabile che no.

Le recenti pronunce giurisprudenziali appaiono propendere per la linea che conduce ad una enfatizzazione di tipo risarcitorio del danno da responsabilità civile con la conseguenza di ridimensionare l'ambito di competenza della tutela penale.

Con questa prospettiva diventa più facile stabilire dei criteri quantificativi per il risarcimento del danno biologico, morale ed, anche, psichico che non risulta essere stato prodotto da una lesione fisica.

Per una riforma organica della materia relativa al danno alla persona e della correlata tutela risarcitoria si può, quindi, ipotizzare la introduzione, nel codice civile, di una apposita norma a riconoscimento e tutela del danno biologico e di quello morale.

Prendendo lo spunto da recenti sentenze adottate dalla Cassazione (n. 7281, 7282, 8827 e 8828 del 2003) e dalla Corte Costituzionale (n. 233/2003) è possibile tentare una 'ridefinizione' del sistema risarcitorio del danno alla persona partendo da un sistema di tipo bipolare del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale, ascrivendo all'art. 2059 c.c. ogni danno di natura non patrimoniale derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona ( id est: danno morale soggettivo, danno biologico in senso stretto, danno esistenziale).

Tale auspicio, per divenire realtà, richiede, però, una completa rivisitazione degli istituti in commento e, quindi, il coinvolgimento dei soggetti che, a vario titolo, risultano essere coinvolti: legislatore, giurisprudenza, dottrina, medici, associazioni a tutela dei malati, ecc..


Note:

1 L'Autore, funzionario AUSL, è Docente Incaricato di: Diritto Privato al Corso di Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, e di: Elementi di Diritto Pubblico al Corso di Laurea in Tecnico di Laboratorio Biomedico; presso la Università "G.D'Annunzio" - Facoltà di Medicina e Chirurgia di Chieti-Pescara; a.a. 2006/2007.

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3 Ficarra M.G e Bucci R., Il diritto alla salute. La risposta europea alla luce del Trattato di Nizza e il ruolo dell'educazione sanitaria; Eusebi , Il cittadino e la salute, tra libertà e responsabilità, in Tendenze nuove, n. 6/202;

4 Si rimanda alla conferenza stampa di presentazione dell'Assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita sul tema: "Qualità della vita ed etica della salute", tenutasi il 17.02.2005. In questa sede Mons. E. Sgreccia distingue i concetti di 'qualità della vita' e di 'salute', rimarcando che manca una definizione univoca dei due concetti, " Non è sempre precisato se si tratta di parametri medico-sanitari.si parla di qualità della vita anche in senso socio-economico .e in senso ecologico.Accanto a queste accezioni, progressivamente è emerso un altro significato.riduttivo, perché riferentesi prioritariamente al benessere fisico della persona inteso in senso 'selettivo'.in questa prospettiva, il termine 'qualità della vita' assume un carattere oppositivo a quello di 'sacralità della vita'." Analogo ragionamento va fatto, secondo l'illustre teologo, a proposito del concetto di 'salute' che "è un bene importante per l'uomo" ma che non "può essere considerato un bene assoluto, poiché la salute suppone quanto meno la sussistenza del valore fondamentale della vita. ".

5 In altra sede abbiamo avuto occasione di scrivere che " Siamo dell'avviso che una rivisitazione del personalismo debba compiersi al fine di introdurre la concezione della persona come eticamente impegnata a svolgere al meglio della sua capacità creativa, l'impegno personale e societario, per la pienezza dello sviluppo umano possibile. Tale impegno che mira a riscoprire la specificità che l'etica ha nel diritto emerge in particolare in due momenti distinti: la elaborazione della norma e la sua attuazione. Il diritto quando viene applicato diventa un atto di libera volontà che, in quanto tale è etica. In altre parole, il diritto nel suo definirsi ed essere concreto si converte in etica. Tra i valori che possono servire a fondare la interpretazione critica del diritto positivo e la progettazione di un nuovo diritto, va collocata la giustizia. Essa è uno dei principali fini dell'agire personale; ed è corroborata dalla persona, senza la quale la stessa giustizia (che è fondamento del diritto) resta una nozione puramente formale. "

6 Codice Civile, Titolo III - Capo II Delle professioni intellettuali: art. 2229 (Esercizio delle professioni intellettuali); art. 2230 (Prestazione d'opera intellettuale); art. 2231 (Mancanza di iscrizione); art. 2232 (Esecuzione dell'opera); art. 2233 (Compenso); art. 2234 (Spese e acconti); art. 2235 (Divieto di ritenzione); 2236 (Responsabilità del prestatore d'opera), art. 2237 (Recesso); art. 2238 (Rinvio).

7 Obbligazioni di mezzi : in base alle quali il medico si obbliga a prestare la propria opera, sic et simpliciter, e non a guarire il paziente; in altre parole, il professionista deve svolgere una prestazione a prescindere dal conseguimento di una determinata finalità.

8 Obbligazioni di risultato : si rientra in questa categoria allorché il debitore è tenuto a realizzare una determinata finalità a prescindere dagli strumenti impiegati; è il caso del professionista medico che si impegna a guarire un malato.

9 Art. 1176 c.c. - Diligenza nell'adempimento - Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata .

10 Art. 1218 c.c. - Responsabilità del debitore - Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile .

11 Sia consentito rimandare a Modesti G ., Il consenso informato al trattamento medico-chirurgico. Responsabilità civile e penale del medico nei riguardi del paziente su: www.iureconsult.com/areatema/responsabilità/medico/index.htm ; agosto 2005

12 Va però detto che la Cassazione, già a decorrere dal 1985, ha sollevato dubbi circa il dualismo esistente tra le due tipologie di responsabilità, così come elaborate dalla dottrina. Si rimanda alla lettura delle sentenze: n. 1280 del 6 febbraio 1998 , la quale ha stabilito che la mancata realizzazione del risultato è di per sé un elemento caratterizzante la negligenza; n. 6416 del 10.12.1979 ( nello stesso senso : n. 7618 del 14.8.1997 e n. 3566 del 25.3.1995) la quale è arrivata a concludere che la " obbligazione assunta dal medico consistente nel provocare la definitiva infertilità di una paziente è, come tale, di risultato ". " .a differenza dell'obbligazione di mezzi, la quale richiede al debitore soltanto la diligente osservanza del comportamento pattuito, indipendentemente dalla sua fruttuosità rispetto allo scopo perseguito dal creditore, nell'obbligazione di risultato, nella quale il soddisfacimento effettivo dell'interesse di una parte è assunto come contenuto essenziale ed irriducibile della prestazione, l'adempimento coincide con la piena realizzazione dello scopo perseguito dal creditore, indipendentemente dall'attività e dalla diligenza spiegate dall'altra parte per conseguirlo." . , n. 9617 del 10.9.1999 " L'obbligazione assunta dal medico, consistente nel provocare la definitiva infertilità di una paziente è, come tale, di risultato e non di mezzi. In tal caso l'obbligazione di risultato può considerarsi adempiuta solo quando si sia realizzato l'evento previsto come conseguenza dell'attività esplicata dal debitore, nell'identità di previsione negoziale e nella completezza quantitativa e qualitativa degli effetti previsti, e, per converso, non può ritenersi adempiuta se l'attività dell'obbligato, quantunque diligente, non sia valsa a far raggiungere il risultato previsto. Ne deriva che una volta che sia provata la mancanza del risultato, va riconosciuto l'inadempimento del medico stesso, anche quale presupposto della risoluzione del contratto d'opera professionale ".

13 Cassazione Civile, III Sezione, 6 ottobre 1997, n. 9705 : " In tema di terapia chirurgica, affinché il paziente sia in grado di esercitare consapevolmente il diritto, che la Carta Costituzionale gli attribuisce, di scegliere se sottoporsi o meno all'intervento, incombe sul sanitario uno specifico dovere di informazione circa i benefici e le modalità dell'operazione, nonché circa i rischi prevedibili in sede post-operatoria; dovere questo che, nel campo della chirurgia estetica, ove si richiede che il paziente consegua un effettivo miglioramento del suo aspetto fisico globale, è particolarmente pregnante; con la conseguenza che l'omissione di tale dovere, al di la della riuscita dell'intervento previsto ed indipendentemente dalla natura  di mezzi dell'obbligazione di prestazione d'opera professionale, non esonera il sanitario da responsabilità, sia contrattuale che extracontrattuale, qualora si verifichi - come esito dell'intervento stesso - un evento dannoso ". Altre pronunce giurisprudenziali sono contenute in: Cass. 8 aprile 1997, n. 3046 Cass. 15 gennaio 1997, n. 364, Cass. 25 novembre 1994, n. 10014, nonché Cass. 8 agosto 1985, n. 4394; Cass. 18 giugno 1975, n. 2439, e, per la giurisprudenza di merito, cfr.: Corte di Appello di Milano 2 maggio 1995,

14 Pizzetti. . C hirurgia estetica e responsabilità medica, in www.jus.unitn.it ; commento a Cassazione civile, III sezione, 6 ottobre 1997, n. 9705 l'ambito della chirurgia estetica rientra, rectius dovrebbe rientrare, nell'orbita dei trattamenti sanitari di tipo terapeutico in quanto il soggetto che lo richiede vuole, in qualche maniera, superare uno stato di malessere psicologico legato alla 'malformazione' da eliminare. Il miglioramento dell'aspetto fisico del paziente, attraverso un intervento chirurgico, fa scaturire a carico del sanitario 'un dovere particolare di informazione che va oltre la semplice enumerazione e prospettazione dei rischi, delle modalità e delle possibili scelte.' Occorre, quindi, effettuare una valutazione ponderata che tenga conto sia dei miglioramenti estetici sia degli svantaggi causati dall'intervento. Anche l'ancoraggio della obbligazione del chirurgo alla categoria dei mezzi, a detta della Cassazione, non fa venire meno la sua responsabilità.

15 Cass. civ., Sez.III, 10/02/2003, n. 1939: Il debitore, alfine di liberarsi della responsabilità nei confronti del creditore, non può di regola limitarsi ad allegare di aver usato, nell'adempiere, la diligenza del buon padre di famiglia, dovendo invece dimostrare la sussistenza del requisito dell'impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile. Cass. civ., Sez. II, 18/07/2002, n. 10454: Le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall'art. 1176, comma 2, c.c., che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione.

16 Princigalli A.M., La responsabilità del medico, op. cit; Vagnoni S., Responsabilità medica: il ricovero protratto senza necessità può essere fonte di responsabilità, in www.StudioCataldi.it .

17 Paradiso M., La responsabilità medica dal torto al contratto, op. cit. al quale si rimanda per una lucida analisi espositiva.

18 Corte di Appello di Milano, Sez. II, sentenza n. 369/2006 ". il concetto di trattamento medico.non può essere ridotto all'atto chirurgico.ma va esteso a qualsiasi atto che coinvolga la persona del paziente nella sua dimensione personale, sia fisica che psichica.In altri termini, se nella relazione giuridica che si instaura tra medico e paziente il riferimento normativo fondamentale è costituito dal diritto alla salute e dalla libertà personale del paziente stesso, il concetto di trattamento medico sarà tanto ampio quante sono le estrinsecazioni di quel diritto e di quella libertà. E comprenderà tutti gli atti e le decisioni, che con quel diritto e con quella libertà interferiscono ad opera del medico. Potrà, quindi, trattarsi di atti chirurgici, di trattamenti farmacologici, di attività diagnostica e di tutto quanto si svolge in un contesto medico..anche il ricovero ospedaliero rientri nel concetto ampio di trattamento medico, quale condizione ambientale ritenuta necessaria per lo svolgimento dell'attività di diagnosi e cura..da ciò discende che il ricovero ospedaliero, al pari di ogni altro trattamento, deve rispondere a corretti criteri di indicazione medica, e deve quindi essere il risultato di una valutazione bilanciata tra i benefici attesi.e i noti rischi connessi. "

19 La figura del buon padre di famiglia è stata 'tratteggiata' in sede dei lavori preparatori al codice civile e da essa di desume che " La figura del buon padre di famiglia non si risolve nel concetto medio, ricavabile dalla pratica della media statistica; ma è un concetto deontologico che è frutto di una valutazione espressa dalla coscienza sociale ".

20 Corte di Cassazione, sentenza n. 2439 del 18.6.1975: " La diligenza che il professionista deve porre nello svolgimento dell'attività professionale in favore del cliente è quella media: la diligenza, cioè, del professionista di preparazione media e di attenzione media nell'esercizio della propria attività: in definitiva, la diligenza che, a norma dell'art. 1176, secondo comma c.c., deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata ".

21 Art. 40 c.p.: "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione".

22 L'art. 41 c.p,c. 1:: "Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione o dall'omissione del colpevole non esclude il rapporto di causalità tra l'azione o l'omissione e l'evento" . c. 2 : "Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita" .

23 Fiandaca-Musco, Diritto Penale, Zanichelli, 2004; Stella F ., Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Giuffrè, 2000; Maccioni S., Accertamento del nesso di causalità nei reati colposi del settore medico, Il Sole24Ore - AVVOCATO, n. 1/2004; Iadecola G, Responsabilità professionale per omissioni: il nesso di causalità si verifica caso per caso; Il Sole24Ore - Sanità, 27.8 - 2.9 2002; Del Giudice P., Omicidio colposo: responsabilità omissiva del medico e nesso causale; Mommo G., Responsabilità medica: nesso di causalità e concorso di cause; su www.Altalex.it ; D'Apollo L., Il rapporto di causalità nell'attività medica, in www.filodiritto.com ; Rossi B ., I l concetto di causalita' in dottrina e in giurisprudenza, in www.Diritto.it ; Barni, Il rapporto di causalità in medicina legale, Giuffrè, 1991; Donini, La causalità omissiva e l'imputazione 'per aumento di rischio'. Significato teorica e pratico delle tendenze attuali in tema di accertamenti eziologico probabilistici e decorsi causali ipotetici; in Riv. It. Dir. e proced. Pen, 2002; Stella F., Giustizia e modernità. La protezione dell'innocente e la tutela delle vittime, Giuffrè, 2001

24 Ci si riferisce al preparato farmaceutico ingerito negli anni sessanta da donne durante la gravidanza: quasi tutte partorirono figli con malformazioni congenite.

25 Ci si riferisce alla comparsa di manifestazioni cutanee patologiche negli abitanti di una zona in cui era collocata una fabbrica di alluminio che emetteva fumi all'esterno.

26 Cassazione, sez.unite, sentenza n. 30328/2002 " La verifica della causalità postula il ricorso al 'giudizio controfattuale', articolato sul condizionale congiuntivo 'se ... allora ...' (nella forma di un periodo ipotetico dell'irrealtà, in cui il fatto enunciato nella protasi è contrario ad un fatto conosciuto come vero) e costruito secondo la tradizionale 'doppia formula', nel senso che: a) la condotta umana 'è' condizione necessaria dell'evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l'evento non si sarebbe verificato; b) la condotta umana 'non è' condizione necessaria dell'evento se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l'evento si sarebbe egualmente verificato. E' dunque causa penalmente rilevante . la condotta umana, attiva o omissiva che si pone come condizione 'necessaria'  -conditio sine qua non- nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l'evento da cui dipende l'esistenza del reato non si sarebbe verificato."

27 Corte di Cassazione, Sez. IV, sentenza n. 25233 /2005 , contiene un interessante escursus sulla evoluzione della giurisprudenza di legittimità in tema di nesso di causalità con specifico riferimento alla condotta omissiva in materia di colpa professionale medica. ". è stato talora affermato che a far ritenere la sussistenza del rapporto causale, 'quando è in gioco la vita umana anche solo poche probabilità di successo.sono sufficienti' (Sez. 4, n. 4320/83 ); in altra occasione si è specificato che, pur nel contesto di una 'probabilità anche limitata', deve trattarsi di serie ed apprezzabili possibilità di successo'.; altra volta, ancora, .'in tema di responsabilità per colpa professionale del medico, se può essere consentito il ricorso ad un giudizio di probabilità in ordine alla prognosi sugli effetti che avrebbe potuto avere, se tenuta, la condotta dovuta., è necessario che l'esistenza del nesso causale venga riscontrata con sufficiente grado di certezza, se non assoluta.almeno con un grado tale da fondare su basi solide un'affermazione di responsabilità, non essendo sufficiente a tale fine un giudizio di mera verosimiglianza ( Sez. IV, n. 10437/93 ). In tempi meno remoti.è stato posto l'accento sulle 'serie e rilevanti (o apprezzabili) possibilità di successo', sull'alto grado di possibilità.è stata apprezzata una percentuale del 75% di probabilità di sopravvivenza della vittima, ove fossero intervenute una diagnosi corretta e cure tempestive ".

28 Cassazione penale, Sez. IV: sentenza n. 7151 del 11.1.1999; sentenza n. 360 del 18.1.1995; sentenza n. 6683 del 7.7.1993; sentenza n. 1278 del 7.3.1989.

29 Cassazione penale, sez. IV: sentenza n. 1585 del 16 gennaio 2002; sentenza n. 9780 del 9 marzo 2001; sentenza n. 14006 del 28 novembre 2000.

30 Cassazione penale, Sezioni Unite, sentenza n. 30328 del 11 settembre 2002 suddetta teoria " è caratterizzata dal riferimento alla sufficiente efficacia esplicativa del fenomeno offerta dalla mera 'possibilità' o anche da inadeguati coefficienti di probabilità salvifica del comportamento doveroso, espressa in termini di 'aumento - o mancata diminuzione - del rischio' di lesione del bene protetto o di diminuzione delle chances di salvezza del medesimo bene. "

31 Cassazione, sez. unite, sentenza del 10 luglio 2002. e Cassazione, sez. IV: sentenza n. 22568 del 10 giugno 2002; sentenza n. 38334 del 15 novembre 2002; Cassazione, sez. IV, sentenza n. 1141 del 9 ottobre 2002 : " il nesso causale deve essere accertato, non sulla base di criteri di probabilità statistica, bensì secondo i criteri probatori ordinariamente applicati dal giudice nel processo penale, e può ritenersi esistente quando alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, possano escludersi processi causali alternativi e si possa affermare in termini di certezza processuale, ossia in termini di elevata credibilità razionale o probabilità logica, che sia stata proprio la condotta omissiva del medico a determinare l'evento ".

32 Cassazione penale, Sezioni Unite, sentenza n. 30328 del 11 settembre 2002 " Il ricorso a generalizzazioni scientificamente valide consente infatti di ancorare il giudizio controfattuale, altrimenti insidiato da ampi margini di discrezionalità e di indeterminatezza, a parametri oggettivi in grado di esprimere effettive potenzialità esplicative della condizione necessaria, anche per i più complessi sviluppi causali dei fenomeni naturali, fisici, chimici o biologici.." Di conseguenza "non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica".

33 Cassazione penale, S.U. sentenza n. 30328/'02. U na recente sentenza del Tribunale di Novara (n. 341/2006) ha recepito in pieno quanto disposto dalle Sezioni Unite. Ma, ferma restando la struttura ipotetica della spiegazione causale, secondo il paradigma condizionalistico e lo strumento logico dell'astrazione contro il fatto, sia in dottrina che nelle più lucide e argomentate sentenze della giurisprudenza di legittimità, pronunciate in riferimento a fattispecie di notevole complessità per la pluralità e l'incertezza delle ipotesi esplicative dell'evento lesivo. , si è osservato che, in tanto può affermarsi che, operata l'eliminazione mentale dell'antecedente costituito dalla condotta umana, il risultato non si sarebbe o si sarebbe comunque prodotto, in quanto si sappia, 'già da prima', che da una determinata condotta scaturisca, o non, un determinato evento.

34 Cassazione, sez. IV, sentenza n. 25233/2005 " il giudice di merito deve verificare la validità dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, nel caso concreto, sulla base delle circostanze di fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con 'alto o elevato grado di credibilità razionale' o 'probabilità logica' con la conseguenza che l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio ."

35 Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 41943 del 21 dicembre 2006 " .riconosciuta l'inosservanza delle disposizioni antinfortunistiche come causa delle lesioni per il principio dell'equivalenza delle condizioni e quindi dell'efficienza causale di ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell'evento, il nesso eziologico viene meno solo se è interrotto da un fattore sufficiente a produrre l'evento. In particolare, nel caso di lesioni personali cui sia seguito il decesso della vittima la colpa dei medici, anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento dell'agente perché questi provocando tale evento (le lesioni) ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale."

36 Chindemi D., La responsabilità della struttura sanitaria (pubblica e privata), su www.lapraticaforense.it Vanacore G., Responsabilità contrattuale dell'ente ospedaliero: onus probandi, presunzione di colpa e deduzione di responsabilità aquiliana, in www.Diritto,it ; Riario Sforza M., op. cit.

37 Art. 2043 c.c. Risarcimento per fatto illecito: " Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno " (Cod. Pen. 185). La responsabilità derivante dall'articolo 2043 del Codice Civile è anche detta responsabilità da provare; ciò significa che il danneggiato deve dimostrare: Che taluno ha commesso il fatto. Che questo fatto è in relazione di causa - effetto con il danno da lui patito. Che il comportamento del danneggiante è stato doloso o colposo. L'onere della prova è dunque a carico del danneggiato secondo la regola generale sancita dall'art. 2697 del Codice Civile: "chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento" .

38 Art. 2236 c.c. Responsabilità del prestatore d'opera " Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave " (1176).

39 Questa Corte, infatti, ha costantemente inquadrato la responsabilità dell'ente ospedaliero nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto Cassazione sez. III sentenza n. 589 del 22.1.1999 ha definito di natura contrattuale la responsabilità del sanitario medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale " ancorchè non fondata su contratto ma sul contatto sociale connotato dall'affidamento che il malato pone nella professionalità dell'esercente una professione protetta" Anche recentemente, Cassazione sez. III civile, n. 2042/05 , ha affermato che " La responsabilità dell'ente ospedaliero ha dunque natura contrattuale e può conseguire, a norma dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento di quelle obbligazioni che sono direttamente a carico dell'ente debitore. E può anche conseguire, a norma dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, che assume la veste di ausiliario necessario del debitore ." Ulteriori sentenze della suprema Corte dello stesso tenore sono le sentenze:n. 6141/1978; n. 1716/1979; n. 2144/1998; n. 6707/1988; n. 5939/1993; n. 4152/1995; n. 7336/1998; n. 12233/1998;; n. 9198/1999; n. 3492/2002; n. 11001/2003; n. 11316/2003.

40 Cassazione sentenza n. 9198 del 1.9.1999 " la responsabilità per fatto illecito è imputabile anche al soggetto, pubblico o privato, gestore della struttura sanitaria in cui il paziente è stato accolto e ne costituisce criterio di imputazione, rispettivamente sulla base degli artt. 28 della Costituzione e 2049 Cod.Civ., la circostanza che l'attività sanitaria, in funzione dell'adempimento del contratto, sia stata svolta dalle persone, inserite nella propria organizzazione, di cui il gestore pubblico o privato si è avvalso per renderla "

41 Art. 2049 c.c. Responsabilità dei padroni e dei committenti " I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti ."

42 Art. 28 Costituzione " I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici ". L'articolo riguarda la responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici quando, da un loro atto, sia stato leso il diritto di un cittadino. In sede penale, quando sia stato commesso un reato; in sede amministrativa, quando non si siano rispettate le norme di funzionamento degli uffici pubblici (vedi art. 97); in sede civile, quando sia stato provocato un danno che deve essere risarcito. Se il patrimonio del dipendente pubblico non è sufficiente, sarà lo Stato a risarcire il danno, salvo rivalersi sul suo dipendente.

43 Cass. 1 marzo 1988 n. 2144, non fa alcuna distinzione tra la responsabilità dell'ente pubblico ospedaliero e del medico dipendente: in ogni caso di natura contrattuale di tipo professionale. Le decisioni ispirate a tale principio si basano sul disposto dell'art. 28 Cost. e su tale presupposto l'ente e il sanitario risponderebbero ugualmente per responsabilità contrattuale. Cass. 11 aprile 1995 n. 9152; Cass. 27 maggio 1993 n. 5939; Cass. 1> febbraio 1991 n. 977 .

44 Per un inquadramento della responsabilità dirigenziale ad opera dei Contratti Collettivi di Lavoro, si rimanda a Casella A., La responsabilità disciplinare della dirigenza del s.s.n.: indirizzi applicativi, in RAGIUSAN, n. 222

45 La definizione è di Castronuovo.

46 Art. 1173 c.c. Fonti delle obbligazioni "Le obbligazioni derivano da contratto (1321 e seguenti), da fatto illecito (2043 e seguenti), o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle (433 e seguenti, 651, 2028 e seguenti, 2033 e seguenti, 2041 e seguenti) in conformità dell'ordinamento giuridico."

47 Chindemi D., op. cit .

48 Una sentenza della Corte dei Conti , n. 53 del 2005 , ha condannato in solido, una Usl ed il primario, per i danni subiti da un utente a seguito di un intervento chirurgico.

49 Corte di Cassazione, sentenza n. 589/1999. "Quanto alla natura della responsabilita' professionale del medico, osserva preliminarmente questa Corte che, contrariamente a quanto avviene negli ordinamenti dell'area di common law, ove persiste la tendenza a radicare la detta responsabilita' nell'ambito della responsabilita' aquiliana (torts), nei paesi dell'area romanistica, come nel nostro ordinamento, si inquadra detta responsabilita' nell'ambito contrattuale. Invece controversa e' in giurisprudenza la natura della responsabilita' del medico dipendente di una struttura pubblica nei confronti del paziente. Costantemente si e' affermato che la extracontrattualita' dell'illecito del medico dipendente non osta all'applicazione analogica dell'art. 2236, in quanto la ratio di questa norma consiste nella necessita' di non mortificare l'iniziativa del professionista nella risoluzione di casi di particolare difficolta' e ricorre, pertanto, indipendentemente dalla qualificazione dell'illecito" ( Cass., Sez. unite, 6 maggio 1971 n. 1282; Cass. 18 novembre 1997 n. 11440 ).

50 Marinello S., Spetta al medico dimostrare la difficoltà di esecuzione dell'intervento, in Rischiosanità

51 Corte di Cassazione sentenza n. 4058 del 25 febbraio 2005. anche in precedenti sentenze ( n. 4400/04, n. 7336/1998, n. 4152/1995 ) la Corte aveva precisato che la responsabilità dell'ospedale nei riguardi dei pazienti ricoverati è di tipo contrattuale. La responsabilità dell'azienda ospedaliera, operante in qualità di gestore di un pubblico servizio sanitario, così come del medico suo dipendente, per i danni subiti da un utente a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica ha natura contrattuale di tipo professionale, poiché si inserisce nell'ambito del rapporto giuridico che può essere di natura pubblica o privata .

52 Cassazione, sentenza n. 13066/2004: " Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo.insorgono a carico della casa di cura (o dell'Ente), accanto a quelli di tipo 'latu sensu' alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'Ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche 'di fiducia' dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto "; Cassazione, Sez. III, sentenza n. 4058/2005 : la responsabilità dell'ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, e del medico suo dipendente per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica, inserendosi nell'ambito del rapporto giuridico pubblico (o privato) tra l'ente gestore e il privato, che ha usufruito del servizio richiesto, ha natura contrattuale di tipo professionale. Ne consegue che la responsabilità diretta dell'ente e quella del medico, inserito organicamente nella struttura del servizio, sono disciplinate in via analogica dalle norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto di opera professionale.

53 Cassazione sez. IV, 5.1.1982 , secondo la quale " nel caso di evento colposo determinato da negligenza nel corso di un'operazione chirurgica, va ritenuto responsabile sia il chirurgo, principale esecutore dell'intervento, che il suo assistente, poiché quest'ultimo, nella sua qualità di collaboratore e potenziale continuatore dell'operazione, ha il compito di vigilare sulla intera esecuzione " (di avviso analogo: sez. IV, 25.2.2000 e sez. IV sentenza n. 33619 del 12 luglio 2006 secondo la quale in materia di colpa medica nelle attività d'equipe, dell'evento lesivo cagionato al paziente risponde ogni componente dell'equipe che non osservi le regole di diligenza e di perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte e che venga peraltro meno al dovere di conoscere e valutare le attività degli altri medici in modo da porre rimedio ad eventuali errori che pur posti in essere da altri siano evidenti per un professionista medio.)

54 Cass., sez. IV, 9.4.1984 " in una equipe medica, che svolge un'operazione chirurgica, l'anestesista è deputato a controllare lo stato di insensibilità del paziente all'azione chirurgica, la sua reazione e magari la sua sicurezza dal punto di vista circolatorio, mentre non ha nessuna competenza e quindi nessun incarico di porre o estrarre tamponi dalla cavità soggetta all'operazione. Ne consegue che l'anestesista non risponde del fatto che venga dimenticata nell'addome del paziente una garza laparatomica, che dia luogo ad un processo infiammatorio endoperitoneale (. ) producente lesioni colpose gravi ".

55 Nel nostro argomentare siamo confortati dal tenore della seguente sentenza: Cass. civ., Sez.III, 18/05/2001, n. 6822 Il primario ospedaliero, ai sensi dell'art. 7 d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128, ha la responsabilità dei malati della divisione, per i quali ha l'obbligo di definire i criteri diagnostici e terapeutici che gli aiuti e gli assistenti devono seguire e di vigilare, com'è desumibile anche dall'art. 63 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, sull'esatta esecuzione da parte dei medesimi. Pertanto sussiste la negligenza del primario del reparto che omette, violando gli schemi della normale pratica ostetrica, di impostare un programma di monitoraggio assiduo del travaglio di una partoriente - per venti minuti all'inizio del medesimo, poi ogni trenta minuti per una durata di cinque minuti, e nell'ultimo periodo del travaglio ogni cinque minuti - al fine di poter intervenire tempestivamente, con un taglio cesareo, all'insorgere di sofferenza fetale; di impartire direttive precise di controllo cardiotocografico al suo assistente in caso di sua assenza dal reparto; di vigilare sull'esatta esecuzione delle medesime ed è, quindi, colpevole per i danni riportati da un neonato in seguito a sofferenza anossica cerebrale, evitabile con un tempestivo parto cesareo.

56 Lepre , La responsabilità civile del primario e del medico di fiducia dipendente della struttura ove si è verificato il danno, in Ragiusan n. 220/221

57 C. Cassazione Civile, sez. III, sent. n. 6318/00 ". anche allorchè il paziente sia stato assegnato ad altro medico, la responsabilità del primario può tuttavia ricollegarsi alla violazione del dovere di dare istruzioni e direttive adeguate per il trattamento del caso e-o di verificarne la puntuale attuazione. Dovere che non è affatto eliso dalla 'assegnazione' ad altri medici ."

58 Cassazione idem ". se non può certo affermarsi che il primario sia responsabile di tutto quanto accade nel suo reparto, non essendo esigibile un controllo continuo e analitico di tutte le attività terapeutiche che vi si compiono, egli ha tuttavia il dovere di informarsi dello stato di ogni paziente ricoverato, di seguirne il decorso anche quando non provveda direttamente alla visita, di dare istruzioni del caso o comunque di controllare che quelle impartite dagli altri medici siano corrette e adeguate. E ciò quand'anche abbia affidato l'ammalato ad un medico in sottordine.volto che l'affidamento determina la responsabilità del medico affidatario per gli eventi a lui imputabili che colpiscano l'ammalato, ma non esime il primario dall'obbligo di assumere, sulla base delle notizie acquisite o che aveva il dovere di acquisire, le iniziative necessarie per provocare in ambito decisionale i provvedimenti richiesti da esigenze terapeutiche ."

59 Cassazione idem " La circostanza che manca nella legislazione italiana uno standard di riferimento sugli strumenti di cui una struttura sanitaria pubblica deve necessariamente disporre non esime il medico responsabile della cura dei pazienti dal dovere di informarli della possibile inadeguatezza della struttura per l'indisponibilità, anche solo momentanea, di strumenti essenziali per una corretta terapia o per una adeguata prevenzione di possibili applicazioni, tanto più se queste siano prevedibili in relazione alla particolare vulnerabilità del prodotto del concepimento, ."

60 Corte di Cassazione Penale, sez. IV, sentenza n. 9737 del 11 marzo 2005: i medici ospedalieri non possono dimenticare che sono responsabili dei pazienti e che per assisterli devono fare oltre quanto previsto dal contratto di lavoro. Nella fattispecie è stata sancita la responsabilità del sanitario che " in qualità di capo dell'equipe operatoria, fu titolare di una posizione di garanzia nell'ambito della quale.risolse imprudentemente di effettuare un intervento altamente specialistico.nell'ultimo turno pomeridiano.Inoltre egli, concluso l'intervento, nel trasferire la sua posizione di garanzia all'unico medico di guardia.non curò di fornire le necessarie indicazioni terapeutiche e di controlli dei parametri vitali del paziente appena operato né si preoccupò di seguire direttamente, anche per interposta persona, il decorso post operatorio ". Nella stessa sentenza si è ribadita la responsabilità del primario che decise di effettuare l'intervento chirurgico nel turno pomeridiano, ben sapendo che nelle ore notturne il reparto, così come l'intero presidio ospedaliero, è meno presidiato.

61 Martini, Colpa medica: il chirurgo risponde anche del decorso post-operatorio, in www.dirittoegiustizia.it .

62 Corte di Cassazione, sez. III, sentenza n. 4058 del 25 febbraio 2005: " il primario ospedaliero non può essere chiamato a rispondere di ogni evento dannoso che si verifichi in sua assenza nel reparto affidato alla sua responsabilità, non essendo esigibile un controllo continuo e analitico di tutte le attività terapeutiche che vi si compiono. E' però tenuto al dovere di vigilanza sull'attività del personale sanitario, dovere da concretizzare nella richiesta di informazioni precise sulle iniziative intraprese dai propri collaboratori. E' altresì responsabile, a prescindere dalla responsabilità degli stessi collaboratori medici, circa possibili e non del tutto imprevedibili eventi, che possono intervenire durante la degenza del paziente in relazione alle sue condizioni ".

63 Corte di Cassazione, Sez. III, sentenza n. 6318/2000.

64 Corte di Cassazione sentenza n. 13066 del 14 luglio 2004, " Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo., insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo 'lato sensu' alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'Ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato ."

65 Corte di Cassazione Civile, sez. III, sentenza n. 6318/2000 a proposito della responsabilità in capo alla struttura sanitaria, relativamente ad un caso di malpractise caratterizzato dalla mancanza di uno strumento diagnostico, ha sancito che ". la responsabilità della Usl deriva dal fatto che non era stata diligentemente adempiuta l'obbligazione contrattuale assunta nei confronti della., essendo emerso che l'evento si era prodotto per disfunzioni della struttura ospedaliera, quali la mancanza di un cardiotocografo funzionante e l'operato carente dei sanitari dipendenti dall'ospedale stesso. E' stata dunque configurata una responsabilità contrattuale della Usl, la cui ricorrenza non dipende.dalla concorrente responsabilità del dott. ., ma dalla mancanza del cardiotocografo e dall'operato carente dei sanitari della struttura ospedaliera, quali e quanti che essi fossero, restando il loro numero e la loro personale individuazione affatto irrilevanti in ordine alla responsabilità della Usl stessa ."

66 Art. 1228 c.c., Responsabilità per fatto degli ausiliari. " Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro ."

67 Corte di Cassazione, sentenze n. 6141/1978; 1716/1979; 2144/1988, ecc.

68 Corte di Cassazione, sentenze n. 589/1999 e n. 2836/2003.

69 Art. 2050 c.c. Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose. " Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno ". Sia consentito rimandare a Modesti G ., La responsabilità oggettiva e lo svolgimento delle attività pericolose ai sensi dell'art. 2050 codice civile, con particolare riferimento al trattamento dei dati personali alla luce del decreto legislativo n. 196/2003, su www.diritto.it ; e su www.dirittosuweb.com ; (giugno 2006)

70 Art. 2051 c.c. Danno cagionato da cosa in custodia. " Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito ".

71 Tribunale di Monza, sentenza del 7 giugno 1995.

72 Chindemi D., op. cit.

73 Corte di cassazione, sez. III civile, sentenza n. 8828 del 31 maggio 2003. "All'epoca dell'emanazione del codice civile (1942) l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale era racchiusa nell'art. 185 del codice penale del 1930. Ritiene il Collegio che la tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059, in relazione all'art. 185 c.p., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell'animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato (interpretazione fondata sui lavori preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza), non può essere ulteriormente condivisa. Nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all'art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo -, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona."

74 Chindemi D., Danno esistenziale e danno morale: differenze e rispettivi ambiti di applicazione, in www.lapraticaforense.it

75 Per tutte si rimanda a Cassazione sentenza n. 9972/1995

76 Cassazione sentenze n. 8827 e n. 8828 del 2003. hanno sancito il superamento della tradizionale impostazione secondo la quale il danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c., si identificherebbe con il danno morale soggettivo.

77 Ferlini , La tutela assicurativa: il rischio professionale del medico e la responsabilità delle strutture sanitarie, in Ragiusan, n. 210/01; Peccenini, La responsabilità civile del medico nell'evoluzione giurisprudenziale, in Ragiusan, n. 219; Cendon P., Malformazione del feto, mancata interruzione della gravidanza, danni non patrimoniali dei genitori, in www.Filodiritto.it ; Di Marzio M., Consacrazione del danno esistenziale in Cassazione, in www.Altalex.com ; Viola L., Riflessioni brevissime sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in www.Overlex.com ; La Lumia A., Il risarcimento del danno biologico dopo il nuovo inquadramento dei danni non patrimoniali, in www.diritto.net ;

78 Art. 2059 c.c. Danni non patrimoniali. " Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge ." Per una lettura dell'art. 2059 c.c. si rimanda a Tenaglia M.L. Il danno da vacanza rovinata nella prospettiva della responsabilità contrattuale o extracontrattuale e del danno patrimoniale o non patrimoniale, in www.diritto.it ;

79 Art. 185 - Restituzioni e risarcimento del danno " Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili. Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui . "

80 Va ribadito che una interpretazione di tipo 'letterale' dell'art. 2059 c.c., al suo apparire comportava un automatico collegamento all'art. 185 del codice penale del 1930 che era l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale.

81 Cassazione, sez. III civile, sent. n. 8828/03 " Non ignora il collegio che la tutela risarcitoria del c.d. danno biologico viene somministrata in virtù del collegamento tra l'art. 2043 c.c. e l'art. 32 Cost., e non già in ragione della collocazione del danno biologico nell'ambito dell'art. 2059, quale danno non patrimoniale, e che tale costruzione trova le sue radici (v. Corte Cost., sent. n. 184/1986) nella esigenza di sottrarre il risarcimento del danno biologico (danno non patrimoniale) dal limite posto dall'art. 2059 (norma nel cui ambito ben avrebbe potuto trovare collocazione, e nella quale peraltro un successiva sentenza della Corte Costituzionale, la n. 372 del 1994, ha ricondotto il danno biologico fisico o psichico sofferto dal congiunto della vittima primaria). Ma anche tale orientamento , non appena ne sarà fornita l'occasione, merita di essere rimeditato.

82 Corte Costituzionale, sentenza n. 184/1986 ". è l'art. 32 Cost. che, collegato all'art. 2043 c.c., fa sì che quest'ultimo non possa essere interpretato come applicantesi esclusivamente al danno patrimoniale od al danno economico derivanti dalla menomazione psico-fisica: questi danni.sono soltanto ulteriori ed eventuali conseguenze della lesione del bene - giuridico salute, prodotta dall'intero fatto lesivo.L'art. 2043 c.c., correlato ad articoli che garantiscono beni patrimoniali, non può esser letto come tendente a disporre il solo risarcimento dei danni patrimoniali.La vigente Costituzione, garantendo principalmente valori personali, svela che l'art. 2043 c.c. va posto soprattutto in correlazione agli articoli della carta fondamentale. e che.va letto in modo idealmente idoneo a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa dell'illecito. L'art. 2043 c.c., correlato all'art. 32 Cost., va, necessariamente esteso fino a comprendere il risarcimento, non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma (esclusi.i danni morali subiettivi) tutti i danni che, almeno potenzialmente, ostacolano le attività realizzatrici della persona umana ".

83 Il riconoscimento del danno biologico appare oggi più che scontato, in quanto, esso va annoverato tra i danni alla salute, e rientra quindi a pieno titolo, tra i valori della persona umana considerati inviolabili dalla Costituzione e poiché detta norma ha valore erga omnes, di conseguenza la sua tutela è oggetto di disciplina da parte dell'art. 2059 c.c. e non dall'art. 2043 c.c., che attiene esclusivamente ai danni patrimoniali.

84 Corte Costituzionale, sentenza n. 87/1979 dichiarò che l'art. 2059 c.c. non pone limitazioni all'esercizio di un diritto, prevedendo invece che il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale sorge solo nei casi espressamente previsti dalla legge; e quindi affermò che l'art. 2059 c.c. non contrasta col principio di eguaglianza, essendo lecito al legislatore operare trattamenti diversificati di situazioni non identiche per presupposti e gravità, ma indicò espressamente, tuttavia, come limite alla facoltà discrezionale del legislatore, l'ipotesi in cui vengano in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite.

85 Corte Costituzionale, sentenza n. 88/1979 configura il diritto alla salute " come un diritto primario ed assoluto.da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione" e precisa che, in caso di violazione dello stesso, "la indennizzabilità non può essere limitata alle conseguenze della violazione incidente sull'attitudine a produrre reddito, ma deve comprendere anche gli effetti della lesione al diritto considerato come posizione soggettiva autonoma indipendentemente da ogni altra circostanza e conseguenza ". Detta sentenza comprende tra i pregiudizi non patrimoniali risarcibili ex art. 2059 c.c. anche i danni costituiti dalla menomazione dell'integrità fisica.

86 Art. 32 Cost. c.1, " La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti ."

87 Corte Costituzionale Sentenza 30 giugno - 11 luglio 2003 233/2003 : " In due recentissime pronunce (Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), che hanno l'indubbio pregio di ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata, con ricchezza di argomentazioni - nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale - un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.)"

88 Marinello S., Responsabilità medica, perdita di chance e nesso di causalità, in RischioSanità.

89 Stella F., op. cit.

Autore: Dott. Giovanni Modesti - tratto da www.overlex.com - febbraio 2007