La prescrizione dei crediti dell'amministratore di condominio e la riscossione dei contributi

Nota a Cassazione civile, Sez. II°, 04/10/2005 n. 19348

Sommario:
1. Premesse
2. Le questioni giuridiche e i relativi interrogativi
3. I precedenti giurisprudenziali e dottrinali
4. L'esigibilità del potere-dovere di riscossione dei contributi condominiali
5. Il precedente giurisprudenziale di Cass. 28 agosto 2002 n. 12596
6. La peculiare fisionomia giuridica del condominio
7. Le obbligazioni fanno capo ai condomini
8. L'applicabilità delle regole del mandato e inconfigurabilità della prescrizione
9. La prescrizione decennale del diritto al compenso e al rimborso delle anticipazioni
10. Conclusioni.

1. Premesse. - La sentenza in rassegna decide con apprezzata linearità una interessante e delicata questione della quale non constano precedenti specifici in termini, rivelandosi, poi, di grande ausilio per un corretto inquadramento giuridico delle «diverse pretese» dell'amministratore di condominio che, in ragione della mera circostanza di fatto della loro ricorrenza, annuale o in tempi più brevi, vengono, usualmente, accomunate ai fini della configurazione di una generalizzata prescrizione breve (quinquennale) con riferimento alla semplice richiesta di pagamento e al tempo trascorso dalla origine «oggettiva» della relativa obbligazione, prescindendo dalla peculiare fisionomia giuridica del condominio. La diffusione che una tale configurazione riceve dalle risposte ai lettori di rubriche giornalistiche anche prestigiose alimenta un affidamento popolare che, poi, non è più agevole sradicare perché corrisponde ad un'aspettativa «liberatoria» di una vasta platea di condomini-debitori appartenenti a ceti sociali medi non più forniti di ampie possibilità finanziarie, come in passato.
L'interesse per la decisione della Suprema Corte, finora passata singolarmente sotto silenzio, è stato suscitato dalla occasionale disamina della situazione in cui si è venuto a trovare un amministratore di condominio che - nominato dopo numerosi altri amministratori, succedutisi in un breve lasso di tempo l'uno dall'altro per le ricorrenti dimissioni e revoche - aveva provveduto a richiedere «diligentemente» il pagamento delle quote condominiali inevase, ma si è visto opporre, da uno dei condomini, la prescrizione quinquennale che - secondo le risposte ai quesiti contenuti nelle predette rubriche giornalistiche specializzate - si sarebbe perfezionata, nel corso del suo mandato, anche se appena accettato, per effetto dell'oggettiva mancata richiesta formale o della mancata proposizione della relativa azione di recupero coattivo, protrattasi per la durata di oltre cinque anni.
All'istintiva condiscendenza per il principio generale della certezza dei rapporti giuridici, che giustificava l'eccezione di prescrizione, più o meno breve, si accompagnava, però, il senso di palese irragionevolezza e ingiustizia, per una responsabilità che, imputabile, eventualmente e nel complesso, ai diversi amministratori che si erano succeduti nella gestione del condominio, veniva, però, a ricadere, interamente, sul nuovo ed ultimo amministratore, in carica al momento dello spirare del termine finale della supposta prescrizione, pur essendosi quest'ultimo affrettato, diligentemente ed in un lasso di tempo ragionevole, a sopperire alle pregresse omissioni e che, per il colmo della sventura, non era stato possibile agire più tempestivamente per il breve lasso di tempo intercorso dall'assunzione del mandato e dal completamento, altresì, delle operazioni di consegna di tutta la documentazione condominiale, spesso molto laboriosa ed assolutamente indispensabile per una corretta ed incontestabile richiesta di pagamento.
L'ultimo amministratore appariva, pertanto, incolpevole in relazione a una sua personale inadempienza, in quanto se il termine finale di maturazione della eccepita prescrizione cadeva nel corso del suo mandato, essa si riferiva, tuttavia, al più ampio periodo afferente i precedenti mandati ad amministrare, per cui non appariva razionale imputargli il mancato esercizio del «dovere» di riscossione dei contributi per l'intera durata.
Sembrava, peraltro, inammissibile una sommatoria dei diversi e distinti periodi di amministrazione del condominio, non ricorrendo una «successione nel rapporto» instaurato con i precedenti amministratori, periodicamente cessati anticipatamente per dimissioni o revoca, bensì di un nuovo mandato, autonomo e separato da quelli precedenti. Inoltre la fattispecie non riguarda una situazione reale, ma obbligatoria e quindi personale di un incarico ad amministrare conferito dai condomini e, quindi risalente «anche al condomino opponente» per il tramite «unificante» della delibera assembleare assunta collegialmente con il principio maggioritario.
L'approfondimento per un inquadramento generale che ispira il presente scritto è stato, poi, invogliato vieppiù per le perplessità (se non per lo scetticismo) che la timida prospettazione di una probabile inconfigurabilità di una prescrizione del diritto-dovere di riscossione dei contributi condominiali riceveva da esperti del diritto ai quali era rappresentata per le vie brevi, alla ricerca di un conforto all'intuizione che, anche al suo portatore, appariva quanto meno «estremamente originale».
Nel frattempo, emergevano e si rafforzavano i dubbi sulla configurazione di una prescrizione quinquennale, non convincendo la ricorrenza della fattispecie dell'art. 2948, n. 4, c.c. («si prescrive in cinque anni [...] gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi»), non solo perché - non essendo le quote condominiali identiche nel tempo, né per misura né per titolo giuridico - la ricorrenza di una loro periodicità appariva discutibile, ma, soprattutto, perché la «riscossione dei contributi» condominiali non sembra integrare una «prestazione» (in senso proprio) del condomino (supponente) in favore dell'amministratore, quale controparte contrattuale di un rapporto di credito e debito, bensì di somme dovute a titolo di semplice contributo per la costituzione comune della provvista (in favore dell'amministratore-mandatario) per le spese condominiali e, quindi, per l'adempimento di obbligazioni imputabili, comunque, ai singoli condomini-mandanti nei confronti di terzi e da adempiere, pertanto, nell'interesse «anche dell'opponente» oltre che degli altri condomini.
Nella fattispecie, sembrava cioè mancare un sinallagma contrattuale tra la pretesa e il contributo; sinallagma che, invece, poteva configurarsi soltanto - ad esempio - tra lo svolgimento dell'attività di amministrazione in nome e per conto del condominio e il pagamento della retribuzione (eventualmente) convenuta ai sensi dell'art. 1135, comma 1, n. 1, c.c.
Ciò sollecitava una prudente differenziazione ontologica tra le varie obbligazioni intercorrenti tra i condomini e l'amministratore in un tipico rapporto intersoggettivo - come ad esempio per il compenso dovuto all'amministratore o per il rimborso di eventuali anticipazioni nell'interesse del condominio (art. 1720 c.c.) - e le diverse e distinte obbligazioni intercorrenti, invece, tra i condomini e terzi in genere (costituite o costituende) che dovevano essere adempiute dall'amministratore in nome e per conto del condominio, rispetto alle quali l'amministratore appare come un mero intermediario e più esattamente il mandatario dei condomini.
In sostanza, è stata avvertita l'esigenza di individuare e tenere distinte e separate le due diverse «tipologie» di rapporti «obbligatori» nei quali viene ad essere «coinvolto» l'amministratore di condominio: condomini-amministratore (compenso, anticipazioni) e condomini-terzi (oggetto del mandato) aventi un diverso oggetto, per verificare se da tale distinzione giuridica possa derivare una diversa configurazione della prescrizione afferente le diverse e distinte obbligazioni o, addirittura, la sua esclusione per alcune di tali obbligazioni. Ciò alla luce anche della più recente giurisprudenza della Suprema Corte.
2. Le questioni giuridiche e i relativi interrogativi. - Le questioni - già abbozzate altrove (1) - si pongono in relazione, soprattutto, alla preliminare individuazione e distinzione ontologica dei diversi rapporti giuridici, ai quali risale la giustificazione delle «pretese concrete» avanzate dall'amministratore del condominio, con i diversi momenti di esigibilità e, successivamente, in relazione alle condizioni differenziatrici dei diversi tipi di prescrizione (decennale o quinquennale), non senza sottolineare che trattasi di opponibilità (2) e non di effettiva estinzione di un'obbligazione che continua, comunque, ad essere rilevante giuridicamente, tanto che, se adempiuta, non può essere ripetuta. Queste possono così riassumersi:
A. Con riferimento alla supposta prescrizione quinquennale e in considerazione dell'ormai pacifica configurazione di un rapporto di mandato o ufficio di diritto privato assimilabile al mandato (3), è sembrato che la «riscossione dei contributi» attenga alla costituzione dei «mezzi necessari per l'esecuzione del mandato» (art. 1719 c.c.), piuttosto che rappresentare una semplice e generica «prestazione» pecuniaria dovuta in favore e nell'interesse dell'amministratore che pare determinare una commistione di forma e sostanza, di fatto e diritto. In mancanza, infatti, di tali «mezzi» che la citata norma di legge qualifica, significativamente, come «necessari per l'esecuzione del mandato», appare discutibile una ipotetica estinzione dell'obbligo di contribuzione con la sottrazione, così, all'onere contributivo, in ragione di una prolungata mancata riscossione a carico del singolo condomino che, obbligato a seguito della deliberazione assembleare della relativa spesa, rappresenta, in ogni caso, il diretto responsabile della inadempienza che rende impossibile l'esecuzione dell'incarico conferito all'amministratore, potendosi ascrivere all'amministratore soltanto la mancata azione giudiziaria di recupero coattivo.
Tale addebito sembrerebbe, inoltre, proponibile solo da parte degli «altri condomini adempienti», ma non dal medesimo condomino inadempiente. Non sembra, quindi, che la mancata riscossione dei predetti mezzi necessari, possa legittimare il mandante - inadempiente all'obbligo di tale somministrazione che sorge dalla delibera, senza necessità di una formale messa in mora - all'eccezione di prescrizione, nella persistenza dell'obbligazione esterna da adempiere, perché tale somministrazione (e quindi la riscossione) deve ritenersi in rem propriam e non integrante una prestazione alla quale sia interessato (in termini strettamente giuridico-sostanziali) l'amministratore richiedente che continua ad agire «in nome e per conto del medesimo condomino».
Qualora si trattasse di una prestazione corrispettiva, troverebbe applicazione il principio generale secondo cui inadimplenti non est adimplendum, con la relativa eccezione ex art. 1460 c.c., per cui - applicando i principi generali in materia contrattuale - verrebbe da dire imputet sibi in relazione all'impossibile esecuzione del mandato ma ciò, comunque, senza effetti esterni di estinzione dell'obbligazione aliena.
Ci si è allora chiesto: a) è ammissibile configurare un'autonoma e semmai più breve prescrizione relativamente al rapporto «interno» ontologicamente finalizzato alla ripartizione di un debito «solidale» esistente nei confronti del terzo creditore, quando il medesimo condomino non potrebbe opporre la stessa prescrizione (interna) all'eventuale iniziativa giudiziaria, sia cognitiva che esecutiva, del terzo promossa eventualmente nei suoi diretti confronti?; b) è ammissibile che, in caso di ritardata corresponsione delle rispettive quote condominiali di somministrazione della provvista, in ipotesi da parte di tutti indistintamente i condomini, possa risultare, così, paralizzato o vanificato il soddisfacimento del credito del terzo?; c) qualora, poi, non si realizzi, in fatto, la condizione (più di quattro condomini) per la nomina «obbligatoria» dell'amministratore ex art. 1129 c.c. ovvero che alla stessa i condomini (pur tenutivi ex lege) non vi abbiano comunque provveduto, può ammettersi una disciplina diversa della opponibilità della prescrizione nella identica situazione giuridica di condomini-condebitori, essendo innegabile che in tali fattispecie - non realizzandosi l'intermezzo organizzativo condominiale - tutti indistintamente i condomini non possono sottrarsi alla contribuzione alla spesa per l'adempimento dell'obbligazione esterna, invocando la mancata riscossione?; d) ed ancora, tutti i condomini condebitori nei confronti del terzo, compreso l'inadempiente al versamento della propria quota, sarebbero, comunque, tenuti all'adempimento nel termine prescrizionale ordinario relativo al rapporto intersoggettivo esterno, eventualmente interrotto validamente nei confronti anche di uno solo dei condomini o dell'amministratore del condominio, ai sensi dell'art. 1310 c.c. oppure il perfezionamento della supposta prescrizione della singola rata contributiva determina l'accrescimento della quota contributiva degli altri condomini adempienti?; e) e, infine, in caso negativo, è ammissibile una rivalsa sull'amministratore «bruciato» da una prescrizione svoltasi per la maggior parte nel corso di durata dei precedenti mandati, ovvero su tutti gli amministratori, anche se abbiano reso il rispettivo rendiconto, regolarmente approvato con una delibera condominiale definitiva, «anche per l'intera sorte», cioè il contenuto dell'obbligazione esterna, oltre agli interessi ed eventuali sanzioni per il ritardo o l'omesso adempimento?
In proposito, non è sembrato, poi, che la deliberazione di approvazione delle spese possa costituire un «patrimonio virtuale» dell'amministratore che, pertanto, acquisterebbe un vero e proprio diritto di credito nel suo personale interesse, in quanto l'amministratore resta, sempre, un mandatario al quale «devono» essere somministrati i mezzi necessari per l'assolvimento dell'incarico.
Fedele all'insegnamento di insigne dottrina (4), acquisito sui banchi universitari, secondo il quale la palese irragionevolezza di un esito interpretativo può costituire il «sintomo» di un errato procedimento ermeneutico, si è prestata, immediatamente, maggiore attenzione alla formulazione delle norme di legge che vengono in discussione al riguardo, rilevando che, nella specie, trattasi di un diritto-dovere o, meglio, di un potere-dovere (5) di «riscossione di contributi», secondo la significativa formulazione dell'art. 1130, n. 3, c.c., finalizzata (ergo, non autonoma) all'adempimento dell'obbligazione contratta o contraenda in nome e per conto del condominio e da adempiere nei confronti dei terzi creditori che possono, sempre, far valere efficacemente la loro pretesa creditoria nei confronti dei singoli condomini e, quindi, anche del condomino inadempiente ai suoi obblighi contributivi, nei limiti della prescrizione sua propria che può essere più ampia di quella quinquennale.
B. Altra perplessità si incentra sulla «esigibilità» della singola pretesa dell'amministratore perché la stessa è prodromica, in ogni caso all'operatività della prescrizione, ove configurabile, e quindi integrante un affidabile criterio pratico e concreto di individuazione dell'esatta obbligazione esposta a prescrizione, venendo, così, in rilievo le diverse pronunce di legittimità che hanno fissato il dies a quo di tale decorrenza.
Sotto tale profilo ci si è chiesto: una volta che siano state approvate validamente le spese di cui all'art. 1123 c.c. e, di norma, contestualmente ripartite in conformità delle tabelle millesimali o, in loro mancanza, in base ad altro criterio razionale o provvisorio, divenendo, così, esigibile la pretesa di «riscossione» prevista dall'art. 1130, n. 3, c.c., il «diritto-dovere o il potere-dovere di riscossione» dell'amministratore, solo da tale specifico momento esercitabile, può essere soggetto a un termine prescrizionale «autonomo» (rispetto alle obbligazioni da adempiere) decorrente da tale deliberazione, quale momento (dies a quo) in cui esso sorge, indipendentemente da quello relativo al diritto «principale di credito» dei terzi rispetto al quale tale riscossione è meramente strumentale e funzionale? I diritti di credito relativi alle obbligazioni nei confronti dei terzi hanno, di norma, decorrenze anteriori o successive a tale deliberazione, con una conseguente diversa durata della prescrizione. In caso affermativo, dovrà poi individuarsi il termine prescrizionale nella sua precisa estensione temporale (cinque o dieci anni) tenendo però conto della natura reale dell'obbligazione propter rem.
L'interrogativo è apparso sovrapponibile al quesito se il singolo condomino possa «sottrarsi», in tal modo, all'onere della contribuzione nelle spese (art. 1118, comma 2, c.c.) relative alle cose comuni «accessorie» e strumentali al «perdurante» godimento della sua proprietà esclusiva e, quindi, connessa a diritti reali d'uso per i quali la prescrizione è ventennale.
Entrambi gli interrogativi implicano la soluzione circa l'autonomia o meno dell'obbligazione della contribuzione del condomino rispetto alle obbligazioni assunte in nome e per conto del condominio da adempiere con il mezzo della riscossione dei contributi e per le quali sussiste (secondo l'ancora prevalente indirizzo giurisprudenziale) il vincolo di solidarietà passiva, con esclusione quindi di una prescrizione parziaria.
In relazione all'esigibilità della singola richiesta di pagamento dell'amministratore del condominio, si pone prepotente la riflessione sulla speciale fisionomia giuridica del condominio, sprovvisto sia di personalità giuridica che di patrimonio autonomo. Connotazioni che hanno condotto, inizialmente, alla raffigurazione, semplice e plastica, di un ente di gestione per il conseguimento degli interessi comuni, con la ripartizione tra i suoi partecipanti di tutte le spese relative alle parti e servizi comuni che trovano la loro causa concreta nella relazione di accessorietà con le proprietà solitarie ed il contenuto nella misura proporzionale, secondo la regola accessorium sequitur principale. A tale prima configurazione si è sostituita, poi, quella più recente e complessa di ufficio di diritto privato assimilabile al mandato. Tale considerazione sembrava, quindi, giustificare, istintivamente, una risposta negativa all'interrogativo circa la possibile estinzione per prescrizione dell'onere di contribuzione, perché sui condomini ricade, comunque, qualsiasi onere economico relativo alla predetta gestione, anche in caso di c.d. «mala gestio», per la cennata connotazione o riflessi di realità. Le difficoltà al riguardo sono ascrivibili alla preferenza, anche della giurisprudenza di legittimità, per una soluzione, per così dire atomistica ed isolata delle questioni di prescrizione, appiattita su quelle consolidatesi per una comune pretesa creditoria in genere, avulsa dall'approfondimento del carattere, verosimilmente, non autonomo del diritto-dovere o potere-dovere di riscossione dei contributi condominiali che non sostanzia un diritto di credito «personale» dell'amministratore.
Non si tratta, quindi, di mera ed elitaria esercitazione accademica, perché, come già sottolineato, è sufficiente dare una lettura alle diffuse rubriche giornalistiche in materia condominiale per rilevare l'incremento delle liti condominiali al riguardo ed avvedersi come, a seguito della ormai galoppante dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, l'allettante eccezione di prescrizione va diffondendosi, quale conseguenza anche della minore capacità economica dei «nuovi» condomini «deboli», come da tempo abbiamo evidenziato.
C. Intimamente connessa è risultata, poi, la prospettazione terroristica di una possibile rivalsa collettiva di quanto siasi prescritto nei confronti dell'ultimo amministratore-mandatario, nuovo untore e «comodo» responsabile di altrui inadempienze al dovere di riscossione dei contributi nascente dalla deliberazione assembleare di spese comuni, nell'impossibilità, semmai, di farlo nei confronti dei precedenti mandatari che vi hanno frapposto un valido e definitivo rendiconto «tombale», con una controvertibile rilevanza giuridica di un continuum del mancato esercizio del dovere di riscossione dei contributi che s'infrange, comunque, sullo scoglio robusto della concreta irrecuperabilità per la mancanza di una copertura assicurativa, oltre per la palese inammissibilità della singolare equiparazione di obbligazioni derivanti da titoli diversi e che, a tutto voler concedere, non farebbe venire meno, in un eventuale giudizio del terzo, la condanna pur sempre principale dei condomini. Nessuna assicurazione, peraltro, l'amministratore rilascia in merito, non ricorrendo un'ipotesi di factoring.
D. Non ultima emergeva, poi, la rilevanza giuridica, come già detto, della periodicità che deve caratterizzare la supposta prescrizione quinquennale riferita, indifferentemente, alle diverse «pretese» (quote condominiali, retribuzione, anticipazioni) dell'amministratore del condominio.
A prescindere dalla considerazione che la periodicità di quanto debba essere pagato ad anno o in termini più brevi sembra presupporre la identità, oltre che del titolo giuridico, anche quella misura (quantum) delle singole pretese creditorie periodiche, di talché la variazione o variabilità della misura del debito comporta, conseguentemente, la sua autonomia e, quindi, l'inconfigurabilità della prescrizione breve quinquennale, detta prescrizione breve, con la rigorosa tassatività e inestensibilità delle fattispecie previste, è sembrata confliggente con la costruzione unitaria dell'obbligo di contribuzione in relazione alla singola e specifica gestione annuale. È apparsa, perciò, più confacente, quantomeno, la prescrizione ordinaria decennale, atteso, peraltro, che la circostanza di fatto di una rateizzazione in più versamenti integra, comunque, una mera facoltà di adempimento, oltre a rappresentare titoli giuridici sostanzialmente diversi (esempio, spese ordinarie e straordinarie). Identità quantitativa che, comunque, è rara e solo casuale oltre la singola gestione annuale che osta alla concezione di una periodicità.
Precedentemente alla illuminante decisione in epigrafe, appariva significativo il principio di diritto enunciato da Cass. 30 agosto 2002 n. 12707, secondo la quale «la prescrizione quinquennale, prevista dall'art. 2948, n. 4, c.c., opera con riguardo ai debiti che devono essere soddisfatti periodicamente ad anno, od in termini più brevi, e, pertanto, dalla previsione della citata norma resta esclusa l'ipotesi di debito unico, rateizzato in più versamenti periodici», con riferimento alla diversa fattispecie del mutuo, ma estensibile all'analoga riscossione dei contributi condominiali che possono, ma non devono essere versati in più rate.
Infatti, anche nel condominio si verifica la stessa situazione perché la delibera di approvazione delle spese individua l'obbligazione di contribuzione unitaria, nella quale si verifica anche la confusione dei diversi titoli giuridici, con una rateizzazione in più versamenti periodici infrannali che perdono così la diretta relazione con lo specifico titolo giuridico di spesa. Per i lavori straordinari è fuori luogo prospettare una prescrizione quinquennale non ricorrendo la periodicità ad anno o a periodi più brevi. La rateizzazione è solo eventuale ed indipendente dalla natura dell'obbligazione alla quale accede. La deliberazione segna, quindi, l'esigibilità in concreto di quanto dovuto e si rinnova, con assoluta autonomia, per le successive gestioni annuali e si adegua alle diverse situazioni straordinarie che non consentono, pertanto, alcuna equiparazione sostanziale, per cui ad essa è estranea una periodicità.
Le c.d. «quote condominiali» sono relative al rapporto interno di mandato e non sembra possano incidere giuridicamente sull'autonomo rapporto esterno intercorrente con l'unico ed effettivo titolare del diritto di credito unitari, per il soddisfacimento del quale viene operata l'imputazione e la ripartizione in quote di quanto complessivamente dovuto, secondo un criterio legale in ragione della specificità del condominio (6) e con la riscossione affidata all'amministratore-mandatario, alla stessa stregua del condomino di buona volontà del condominio minimo per le spese urgenti o di quello che non abbia più di quattro condomini, in ragione essenzialmente di una pluralità di soggetti (condomini) debitori costituita ex re et iure - a differenza di quella comune derivante da una libera scelta soggettiva - con l'ausilio, pertanto, della procedura monitoria per decreto ingiuntivo, speciale ed eccezionale, che, a differenza di quella ordinaria, prevede, sintomaticamente, l'immediata esecutività dell'ingiunzione nonostante opposizione, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., per la ragione essenziale della sua funzione strumentale alla gestione condominiale che non ha un patrimonio autonomo da quello dei condomini.
3. I precedenti giurisprudeziali e dottrinali. - La ricerca di precedenti giurisprudenziali specifici e delle opinioni dottrinali al riguardo non si è rivelata particolarmente ricca di messe, ma, comunque, molto interessante e utile per tentare una sistemazione interpretativa.
La dottrina e la giurisprudenza sono ormai concordi nel riconoscere, come già sottolineato (7), nell'incarico dell'amministratore la figura del mandato con rappresentanza ovvero di un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato del quale devono essere, pertanto, applicate le regole, purché - occorre però precisare - siano compatibili e non derogate dalle norme speciali dettate per il condominio.
La migliore dottrina ha, inoltre, evidenziato, opportunamente e per quanto qui interessa, che «la situazione soggettiva di condominio, consistente nella titolarità dei rapporti attivi e passivi, fa capo ai condomini e non al gruppo» (8), con la relativa imputazione, pertanto, delle obbligazioni e la correlata ripartizione delle spese ai «singoli condomini» in ragione della relazione di accessorietà con la rispettiva proprietà esclusiva, per cui «la circostanza che le spese condominiali vengano versate all'amministratore (art. 1130, n. 3, c.c.) non significa che creditore sia l'amministratore, il quale è un semplice mandatario con rappresentanza dei condomini, addetto a riscuotere e ad erogare le spese (art. 1130, n. 3, 1380 e 1704 c.c.)» perché «il rapporto intercorre direttamente con coloro i quali forniscono le prestazioni, i servizi o le opere a tutti i condomini: non al condominio» ed «è certamente unica l'obbligazione costituente il corrispettivo per la controprestazione cui tutti i condomini hanno interesse» (9).
Se, pertanto, l'amministratore non risulta titolare di un diritto di credito, allora si rivela incongrua la configurazione di una prescrizione relativamente alla pretesa di contribuzione che non integra un diritto di credito dell'amministratore che, inoltre, deve riguardare un diritto disponibile (art. 2934, comma 2, e 2935 c.c.) e non pare che tale possa qualificarsi il dovere di «riscossione dei contributi» al quale l'amministratore non può, in ogni caso, rinunciare non essendo correlato ad un suo interesse sostanziale e atteso anche che il mancato esercizio di un preteso diritto costituisce, pur sempre, una modalità di rinuncia indiretta dello stesso, assolutamente inconfigurabile per l'amministratore.
In giurisprudenza, oltre alla pronuncia in epigrafe, sono state rinvenute soltanto (a quanto consta) due sentenze di legittimità specifiche sull'argomento che ammettono - l'una in astratto e l'altra in concreto - la configurabilità della prescrizione per la riscossione dei contributi condominiali:
a) Cass. 5 novembre 1992 n. 11981, richiamata da autorevole dottrina (10), la cui massima recita: «L'obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell'edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con l'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1135, n. 3, c.c., sorge soltanto dal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese. Ne consegue che la prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della ripartizione delle spese e non dall'esercizio di bilancio», incombendo, però, a chi l'eccepisce - soggiunge la sentenza - «l'onere di dimostrare da quale momento il diritto poteva essere fatto valere» ed in mancanza del quale l'eccezione deve essere respinta;
b) Cass. 28 agosto 2002 n. 12596, che - pronunciandosi in una fattispecie di impugnativa di una delibera condominiale adottata da un supercondominio, «con la quale erano state approvate le spese di portierato e manutenzione ordinaria, come da consuntivo 1994-1995, ed il computo degli arretrati 1989-1994» - condivide la statuizione impugnata - relativamente alla deliberazione sugli arretrati del servizio di portierato - «che i pagamenti periodici, relativi alle spese fisse per la pulizia ed ordinaria manutenzione del fabbricato condominiale rientrassero tra quelli soggetti alla prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 c.c., a nulla rilevando che l'amministratore si ponga come una sorta di delegato degli stessi condomini per la riscossione di tali quote, poiché il pagamento delle quote suddette costituisce comunque un vero e proprio debito del singolo condomino nei confronti della collettività di tutti i condomini costituente il condominio che, sebbene privo di personalità giuridica, è comunque abilitato a tutelare i diritti comuni, anche contro la volontà di singoli condomini dissenzienti ma minoritari».
Correlata, logicamente, alle statuizioni di entrambe le due surriportate pronunce risulta la recente statuizione di Cass. 21 luglio 2005 n. 15288, in merito alla «esigibilità» dell'obbligazione di contribuzione a carico del singolo partecipante al condominio, in relazione all'efficacia costitutiva della delibera condominiale, laddove ribadisce che «L'obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali "sorge" per effetto della delibera dell'assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente, e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l'individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini sia il frutto di una semplice operazione matematica», con ciò riconoscendosi l'efficacia «costitutiva» della delibera perché prima della sua adozione non esiste l'obbligo di contribuzione del singolo condomino.
Sulla questione di diritto in esame, pare, inoltre, incidere anche il principio di diritto enunciato da Cass., sez. un., 8 aprile 2002 n. 5035 (11), che ha escluso la tutela dell'apparenza del diritto nel rapporto tra condominio e singolo condomino per il pagamento della sua quota di spese perché il condominio non è terzo, in quanto è, invece, «parte del rapporto», considerato che il rapporto giuridico tra condominio e il singolo condomino, proprietario esclusivo di unità immobiliari, «esiste nella realtà», in ragione della relazione di accessorietà tra le parti e servizi comuni e la sua proprietà esclusiva.
Non può, infine, tralasciarsi, assolutamente, il più recente e significativo arresto delle sezioni unite che, componendo il contrasto insorto in ordine al rimborso delle spese anticipate da un condomino nel c.d. «condominio minimo», insegna che «l'espressione "condominio" designa il diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell'edificio di uso comune e, ad un tempo, l'organizzazione del gruppo dei condomini, composta essenzialmente dalle figure dell'assemblea e dell'amministratore: organizzazione finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi. La specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici - la tipicità, che distingue l'istituto dalla comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo - si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio)» in quanto «Le parti comuni dal codice sono considerate beni strumentali al godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva» (12), con ciò riconoscendo espressamente il valore autointegrativo della disciplina condominiale anche in presenza di un formale rinvio come quello alle norme sulla comunione e, quindi, «a maggior ragione» qualora il rinvio (esempio, al mandato) non derivi da un espresso richiamo normativo.
Particolarmente pertinente alla problematica in esame è apparsa, infine, una recente pronuncia di merito che, giudicando sulla domanda di risarcimento danni proposta nei confronti di un amministratore di condominio, distingue, condivisibilmente, tra i danni patrimoniali (esempio interessi e sanzioni per ritardato pagamento) e non patrimoniali (esempio, di immagine) relativi al sinallagma contrattuale di mandato - dei quali (tutti) può e deve rispondere l'amministratore colpevole, ove adeguatamente provati - e la sorte (quantum), invece, dell'obbligazione esterna esistente nei confronti di terzi (nella specie contributi previdenziali Inps per il servizio di portierato), affermando che quest'ultima obbligazione resta a carico dei condomini «il cui onere economico non può essere traslato sull'amministratore» (13).
Appare necessario formulare alcune osservazioni alle citate sentenze, prima di proporre alla considerazione dei lettori le riflessioni in ordine ad una corretta configurazione della prescrizione relativamente alle distinte e diverse «pretese» (in genere) dell'amministratore di condominio e alla creduta inconfigurabilità della prescrizione relativamente al potere-dovere - per utilizzare la configurazione di qualificata dottrina citata - di «riscossione dei contributi» condominiali, in quanto finalizzata alla costituzione della provvista per l'esecuzione del mandato conferito all'amministratore di condominio, in una visione unitaria e sistematica della normativa condominiale ed in conformità al recente e condiviso arresto delle sezioni unite di cui alla sentenza n. 2046 del 2006 che dalla speciale fisionomia giuridica del condominio fa discendere la soluzione della questione concreta.
4. L'esigibilità del potere-dovere di riscossione dei contributi condominiali. - Come già anticipato, l'esigibilità permette di individuare concretamente la pretesa esposta eventualmente a prescrizione quinquennale che, per essere oltretutto breve, è di stretta interpretazione, per cui appare consigliabile partire, metodologicamente, dall'accertamento del dies a quo del decorso del periodo di tempo, rilevante a tal fine, per poi individuare le specifiche pretese ad essa soggette, non apparendo corretta una configurazione generalizzata per qualsiasi pretesa avanzata dall'amministratore e, quindi, verificare successivamente quale specifica prescrizione risulti applicabile e se per alcune non lo sia affatto per carenza di autonomia.
A. Si prendono le mosse dal precedente giurisprudenziale di Cass. 5 novembre 1992 n. 11981 perché esso è richiamato da autorevole dottrina a proposito della prescrizione relativa alla riscossione dei contributi condominiali (14).
Dall'esame della fattispecie concreta esaminata allora dalla Corte - senza fermarsi alla massima ufficiale che, nella specie, appare fuorviante - si evince che si trattava di un'ingiunzione di pagamento delle spese di riscaldamento per gestioni (esercizi dal 1982 al 1986) «precedenti» alla deliberazione di nomina dell'amministratore di una - si badi bene - gestione autonoma del riscaldamento degli assegnatari di alloggi in locazione con patto di futura vendita che avevano esercitato il riscatto, in conformità di una convenzione, approvata dal Ministero dei lavori pubblici, che prevedeva espressamente il diritto d'azione della gestione autonoma nei confronti dei soci assegnatari morosi «anche per i rapporti pregressi» in conformità dell'art. 35 del testo unico delle disposizioni sull'edilizia economica e popolare approvato con r.d. 28 aprile 1938 n. 1165 e dell'art. 24 d.P.R. 30 dicembre 1972 n. 1035 secondo cui, fino a che tutti gli alloggi costituenti l'immobile non siano stati trasferiti in proprietà degli assegnatari e si sia costituito regolare condominio, può consentirsi la gestione autonoma «alle condizioni e con le modalità previste per gli alloggi degli Iacp in locazione» con patto di futura vendita. La sentenza, infatti, precisa: «ne consegue che "l'accordo contrattuale" raggiunto all'atto dell'assegnazione dell'appartamento, vincola gli assegnatari all'obbligo dell'osservanza del regolamento fino alla sua sostituzione col regolamento di condominio e che in quanto tale, può essere considerato una condizione per la concessione dell'appartamento [...] accettata con l'atto di assegnazione [...] per cui "l'obbligazione ha natura contrattuale"». In relazione a tale particolare fattispecie, la Corte ha, quindi, statuito che «l'obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell'edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con l'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1135, n. 3, c.c., sorge soltanto dal momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese. Ne consegue dunque che la prescrizione dei crediti nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della ripartizione delle spese e non dall'esercizio di bilancio. Pertanto, agli effetti dell'art. 2935 c.c. concernente l'inizio del decorso della prescrizione, incombeva alla ricorrente, che l'ha eccepita, l'onere di dimostrare da quale momento il diritto poteva essere fatto valere».
Deve sottolinearsi, inoltre, che la decisione si è limitata a rigettare il gravame e, con esso, l'eccezione di prescrizione la quale, quindi, non è stata, affatto, affermata, confermando, pertanto, la sentenza impugnata che si era limitata a riprodurre il testo della disposizione dell'art. 2935 c.c.
Pertanto, la sentenza, da un lato, contiene la mera enunciazione in astratto del principio di diritto non applicato in concreto e, dall'altro lato, la pronuncia attiene specificamente ad una fattispecie del tutto particolare, connessa ad originari rapporti di locazione e ad una convenzione speciale per cui risulta carente dei necessari requisiti generalizzanti, tralasciando di enfatizzare le pure appariscenti perplessità in ordine alla dichiarata inosservanza dell'onere di dimostrare da quale momento il diritto poteva essere fatto valere perché, trattandosi di originaria ingiunzione ritenuta valida perché fondata su prova scritta, tale onere poteva forse reputarsi processualmente assolto in forza dell'acquisita prova scritta, costituita, verosimilmente, dalla deliberazione assembleare di approvazione delle spese da recuperare.
Tale precedente giurisprudenziale appare, pertanto, inconferente perché attiene ad una fattispecie e ad una normativa entrambe speciali, potendosi forse configurare al riguardo una fattispecie di condominio speciale (15) che sembra impedire l'attribuita valenza generale del principio di diritto enunciato, atteso che, anche per i rapporti di locazione con gli istituti autonomi delle case popolari, vale la specialità della disciplina legale (16).
Tale fattispecie concreta è stata forse «galeotta», come può dedursi dall'illuminante parallelismo con la giurisprudenza formatasi in ordine alle stesse spese condominiali, ma con riferimento al rapporto di locazione. Il rilievo sembra rilevante in termini sistematici per la necessaria coerenza dell'ordinamento giuridico, specialmente laddove viene differenziata l'ipotesi dell'unico proprietario - per il quale rileva il momento dal quale il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) alla chiusura della gestione annuale dei servizi accessori che è nella piena disponibilità del locatore-creditore - senza che rilevi, in contrario, l'eventuale normativa interna (spesso pubblicistica) relativa al termine, peraltro, di scadenza per la redazione del bilancio che non può incidere sul rapporto privatistico di locazione dal quale nasce il credito per gli oneri accessori (17), da quella invece del locatore-condomino per la quale viene riconosciuta valenza dirimente alla deliberazione assembleare di approvazione delle spese condominiali che sola costituisce e rende obbligatorio il contributo per il condomino-locatore che, pertanto, dalla sua data (se presente in assemblea o dalla sua comunicazione se assente) può esercitare validamente il diritto di rimborso nel termine biennale (speciale) fissato dall'art. 9 l. n. 392 del 1978 (18), con una diversa decorrenza dai due predetti diversi dies a quo per l'esigibilità del credito.
Tale diritto vivente nella giurisprudenza di legittimità per i rapporti di locazione - giudicato peraltro immune da sospetti di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento (19) - risulta, altresì, coerente con la ulteriore condizione di esigibilità stabilita nella consultazione facoltativa dei relativi documenti giustificativi prima di effettuare il pagamento, nei previsti sessanta giorni dalla formale richiesta la quale può essere effettuata, significativamente, «anche direttamente presso l'amministratore del condominio» (20) oltre che tramite il locatore-condomino.
Emerge così coerentemente identica la rilevanza costitutiva della deliberazione assembleare di approvazione delle spese condominiali, ai fini della esigibilità delle somme dovute che, pertanto, individua, in concreto, il dies a quo dell'eventuale decorso della prescrizione e al tempo stesso l'obbligazione per la quale è apprezzabile la prescrizione.
La dottrina aveva sottolineato, in passato, che le deliberazioni assembleari hanno solo valore dichiarativo e non costitutivo (21), ma tale indirizzo è mutato in giurisprudenza (22), per cui non pare revocabile in dubbio che la deliberazione fissa solo l'esigibilità dell'obbligazione di contribuzione per la somministrazione dei mezzi necessari all'esecuzione del mandato conferito all'amministratore.
Può, pertanto, considerarsi acquisito, in forza sia di Cass. 5 novembre 1992 n. 11981, cit. che di Cass. 21 luglio 2005 n. 15288, cit., il principio che la deliberazione assembleare di approvazione delle spese integri il dies a quo per la costituzione e l'esigibilità dei contributi condominiali da parte dell'amministratore, senza la quale non può concretamente operare il dovere previsto nell'art. 1130 c.c., per cui qualsiasi questione in merito ad una ipotetica prescrizione per la riscossione dei contributi condominiali non può prescindere dalla deliberazione assembleare di approvazione delle spese da riscuotere e nei termini nella stessa specificati, perché prima di essa non è concepibile giuridicamente alcun obbligo di contribuzione condominiale e conseguentemente non è possibile procedere ad alcuna riscossione, la cui omissione risulta pertanto non apprezzabile per l'ordinamento giuridico condominiale, secondo l'antico brocardo «actio nondum nata non praecribitur», trasfuso nel vigente art. 2935 c.c. Da tale principio di diritto sembra discostarsi Cass. 28 agosto 2002 n. 12596, che merita, pertanto, un attento scrutinio, soprattutto perché la statuizione di prescrizione è specifica.
5. Il precedente giurisprudenziale negativo di Cass. 28 agosto 2002 n. 12596. - Forti perplessità suscita l'enunciazione del principio di diritto specificamente per la ritardata richiesta di riscossione dei contributi condominiali perché essa sembra in contrasto stridente con Cass. 5 novembre 1992 n. 11981, cit. e Cass. 21 luglio 2005 n. 15288, cit. sul punto del momento della nascita dell'obbligazione del condomino di contribuire al pagamento delle spese condominiali deliberate che non è stata affatto presa in attenta considerazione, facendosi riferimento (forse fuorviante) a generiche «spese fisse per la pulizia ed ordinaria manutenzione del fabbricato condominiale» e alla precedente delibera del 1990 della quale, però, non viene specificato l'esatto contenuto.
La sentenza non chiarisce, infatti, se, nella fattispecie giudicata, si trattava esattamente dello «stesso ed identico contributo» deliberato in precedenza (1990) e quindi della stessa pretesa creditoria, atteso che nell'esposizione del fatto si fa riferimento ad un prospetto «elaborato a seguito della sentenza del Tribunale di Milano del 16 gennaio 1992, poi confermata in appello e dalla Cassazione» (circostanza non contestata) che sembra presupporre una modifica comunque di quanto eventualmente deliberato in precedenza.
L'eventuale e verosimile novum sembra, infatti, determinare una nuova ed autonoma spesa contenuta nella nuova deliberazione di approvazione dall'esigibilità della quale poteva farsi, eventualmente, decorrere, ai sensi dell'art. 2935 c.c. (giusta Cass. 5 novembre 1992 n. 11981, cit. e Cass. 21 luglio 2005 n. 15288, cit.), il dies a quo della «supposta» prescrizione quinquennale. La pronuncia sembra far riferimento alla nascita, per così dire, oggettiva e in concreto di quanto erogare in concreto avulsa dalla deliberazione di approvazione della spesa che segna - ai fini condominiali - l'esigibilità dell'obbligazione di contribuzione e il dovere di riscossione, non avvertendo, peraltro, l'opportunità (se non addirittura la necessità) in tale prospettiva esclusivamente oggettiva, di considerare la perdurante validità ed esistenza del credito del terzo, in relazione alla sua persistente facultas agendi nei confronti del condominio e dei condomini e non ponendosi, di conseguenza, il quesito «chi paga?» a seguito della dichiarata prescrizione «interna» della riscossione del contributo condominiale. Solo se il credito vantato dal terzo fosse stato prescritto (autonomamente) la delibera poteva risultare illegittima, mentre se persisteva il credito del terzo da soddisfare la pronunciata illegittimità sembra un non sense.
Il decorso dei cinque anni parrebbe, poi, calcolato a ritroso dalla data di adozione della delibera impugnata, rispetto alla semplice collocazione temporale degli arretrati «oggettivamente» dovuti per il rapporto di portierato, senza alcuna valutazione della loro esigibilità giuridica nell'ambito condominiale, perché, ad esempio, determinati e quantificati, esattamente o diversamente, solo a seguito del passaggio in giudicato della relativa sentenza anche se riferibili al periodo lavorativo anteriore all'ottobre 1990. Sembra cioè che la statuizione finisca per fare applicazione «in assoluto» della prescrizione quinquennale con riguardo al mero decorso temporale relativo all'imputazione «storica» della somma deliberata, prescindendo sia dalla esigibilità (interna) della contribuzione a far data dalla specifica deliberazione di spesa, sia, soprattutto, dalla permanente e concreta esigibilità (esterna) del credito del terzo collegata e conseguente al giudizio instaurato, con una singolare autonomia assoluta della relativa obbligazione «condominiale», in contrasto con la funzione propria della «gestione» condominiale che richiede una deliberazione assembleare per l'esigibilità del contributo e quasi che tale prescrizione quinquennale avesse effetti anche per il terzo creditore.
La motivazione, secondo cui «a nulla rilevando che l'amministratore si ponga come una sorta di delegato degli stessi condomini per la riscossione di tali quote, poiché il pagamento delle quote suddette costituisce comunque un vero e proprio debito del singolo condomino nei confronti della collettività di tutti i condomini costituente il condominio che, sebbene privo di personalità giuridica, è comunque abilitato a tutelare i diritti comuni, anche contro la volontà di singoli condomini dissenzienti ma minoritari», appare, pertanto, non congrua ed estremamente generica perché, quantomeno, non risulta provato il giorno, a partire dal quale, il potere-dovere di riscossione delle somme specifiche portate dalla delibera impugnata poteva essere attuato efficacemente (ritenuto necessario da Cass. 5 novembre 1992 n. 11981, cit.) in relazione al quantum richiesto e non al semplice ed astratto titolo giuridico. D'altronde dall'identità del petitum e causa petendi deriva l'identità della pretesa non solo sotto un profilo esclusivamente processuale. Il riferimento alla precedente delibera del 1990 sembra attenere all'astratto titolo giuridico («spese fisse» ma lo sono poi tali?) piuttosto che alla spesa specifica da riscuotere. La sentenza risulta non condivisibile sotto diversi profili: a) sotto il profilo della deliberazione assembleare della specifica spesa controversa, integrante il dies a quo dell'eventuale e «supposta» prescrizione, in quanto costitutiva dell'obbligo di contribuzione dei singoli condomini, in mancanza della quale il termine prescrizionale non potrebbe decorrere ai fini condominiali; b) sotto il profilo dell'insussistenza di periodicità del credito per i controversi arretrati di lavoro, perché integrante una prestazione unitaria da assolversi in unica soluzione, a seguito dell'accertamento giudiziale e quindi con una prescrizione decennale (Cass. 4 ottobre 2005 n. 19348, in rassegna), semmai, al termine del rapporto lavorativo, secondo la speciale disciplina giuslavorista che inibisce la prescrizione di quanto dovuto a titolo retributivo in rapporti senza garanzia di stabilità come quello di portierato nel condominio privato (23); c) sotto il profilo della ripartizione di un credito vantato dal terzo non ancora prescritto che il condominio debba comunque soddisfare, ovviamente, con la contribuzione dei suoi partecipanti, mancando un suo patrimonio autonomo e non potendo, per esso, rivalersi su quello dell'amministratore; d) sotto il profilo della omessa distinzione tra la delibera di arretrati deliberati e non riscossi (1990) e deliberazione di arretrati verosimilmente di diverso ammontare in relazione ad un rapporto giuridico «esterno» per i quali non sia stata mai assunta una delibera di approvazione della relativa spesa; il che escluderebbe il perfezionamento della prescrizione per la diversità delle pretese; e) sotto il profilo di un'eventuale ricorrenza di un'obbligazione propter rem per la quale possa configurarsi, eventualmente, la diversa prescrizione decennale (24), ma sempre (forse) nei rapporti esterni.
Oltre, pertanto, a quanto si dirà a proposito della (non avvertita) probabile incidenza del rapporto di mandato che la sentenza liquida (forse troppo semplicisticamente) come irrilevante («delegato») e alla probabile applicabilità «comunque» della prescrizione decennale per la sussistenza di un credito niente affatto periodico ma da assolversi in unica soluzione (Cass. 4 ottobre 2005 n. 19348, in rassegna), perché la periodicità apparteneva forse al rapporto contrattuale esterno, la decisione solleva, in ogni caso, l'interrogativo sull'imputazione della contribuzione per la successiva e consequenziale spesa che la gestione condominiale dovrà, in ogni caso, sostenere a seguito dell'instaurando giudizio (inevitabile) da parte del terzo (titolare principale del credito insoddisfatto) al quale non pare, affatto, opponibile la dichiarata prescrizione ai fini della riscossione condominiale del contributo oppure per l'impraticabilità, in astratto e in concreto, della rivalsa nei confronti dell'ultimo amministratore o dei precedenti amministratori per varie ragioni (inammissibilità della rivalsa per disomogeneità delle due obbligazioni; prescrizione nei riguardi dei precedenti amministratori, effetto preclusivo del rendiconto approvato; impossibilità della sommatoria dei diversi periodi di omessa riscossione per una inconfigurabile successione contrattuale ecc.). Sotto tale profilo e, verosimilmente, in ragione del diverso titolo giuridico della contribuzione (esecuzione della eventuale successiva sentenza di condanna ottenuta dal terzo, in luogo della provvista al mandatario per l'adempimento dell'obbligazione nei confronti del terzo), i condomini (precedentemente) vittoriosi non dovranno contribuire comunque alla stessa spesa maggiorata di interessi e spese legali? Ciò salvo ipotizzare che tale ultima spesa debba essere ripartita (irragionevolmente ed ingiustamente) tra coloro che hanno già versato comunque la loro quota nella fase non contenziosa (al danno la beffa!), con l'ulteriore quesito se costoro possano, poi, agire, in via sussidiaria, con l'azione di ingiusto arricchimento nei confronti dei condomini vittoriosi che hanno comunque goduto delle cose e servizi comuni accessori alle loro proprietà esclusive.
Probabilmente, i condomini vittoriosi potrebbero (irrazionalmente) essere solo «momentaneamente assolti» dalla contribuzione per la fase non contenziosa relativa alla provvista al mandatario, ma forse non assolti dalla successiva e ineludibile contribuzione alla spesa ex iudicio per una generale responsabilità condominiale, nel quadro della rappresentanza, relativa alla stessa quota (arretrati retributivi di portierato) ma maggiorata di interessi e spese legali in relazione alla «necessitata» condanna giudiziale del condominio per la soddisfazione del credito del terzo tuttora valido (titoli giuridici diversi?), senza, peraltro, possibilità «pratiche» di rivalsa nei confronti dell'amministratore ultimo e di quelli precedenti incaricati (con verosimile culpa in eligendo) non soltanto per la probabile inammissibilità di una tale rivalsa, ma, soprattutto, perché non esiste alcuna assicurazione obbligatoria che possa comunque tenere indenni i condomini debitori principali.
In proposito, deve richiamarsi la già citata statuizione della giurisprudenza di merito che distingue, correttamente e condivisibilmente, tra i danni patrimoniali (interessi e sanzioni per ritardato pagamento) e non patrimoniali (di immagine) relativi al sinallagma contrattuale di mandato, dei quali può e deve rispondere l'amministratore colpevole e l'obbligazione assunta in nome e per conto del condominio che resta a carico dei condomini «il cui onere economico non può essere traslato sull'amministratore» (25), sostanzialmente conforme a Cass. 13 ottobre 2003 n. 15273.
Gli insoddisfacenti esiti giurisprudenziali conseguenti ad una interpretazione condotta con esclusivo riferimento alle regole ordinarie dei rapporti intersoggettivi, convincono della necessità di una più attenta considerazione della peculiare fisionomia giuridica del condominio per una soluzione coerente con la scelta legislativa in ordine alla inesistenza della personalità giuridica e di un patrimonio autonomo del condominio che non può affermarsi solo in astratto, senza far seguire, poi, a tale configurazione normativa le conseguenti differenziazioni applicative.
6. La peculiare fisionomia giuridica del condominio. - L'opponibilità della «presunta» prescrizione (quinquennale) anche per la riscossione dei contributi condominiali, oltre che per i rapporti di credito-debito relativi all'attività svolta dall'amministratore del condominio (retribuzione, anticipazioni), sembra comportare, sul piano pratico-giuridico, un sostanziale e surrettizio riconoscimento della personalità giuridica con l'equiparazione, in fatto, del condominio ad una comune persona giuridica, con la continuità amministrativa e l'immedesimazione organica, tipiche di un rapporto organico che conducono agli illustrati esiti irragionevoli che non possono essere liquidati come meri inconvenienti perché essi dimostrano l'equivoco presupposto logico-giuridico che li ispira. La cennata opponibilità denota una anelasticità ermeneutica in relazione a scelte legislative intenzionalmente diversificate, con la conseguente violazione dell'assetto normativo «speciale» predisposto per il condominio che prevede, significativamente, l'impossibilità, inderogabile, di sottrarsi, all'obbligazione di contribuzione (art. 1118, comma 2, c.c.) nelle spese relative alle cose comuni, per l'inseparabile relazione di accessorietà con le proprietà esclusive che le attribuisce carattere di realità (26).
Gli arresti giurisprudenziali criticati finiscono con l'ignorare le autonome ragioni di credito del terzo, effettivo e reale creditore dell'obbligazione riferita nominalmente al condominio, ma in effetti dei singoli condomini, con la commistione di rapporti interni ed esterni, prescindendo così dalla peculiare fisionomia giuridica del condominio che deve rispondere adeguatamente agli interessi comuni e alle esigenze di tutela del terzo, attraverso la previsione di un'organizzazione gestionale inderogabile per una situazione concepita priva di personalità giuridica e di un patrimonio autonomo che l'interprete non può disattendere applicando i paradigma normativi tipici della persona giuridica e, in genere, del mandato al quale l'incarico dell'amministratore è assimilabile ma non identico.
La legge prevede la nomina obbligatoria (art. 1129, comma 1, c.c.) di un amministratore per le aggregazioni condominiali più numerose e che, secondo la prevalente e (ormai) pacifica configurazione, integra (come già ricordato) un ufficio di diritto privato «assimilabile» al mandato - limitato alla durata annuale inderogabile (art. 1129, 1138 c.c. e Cass. 4 ottobre 2005 n. 19348, in rassegna) con l'obbligo (coerentemente) di rendiconto a «chiusura e definizione» del singolo rapporto annuale di mandato, con l'irretrattabilità consequenziale della situazione così definita senza riserve e con effetti liberatori nei confronti dell'intera collettività condominiale - che non fa venire meno la speciale fisionomia del condominio che sorge automaticamente con il primo atto di frazionamento di un edificio in ragione della relazione che si instaura ex re tra le cose comuni e le proprietà esclusive, con una disciplina unitaria che va dalla fattispecie più semplice del c.d. «piccolo condominio» a quella più complessa del supercondominio appartenenti a un microsistema giuridico, autointegrantesi secondo principi suoi propri, per seguire una nota e appagante teorica (27).
La predetta relazione di accessorietà si riflette logicamente sulla conseguente funzione strumentale dei rapporti interni condominiali rispetto a quelli esterni.
Da tale speciale configurazione giuridica discende l'impossibilità di una sommatoria dei diversi periodi di mandato ai fini della prescrizione, con la separazione della responsabilità afferente il rapporto di mandato con rappresentanza e di quella relativa alle obbligazioni esterne oggetto del mandato, con l'impraticabilità di un'azione di rivalsa per la diversità ontologica delle obbligazioni interne ed esterne, potendo il singolo amministratore rispondere personalmente dei soli danni causati dalle inadempienze al mandato (28) ma non dell'obbligazione che fa carico al condominio e ai condomini per l'assenza della personalità giuridica e di un patrimonio autonomo del condominio.
Nella specie non ricorre, infatti, alcuna assicurazione da parte dell'amministratore.
Ciò appare coerente con l'inconfigurabilità del c.d. «condomino apparente» in ragione della insussistenza di una terzietà (29) in relazione ad una situazione reale, atteso che il condominio è «parte del rapporto» che esiste nella realtà. Nella specie, il condomino moroso ed opponente la prescrizione può dirsi «ancora più parte» perché colui che oppone all'amministratore la prescrizione quinquennale avverso il tentativo di riscossione del suo contributo è un condebitore dell'obbligazione principale ed esterna che l'amministratore ha l'incarico di adempiere, anche in nome e per conto suo, nei confronti del terzo creditore ed alla quale, peraltro, l'opponente non può sottrarsi (art. 1118, comma 2, c.c.) per la inerente relazione di accessorietà e per il vincolo di solidarietà passiva (art. 1310, comma 2, c.c.).
Dalla riconosciuta fisionomia speciale del condominio discende, poi, che le regole del mandato, così come quelle della comunione. possono essere estese soltanto se non risultino derogate dalle norme speciali dettate per il condominio.
7. Le obbligazioni fanno capo ai condomini. - Il conforto maggiore della prima intuizione lo si rinviene in autorevole dottrina (30) che, con dovizia di considerazioni giuridiche, sottolinea che «ai fini della ricostruzione dell'istituto del condominio - della situazione soggettiva individuale, della organizzazione del gruppo e delle interazioni reciproche - riveste importanza decisiva il riscontro che le obbligazioni assunte per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la susseguente responsabilità non fanno capo al gruppo, al condominio unitariamente considerato, ma ai singoli partecipanti», per cui la responsabilità contrattuale fa capo non al gruppo ma ai condomini che, pertanto, sono «condebitori» per le obbligazioni esterne assunte in nome e per conto del condominio, rispetto alle quali l'obbligo di «partecipazione-contribuzione» è semplicemente strumentale, senza alcuna rilevanza esterna.
A tal fine opera, infatti, l'organizzazione condominiale che prevede il riparto, secondo il criterio legale di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., dell'onere economico relativo alle spese per le cose comuni, sotto forma quindi di «contributi» che l'amministratore ha il dovere e potere ex lege (art. 1130, n. 3, c.c.) di riscuotere per poi «erogare» le predette spese, in adempimento delle obbligazioni contratte o contraende nei confronti dei terzi, similmente al paradigma normativo del mandato per il quale è insussistente un'analoga organizzazione. Rispetto alle obbligazioni assunte in nome del condominio, quella «interna» è priva di autonomia e rilevanza esterna, risolvendosi in una obbligazione di provvista, laddove sia stato nominato un amministratore. Per l'obbligazione di provvista non pare, infatti, configurabile un'autonoma prescrizione perché essa lascerebbe comunque valida, efficace ed opponibile l'obbligazione principale alla quale essa è finalizzata.
Il parallelismo con la «identica» situazione condominiale per la quale non sia stato nominato l'amministratore dimostra come la soluzione non possa essere diversa - secondo una lettura costituzionalmente orientata - in ordine alla non configurabilità di alcuna prescrizione in ragione della ricorrenza di una normale situazione di una pluralità di debitori (art. 1310 c.c.) di una obbligazione unica per la quale opera la solidarietà passiva con l'irrilevanza del criterio interno di ripartizione, formale, in caso di nomina dell'amministratore, e implicito, in caso di mancata nomina, della somministrazione dei mezzi necessari per l'esecuzione del mandato.
Ciò in aderenza al principio di diritto recentemente riaffermato dalle sezioni unite sull'applicabilità uniforme delle norme speciali dettate per il condominio (31).
Tale specificità ordinamentale risulta recepita specificamente dalla giurisprudenza di legittimità (32) ed è ribadita da Cass., sez. un., 18 settembre 2006 n. 20076 laddove precisa che «l'amministratore ha la semplice rappresentanza volontaria di ciascuno dei partecipanti, alla stregua di un comune mandatario» per cui «ne consegue che qualunque controversia possa incorrere nell'ambito condominiale per ragioni afferenti al condominio, quand'anche veda contrapposto un singolo partecipante a tutti gli altri, ciascuno dei quali è singolarmente rappresentato dall'amministratore, è perciò sempre una controversia "tra condomini"». Ciò comporta che le c.d. «quote condominiali» ovvero i contributi condominiali attengono all'obbligo del condomino-rappresentato di fornire al madatario i mezzi per l'esecuzione del mandato.
L'insussistenza della personalità giuridica, così come di un patrimonio autonomo, del condominio, esclude una relazione intersoggettiva in senso stretto di credito e debito dei partecipanti al condominio sia nei confronti del condominio, sia nei confronti dell'amministratore, in relazione, ovviamente, alle obbligazioni di contribuzione relative alle cose comuni (parti comuni, impianti e servizi) da considerarsi proprie dei condomini. Se si concorda sulla natura reale, propter rem e non personale dell'obbligazione di corresponsione dei contributi condominiali (33) in ragione della relazione di accessorietà con il godimento delle proprietà solitarie e della derivazione dell'obbligazione dalla legge (34) - rafforzata dalla «inderogabilità», disposta dall'art. 1118, comma 2, c.c. ed impeditiva della rinuncia al diritto sulle cose comuni al fine di sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione - tale natura milita indiscutibilmente a favore dell'inerenza, con carattere permanente, dell'obbligazione di contribuire alle spese comuni alla situazione soggettiva reale di condomino e pare, allora, consequenziale, l'inconfigurabilità della prescrizione nei rapporti interni rientranti nell'organizzazione condominiale, in relazione a un obbligo di contribuzione indisponibile, in funzione dell'adempimento delle obbligazioni assunte nell'interesse comune.
Trattasi, in sostanza, di un onere che consegue direttamente e giuridicamente dalla proprietà esclusiva per cui appare razionale che ne debba seguire le sorti secondo l'antico brocardo: «accessorium seguitur principale».
L'interrogativo iniziale sembra, comunque, permanere perché il Supremo Collegio insegna che «d'altro canto, l'obbligazione reale di certo è suscettibile di estinguersi per prescrizione, se il creditore non esercita il corrispondente diritto per il tempo determinato dalla legge» (35) che, qualora fosse applicabile anche all'obbligazione di contribuzione condominiale solleciterebbe l'esatta individuazione del soggetto creditore e della prescrizione breve, in deroga alle norme ordinarie, in relazione alla obiettiva pluralità di interessati, per la quale la legge prescrive il conferimento di un mandato - obbligatorio se si superano le quattro unità - che supera, non irragionevolmente, la normale configurazione «individuale» dell'obbligazione reale ordinaria (36) le cui regole devono essere anch'esse applicate tenendo presente la fisionomia giuridica del condominio.
8. L'applicabilità delle regole del mandato e l'inconfigurabilità della prescrizione. - La creduta inoperatività della prescrizione per inconfigurabilità relativamente alla riscossione della contribuzione nelle spese per le cose comuni sembra ricevere un immediato conforto dalla comune configurazione plastica del condominio, quale semplice ente di gestione, per rappresentare l'essenza del condominio che si esaurisce nella mera gestione per il conseguimento degli interessi comuni, ovvero quale «ufficio di diritto privato "assimilabile" al mandato» che raffigura giuridicamente la situazione condominiale, perché, per entrambe le predette configurazioni, il potere-dovere di riscossione da parte dell'amministratore non appare affatto autonomo, ma strumentale e finalizzato all'esecuzione del mandato e all'adempimento delle obbligazioni assunte «in nome e per conto del condominio» ma imputabili - come si è dianzi detto - ai singoli condomini e, quindi, nell'interesse anche del singolo condomino riottoso alla contribuzione, in una relazione priva di qualsiasi corrispettività che, invece, è connaturata ai rapporti di debito e credito. Infatti, Cass. 27 settembre 1996 n. 8530 afferma testualmente: «Il rapporto, analogo a quello del mandato con rappresentanza, si stabilisce tra la persona nominata alla carica di amministratore ed i singoli condomini». Valutato che trattasi di assimilabilità ed analogia al mandato, pare conseguente che l'applicabilità delle analoghe regole del mandato debba essere contenuta entro i limiti della compatibilità e salvo che esse non risultino derogate da disposizioni speciali dettate espressamente per il condominio; in ciò l'assimilazione e non l'identità con il mandato. In considerazione di tale analogia, sarebbe pertanto come dire che il mandatario, nel ritardare a riscuotere la provvista da parte del mandante - obbligato sia secondo le regole del mandato («è tenuto» ex art. 1719 c.c.) al pari del condomino a seguito dell'adozione della deliberazione di spesa - potrebbe determinare tout court l'estinzione-inopponibilità di tale obbligazione che sorge nell'interesse del suo rappresentato, senza che si verifichi alcuna sostituzione giuridica. Ciò sembra un non sense giuridico perché manca la contrapposizione di interessi sostanziali correlata all'istituto della prescrizione e, inoltre, perché da quanto rappresentato sembrerebbe conseguire solo un «comune» comportamento concludente contrario all'esecuzione del mandato al quale ha interesse principalmente il mandante che, nel condominio, non può però farlo (art. 1118, comma 2, c.c.) perché l'esecuzione deve avvenire anche nell'interesse degli altri condomini. La prescrizione integra l'effetto giuridico del mancato esercizio da parte del titolare dell'interesse concreto consacrato nel relativo diritto di credito, mentre, nella specie, è pacifico che esso non fa capo, affatto, all'amministratore che è solo il rappresentante «anche» del condomino, inadempiente al suo personale obbligo-dovere di versare il contributo per costituire la provvista per l'adempimento di obbligazioni (al medesimo imputabili) per le quali il creditore è un terzo e non l'amministratore, come sottolineato puntualmente da autorevole dottrina (37). La configurazione della prescrizione del dovere di riscossione e quindi del dovere di somministrazione a carico del condomino configurerebbe una sorta di rapporto con se stesso con un conflitto di interessi che osta ad una tale configurazione perché alla prescrizione avrebbe interesse principalmente il condomino inadempiente che è debitore e non creditore.
Ciò sembra sovvertire i principi che regolano la rappresentanza diretta (in nome e per conto) come disciplinata dal nostro ordinamento giuridico e alla quale fa riferimento la materia condominiale, senza inammissibili suggestioni autonomistiche (centro di interessi, soggettiva giuridica ecc.) che sono figlie di una personalità giuridica e autonomia patrimoniale che nella specie sono inesistenti e che non possono essere surrettiziamente quanto inammissibilmente presupposte per una configurazione che non è sussumibile nelle tradizionali figure soggettive.
La pacifica assimilazione e non identità del rapporto dell'amministratore a quello di mandato risulta densa di significato perché il rapporto obbligatorio di credito e debito rilevante giuridicamente ai fini della prescrizione è solo quello intercorrente tra il terzo e tutti i singoli condomini, rappresentati con contemplatio domini. In forza della deliberazione assembleare, adottata collegialmente, secondo il criterio maggioritario, gli interessi comuni sono unificati ex lege in una posizione di obbligo-dovere di contribuzione-somministrazione per il conseguimento degli interessi comuni che restano sempre del condomino che, come reso esplicito dalla disposizione dell'art. 1118, comma 2, c.c., «non può sottrarsi» alla contribuzione in ragione, non solo di una mera solidarietà giuridico-formale per interessi individuali unificati, bensì di quella condominiale e sostanziale di origine legale che attiene a interessi più generali e latamente sociali.
Con riferimento all'analoga e quindi conferente normativa del mandato, qualificata dottrina sottolinea, in proposito, che la somministrazione della provvista - specialmente nel mandato con rappresentanza nel quale il mandatario agisce esclusivamente in nome e per conto del mandante (non avendo, quindi, un distinto interesse come nell'ipotesi di mandato senza rappresentanza nel quale assume le obbligazioni in nome proprio) - non integra, in realtà, un'obbligazione, bensì un onere di cooperazione del mandante (38) ovvero di semplice modalità relativa all'esercizio del credito (39) che osta alla configurazione di una prescrizione. Tale teorica riceve una particolare valorizzazione nel condominio che, come osservato nel recente arresto delle sezioni unite a proposito del c.d. «piccolo condominio», ha una sua peculiare fisionomia giuridica che esalta il legame giuridico dell'organizzazione con gli interessi comuni, con una normativa fondata sulla cooperazione e prevalentemente inderogabile in ragione anche del metodo collegiale e del principio maggioritario che attenua fortemente (se non esclude) quella libera autonomia negoziale che connota il mandato tipico tra i privati, per il quale la disciplina resta sempre condizionata dal patto contrario che, invece, non è configurabile per la normativa ordinaria dettata per il condominio in un quadro, pertanto, di sostanziale cooperazione per la realizzazione degli interessi comuni.
Particolarmente rilevante, ai fini specifici della presente disamina, appare, poi, la considerazione della Suprema Corte laddove precisa che «non può affermarsi la responsabilità del mandatario senza in alcun modo porre la condotta da questi tenuta in relazione al comportamento del mandante il quale, ai sensi dell'art. 1719 c.c., "salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratto in proprio nome"» (40). L'esclusione della responsabilità del mandatario per la mancata provvista confligge logicamente e concettualmente con la configurazione di una prescrizione per la stessa mancata riscossione specialmente nel condominio, dove il condomino è obbligato in forza della delibera assunta collegialmente ed eventualmente con il suo voto favorevole, ma non per una sua libera autodeterminazione, atteso, altresì, che il dovere-potere di riscossione attiene alla fase esecutiva e, quindi, patologica piuttosto che a quella fisiologica, dovendo e potendo il condomino onerato provvedervi immediatamente.
La deliberazione delle spese comuni con la conseguente ripartizione ha, quindi, la funzione precipua di fornire all'amministratore-mandatario «i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato» (art. 1719) che la legge garantisce, in concreto, attraverso la norma speciale ed eccezionale dell'ingiunzione immediatamente esecutiva nonostante opposizione, nell'interesse della gestione comune che travalica la semplice relazione «individuale» del mandato tipico perché per quella condominiale è prevista l'applicazione del principio maggioritario. D'altro canto, è incontrovertibile che l'amministratore non è tenuto - contrariamente alla comune opinione - ad anticipare le somme necessarie per l'esecuzione del mandato, perché è significativa la disposizione che gli consente solo ordinare eccezionalmente (senza delibera, altrimenti necessaria) le spese urgenti relative alla sola manutenzione straordinaria (art. 1135, comma 2, c.c.) e quindi non per quella ordinaria, a differenza del condomino che, agendo nel suo interesse sostanziale (art. 1134 c.c.), può anticipare tutte le spese urgenti, anche di manutenzione ordinaria, con una differenziazione che si rivela di decisivo rilievo giuridico per il corretto inquadramento generale delle obbligazioni condominiali.
Se l'assimilazione al mandato deve pur avere un seguito, questa sembra condurre alla prospettata inoperatività della prescrizione per la riscossione della provvista e quindi dei contributi condominiali relativi a un mandato con rappresentanza che si svolge nell'interesse esclusivo dei condomini, perché l'onere della provvista appare insensibile alla prescrizione anche nella disciplina del mandato, oltre che in quanto tale.
9. La prescrizione decennale del diritto al compenso e al rimborso delle anticipazioni. - In relazione alla questione affrontata in questo scritto, di particolare interesse si rivela la sentenza in epigrafe che, esaminando le due fattispecie della prescrizione quinquennale eccepita per la «retribuzione» dell'amministratore (secondo la locuzione dell'art. 1135, comma 1, n. 1, c.c., ma comunemente detto compenso) e il rimborso delle anticipazioni effettuate dall'amministratore, ha esattamente sottolineato - confermando la decisione della Corte territoriale - l'insussistenza della periodicità che qualifica e legittima la prescrizione breve quinquennale che, derogando alla prescrizione ordinaria decennale, è di assoluta stretta interpretazione. La pronuncia risulta molto utile per la differenziazione ontologica, implicitamente operata, tra le obbligazioni esterne, per le quali è configurabile un vero e proprio diritto di credito di un terzo, per il quale è apprezzabile giuridicamente il mancato esercizio del suo diritto di credito, quale onere per la sua conservazione in ossequio al principio della certezza dei rapporti giuridici e l'obbligazione di contribuzione-somministrazione. La sentenza ritiene la ininfluenza della circostanza di fatto che l'esborso sia dovuto con una scadenza annuale perché ciò non integra affatto la periodicità indispensabile per la ricorrenza della fattispecie di cui all'art. 2948, n. 4, c.c. Particolarmente interessante è l'irrilevanza, a tal fine, dell'obbligo di rendiconto annuale per l'esatta considerazione che ciò non riguarda la natura dell'obbligazione, bensì le modalità di liquidazione del credito stesso di pari scadenza annuale, così come - può aggiungersi - si verifica per la deliberazione di approvazione delle spese relative alle cose comuni.
Pertanto risulta non conferente la considerazione circa la ricorrenza di «spese fisse per la pulizia ed ordinaria manutenzione del fabbricato condominiale» - enfatizzata dalla criticata Cass. 5 novembre 2002 n. 12596 - che non attiene affatto alla periodicità del credito, ma alla normale cadenza temporale dell'assemblea ordinaria per l'approvazione delle spese (art. 66 disp. att. c.c. e 1135 c.c.) che non attiene, anch'essa, alla natura del credito che solo dalla stessa sorge. Ciò a prescindere che la c.d. «quota condominiale» singola, ripartita, nell'ambito quindi della complessiva spesa deliberata e da erogare, si compone normalmente di voci diverse che non sono più differenziabili una volta ripartita la spesa globale, costituendo ormai un unicum indistinto che trova il titolo della sua obbligatorietà nella contribuzione ex lege alle spese per le cose comuni e la sua funzione nel costituire la provvista per l'esecuzione del mandato. La sentenza appare conforme a Cass. 30 agosto 2002 n. 12707 che presenta indubitabile analogia con la situazione condominiale che, di norma, vede la ripartizione della complessiva obbligazione di contribuzione in rate mensili, laddove statuisce che «all'obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo di mutuo, che costituisce un debito unico, sebbene possa essere rateizzato in più versamenti periodici, non si applica la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948, n. 4, c.c., relativa ai debiti che debbono essere soddisfatti periodicamente ad anno, o in termini più brevi».
Non pare accettabile la generalizzata sovrapposizione implicita della cadenza annuale delle deliberazioni delle spese comuni così come del rendiconto annuale, a quella dell'obbligazione di contribuzione che, ogni anno, risulta diversa per titolo e misura. La pronuncia appare, pertanto, importante per la differenziazione operata tra la cadenza annuale della liquidazione del debito e la natura della singola obbligazione che nella specie è di somministrazione dei mezzi necessari per l'esecuzione del mandato. La sentenza non ha potuto esaminare (per un'inammissibilità di ordine processuale) la censura relativa alla protrazione oltre la scadenza annuale dell'incarico dell'amministratore, ma, in proposito, può forse osservarsi che tale circostanza di fatto non sembra, comunque, rilevante perché, in tale specifico caso, si tratterebbe di un rinnovo tacito del mandato di normale e inderogabile durata annuale (come sottolineato), non risultando appropriata (anche se diffusa) la configurazione di una prorogatio che, presa a prestito dalla disciplina delle persone giuridiche pubbliche, è consona, peraltro, a un rapporto organico e non a quello intersoggettivo di mandato.
Con ciò non si vuole evitare pilatescamente di prendere in considerazione la diffusa prassi - peraltro auspicata dai diretti interessati - di una durata ordinaria ultrannale, ma - senza disconoscere possibili perplessità al riguardo - deve osservarsi, anche in tale evenienza, l'unicità del credito per il pagamento della retribuzione dell'amministratore, così come delle anticipazioni effettuate, sembra conseguire giuridicamente dal dovere «alla fine di ciascun anno di rendere il conto della sua gestione» che, approvato ex art. 1135, comma 1, n. 3, c.c., acquisisce il carattere di irretrattabilità, così consolidandosi e differenziandosi dagli altri, se la relativa deliberazione di approvazione non sia tempestivamente impugnata e poi annullata. Appare pertanto coerente con il sistema speciale del condominio la natura unica dell'obbligazione, inconciliabile logicamente e giuridicamente con una sua periodicità che presuppone la sua identità che per tutte le obbligazioni, interne ed esterne, che non si verifica affatto, se non per casi del tutto casuali.
Le considerazioni svolte nella decisione in rassegna, a proposito della retribuzione dell'amministratore, sono confermate dalla riconosciuta onnicomprensività del compenso (41) e dall'inapplicabilità per esso di tariffe, anche se predisposte dalle associazioni di categoria (42).
Qualche perplessità per il principio di diritto enunciato nella sentenza in rassegna sorge a proposito, non tanto sulla unicità dell'obbligazione con esclusione di qualsiasi periodicità, quanto sull'ammissibilità tout court di anticipazioni di spese da parte dell'amministratore, benché esso sia conforme all'orientamento della Corte di legittimità espresso nelle due decisioni richiamate dalla sentenza in epigrafe ma che forse occorre riesaminare per l'individuazione delle fattispecie concrete che sembrano afferire a rapporti «individuali» tra condomini morosi e amministratore del condominio, estranei alla gestione condominiale.
Si suole richiamare a tal riguardo la disposizione dell'art. 1720 c.c. sul mandato, laddove recita: «Il mandante "deve" rimborsare al mandatario le anticipazioni, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte e deve pagargli il compenso che gli spetta», ma sembra che tale norma non possa trovare applicazione nella specie perché le norme speciali dettate per il condominio contengono una disciplina specifica sia per le anticipazioni che per la retribuzione dell'amministratore mandatario che appare speciale rispetto a quella del mandato alla quale, in ragione della ritenuta assimilazione, si può certamente far ricorso ma soltanto in assenza di una regolamentazione specifica.
In coerenza, infatti, con la rilevanza giuridica di interessi comuni e non esclusivamente individuali, l'art. 1135, comma 1, n. 1, attribuisce all'assemblea la competenza a deliberare la retribuzione dell'amministratore che è prevista come eventuale, mentre per l'art. 1720 c.c. il compenso è obbligatorio, con una significativa inversione del patto contrario.
Infatti, la retribuzione dell'amministratore del condominio deve essere positivamente deliberata perché è di norma eventuale, potendo, infatti, essere amministratore anche un condomino a rotazione, mentre, al contrario, il compenso del mandatario è obbligatorio, salvo patto contrario, con una diversa formulazione letterale e con una inversa valenza del patto contrario che non sembrano consentire alcuna estensione in via analogica.
Per quanto, invece, riguarda l'anticipazione di spese da parte dell'amministratore, contro la sua ammissibilità milita la disposizione dell'art. 1135, comma 1, n. 2, che prevede espressamente «l'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione tra i condomini», per cui l'anticipazione di spese da parte dell'amministratore non solo esautora l'assemblea dei condomini, ma è inconciliabile con la previsione di un «preventivo» da deliberare prima di effettuare le spese le quali comportano un aggravio economico che deve essere giustamente valutato dai diretti interessati e non da un terzo nominato con il criterio maggioritario.
L'anticipazione contrasta, inoltre, anche con altre disposizioni del sistema condominiale, tendenzialmente autosufficiente.
Infatti, essa appare inconciliabile con l'inderogabilità della deliberazione assembleare sugli argomenti di sua competenza che discende dalla configurazione di sue «attribuzioni» pur se configurate nella rubrica dell'art. 1135 c.c., ma, soprattutto, con il richiamo operato dall'art. 72 disp. att. c.c. al precedente art. 66 che richiama l'art. 1135 c.c., ai fini della inderogabilità da parte del regolamento del condominio in senso stretto (a maggioranza). Se, pertanto, il regolamento di condominio approvato a maggioranza non può introdurre alcuna deroga all'assetto normativo previsto in materia di deliberazioni condominiali ed alle sue attribuzioni, a maggior ragione, ciò deve ritenersi inibito ad alcuni condomini e, vieppiù, a terzi tra i quali va ricompreso l'amministratore. D'altronde è il ragionamento seguito dalle sezioni unite in relazione all'anticipazione di spese non urgenti da parte del singolo condomino nel c.d. «piccolo condominio».
A questa considerazione generale, si aggiunge la considerazione più specifica che l'art. 1135, comma 2, prescrive, sintomaticamente, che «l'amministratore non può ordinare lavori di manutenzione "straordinaria", salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea», dove si nota che la legittimazione normativa è circoscritta all'ordine e non alla spesa ed alla sola manutenzione straordinaria, con la prescrizione, altresì, che l'amministratore «deve riferire nella prima assemblea». La norma milita, quindi, per il disconoscimento della liceità di qualsiasi anticipazione di spesa non deliberata, perché, altrimenti, la disposizione citata non avrebbe ragione di essere perché ricompresa potenzialmente nella più generale ammissibilità dell'anticipazione che nel mandato può trovare razionale giustificazione perché riguarda l'interesse individuale al quale consegue e non a quello comune come nel condominio che richiede, invece, una valutazione collegiale.
Ulteriore ragione di coerenza sistematica risiede nella limitazione (con argomentazione a contrario) che il singolo condomino anche nell'ipotesi di piccolo condominio, dove non è possibile una deliberazione a maggioranza, incontra nell'anticipare spese che non siano urgenti e per le quali si sono pronunciate negativamente le sezioni unite alla luce della speciale fisionomia del condominio che non lo consente. Risulta, quindi, intimamente contraddittorio che quanto è vietato al condomino possa, invece, consentirsi all'amministratore che può essere un estraneo alla compagine condominiale e per il quale, in caso di urgenza, è previsto soltanto che possa ordinarle ma non effettuarle, con l'obbligo, però, di riferire nella prima assemblea che può assumere, così, tutte le determinazioni al riguardo, anche in relazione a un'urgenza spesso artificiosamente provocata. Ciò conferma la competenza esclusiva dell'assemblea. Appare pertanto incompatibile con la disciplina condominiale la più ampia e discrezionale facoltà dell'amministratore di anticipare spese, addirittura non urgenti, che i condomini sarebbero poi tenuti a rimborsare a norma dell'art. 1720 c.c., superando così l'organizzazione ed il sistema deliberativo che la legge (art. 1136 c.c.) impone per la tutela degli interessi comuni che caratterizzano il condominio e che, altrimenti, potrebbe essere posta sistematicamente nel nulla, violando questa volta la norma dell'art. 1139 c.c. che ne prevede l'inderogabilità e facendo ricorso al grimaldello dell'anticipazione «immotivata».
Una volta che si concordi che la disciplina del condominio attiene ad una sua speciale fisionomia giuridica che vieta anticipazioni di spesa da parte del singolo condomino che non siano deliberate e non rivestano carattere di urgenza, essendo ciò estraneo al suo speciale paradigma normativo che prescrive un «preventivo delle spese», viene meno, per insuperabile consequenzialità logico-giuridica non solo la legittimità e al tempo stesso l'ammissibilità dell'anticipazione, ma soprattutto la rilevanza della questione della c.d. «parziarietà» (43), che è stata originata proprio da casi di anticipazioni effettuate dall'amministratore al di fuori dello schema condominiale e per di più in favore di condomini morosi per i quali la questione non sorgeva perché, potrebbe dirsi che la c.d. «parziarietà» sussisteva ab origine, in quanto afferiva quote che risultano già delimitate dalla intervenuta ripartizione.
Tale constatazione prova la persistente validità della solidarietà tipica delle ipotesi di condebitori (44) in relazione ad un'obbligazione unica.
Infatti, nella vicenda esaminata da Cass. 27 settembre 1996 n. 8530 (come emerge dal primo motivo del ricorso) si trattava - così come per la fattispecie concreta di Cass. 12 febbraio 1997 n. 1286, dove addirittura si fa riferimento alla intervenuta delibera di ripartizione che aveva «specificato» le singole obbligazioni di contribuzione» (tra le quali è discutibile che operi la solidarietà passiva prevista per rapporti di credito nella specie non configurabili) - essenzialmente della questione processuale di cumulo di domande giudiziali (condominio e singoli condomini) per un'anticipazione (sic!) «nei confronti dei singoli condomini, a favore dei quali ha anticipato le spese».
La circostanza che le predette pronunce hanno riguardo ad anticipazioni in favore di condomini morosi nel pagamento di contributi condominiali deliberati e ripartiti, e non in favore della gestione condominiale in genere e prima quindi della deliberazione e ripartizione interna, dovrebbe consigliare di rimeditare, con serenità e autonomia dal precedente, la statuizione giudiziale resa (nelle due citate pronunce ma contrastate da altre) sulla presupposta estensibilità tout court della norma dell'art. 1720 c.c. senza valutare che le (surrichiamate) «disposizioni speciali» dettate in materia di condominio prevedono una normativa specifica ed unitaria che esclude per ciò solo - se non addirittura vieta in ragione degli interessi della collettività condominiale - «anticipazioni» che, in sostanza, assolvono l'amministratore dalle azioni di recupero, alle quali è, invece, tenuto, per evitare inquietanti ed interessate sostituzioni «assolutamente discrezionali e volontarie» che potrebbero essere sindacabili, quanto meno (ma ci sarebbe ben altro) sotto il profilo della percezione di interessi legali (previsti anch'essi dall'art. 1720 c.c.) che, in alcuni momenti storici, sono anche particolarmente appetibili, con un possibile quanto palese conflitto di interessi per una signolare attività di finanziamento.
La presupposta ammissibilità e legittimità delle anticipazioni da parte dell'amministratore di condominio sarebbe, poi, foriera di conseguenze irrazionali nelle fattispecie per le quali l'amministratore diligente non le abbia effettuate in ossequio alla normativa condominiale, con un possibile addebito di possibili pregiudizi per l'amministratore che non le abbia, invece, effettuate. Qualora, poi, volesse approfondirsi la questione sotto il profilo della (tuttora) diffusa prassi di convogliare tutti i contributi riscossi in unico conto corrente bancario intestato al medesimo amministratore di diversi condomini che possono essere di alcune centinaia di edifici, con una fruttuosità maggiore di quella riconosciuta ai singoli condomini, nella misura di base praticata dagli istituti bancari (quasi inesistente), allora forse il divieto di anticipazione che comporta il pagamento degli «interessi legali» e non bancari, acquisirebbe connotazioni più gravi, in contrasto radicale con la specialità della disciplina legislativa che, più avvedutamente degli interpreti, non lo prevede, a differenza del negozio di mandato liberamente concluso dai singoli contraenti ai quali è riservata ogni valutazione e prevenzione al riguardo, rispetto al rapporto che discende invece automaticamente dalla legge che coerentemente e ragionevolmente predispone un apposito procedimento gestionale.
10. Conclusioni. - A questo punto del lungo discorso si possono, ora, riassumere come segue le considerazioni per una rimeditazione delle questioni evidenziate che non sono, affatto, di poco conto.
A. Nel condominio la prescrizione è apprezzabile soltanto per i diritti di crediti (reali ed effettivi) relativi alle obbligazioni c.d. «esterne» dei quali sono titolari i «terzi» e tra i quali non può essere compreso l'amministratore per la riscossione dei contributi, come riconosce autorevole dottrina in quanto ciò attiene all'onere di provvista dei mezzi necessari per l'esecuzione del mandato, sprovvisto di autonomia rispetto alle obbligazioni da adempiere. Ciò si differenzia dall'ipotesi in cui l'amministratore, come qualsiasi altro soggetto, sia titolare del diritto di credito per il pagamento della retribuzione dell'attività svolta in favore del condominio e per le controverse anticipazioni ai condomini morosi che riguardano rapporti giuridici intersoggettivi caratterizzati da corrispettività. Il potere-dovere o diritto-dovere dell'amministratore del condominio di riscuotere i contributi dai condomini (art. 1130, n. 3, c.c.) attiene direttamente al mandato conferito dagli stessi condomini per legge (art. 1129 e 1136 c.c.) che appresta, a tal fine, il mezzo speciale del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nonostante opposizione (art. 63 disp. att. c.c.) per la costituzione di tale provvista, in ragione della mancanza di personalità giuridica e di un autonomo patrimonio del condominio e, soprattutto, perché, a seguito della deliberazione assembleare delle spese, è divenuto obbligatorio l'onere contributivo comune, non risalente, pertanto, alla volontà del singolo.
Tale disciplina speciale è dettata, quindi, per la concreta attuazione del mandato con rappresentanza ex lege caratterizzato da norme sue proprie, per cui, a maggior ragione, per la provvista condominiale non è concepibile una prescrizione autonoma da quella afferente l'obbligazione da amministrare nell'esclusivo interesse dei condomini-mandanti e quindi anche di colui che oppone, atteso, inoltre, che l'obbligo di contribuire alle spese per la conservazione e l'uso delle parti, impianti e servizi comuni si collega, con relazione di accessorietà, al diritto di natura reale della proprietà esclusiva di essi mandanti. Di conseguenza, l'amministratore non è creditore, ma soltanto il mandatario-rappresentante con l'assoluta carenza di autonomia giuridica, perché l'obbligazione di contribuzione è strumentale alle obbligazioni assunte o da assumere in nome e nell'interesse del condominio.
Da tale funzione deriva che un'ipotetica prescrizione può essere configurata soltanto come effetto riflesso e consequenziale della prescrizione del diritto di credito relativo al rapporto esterno, alla stessa stregua del rapporto di mandato. Solo in caso di una pretesa contributiva per un credito prescritto autonomamente sarebbe illegittima la relativa delibera assembleare approvata a maggioranza, perché, in tal caso, l'obbligazione, essendo naturale, necessita dell'unanimità dei consensi. La configurazione di una prescrizione circoscritta alla mancata riscossione di contributi condominiali per un periodo di cinque o dieci anni appare inconciliabile giuridicamente anche con la durata annuale, legale e inderogabile, della nomina dell'amministratore (art. 1129 e 1138 c.c.) e della correlata cadenza annuale del rendiconto - come statuito perspicuamente dalla sentenza in epigrafe - con l'inconcepibilità, poi, di una sommatoria di periodi di tempo autonomi e diversi, oggettivamente e soggettivamente, trattandosi di rapporti giuridici di natura personale e non reale, rispetto ai quali, peraltro, non è configurabile alcuna successione (art. 1327 c.c.) e quindi quella continuità essenziale alla prescrizione. Infine, nel caso di specie, non si realizzano nemmeno le funzioni tipiche di certezza dei rapporti giuridici, per un adeguamento della situazione di diritto a quella di fatto, tipiche della prescrizione, perché il terzo può, tuttavia, esercitare validamente e anche coattivamente, il suo diritto di credito nei confronti del condominio e dei singoli condomini ai quali fanno giuridicamente capo le obbligazioni contrattuali (per le quali non sia intervenuta un'autonoma prescrizione o sia stata tempestivamente interrotta nei confronti del legale rappresentante del condominio).
In caso di mancata riscossione dei contributi non si realizzerebbe, quindi, lo scopo del mandato conferito anche nell'interesse del condomino inadempiente che, giusta disposizione inderogabile (art. 1138, comma 4, e 1118, comma 2, c.c.), non può sottrarsi al contributo nelle spese per la conservazione delle cose comuni di cui all'art. 1117 c.c. che integra, pertanto, un vero e proprio onere fintanto che permanga la sua proprietà esclusiva.
Alle considerazioni ontologiche relative alla funzione tipica del mandato con rappresentanza e della prescrizione si aggiungono quelle fondate sulla solidarietà passiva (art. 1310 c.c.) correlata all'obbligazione unica, esterna e plurisoggettiva che impedisce la configurazione di una prescrizione parziaria che appare sprovvista, oltretutto, di meritevolezza giuridica, perché comporterebbe un irragionevole accrescimento della quota dei condomini adempienti, oppure un'inammissibile estinzione (rectius, inopponibilità) parziaria del credito del terzo in buona fede ed estraneo all'organizzazione condominiale nella quale dovrebbe operare la supposta prescrizione.
L'ipotetica traslazione dell'obbligazione, a titolo di rivalsa nei confronti dell'amministratore, si fonda sulla indebita ed inammissibile confusione tra l'obbligazione interna di contribuzione e quella di adempimento dell'obbligazione esterna a cura del mandatario che hanno titoli giuridici non assimilabili o equiparabili, afferendo l'una a un onere e l'altra a un diritto.
B. Qualora non si volesse, in ogni caso, condividere tale soluzione che esclude in radice la configurabilità della prescrizione in ordine alla riscossione dei contributi per la costituzione della provvista del mandatario in genere (ordinario e condominiale), dovrebbe, allora e in via gradata, esaminarsi se - esclusa la prescrizione ventennale perché non si tratta di un diritto d'uso delle cose comuni ma di un'obbligazione reale propter rem - sia assolutamente inapplicabile la prescrizione breve quinquennale per l'inconfigurabilità della condizione di periodicità prescritta dall'art. 2948, n. 4, c.c., in relazione a un'obbligazione, per sua natura, comunque unica ed unitaria, la cui periodicità riguarda la causa petendi ma non il petitum per cui, a tutto voler concedere, sarebbe configurabile la sola prescrizione ordinaria decennale, in coerenza con il sistema ordinamentale previsto per il condominio che prevede una gestione annuale (mandato e rendiconto) che esaurisce il relativo rapporto di credito e debito entro tale durata, in conformità delle obbligazioni nascenti dal mutuo.
C. Infine e a tutto voler concedere, dovrebbe limitarsi, comunque, tale (assurda) eventualità «estintiva» alla sola ipotesi (rara) in cui l'intero e continuativo inutile decorso del termine prescrizionale sia ascrivibile ad un unico amministratore, non parendo ammissibile una sommatoria correlata ad una inconfigurabile successione contrattuale o reale.
Le considerazioni di questo scritto dovrebbero, auspicabilmente, sgombrare il campo dal grossolano, anche se accattivante, equivoco sotteso alla «supposta» prescrizione «circoscritta» alla riscossione dei contributi condominiali che, attraverso la configurazione implicita di una responsabilità dell'amministratore-mandatario - come emerge dalle parallele vicende di cui alle sentenze citate del Tribunale di Milano (13 settembre 2005 n. 10013: omesso pagamento contributi previdenziali) e della Cassazione (13 ottobre 2003 n. 15273: omesso versamento dell'imposta di successione) - mira a trasferire, maliziosamente, a carico dell'amministratore e del mandatario in genere, l'obbligazione principale del singolo (condomino o mandante) debitore inadempiente che se ne libererebbe mediante il mandato, anche se con rappresentanza, alla stregua di un rapporto di factoring, con un mutamento, anche, del suo regime giuridico (ad esempio: tempi e modi della prescrizione dell'obbligazione principale, eventualmente decennale o interrotta).
Tale equivoca traslazione che specialmente nel condominio può connotarsi di populismo, sembra ispirare la recente proposta di modifica della riforma del condominio (45) (fortunatamente arenatasi al Senato ma pericolosamente ripresentata), con devastanti riflessi anche per la corretta configurazione della responsabilità giuridica del mandatario, in genere e, quindi, non solo dell'amministratore di condominio.
Infatti, la proposta novella legislativa prevede una nuova e concorrente solidarietà passiva tra obbligazioni per danni e sorte che hanno distinte e diverse cause giuridiche quale configurazione di una sanzione - palesemente sproporzionata e quindi, pertanto, manifestamente incostituzionale - per il semplice ritardo nel recupero tempestivo dei contributi condominiali, con un sorprendente regalo alla categoria degli avvocati del condominio, perché il proposto termine di quattro mesi è stabilito per l'azione per la riscossione forzosa, con riferimento, pertanto, alla data di notifica dell'atto introduttivo del giudizio e con decorrenza dalla data della delibera di approvazione delle spese che individua il giorno in cui il credito è divenuto esigibile, senza voler parlare dell'ipocrita previsione di un amministratore che non sia stato dispensato dall'assemblea - palesemente confliggente con i doveri del mandatario e l'essenza della gestione condominiale - e delle implicazioni connesse al termine di trenta giorni per l'impugnativa della stessa delibera, così privata di esigibilità.
Conclusivamente e in ultima analisi si ritiene che, sul piano pratico, risulta forse assorbente l'esposizione contabile, specifica ed analitica, delle singole e pregresse situazioni di morosità «continuativamente in ogni bilancio-rendiconto annuale», in quanto ciò comporta «riconoscimento di debito» da parte del singolo condomino che non impugni la relativa delibera di approvazione, determinandosi l'interruzione di qualsivoglia ipotizzabile prescrizione (art. 2944 c.c.), mentre, sul piano giuridico - subordinatamente alle considerazioni svolte in ordine all'obbligazione strumentale di provvista, alla inoperatività della prescrizione dell'obbligazione solidale di contribuzione, alla natura esclusivamente gestionale dell'attività interna dell'amministratore che si chiude definitivamente con il rendiconto annuale, alla configurazione del rapporto intersoggettivo di credito-debito solo nei rapporti esterni per i quali può effettivamente operare la prescrizione e rispetto ai quali è irrilevante ed inconferente la situazione interna di tempestiva (o meno) riscossione, che appaiono ostative, in radice, alla configurazione di una prescrizione - sembra ammissibile l'applicazione, quantomeno in via analogica, dell'art. 2941, n. 6, c.c., secondo cui «tra le persone [condomini] i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all'amministrazione altrui e quelle [amministratore] da cui l'amministrazione è esercitata, finché non sia stato reso e approvato defitinivamente il conto». A prescindere dalla perdurante dialettica dottrinale sulla configurazione o meno di una rappresentanza legale in senso proprio (sulla base anche del disposto dell'art. 63 disp. att. c.c.), non pare, infatti, controvertibile che trattasi, pur sempre, di un'amministrazione di beni altrui imposta «per legge» (art. 1129 c.c.) per soddisfare un «interesse superiore» imputabile ad un gruppo che, per la carenza di soggettività giuridica, è - comunque si voglia ragionare - «incapace» giuridicamente di attendere «direttamente» ai propri interessi. La carenza di personalità giuridica e, conseguentemente, di una «capacità d'agire propria» costringe, infatti, gli interpreti a procedere «per assimiliazione» a figure giuridiche tradizionali (mandato con rappresentanza e ufficio privato) che non sembra, quindi, impedire tale ulteriore assimilazione per la ricorrenza delle stesse ragioni di tutela, in tal caso, del gruppo in conseguenza di una forma gestionale imposta «per legge» la quale prescrive, significativamente, il rendiconto annuale, quale atto giuridicamente rilevante al riguardo.
La rinnovazione, poi, di una tale sospensione per la durata di ogni «nuovo» mandato di amministrazione, comprendente, necessariamente, il dovere di recupero anche della morosità pregressa, comporta, in fatto, la permanente inopponibilità della prescrizione - ove in ipotesi configurabile - con una sostanziale inopponibilità della prescrizione alla pretesa recuperatoria dell'amministratore di turno.
Soluzione questa che sembra confortata anche da una lettura costituzionalmente orientata, tenendo conto della dichiarazione di incostituzionalità di cui a C. cost. 24 luglio 1998 n. 322 (46) e dell'ammissibilità, ora dichiarata, dell'incarico di amministratore di condominio anche a società di capitale (Cass. 24 ottobre 2006 n. 22840).

Autore: Dott. Nunzio Izzo - pubblicato su Giust. civ. 2006, 12, 2801

Note:

(1) Izzo, Non sono prescrittibili le quote per l'amministrazione del condominio, in Immobili &Diritto, 2006, n. 3, 23.

(2) In proposito, cfr. Vitucci, La prescrizione, in Il Codice Civile. Commentario diretto da Schlesinger, Art. 2934-2940, Milano 1990, 73.

(3) Salis, Il condominio negli edifici, Torino 1959, 307; Peretti, Griva, In tema di amministratore e di deliberazioni condominiali, in Giur. it., 1963, I, 1, 71; Sensale, Osservazioni sulla natura giuridica del rapporto interno fra condomini ed amministratore, in Temi nap., 1963, I, 384, che parla di un mandato sui generis; Corona, Contributo alla teoria del condominio, Milano 1974, 168; Visco, Le case in condominio, Milano 1976, 502; Lazzaro, Stincardini, L'amministratore del condominio, Milano 1982, 19, sia pure con qualche riserva; Macioce, Ufficio (diritto privato), in Enc. dir., XLV, Milano 1992, 641; Colonna, Uniti e divisi: il (particolare) rapporto tra amministratore e condominio, in Foro it., 1997, I, 1149; Triola, Il condominio, in Trattato di diritto privato a cura di Bessone, VII. Beni, proprietà e diritti reali, Torino 2002, 393; Terzago, Il condominio, 6ª ed., Milano 2006, 334.

(4) Betti, Le categorie civilistiche dell'interpretazione, Milano 1948, 12-17.

(5) In tal senso, Basile, La legittimazione passiva nell'azione dell'ex amministratore del condominio per il rimborso delle spese, in questa Rivista, 1981, I, 2001; Id., Condominio negli edifici, in Enc. giur. Treccani, VIII, Roma 1988, 1 nt. 1.

(6) Sulla specificità del condominio, cfr. Cass., sez. un., 21 gennaio 2006 n. 2046, in Corr. giur., 2006, 337, con nota adesiva di Izzo, Il regime giuridico delle spese anticipate nel c.d. «condominio minimo».

(7) V. supra, nt. 3.

(8) Corona, Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, Torino 2001, 201. Sulla rilevanza dell'organizzazione condominiale ai fini di una configurazione unitaria dell'obbligazione risalente al condominio quale figura intermedia tra le obbligazioni collettive e le obbligazioni soggettivamente complesse, cfr. Scarpa, Le obbligazioni del condominio, Milano 2003, 71. Sul vincolo di solidarietà tra i condomini, Triola, Osservazioni in tema di spese condominiali (nota a Cass. 27 settembre 1996 n. 8530), in questa Rivista, 1997, I, 702.

(9) Corona, Appunti sulla situazione soggettiva di condominio, in Riv. not., 2006, 650.

(10) Triola, Il condominio, cit., 460.

(11) In questa Rivista, 2002, I, 1827, con nota di Izzo, Sulle apparenze del diritto nel condominio e l'onere di consultazione dei registri immobiliari.

(12) Cass., sez. un., 21 gennaio 2006 n. 2046, cit.

(13) Trib. Milano, sez. VIII, 13 settembre 2005 n. 10013, in Amministrare Immobili, 2006, 10, con nota di Santarsiere, Amministratore del condominio: ufficio di diritto privato assimilabile al mandato.

(14) Triola, lc. ult. cit.

(15) Cass. 14 maggio 2004 n. 9195 ha, infatti, precisato che «con riguardo ad una cooperativa edilizia a contributo erariale, nella fase intercorrente tra la stipula del mutuo individuale (che determina l'acquisto della proprietà dell'alloggio da parte del socio) e il momento in cui tutti gli alloggi sono riscattati - fase in cui si configura un condominio speciale, la disciplina applicabile è quella dettata non già dagli art. 1117 ss. c.c., bensì dalle norme del t.u. n. 1165 del 1938». In senso conforme, Cass. 29 maggio 1996 n. 4985; Cass. 4 luglio 1991 n. 7369 e Cass. 26 febbraio 1982 n. 1227, sulla cessazione della normativa speciale. Sull'evoluzione legislativa e giurisprudenziale, cfr. Cass. 26 luglio 2006 n. 17031 e Cass., sez. un., 24 maggio 2006 n. 12215.

(16) Trib. Milano 8 febbraio 1990, in Foro it., 1991, I, 295, che ha esaminato la fattispecie particolare del regime a «consuntivazione reale», soggetta a prescrizione biennale, rispetto a quello forfetario c.d. «a mutualità generale» adottato dagli istituti autonomi delle case popolari, per il quale vale la prescrizione quinquennale. In senso conforme, Pret. Milano 24 novembre 1986, ivi, 1987, I, 1595, con nota di Piombo; Trib. Milano 30 aprile 1987 n. 3770; Trib. Roma 13 luglio 1992, in questa Rivista, 1993, 1927, con ampi richiami di giurisprudenza.

17) Cass. 18 novembre 2003 n. 17424, in questa Rivista, 2004, I, 48, con nota di Izzo, Decorrenza della prescrizione biennale degli oneri accessori nell'ipotesi di locatore ente pubblico. In senso conforme, Cass. 12 maggio 2003 n. 7184; Cass. 29 gennaio 2003 n. 1291; e Cass. 7 febbraio 2000 n. 1338, ivi, 2000, I, 2975, con nota di Id., Locatore unico proprietario e rimborso degli oneri accessori.

(18) Il termine biennale di prescrizione, in deroga alla norma codicistica dell'art. 2948 c.c., è previsto dell'art. 6 l. n. 841 del 1973 ed è stato ritenuto tuttora in vigore e non abrogato perché non risulta affatto incompatibile con le disposizioni della legge ordinaria n. 392 del 1978. In tal senso, Cass. 12 novembre 1997 n. 11163; Cass. 22 aprile 1995 n. 4588 (in Foro it., 1995, I, 2862; in Rass. loc. cond., 1995, con nota di Russo, Ancora in tema di prescrizione degli oneri accessori); Cass. 22 maggio 1993 n. 5795.

(19) Cass. 12 maggio 2003 n. 7184; Cass. 18 marzo 2003 n. 3988; e, da ultimo Cass. 12 aprile 2006 n. 8609.

(20) Cass. 4 giugno 1998 n. 5485, in Rass. loc. cond., 1998, 478, con nota di De Tilla, Oneri condominiali e pagamento del conduttore.

(21) Terzago, op. cit., 520, quale conseguenza della natura reale dell'obbligazione.

(22) Cass. 18 maggio 1994 n. 4831, come rilevato da Triola, op. ult. cit., 459. In senso conforme risulta anche Cass. 21 luglio 2005 n. 15288 laddove statuisce che «l'obbligo, per i condomini, di contribuire al pagamento delle spese condominiali "sorge per effetto della delibera di assemblea" che approva le spese» e soprattutto dove precisa che «all'eventuale deliberazione di ripartizione della spesa non potrà riconoscersi efficacia costitutiva del rapporto obbligatorio tra condominio e condomini» che pertanto viene riconosciuta alla deliberazione di approvazione delle spese.

(23) C. cost. 10 giugno 1966 n. 63 ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli art. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c. limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. In proposito v., da ultimo, C. cost. 26 luglio 2005 n. 332 (in questa Rivista, 2005, I, 2295; in Giur. cost., 2005, 4).

(24) Cass. 5 settembre 2000 n. 11684 (in Giur. it., 2001, 446; in Vita not., 2001, 239). V. anche Cass. 24 febbraio 1981 n. 1131.

(25) Trib. Milano, sez. VIII, 13 settembre 2005 n. 10013, cit.

(26) Corona, Le spese nell'ambito del condominio e loro riparto, in Atti del Congresso giuridico di studi, Crema 1986, 42; e Terzago, op. cit., 655. In senso contrario alla configurazione di un'obbligazione reale propter rem, cfr. Nobile, L'amministratore del condominio, Napoli 1962, 190. Triola, Osservazioni in tema di spese condominiali, cit., 704, esclude che nella fattispecie ricorra un'ipotesi di ambulatorietà dal lato passivo.

(27) Irti, L'età della decodificazione, Milano 1979; e Id., Leggi speciali (dal mono-sistema al poli-sistema), in Riv. dir. civ., 1979, I, 141.

(28) Trib. Milano, sez. VIII, 13 settembre 2005 n. 10013, cit.

(29) Izzo, Sull'apparenza del diritto nel condominio, cit., 1836.

(30) Corona, Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, cit., 231. In senso difforme, Scarpa, op. cit.

(31) V. supra, nt. 12.

(32) Cass. 26 agosto 1998 n. 8460 precisa: «Il condominio negli edifici, è risaputo, si distingue dalle formazioni sociali tradizionali: tanto da quelle di tipo collettivistico, non corporativo, quanto dai gruppi di tipo individualistico, o personale. Nella struttura delle formazioni di tipo collettivistico, non contrassegnate necessariamente dalla personalità giuridica, due organi si riscontrano sempre: l'uno (l'assemblea) deputato alla formazione della c.d. "volontà collettiva" e, di solito, investito dalle decisioni ultime; l'altro (gli amministratori) dotato della autonoma competenza ad amministrare. La ripartizione istituzionale delle funzioni, invece, manca nei gruppi di tipo individualistico i quali, difettando della soggettività, alle persone dei partecipanti attribuiscono tutti i poteri e sono solitamente privi e dell'assemblea e degli amministratori. In entrambe queste formazioni, alla differente organizzazione si accompagna la diversa disciplina della responsabilità nei confronti dei terzi. Nelle formazioni di tipo collettivistico, in cui la responsabilità patrimoniale, facente capo all'entità quale soggetto di diritto, esonera i partecipanti, la competenza degli amministratori si giustifica anche con la loro responsabilità diretta nei confronti dei terzi. Nei gruppi di tipo individualistico, invece, i singoli amministrano di persona e personalmente rispondono delle obbligazioni assunte nell'interesse della formazione. Da entrambi gli schemi si discosta il condominio negli edifici. Nel condominio si rinvengono gli organi propri alle formazioni collettivistiche, ma i principi, ai quali la disciplina dell'organizzazione si informa, sono quelli dei gruppi individualistici. Nel condominio sono previsti l'assemblea e l'amministratore, ma all'assemblea e all'amministratore, tuttavia, sono assegnati poteri di mera gestione, che non incidono sui diritti, che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, né sulle obbligazioni per la conservazione e per l'uso delle cose comuni, ascritte ai singoli per legge propter rem in ragione della proprietà comune».

(33) Triola, Il condominio, cit., 448. In senso conforme, Corona, Appunti, cit., 634, secondo il quale «al diritto di natura reale si riportano le obbligazioni di contribuire alle spese per la conservazione e l'uso delle cose, degli impianti e dei servizi comuni».

(34) Redivo, in De Renzis, Ferrari, Nicoletti, Redivo, Trattato del condomino, Padova 2004, 298.

(35) Cass. 5 settembre 2000 n. 11684, in questa Rivista, 2001, I, 1314, con nota di Triola, Sulla natura giuridica della limitazione dei poteri dei condomini disposta con regolamento condominiale.

(36) In proposito, cfr. Cass. 23 novembre 1998 n. 11868, sulla necessità di distinguere tra diritti di eguale contenuto. In dottrina, cfr. Campeis, De Pauli, Irrilevanza delle questioni di prescrizione nel giudizio di delibazione e riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato e processuale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 236; Manzo, Le sezioni unite in tema di prescrizione dell'azione di delibazione, in Foro it., 1997, I, 1551; Cass. 29 ottobre 1998 n. 10832, sull'esclusione della prescrizione in mancanza di un diritto soggettivo. In dottrina, cfr. Roselli, in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, VI, t. 3, Milano 2005, sub art. 2907-2969, 1618.

(37) Corona, Proprietà, cit., 200.

(38) D'Alessandro, Il mandato e la somministrazione dei mezzi necessari al mandatario, in Studium iuris, 2003, 862; Carnevali, Mandato, in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma 1990, 8; Luminoso, Il mandato e la commissione, in Trattato di diritto civile diretto da Rescigno, IV, Torino 1985, 360. In proposito, cfr. Cass. 30 marzo 2006 n. 7496 sul dovere dei condomini di dimostrare di aver adempiuto all'obbligo di tener indenne l'amministratore di ogni diminuzione patrimoniale. V. anche Cass. 3 novembre 1984 n. 5573.

(39) Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, I. Il comportamento del creditore, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, XVI, Milano 1974, 56; Natoli, Bigliazzi Geri, Mora accipiendi e mora debendi, Milano 1974, 13.

(40) Cass. 13 ottobre 2003 n. 15273, in Danno resp., 2004, 679, ha cassato la sentenza di merito che aveva accollato alla mandataria l'intera somma dovuta per l'imposta oltre alle sanzioni non tenendo presente che «non sussisteva alcun obbligo (ex lege o ex contractu) per la mandataria di anticipare le somme» e che l'art. 1719 c.c., totalmente pretermesso dai giudici del merito nel rendere la loro pronunzia, prevede espressamente che «il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratto in proprio nome».

(41) Cass. 12 marzo 2003 n. 3596 e, in dottrina, Izzo, Il compenso dell'amministratore del condominio, in I rapporti tra assemblea ed amministratore del condominio (Autori vari), Milano 2005, 209.

(42) Cfr. Agcm 14 dicembre 1994 n. 2550, in Boll. 2 gennaio 1995 n. 1.

(43) Triola, Osservazioni in tema di spese condominiali, cit., 702; e Colonna, Sulla natura delle obbligazioni del condominio (nota a Cass. 27 settembre 1996 n. 8530), in Foro it., 1997, 702.

(44) Triola, lc. ult. cit.; e Colonna, lc. ult. cit.

(45) Nella proposta nuova versione dell'art. 1129 c.c. del testo unificato proposto dal Comitato ristretto per i disegni di legge n. 622, 1659 e 1708, Atti Senato, XIV legislatura (aggiornato al 29 settembre 2005), era stato, infatti, previsto che «L'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute al condominio, anche ai sensi dell'art. 63, comma 1, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice entro quattro mesi dal giorno in cui il credito è divenuto esigibile, a meno che non sia stato espressamente dispensato dall'assemblea. In mancanza, scaduto tale termine, gli obbligati in regola con i pagamenti sono liberati dal vincolo di solidarietà. In tal caso, fermo restando il diritto dei creditori del condominio di esercitare le azioni che spettano all'amministratore nei confronti dei condomini inadempienti, l'amministratore risponde insieme a questi ultimi delle somme non riscosse e dei danni che ne siano derivati».

(46) In questa Rivista, 1998, I, 2706, in Foro it., 1998, I, 2617, con nota di La Rocca, L'«evaporazione» della persona inannzi alla Corte costituzionale, in Giur. it., 1998, 1863, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della divesa fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui all'art. 2941, n. 7, c.c.