LA QUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO TRA
SOCIETÀ COOPERATIVA E SOCIO LAVORATORE

Con l’ordinanza 14 ottobre 2022 n. 29973, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione ha analizzato i presupposti per la configurabilità del vincolo di subordinazione nell’ambito del rapporto complesso in capo al socio lavoratore di cooperativa, con particolare riguardo alle ipotesi di svolgimento da parte di questo di compiti elementari, ripetitivi e predeterminati nelle modalità di esecuzione. La Cassazione, sulla scorta di precedenti orientamenti, riafferma che ai fini della qualificazione della natura del rapporto di lavoro, anche del socio lavoratore, occorre dare prevalenza alla valutazione circa le concrete modalità di svolgimento dello stesso. Diversamente, il nomen iuris attribuito dalle parti e le peculiarità del rapporto mutualistico connesso a quello lavorativo, pur essendo elementi necessari per la valutazione, non rivestono portata dirimente.

Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione conferma il proprio stabile orientamento secondo il quale, ai fini della qualificazione in termini di autonomia o di subordinazione del rapporto di lavoro (anche del socio lavoratore di società cooperativa), il nomen iuris a questo attribuito assumere una rilevanza non dirimente. Dovendosi invece, valutare le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro. Anche accordando una maggiore centralità all’analisi circa la sussistenza in concreto degli indici sussidiari di subordinazione, laddove il criterio dell’etero direzione non sia decisivo ai fini del giudizio, tenuto conto della tipologia di prestazione dedotta in contratto – i.e., elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione (cfr.: Corte cost., 7/5/2015, n. 76; Cass., Sez. Un., 26/7/2004, n. 13967; Cass. 16/5/2016, n. 10004; Cass. 31/10/2013, n. 24561; App. Torino, 10/2/2021, n. 60; App. Roma, 23/10/2020, n. 2000; Cass. 26/6/2020, n. 12871; Cass. 29/10/2019, n. 27725; Cass. 1/3/2018, n. 4884; Trib. Bari, 18/2/2020, n. 859).

La fattispecie oggetto dell’ordinanza in commento scaturisce da una controversia tra l'Inps e una società cooperativa in ragione dell’emissione da parte dell’ente di alcune note di rettifica da cui sarebbe derivato un credito per maggiori contributi previdenziali in capo alla società, sul presupposto della natura subordinata del rapporto intercorrente con alcuni soci lavoratori.

Nei precedenti gradi di giudizio, il Tribunale e la Corte d'appello di Milano riconoscevano la legittimità delle note di rettifica, a valle di un giudizio ricostruttivo delle concrete modalità di attuazione dei rapporti di lavoro dei soci, che portava a riconoscerne la natura subordinata e la conseguente applicazione del relativo regime previdenziale.

Al fine di tale giudizio, la Corte d’Appello valorizzava la sussistenza nel caso concreto di taluni indici sussidiari di subordinazione. In particolare, veniva valorizzata la risultanza per cui i soci lavoratori erano retribuiti in proporzione alla durata delle prestazioni svolte, senza assunzione di alcun rischio imprenditoriale, autorganizzazione o utilizzo di attrezzature proprie. Elementi centrali per la qualificazione della natura del rapporto nel caso di specie, secondo la Corte d’Appello, considerato che le prestazioni svolte – di pulizia e facchinaggio – si caratterizzavano per un contenuto elementare, ripetitivo e predeterminato nelle modalità di esecuzione, rendendo così più difficoltoso saggiare la sussistenza di un assoggettamento dei soci lavoratori al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore.

Nel rigettare il ricorso della cooperativa, la Suprema Corte ha approfondito il tema della corretta modalità di valutazione circa la natura del rapporto di lavoro dei soci lavoratori di aziende cooperative, tenendo conto anche della natura elementare e ripetitiva delle mansioni svolte da questi.

Della subordinazione nei rapporti di lavoro dei soci lavoratori di cooperative

Il ricorrente sosteneva la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., non avendo la Corte territoriale attribuito alcun rilievo alla volontà delle parti che aveva escluso, nei rispettivi contratti di lavoro, l’esistenza di un vincolo di subordinazione nel rapporto tra società e soci lavoratori.

In linea di continuità con i propri precedenti, la Corte di Cassazione stabilisce come, ai fini della distinzione fra lavoro subordinato e autonomo, debba attribuirsi maggiore rilevanza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto (in particolare, alla soggezione al potere direttivo del datore e agli indici sussidiari di subordinazione) da cui sia ricavabile l'effettiva volontà delle parti, rispetto al nomen iuris da loro adottato (cfr. ex multis, Cass. 26/6/2020, n. 12871; Cass. 29/10/2019, n. 27725; Cass. 1/3/2018 , n. 4884).

Infatti, tanto ai privati quanto al legislatore stesso è precluso il potere di qualificare un rapporto di lavoro in termini dissonanti rispetto alla sua effettiva natura, sottraendolo alle tutele che accompagnano la subordinazione (cfr., tra le più recenti in particolare, Corte cost., 7/5/2015, n. 76). Ne deriva l’indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore che dei contraenti privati.

Pertanto, seppur la qualificazione del rapporto data dalle parti non può essere ignorata, questa comunque non dispensa il giudice dal verificare le modalità concrete di svolgimento del rapporto di lavoro, interpretando il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto (art. 1362 c.c.).

Parimenti, il fatto che al rapporto di lavoro si affianchi un rapporto associativo, contraddistinto dalla partecipazione al rischio d’impresa, non esclude che si possa rinvenire la sussistenza, insieme al contratto di partecipazione, anche di quello commutativo di lavoro subordinato (cfr. Cass., Sez. Un., 26/7/2004, n. 13967). La sussistenza dell’uno non si porrebbe di per sé in antitesi con la sussistenza dell’altro. Del resto, la possibilità per il socio di stabilire anche un rapporto di lavoro subordinato, ulteriore a quello associativo, è riconosciuta espressamente all’art. 1, comma 3, L. 3 aprile 2001, n. 142.

Pertanto, al fine di determinare la natura subordinata o autonoma del rapporto di lavoro, anche dei soci lavoratori di cooperative, è necessario dare rilievo alle concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative.

In particolare, non violerebbe il disposto dell’art. 2094 c.c., l’aver dato maggior rilievo a criteri sussidiari distintivi della subordinazione rispetto al criterio univoco dell’assoggettamento del prestatore all’altrui potere direttivo, organizzativo e disciplinare.

Infatti, l’assoggettamento ai poteri datoriali risulta essere un indice inapplicabile allorché la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione.

In tale frangente, occorre valutare nel loro complesso dei criteri distintivi della subordinazione ulteriori, come la continuità e durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolazione dell’orario di lavoro e la presenza o meno di un’autonoma assunzione di un seppur minimo rischio d’impresa e di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al lavoratore (cfr. ex multis, Cass. 16/5/2016, n. 10004; Cass. 31/10/2013, n. 24561; App. Torino, 10/2/2021, n. 60; App. Roma, 23/10/2020, n. 2000; Trib. Bari, 18/2/2020, n. 859).

La Cassazione conferma, dunque, anche con rifermento al rapporto di lavoro dei soci lavoratori di cooperative, il proprio orientamento circa la valutazione della natura subordinata del rapporto con riferimento agli indici principali e sussidiari di subordinazione, indipendente dal nomen iuris attribuito dalle parti e dall’esistenza di un ulteriore rapporto associativo tra i contraenti.

02/11/2022 (Autrice: Avv. Ilaria Giovannelli)

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