Il diffondersi del fenomeno del turismo organizzato e
la diffusione dei viaggi e delle vacanze "tutto compreso" propone, sempre più
frequentemente, problematiche inerenti i rapporti tra operatori turistici ed i consumatori
turisti. Il legislatore (comunitario ed interno) ha cercato di contemperare, da una parte
le esigenze di tutela dell'utente turista e, dall'altra, le esigenze di esercizio
dell'attività di impresa turistica in condizioni di economicità e concorrenzialità. [1] Con la diffusione della nuova formula di viaggio, cd. "tutto
compreso", l'attenzione si rivolge subito alla nascente figura del
"consumatore-turista" che, per soddisfare le sue esigenze si affida ad imprese
che non conosce; questa situazione lo pone in una condizione di sostanziale debolezza
rispetto alla controparte professionale.
In realtà, la prima risposta alle esigenze di tutela del consumatore turista, non
proviene dalla Comunità europea, bensì da quella internazionale;infatti nel 1970 viene
approvata a Bruxelles la Convenzione internazionale relativa ai contratti di viaggio
(CCV).
Dal canto suo, la allora CEE, rispose alla necessità di una disciplina comunitaria tesa a
regolamentare il settore turistico, prima con atti programmatici di portata generale e
solo dopo con atti normativi ad hoc. Il primo atto, da cui emerse l'importanza sociale che
il turismo stava assumendo a livello comunitario, è dato dalla Risoluzione del Parlamento
europeo del 16 dicembre 1983: in base a questo documento, la Commissione e il Consiglio
risultano essere invitati ad intraprendere un'azione di "promozione del turismo in
base a misure comunitarie assunte nel quadro di una politica globale della Comunità
europea". Alla Risoluzione, ora citata fece seguito un piano generale di intervento
comunitario, consacrato nel documento "Azione comunitaria nel settore del
turismo" del 5 febbraio 1986.
Ma, soltanto con la direttiva del Consiglio del 13 giugno 1990, n.90/314 CEE, che si detta
una disciplina mirata e settoriale concernente i viaggi, le vacanze e i circuiti
"tutto compreso".
Gli scopi, della direttiva 90/314 CEE, vengono indicati nei 22 considerando che precedono
il testo effettivo.
In primo luogo si vuole realizzare uniformità di norme in materia di servizi tutto
compreso, consentendo in tal modo agli operatori turistici di ciascuno Stato membro di
offrire i loro servizi ai consumatori in condizioni paritarie rispetto all'intero
territorio comunitario. Si riconosce,inoltre, il ruolo che il turismo svolge nell'economia
degli stati membri, e, di conseguenza si sottolinea la necessità di dare impulso a questo
settore.
La direttiva 90/314 prevede inoltre una tutela risarcitoria a favore del
turista-consumatore, per danni conseguenti ad inadempimento dell'organizzatore o del
venditore, ma lascia aperta una controversia dottrinale e giurisprudenziale sulla
quantificazione del danno. [2]
E' pacifico che il consumatore debba essere risarcito per la perdita della parte del
pacchetto turistico non usufruita e per le spese aggiuntive sostenute dal viaggiatore; il
contrasto, invece, si pone sulla circostanza se debba essere o meno risarcito anche
l'impossibilità di utilizzare, parzialmente o in toto, il periodo di vacanza come
occasione di riposo e di divertimento,così come previsto.Questa circostanza si evidenzia
maggiormente in occasione di eventi unici ed irripetibili.
La vacanza si qualifica come bene in sé e, nel momento in cui si acquista un pacchetto di
viaggio, si intende acquistare un'opportunità di svago e di tempo libero. In seguito
all'inadempimento si perde questa opportunità di svago e di riposo e, pertanto, deve
essere risarcito il danno da vacanza rovinata inteso come un aspetto del danno
contrattuale patrimoniale.
Più difficile è invece l'inquadramento di detto danno come non patrimoniale in quanto
quest'ultimo può essere risarcito ex art. 2059 c.c. solo nelle ipotesi espressamente
indicate dalle legge.
In base a questa interpretazione, il riferimento legislativo per la risarcibilità del
danno morale viene individuato nell'art. 13,CCV, per cui l'organizzatore è responsabile
per qualunque pregiudizio subito dal viaggiatore. [3]
La giurisprudenza italiana, in un primo momento, ha negato la risarcibilità del danno
derivante da minore confortevolezza dei luoghi di soggiorno o dai disagi provocati, nel
presupposto della non risarcibilità nella fattispecie del danno morale ex art. 2059c.c. [4]
Negli ultimi anni si è invece diffusa un'interpretazione giurisprudenziale che tende a
riconoscere il risarcimento anche per il minor godimento della vacanza ed in conseguenza
dei disagi subiti.
Anche in dottrina si fa strada l'idea che le vacanze costituiscano un "bene" che
viene acquistato, nel caso del lavoratore, per il recupero delle energie, e più in
generale, per un fine di riposo e di svago ugualmente oggetto di valutazione
economica,ciò consente di ritenere il pregiudizio de quo patrimonialmente valutabile e
come tale sottratto alla limitazione prevista dall'art.2059 c.c.
D'altra parte, si è pure rilevato, come sopra accennato, che il fondamento giuridico del
diritto ad ottenere il risarcimento del cd. danno da "vacanza rovinata" può
rinvenirsi proprio negli artt.13 e 15 CCV.
Una recentissima sentenza, della Corte di Giustizia Europea (N. 1 del 12/03/2002), ha
riconosciuto il diritto al risarcimento del danno morale derivante da inadempimenti o da
cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio "tutto
compreso". [5]
La Corte di Giustizia Europea ha deciso,in questa sentenza, un caso di risarcimento danni
morali, proposto da una "malcapitata" turista austriaca, che a seguito di un
soggiorno presso un club turistico aveva accusato sintomi di un'intossicazione da
salmonella. Tale malattia era da imputare alle vivande servite nel club.
Il giudice di primo grado austriaco adito, ha riconosciuto alla Sig.na Leitner, solo un
risarcimento per le sofferenze fisiche causate dall'intossicazione alimentare e ha
respinto la domanda eccedente tale importo fondata sul risarcimento del danno morale per
il mancato godimento della vacanza. Tale giudice ha dichiarato su questo punto, che,
"anche se le sensazioni spiacevoli e le impressioni negative provocate dalla
delusione sono da qualificare come danni morali in base al diritto austriaco, esse non
possono formare oggetto di indennizzo, poiché nessuna legge austriaca prevede
espressamente il risarcimento di un danno morale di tale natura".
La Corte di Giustizia Europea ha ricordato che l'art. 5, n. 2, primo comma, della
direttiva 90/314 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché
l'organizzatore di viaggi risarcisca "i danni arrecati al consumatore
dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto".
A tale riguardo va rilevato, ha continuato la Corte, che dal secondo e terzo
'considerando' della direttiva risulta che essa ha per scopo, in particolare,
l'eliminazione delle divergenze accertate tra le normative e le prassi nei diversi Stati
membri in materia di viaggi "tutto compreso" e atte a generare distorsioni di
concorrenza tra gli operatori dei diversi Stati membri.
Orbene, è pacifico che, nel settore dei viaggi "tutto compreso" l'esistenza di
un obbligo di risarcire i danni morali in taluni Stati membri e la sua mancanza in altri
avrebbe come conseguenza delle distorsioni di concorrenza notevoli, tenuto conto del fatto
che, come osservato dalla Commissione, si rilevano frequentemente danni morali in tale
settore.
Si deve inoltre rilevare che la direttiva, e più particolarmente il suo art. 5, mira a
offrire una tutela ai consumatori e che, nell'ambito dei viaggi turistici, il risarcimento
del danno per il mancato godimento della vacanza ha per gli stessi un'importanza
particolare.
E' alla luce di tali considerazioni che si deve interpretare l'art. 5 della direttiva. Se
quest'articolo si limita, nel suo n. 2, primo comma, a rinviare in modo generale alla
nozione di danni, si deve rilevare che, prevedendo, al suo n. 2, quarto comma, la facoltà
per gli Stati membri di ammettere che, per quanto riguarda i danni diversi da quelli
corporali, l'indennizzo sia limitato in virtù del contratto, a condizione che tale
limitazione non sia irragionevole, la direttiva riconosce implicitamente l'esistenza di un
diritto al risarcimento dei danni diversi da quelli corporali, tra cui il danno morale.
Risolve, dunque, la questione sollevata la Corte dichiarando che l'art. 5 della direttiva
deve essere interpretato nel senso che in linea di principio il consumatore ha diritto al
risarcimento del danno morale derivante dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione
delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio "tutto compreso".
Continuando l'analisi, sul quadro normativo teso alla tutela del consumatore turista, non
si può non analizzare un'altro dei tipici fenomeni cui va incontro il
consumatore-turista, nonchè chi viaggia per affari o per altri motivi, ci riferiamo al
fenomeno dell'overbooking.
Con il termine overbooking si indica la ormai diffusa consuetudine, comune a tutte le
compagnie aeree, di accettare un numero di prenotazioni superiori al numero di posti
disponibili sul veicolo. Accade dunque che il passeggero, pur disponendo di un valido
documento di trasporto ed avendo l'accortezza di presentarsi tempestivamente all'imbarco,
non venga imbarcato sull'aeromobile perché lo stesso risulta già completamente occupato.
Questa circostanza, che crea contrattempi e danni a chi viaggia per turismo, e ancor di
più a chi intraprende viaggi d'affari o di lavoro o di salute, viene definita
overbooking, cioè accettazione di prenotazioni in eccesso. [6]
Questa prassi, trae origine dal comportamento dei cosiddetti no-show, dei passeggeri che
si prenotano e poi non si presentano alla partenza. No-show significa, appunto, "non
presentarsi".
Si verifica frequentemente, ad esempio che chi deve viaggiare spesso, specie sui brevi
percorsi e specie per lavoro, pensa di premunirsi prenotando un posto su più aerei,
riservandosi di decidere all'ultimo momento, a secondo dello sviluppo dei propri impegni,
su quale viaggiare.
Questo comportamento descritto, anche se non corretto, non assumerebbe eccessiva rilevanza
se chi lo segue si preoccupasse di annullare poi le prenotazioni 'superflue'. Purtroppo
accade che in genere si tralascia di osservare tale norma di correttezza. Le conseguenze,
com'è facile intuire, sono estremamente penalizzanti sia per l'utenza sia per le
compagnie aeree, in termini di immagine. Sotto un profilo strettamente giuridico, si
configura come dato comune ai diversi ordinamenti vigenti (siano essi di natura
civilistica o di common law) la volontà di garantire, per quanto riguarda il trasporto
aereo di linea, l'interesse della generalità degli utenti a beneficiare del servizio
stesso. Le varie legislazioni hanno, dunque, previsto un obbligo per i vettori, che
svolgono pubblici servizi di trasporto, di prestare sempre il consenso alla conclusione di
un contratto di trasporto. Compatibilmente con in mezzi di'impresa il vettore è, di
norma, obbligato ad accettare le varie richieste di trasporto.
In Italia questo principio ha ispirato l'art.1679 c.c. che prevede, ad esempio nei
confronti di "coloro che per concessione amministrativa esercitano servizi di linea
per il trasporto di persone e di cose" (e quindi stante l'art. 776 c. nav., nei
confronti di tutti i vettori aerei di linea): a) l'obbligo a contrarre con chiunque ne
faccia richiesta compatibilmente con i mezzi ordinari dell'impresa ; b) la parità di
trattamento di tutti gli utenti (in particolare: esecuzione del trasporto secondo l'ordine
delle richieste ed applicazione delle concessioni speciali ad ogni utente, a parità di
condizioni; c) nullità di ogni deroga delle condizioni generali di contratto.
I principi esposti si applicano, oltre che ai vettori di linea nazionali, anche a quelli
stranieri, che operano in Stati diversi da quello di appartenenza, sulla base del sistema
degli accordi bilaterali di traffico aereo. E' opportuno evidenziare le differenze tra le
modalità connesse all'esercizio di trasporti aerei di linea e quelle invece concernenti i
trasporti aerei a carattere discontinuo ed occasionale (c.d. voli charter).
In particolare, è stato sottolineato, che il trasporto regolare è caratterizzato
principalmente dal fattore tempo, dalla regolarità e dal carattere pubblico del
trasporto, affermando inoltre come peculiare obbligo del vettore regolare sia quello di
assicurare le partenze previste e quello di trasportare chiunque ne faccia richiesta.
Per quanto riguarda invece i c.d. voli charter c'è un unico noleggiatore dell'intera
capacità dell'aeromobile, cui conseguentemente, viene subordinato ogni eventuale vincolo
relativo all'osservanza di orari, frequenze ed itinerari ed in presenza del quale non può
sussistere alcun obbligo a contrarre nel senso sopra specificato, essendo conferita al
noleggiatore (di solito l'agente di viaggio) piena libertà di organizzazione dei termini
e delle modalità del trasporto.
L'inevitabile limitazione dell'offerta di trasporto, per il trasporto aereo di linea, può
invece creare un eccesso della domanda di trasporto rispetto all'offerta disponibile.
Così ragionando, si comprende, come sia l'ordine di priorità temporale delle richieste a
governare l'ordine di precedenza che il vettore deve osservare nell'esecuzione dei
trasporti.
Il rifiuto di imbarcare il passeggero in possesso di regolare biglietto, con una
prenotazione confermata, costituisce un vero e proprio inadempimento contrattuale del
vettore ex. art.1218 c.c. Di conseguenza il vettore deve risarcire il danno subito dal
viaggiatore al quale sia stato negato l'imbarco. Ma, mentre il risarcimento del danno
emergente è facilmente individuabile nel prezzo del biglietto pagato e in altri disagi
logistici subiti dal viaggiatore, il lucro cessante è, in queste circostanze
imprevedibile e spesso ingente. Basti pensare ai casi di mancate prestazioni da parte di
noti professionisti, atleti, artisti, ovvero alla perdita di guadagni per la conclusione
od esecuzioni di impegni contrattuali rese impossibili a causa del mancato imbarco sul
volo overbooked .
In assenza di norme che, escludono o cerchino di limitare la responsabilità dei vettori,
è chiaro che il mancato trasporto per overbooking espone gli stessi ad eventuali azioni
di risarcimento, per i danni dimostrati dai malcapitati rimasti "a terra". Le
eccezioni opposte a tali richieste (imprevedibilità del danno al momento della
conclusione del contratto, necessità e scopi di economicità dell'overbooking) possono,
invero, non assumere consistenza nell'apprezzamento dei giudici e di altri operatori del
diritto che non abbiano dimestichezza con il funzionamento del trasporto aereo.
Al fine di fronteggiare i rischi e le conseguenze negative derivanti da una prassi che,
per motivi legati al no-show, è ineliminabile, alcune compagnie aeree americane, da
tempo, hanno adottato codici di comportamento nei quali siano presenti schemi di
indennizzo da applicare in caso di mancato imbarco dei passeggeri.
Tale schemi pur non avendo valore di legge, ciò nonostante rappresentano il primo
tentativo di componimento delle contrapposte esigenze tra viaggiatori e vettori.
Questi codici di comportamento vennero presto inseriti nelle condizioni generali di
contratto e, prevedevano schemi di indennizzo forfetario e procedure tendenti ad attenuare
il pregiudizio derivante ai passeggeri non imbarcati per overbooking, attraverso una serie
di azioni quali:la preventiva notifica all'utenza dell'esistenza del rischio rifiuto di
imbarco nonostante la conferma di prenotazione, la ricerca di passeggeri che sbarchino
volontariamente, l'obbligo di offerta di riprenotazione su voli successivi, l'offerta di
immediato risarcimento forfetizzato in denaro prescindendo dalla dimostrazione
dell'esistenza del danno.
Viene così a configurarsi una sorta di responsabilità oggettiva del danno dimostrabile,
ma contenuta entro un limite non superabile.
Mentre dunque le Autorità cercano di inquadrare questo fenomeno, prendendo anche atto
delle cause della sua ineliminabilità, le compagnie aeree adottarono procedure tendenti a
ridurre l'entità del fenomeno e ad attutirne le conseguenze negative.
Una delle procedure volte a tali esigenze fu quella del Ticketing Time Limi (TTL); con
questa procedura il, vettore aereo è facoltizzato a cancellare la prenotazione di un
passeggero qualora lo stesso non acquisti il relativo biglietto aereo entro un determinato
periodo di tempo dall'effettuazione della prenotazione. [7]
In generale questa facoltà viene riconosciuta alle compagnie aeree da una specifica
previsione delle proprie condizioni generali di trasporto, approvate dalle rispettive
autorità concedenti. Queste linee di tendenza vennero elaborate dalle associazioni delle
aerolinee europee e recepite, nelle varie condizioni generali di contratto, dalla maggior
parte dei vettori europei.
Anche a livello comunitario, intanto, si avvertiva la necessità di regolare il fenomeno
dell'overbooking.
Nel 1991 la spiacevole prassi dell'overboooking è stata fatta oggetto di approfonditi
studi da parte della Unione Europea, allora Comunità Economica Europea, la quale,
nell'ottica di approntare, in ogni settore, una tutela concreta del contraente debole di
fronte alle "imposizioni" contrattuali del contraente forte, ha emanato un
Regolamento comunitario, il numero 295, che stigmatizza la tecnica della sovraprenotazione
e garantisce all'utente una tutela risarcitoria perlomeno accettabile.
Il Regolamento CEE n. 295 del 1991, direttamente applicabile negli Stati membri
dell'Unione europea e vincolante anche per le compagnie aeree non comunitarie che
espletano servizio negli Stati membri UE, ha istituito un sistema particolare di
compensazione per i passeggeri cui venga negato l'imbarco su un volo di linea in
precedenza prenotato. Questa tutela, viene estesa dunque, anche nei riguardi delle
Compagnie che, pur non avendo "bandiera comunitaria", espletino servizio negli
Stati Membri.
Il significato di tale ultima espressione è stato oggetto di un lungo dibattito. Infatti,
l'opinione di chi voleva optare per una lettura in chiave restrittiva di tale espressione,
riconoscendo l'applicabilità della normativa in parola nei confronti delle Compagnie
aeree extracomunitarie limitatamente ai voli in partenza da uno Stato UE e diretti in
altro Stato membro, si è scontrata con la diversa e, forse, più corretta interpretazione
del Regolamento, nel senso di ritenere che lo stesso debba considerarsi applicabile anche
nei confronti di quelle Compagnie Aeree extracomunitarie che espletino servizio da, o per,
Stati Membri dell'UE.
Tale interpretazione, pare più aderente alla volontà del legislatore europeo che, con
l'emanazione del Regolamento in parola, ha inteso fornire una tutela, il più ampia
possibile, al viaggiatore che si trovi a usufruire del servizio aereo da o per i Paesi
dell'Unione Europea. In ogni caso, le condizioni per l'applicazione del sistema di
compensazione creato ad hoc dalla Unione Europea sono le seguenti:
innanzitutto,viaggiare su un volo di linea da o per un Paese membro dell'Unione europea.
L'esclusione dei voli c.d. "charter" dall'ambito di applicazione del Regolamento
sopra citato, trova causa nella diversa natura di siffatto tipo di trasporto,
nell'espletamento del quale, come il passeggero ben sa, l'orario dell'effettuazione del
servizio di trasporto può modificarsi.
Bisogna essere, inoltre, in possesso di un biglietto valido sul quale sia indicata una
prenotazione confermata per il volo interessato (generalmente si tratta dell'indicazione
"OK" nello spazio appositamente previsto).
Da ultimo, bisogna essersi presentati al banco di accettazione per tale volo prima
dell'ora limite di accettazione fissata dalla compagnia aerea.
Il regolamento UE prevede inoltre che, al ricorrere delle summenzionate condizioni, il
passeggero che si veda rifiutato, sine causa, l'imbarco sul volo prenotato abbia diritto
ad usufruire del seguente sistema compensatorio: potrà, a sua scelta, ottenere il
rimborso senza penali del prezzo del biglietto per la parte del viaggio non effettuata,
oppure un volo alternativo quanto prima possibile fino alla destinazione finale, o un volo
alternativo ad una data successiva che gli convenga.
Indipendentemente dalla scelta effettuata dal passeggero lo stesso ha diritto al pagamento
immediato da parte del vettore aereo di una compensazione pecuniaria minima pari a 300
Euro (il Regolamento reca testualmente la dicitura ECU) per i voli oltre i 3.500 Km.,
considerata la destinazione finale indicata nel biglietto.
Tale indennità forfetaria può essere ridotta del 50% qualora il passeggero abbia scelto
un volo alternativo sino alla destinazione finale la cui ora d'arrivo non ecceda quella
programmata per il volo inizialmente riservato, di 4 ore per collegamenti oltre i 3.500
Km.
Il passeggero avrà inoltre diritto a rifocillarsi adeguatamente a spese del vettore
aereo, oltre alla sistemazione in hotel a carico del medesimo nel caso in cui il
passeggero si trovi bloccato per una o più notti.
Pertanto, il passeggero "vittima" del famigerato overbooking, potrà ottenere
dalla Compagnia aerea inadempiente, oltre al rimborso delle spese dei pasti e della/e
eventuale/i notte/i in albergo, un rimborso forfetario, calcolato in Euro, che varia in
considerazione dei seguenti parametri: 1) distanza chilometrica di percorrenza; 2) tempo
intercorrente tra la partenza del volo su cui non è stato accettato, e tempo di partenza
del nuovo volo. Tuttavia, il rimborso forfetario previsto dal Regolamento comunitario
citato, non può essere considerato esaustivo laddove il viaggiatore riesca a provare di
aver subito, comunque, un danno ulteriore rispetto a quello forfetariamente risarcitogli.
Ulteriori danni potrebbero, in effetti, derivare o dalla giornata di vacanza eventualmente
non usufruita, proprio a causa del ritardo nell'esecuzione del trasporto aereo, cagionato
dall'overbooking, oppure, nel caso si trattasse di viaggio con destinazione Italia,
presumibilmente, pertanto, di rientro, sarebbe opportuno, calcolare nella somma da
risarcire al viaggiatore la perdita subita sotto il profilo del mancato rientro al lavoro.
In questi casi la prova sembra facilmente fornibile presentando il contratto di soggiorno
nel luogo di destinazione, nel primo caso, o il prospetto degli emolumenti annui percepiti
da cui evincere facilmente il valore venale da assegnare ad una (o più) giornate di
lavoro perdute a causa del ritardato rientro dovuto a responsabilità del vettore. Ben
più complesso, anche perché in materia è in atto un complicato scontro
giurisprudenziale, sarebbe dimostrare di aver subito, causa la mancata esecuzione della
prestazione di trasporto nei tempi previsti, il sopraccitato danno da c.d. vacanza
rovinata, da qualificarsi quale vero e proprio danno morale. [8]
Considerate le polemiche che involgono l'astratta possibilità giuridica in punto alla
risarcibilità di codesta tipologia di danno, è difficile dimostrare la sussistenza di un
danno, laddove la prestazione fosse comunque espletata in un tempo
"ragionevole", rispetto a quanto contrattualmente previsto. E' assai difficile,
infatti, che la Compagnia aerea che sovraprenotando un volo abbia "lasciato a
terra" dei passeggeri che avrebbero avuto diritto, per contratto, all'imbarco,
ritardi di molti giorni la partenza degli stessi, tentando, nei limiti del possibile di
"dirottare" le "vittime dell'overbooking" sui primi aeromobili
disponibili, in modo da contenere il disagio loro arrecato.
A conclusione di quanto sopra, occorre precisare che il Regolamento UE n. 295, si pone
anche in una posizione differente rispetto alla tutela attribuita al viaggiatore-turista
dal D.Lgs. 111 del 1995, le cui statuizioni sono mutuate dagli insegnamenti e dalle
Direttive comunitarie.
Presupposto fondamentale per l'applicazione del D.Lgs. 111/95 è costituito dal fatto che
il viaggiatore-turista, abbia acquistato, attraverso l'intermediazione di un'agenzia
all'uopo incaricata, quello che viene definito "pacchetto turistico", che non
comprende solo il volo, ma anche altri servizi c.d. accessori al mero trasporto aereo.
Pertanto l'ambito applicativo del D.Lgs. 111/95 risulta limitato a fattispecie assai più
circoscritte ed in stretta correlazione con un viaggio di caratterizzazione essenzialmente
turistica, mentre il Regolamento n. 295/91, pur riferendosi ad una casistica
d'inadempimento contrattuale ben individuata, vale a dire la c.d. sovraprenotazione dei
posti di disponibili in aeromobile, trova applicazione in tutti i casi in cui si verifichi
siffatta tipologia d'inadempimento, prescindendo dalla specifica finalità del contratto
di trasporto aereo e/o dalla sua eventuale combinazione con altri ed ulteriori prestazioni
di servizi.
Mentre, da un lato il D.Lgs. 111/95 si riferisce, più che altro, a inadempimenti
contrattuali che coinvolgono prevalentemente, se non esclusivamente, l'utente-turista, il
Regolamento 295/91, offre la propria copertura normativa a qualsivoglia soggetto si trovi
ad essere vittima di questo "brutale" sistema di vendita.
Bibliografia
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FRAGOLA MASSIMO, Il caso rechberger tra problemi di trasposizione della direttiva sui
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FRAGOLA MASSIMO, La figura del "consumatore turista" e i diritti ad esso
riconosciuti nell'ordinamento comunitario.
GAIGA GIOVANNI, La pratica dell'overbooking e la responsabilità del vettore aereo in una
decisione del Supremo collegio,1993, p.551 Resp.civ. e prev, A. Giuffrè.
GIRARDI PIETRO, La disciplina giuridica dell'overbooking nel trasporto aereo di linea e
gli indennizzi per il mancato imbarco, in I contratti di viaggio e turismo, De
Nova-Vacca'.
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FRANCESCHELLI- SILINGARDI, Manuale di diritto del turismo, Giappichelli, Torino,1999.
PIERALLINI LAURA, I pacchetti turistici, profili giuridici e contrattuali, in Rass. Giur.
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ROMANELLI G., Il trasporto aereo di persone, Padova,1959.
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in Nuove leggi civ, comm.,1978.
VACCA', La vacanza rovinata e la tutela dei diritti del fruitore dei servizi turistici, in
Riv. Dir. Comm., 1992, p.920.
Sentenze citate
CASS. CIV., 25 agosto 1992, n.9854 Sez .III
PRETURA ROMA 11 dicembre 1996, in Nuova giur. Civ. comm.
TRIBUNALE TORINO, 28 novembre1996 N. 8013 in, Riv. giur. Circol.trasp. 1998.
PRETURA CONEGLIANO 4 febbraio 1997, in Resp. Civ. prev., 1998.
TRIBUNALE VENEZIA, SENT. 2169/2000.
SENT. CORTE GIUST. EUROPEA, Sez VI, 12 marzo 2002 "Direttiva 90/314/CEE- Viaggi,
vacanze e circuiti tutto compreso Risarcimento del danno morale". |