ORGANIZZAZIONI SENZA SCOPO DI LUCRO
E MERCATO DEL LAVORO

 

Indice:

1. La posizione delle organizzazioni senza scopo di lucro sul mercato del lavoro
2. Liberta contrattuale delle organizzazioni senza scopo di lucro e poteri pubblici di governo del mercato del lavoro
3. Interesse pubblico ed interesse privato perseguito dalle organizzazioni senza fine di lucro
4. La partecipazione dei privati al governo del mercato del lavoro e lo spazio delle organizzazioni senza scopo di lucro
5. Le "fasce deboli" del mercato del lavoro e l'intervento del "privato sociale"
6. La concorrenza fra soggetti con e senza fine di lucro
7. Amministrazioni pubbliche e rapporti con le organizzazioni senza scopo di lucro.


1. Recenti interventi normativi hanno attribuito uno spazio crescente alle organizzazioni senza scopo di lucro nella regolazione del mercato del lavoro. In modo sempre piu frequente, in testi legislativi di questi anni si trova una significativa attenzione per soggetti accomunati dalla vocazione solidaristica e dall'assenza di un fine di lucro soggettivo, come le societa cooperative sociali e gli organismi di natura non commerciale. E' azzardato riportare tali iniziative ad un disegno unitario, se cosi si intende una consapevole strategia frutto di una valutazione complessiva e costante. Peraltro, con itinerari disordinati, le ultime leggi vogliono temperare consistenti fenomeni di "privatizzazione" delle funzioni di intermediazione fra offerta e domanda di lavoro assegnando responsabilita significative ad enti privati animati da intenti di socialita. La riduzione di alcuni spazi di governo pubblico del mercato e l'apertura alle iniziative private propongono una dialettica fra azioni votate al lucro ed attivita del cosiddetto privato sociale, proiettate invece verso obbiettivi ideali.

L'inquadramento di tali indicazioni normative e reso difficile dalla loro disorganicita. Ancora prima, non esiste un mercato del lavoro delle organizzazioni senza scopo di lucro, almeno qualora si passi al ragionamento giuridico dalle valutazioni economiche. Quali possibili datori di lavoro, questi enti privati (comunque siano identificati) si devono sottoporre alle stesse regole delle imprese animate dal fine del profitto e soggiacciono al diritto comune, in carenza di deroghe espresse. Anzi, per il regime riservato alle societa cooperative di produzione e lavoro si denotano avvicinamenti a quello generale delle imprese.

Si puo discutere se la categoria delle organizzazioni non lucrative si possa estendere fino a ricomprendere tutte le societa cooperative di produzione e lavoro, ma vi sono pochi dubbi per quelle sociali. E per i loro soci la possibile iscrizione alle liste di mobilita determina un accostamento ai modelli di tutela dei prestatori di opere subordinati, con una espansione di istituti di diritto del lavoro. Ne derivano regole omogenee per i dipendenti e per i soci - lavoratori, per attribuire le stesse opportunita a tutti coloro che cercano una collocazione professionale.

Quindi, come protagoniste del mercato, le organizzazioni senza scopo di lucro devono rispettare il diritto comune; eventuali interventi di favore del legislatore devono essere giustificati da specifici fini di valorizzazione di alcuni enti privati, in ragione del loro obbiettivo ideale. Anzi, possono destare perplessita disposizioni di aprioristico favore per intere ed estese categorie; ad esempio, e certo gradita ai destinatari la mancata considerazione dei soci - lavoratori nella base di calcolo per le assunzioni obbligatorie, ma la norma non ha un taglio selettivo e puo apparire un privilegio.

Ne sono persuasivi i benefici previdenziali assegnati alle societa cooperative sociali, perche sono attribuiti a gruppi ampi, senza una particolare meritevolezza. Il ricorso allo schema giuridico dell'impresa cooperativa sociale non comporta sempre il perseguimento di reali obbiettivi solidaristici e sono possibili discutibili operazioni speculative, per la ricerca di vantaggi competitivi, con riguardo alla disciplina previdenziale di favore. Pertanto, il trattamento preferenziale riservato ad organizzazioni senza scopo di lucro dovrebbe essere in correlazione con un evidente e controllabile fine non egoistico. In carenza, la regolazione del mercato deve tendere all'omogeneita e non alla separazione, poiche non acquistano rilevanza gli elementi di specialita di ciascun soggetto, ma un interesse all'incontro fra la domanda e l'offerta, rispetto al quale e difficile distinguere dall'azienda votata al profitto la posizione di associazioni, societa cooperative, fondazioni.

In particolare, per lo meno nella prospettiva giuridica, sarebbe illusorio immaginare una strutturale contrapposizione fra un mercato del lavoro delle organizzazioni con o senza scopo di lucro soggettivo. Sul versante dell'offerta non esiste una originaria e drastica propensione a rivolgersi alle strutture dell'una o dell'altra categoria. Si noti, per il lavoratore non e indifferente la natura del potenziale datore, poiche spesso si ravvisa una adesione profonda alla sua dimensione ideale e tale sentimento induce ad accettare condizioni retributive o di tutela inferiori a quelle possibili in una azienda che miri al profitto. Peraltro, tali frequenti manifestazioni di condivisione dell'obbiettivo dell'organizzazione non possono fare identificare per le strutture non lucrative un separato mercato del lavoro.

Esse si presentano all'incontro con l'offerta forti della loro vocazione sociale. Tuttavia, tali aspetti non possono giustificare ne disposizioni di preferenza, ne meccanismi di diritto speciale per il reclutamento del personale. Il mercato e lo stesso per imprese votate al profitto e per organismi che non perseguano tale obbiettivo. L'estesa autonomia contrattuale riconosciuta a partire dalla legge n. 223 del 1991 nella scelta dei prestatori di opere fa si che la stipulazione del contratto individuale consenta la selezione di lavoratori che condividano la vocazione del datore, con i limiti delle indagini permesse dall'art. 8 St. lav. e dalla legge n. 675 del 1996 sulla tutela dei "dati personali". Non a caso, per organismi di tendenza si ampliano i confini della nozione di idoneita professionale. Pero, questa autonomia negoziale e accordata ormai a qualunque struttura e non si mette cosi in discussione l'unitaria concezione del mercato, in cui si collocano tutti i datori, a prescindere dai loro scopi.

A chi offre lavoro si presentano opportunita di soggetti con differenti impostazioni, ma con gli stessi principi giuridici. Anzi, dovrebbero scomparire diversita come quella citata in tema di assunzioni obbligatorie delle societa di produzione e lavoro e, quindi, delle cooperative sociali. A differenza di quanto accade per la disciplina del contratto individuale, le regole del mercato devono garantire le stesse posizioni a chi tenda al lucro ed a coloro che perseguono fini ideali. Tale conclusione non deve sorprendere. Mentre la disciplina del rapporto disegna il profilo dell'organizzazione e deve essere coerente con la sua dimensione solidaristica, la regolazione del mercato dovrebbe garantire pari opportunita a tutti.

Tale assunto appare fondato per due ordini di considerazioni. In primo luogo, la disciplina dell'incontro fra domanda ed offerta di lavoro non e in funzione esclusiva o principale dell'interesse dell'organizzazione, ma deve assicurare equilibrio fra tale interesse e quello del singolo alla ricerca di una collocazione professionale, ai sensi dell'art. 4 cost.. Le organizzazioni non lucrative non possono ambire a forme di privilegio capaci di comprimere le aspettative dei prestatori di opere. La disciplina del contratto regola la vita della struttura e ne deve assecondare le finalita, ma lo stesso ragionamento non si puo applicare alla fase antecedente alla stipulazione dell'accordo individuale. Nel considerare l'incontro fra domanda ed offerta, il legislatore non si deve preoccupare di salvaguardare le prospettive di ciascuna organizzazione, ma di favorire le ragioni del singolo lavoratore, conciliandole con quelle del datore. Tale sintesi non e condizionata dalla natura dell'organizzazione, perche prevalgono le aspettative dei prestatori di opere.

Inoltre, come dimostra la prassi, strutture con o senza fini lucrativi si trovano spesso in competizione, talora per ottenere la stipulazione di contratti con pubbliche amministrazioni. La sorte di tali forme di concorrenza puo essere decisa dalla differente natura delle relazioni di lavoro (in senso lato). Ma lo statuto preferenziale attribuito ai soggetti senza fini di lucro non si deve estendere oltre quanto previsto per garantire l'effettivo raggiungimento dell'obbiettivo ideale. Quindi, e ragionevole una disciplina di favore che riguardi le stesse modalita di costituzione del gruppo ed il suo funzionamento. In modo diverso si deve ritenere qualora i privilegi siano assegnati per una aprioristica benevolenza per intere categorie di soggetti, senza l'analitica considerazione di specifici e significativi presupposti del trattamento migliore.

2. Non si vede perche le organizzazioni senza scopo di lucro si dovrebbero sottrarre agli obblighi che qualsiasi soggetto incontra sul mercato del lavoro. Fermo l'esteso riconoscimento dell'autonomia contrattuale nella stipulazione di un negozio di lavoro, i principi sull'incontro fra domanda ed offerta non mettono a repentaglio il raggiungimento dell'obbiettivo ideale e devono essere applicati per intero a qualsiasi datore. Non solo il legislatore dovrebbe riflettere su deroghe prive di un ragionevole supporto, ma dovrebbe considerare gli effetti distorsivi della concorrenza di disposizioni preferenziali senza un reale appoggio a dimostrati fini solidaristici. Qualora non siano in discussione l'assetto del gruppo e la coerenza della sua attivita con l'impostazione ideale, il diritto comune non deve cedere a privilegi ingiustificati. Il risultato e troppo spesso l'utilizzazione delle improvvide e generiche disposizioni di favore per speculazioni in drastica contraddizione con obbiettivi di socialita.

Come potenziali datori, le organizzazioni non lucrative possono esercitare la loro autonomia contrattuale ed individuare i lavoratori meglio coerenti con il loro obbiettivo. Ne vi sono ostacoli nei residui poteri pubblici che presidiano sull'incontro fra domanda ed offerta. Anzi, il declinare delle funzioni amministrative di intermediazione evita intromissioni invasive nell'attivita di ciascuna struttura, la quale puo selezionare i suoi collaboratori senza imposizioni. Come il fine di profitto economico, cosi quello non lucrativo trova corrispondenza nella valorizzazione dell'autonomia negoziale, con la scomparsa dell'irrealistica pretesa degli apparati ministeriali e, ora, di quelli provinciali di individuare il lavoratore piu meritevole. L'accettazione completa, seppure tardiva, della chiamata nominativa e, ormai, della comunicazione al Centro per l'impiego dopo la costituzione del rapporto preservano il potere di decisione di tutti i datori e con la liberta contrattuale permettono loro di perseguire sia i fini patrimoniali, sia quelli solidaristici.

Pertanto, nel loro affacciarsi al mercato, le organizzazioni senza scopo di lucro non meritano un trattamento preferenziale e non dovrebbero chiedere privilegi. Anzi, quelli gia ottenuti appaiono discutibili, perche cio puo comprimere aspettative dei prestatori di opere. Il regime di migliore favore per i soggetti con finalita diverse dal profitto attenua i non troppi poteri di imperio rimasti a condizionare l'incontro fra domanda ed offerta. Se si accetta la ragionevolezza di un sistema di collocamento obbligatorio, non si vede perche tali meccanismi non si debbano applicare a tutti, compresi i soci - lavoratori. Non si interferisce cosi con la liberta piu profonda di ciascuna organizzazione; infatti, gli scopi ideali, solidaristici, comunque non lucrativi possono essere perseguiti anche con l'osservanza dei vincoli cui soggiacciono le imprese volte al guadagno.

Se mai, nella costruzione dei servizi per l'impiego, le competenti strutture provinciali e regionali dovrebbero modulare le loro proposte sugli interessi di tutti i potenziali datori e, quindi, dovrebbero soddisfare non solo le generiche aspettative delle aziende, ma quelle piu settoriali di organizzazioni senza finalita lucrative. Se i servizi pubblici si devono personalizzare e devono comprendere le effettive esigenze di ciascun datore, gli apparati amministrativi dovrebbero considerare le particolarita di quegli organismi che, proprio per le loro funzioni etiche o sociali, possono richiedere personale con apposite caratteristiche professionali e, persino, di ordine psicologico, comportamentale o motivazionale.

A dire il vero, simili auspici appaiono irrealistici se messi a paragone con l'attuale stato dell'azione pubblica, sebbene in linea teorica possano avere preciso fondamento nella stessa nozione di servizi all'impiego. Nonostante essi debbano tendere a realizzare le aspirazioni di tutti i datori, in realta e minimo il livello di personalizzazione delle iniziative di intermediazione pubblica e certo non trovano grandi spazi le organizzazioni non lucrative. Le nicchie del mercato non sono coperte dagli organi pubblici, gia in difficolta a paragone delle piu frequenti richieste delle aziende tradizionali. L'assenza di un presidio istituzionale lascia aperto il campo a tentativi di intermediazione affidati ad attori diversi, non sempre improvvisati, come l'Universita, le associazioni di categoria, le strutture confessionali, i sindacati. Del resto, la recente giurisprudenza della Corte di Giustizia avalla prassi di supplenza consolidate da decenni, sottolineando come l'inefficienza degli apparati pubblici imponga l'accesso (inevitabile e lecito) di chi colmi le lacune di tale servizio.

Anche per questo verso, le organizzazioni senza scopo di lucro si trovano in condizioni omogenee a quelle delle imprese e non possono contare su contributi degli apparati istituzionali. Quindi, sarebbe irrealistico addebitare ad essi interferenze pericolose per lo svolgersi libero dell'attivita. Se mai, agli organismi ministeriali periferici prima, e ora alle Regioni ed alle Province, si puo addebitare la scarsa capacita di sovvenire alle necessita di un segmento ridotto del complessivo mercato; le organizzazioni non lucrative devono trovare forme differenti di aiuto all'incontro fra domanda ed offerta, senza potere contare sui servizi pubblici, soprattutto per i lavoratori di piu elevata professionalita e, quindi, per quelli cui piu si chiede di accettare e propugnare il fine etico e solidaristico.

In definitiva, se si considerano le organizzazioni senza obbiettivi di profitto, quali datori che si presentino sul mercato, si puo riconoscere solo l'operare del diritto comune. Diverso e piu impegnativo e il ragionamento qualora si passi al versante opposto e ci si chieda se e come tali soggetti siano chiamati a collaborare (a favore di terzi) alla soluzione dei problemi dello stesso mercato. In tale veste, gli enti privati divengono tasselli di un ipotetico disegno del mercato o, meglio, sono inseriti dal legislatore in un faticoso e non compiuto tentativo di creare strumenti per un governo di fatto irrealizzato, ma il quale resta negli auspici. Ad oggi, non si attua una politica attiva dell'occupazione ne nell'ordinamento statale, ne in quelli regionali. Se mai, vi sono frammenti di una complessiva politica, senza il presidio di un potere unitario e senza servizi capillari. Se le organizzazioni senza scopo di lucro si possono lamentare, a ragione, delle inefficienze del sistema pubblico, per altro verso sono considerate dal medesimo sistema quali possibili protagonisti di un tentativo di soluzione delle radicate tensioni.

La ricerca di nuove modalita di aiuto all'incontro fra domanda ed offerta consiste anche nella valorizzazione dei contributi dati dai protagonisti del cosiddetto "privato sociale". Del resto, l'azione delle istituzioni e in tale difficolta da dovere invocare l'intervento di qualsiasi interlocutore in grado di partecipare ad una razionalizzazione delle prassi. Quanto piu i servizi per l'impiego faticano a replicare alle insistite richieste delle imprese e dei lavoratori, tanto piu il legislatore deve avviare esperimenti che rimedino all'inefficienza delle politiche pubbliche, con l'iniziativa di soggetti estranei agli apparati amministrativi. Fra questi vi possono essere quelli votati al profitto e quelli desiderosi invece di realizzare fini di solidarieta. Ma, su questo secondo versante, che si potrebbe chiamare attivo e, pertanto, vede il privato apportare una risposta alle necessita altrui, non puo essere paritaria la posizione delle organizzazioni con o senza scopo di lucro. Anzi, a ragione i vari testi normativi pongono profonde differenze di funzione e di metodi nell'apertura alla collaborazione dei privati. Le ragioni di queste diversita si ritrovano proprio nelle implicazioni del perseguimento del guadagno o, all'opposto, di obbiettivi ideali e solidaristici.

3. L'obbiettivo solidaristico non ha natura pubblica, anzi e contraddistinto dalla sua dichiarata connotazione privatistica, poiche, non a caso, e perseguito con gli strumenti del diritto civile. L'esercizio dell'autonomia negoziale e alla base della costituzione di strutture proiettate a perseguire scopi rilevanti per le istituzioni, ma realizzati con metodi privati. La ricerca di risultati non egoistici, ma qualificati da istanze di socialita crea premesse per una inevitabile cooperazione fra le amministrazioni e questi organismi. Di tali forme di collaborazione la disciplina recente ha preso atto, fondando un intero sistema di agevolazioni e di stimoli su tale postulato, ormai tipico del nostro ordinamento. Si puo discutere su alcuni sviluppi, poiche non sempre queste intese fra "privato sociale" ed apparati pubblici hanno luogo con persuasive strategie normative, lontane da contaminazioni e da discutibili confusioni di ruoli.

Nonostante taluni limiti della regolazione piu recente, non e criticabile l'idea di fondo di impostare un raccordo fra l'interesse pubblico e quello privato ancorato a bisogni solidaristici. Tale assunto non puo implicare una sorta di aprioristico giudizio di disvalore per l'impresa dominata dallo scopo di guadagno, se non altro per la liberta di iniziativa economica. Quindi, il favore per le organizzazioni senza obbiettivi lucrativi non si deve ritorcere in una sorta di discriminazione ai danni delle aziende od in una immotivata e generica preferenza per fini di solidarieta. Questi sono momento di espressione della personalita, ma l'ordinamento deve regolare in modo equilibrato sia l'organizzazione votata al profitto, sia quella che ne prescinda.

Tuttavia, in alcuni contesti, il nesso fra l'interesse pubblico e quello solidaristico puo essere piu stretto del raccordo fra il medesimo interesse pubblico e l'aspettativa di guadagno. Il perseguimento di obbiettivi di socialita resta collegato ad una scelta individuale, in definitiva ad una analisi autonoma ed a successive iniziative negoziali. Fra l'interesse pubblico e quello privato solidaristico resta una nitida differenza, poiche il primo e identificato per legge ed il secondo trova spiegazione nelle convinzioni ideali e, quindi, in una prospettiva di liberta, tutelata dagli artt. 2 e 18 cost.. Se l'iniziativa civile non lucrativa perdesse tale costitutivo connotato, ne verrebbe meno la sua originalita ed essa si tradurrebbe in un pericoloso collateralismo all'azione degli apparati pubblici. Sarebbe singolare se, come avviene talora, le strutture senza fine di lucro sorgessero solo per la raccolta di contributi o per occasioni offerte dallo Stato o dagli enti locali.

In tali ipotesi non si assiste all'effettivo perseguimento di finalita altruistiche, ma si scorge un indiretto obbiettivo lucrativo. In fondo, si maschera dietro scopi ideali l'opportunistica ricerca di occasioni di guadagno, per il ricorso ad incentivazioni di varia natura. Simili soluzioni possono essere di aiuto alle istituzioni, per le quali si aprono prospettive di risparmio nell'offerta dei servizi pubblici, ma e alterata senza una ragionevole giustificazione una concorrenza piena fra le differenti attivita private. La preferenza da attribuire a quelle solidaristiche deve essere selettiva e, in primo luogo, deve premiare un incontro trasparente fra azioni spontanee di gruppi motivati da reali ispirazioni etiche e vere esigenze delle amministrazioni. Il trasferimento di funzioni dagli apparati pubblici a strutture private deve garantire la scelta del migliore, in ragione del principio di imparzialita. Di questo criterio vi devono essere riflessi anche qualora siano in comparazione soggetti con o senza obbiettivi di lucro.

Il limite della recente legislazione e della prassi di troppi enti e di sottintendere una sorta di equivalenza fra gli interessi pubblici e quelli privati non lucrativi. Se cosi fosse, il rapporto fra le amministrazioni e tali enti sarebbe funzionale al perseguimento degli stessi obbiettivi con metodi diversi, ma cosi non e. Infatti, verrebbe messa in discussione la strutturale distinzione fra finalita pubblica e privata; la connotazione solidaristica di queste ultime resta espressione di liberta, nella preferenza per fini di socialita e nella rinuncia al profitto. Di fronte a questo elemento privatistico, l'incentivazione dell'attivita e la collaborazione con le amministrazioni devono essere in relazione a riscontrabili connessioni fra interessi diversi.

Qualora le necessita pubbliche possano essere raggiunta anche dalle imprese, non vi e ragione per rinunciare a valorizzare la concorrenza fra privati. Non sembra conforme all'art. 41 cost. una sorta di automatica preferenza per associazioni e societa cooperative a paragone delle aziende, poiche occorre imparzialita anche in relazione alle differenti ispirazioni dei soggetti. In difetto, un aspetto estrinseco, come l'obbiettivo di ciascun organismo privato, impedirebbe una effettiva competizione, mediante gli opportuni meccanismi concorsuali. Di fronte al raccordo fra Stato ed iniziative solidaristiche vi e da chiedersi se vi possa essere una reale e motivata priorita dell'iniziativa non lucrativa. In sostanza, vi e da domandarsi se il perseguimento dell'interesse pubblico possa avere luogo in modo piu efficiente mediante la collaborazione con i privati animati da intenti solidaristici.

In difetto, la concorrenza deve essere piena. Cosi non e qualora alcuni interlocutori abbiano verificabili caratteristiche che li rendano migliori. Peraltro, anche in tali ipotesi, non si assiste alla scomparsa della differenza strutturale fra l'interesse pubblico indicato per legge e quello privato scelto nell'esercizio dell'autonomia negoziale. Infatti, la possibile coincidenza di obbiettivi specifici e la connessa collaborazione non determinano una confusione fra le rispettive finalita. Se all'amministrazione compete l'imparziale realizzazione delle funzioni stabilite per legge, a tutti i cittadini spetta l'esercizio delle loro liberta, compresa quella di agire per motivi ideali.

Pertanto, le organizzazioni senza fine di lucro non sono mai strumenti di politiche pubbliche, ne sarebbe accettabile una concezione organicistica dei rapporti; per converso, l'amministrazione non puo essere scambiata per un mecenate, ma deve sempre mirare al suo scopo pubblico. Definito questo ultimo, vi e da verificare se vi siano reali ragioni per impostare relazioni preferenziali con organismi non votati al guadagno. In difetto, all'ente non si chiede di rinunciare alle intese, ma solo di salvaguardare la parita di trattamento fra tutti gli interlocutori potenziali, a prescindere dalla loro motivazione.

Questa impostazione puo apparire severa per associazioni ed imprese cooperative; all'opposto, ne vuole salvaguardare l'effettiva liberta, avversata da una sorta di automatica dipendenza dal sostegno pubblico. L'obbiettivo di socialita deve essere distinto dalla ricerca di forme di finanziamento preferenziale, poiche tale sudditanza nei confronti delle amministrazioni nasconde una consistente limitazione della spontaneita dei gruppi, della reale opzione per convinzioni etiche, della scelta a favore della solidarieta. La rinuncia alle regole della concorrenza deve avere una forte giustificazione.

4. Nel mercato del lavoro ha ragionevoli motivazioni facilitare l'intervento di organizzazioni senza scopo di lucro, di fronte alle difficolta degli apparati amministrativi ed alla necessita di coordinare piu iniziative per razionalizzare i meccanismi di incontro fra domanda ed offerta. La tendenza del legislatore ad accogliere con favore l'azione di strutture che non mirino al guadagno non si basa su un generico favore per motivazioni ideali, ma trae spunto dalla tradizionale avversione (tipica del nostro ordinamento) per attivita di intermediazione votate al profitto. Se "il lavoro non e una merce", ormai si e accettato che possa essere oggetto di una attivita di impresa il servizio riguardante il mercato del lavoro; al tempo stesso, resta una coerente preferenza per azioni che coniughino la flessibilita propria del privato con l'assenza di finalita lucrative. In questa scelta non si deve vedere un pregiudizio per le imprese votate al guadagno. Altro e ammettere che anche queste debbano avere un loro spazio nella regolazione del mercato, altro e considerare superato ogni diversita rispetto ad iniziative solo ideali.

La contrapposizione fra lo spazio dell'impresa tradizionale e quello dell'organizzazione con scopi solidaristici ripropone nel nuovo orizzonte della privatizzazione del collocamento l'avversione per il commercio sui destini della persona; se l'art. 4 cost. sottolinea come sia compito della Repubblica creare condizioni che facilitino il reperimento di una soddisfacente sistemazione professionale, il sistema pubblico seleziona i suoi interlocutori con un criterio consueto, dimostrando maggiore favore per coloro che non mirino a trarre guadagno dalle difficolta altrui. In generale, il nostro ordinamento tollera l'ambito aperto alle aziende lucrative, mentre minori preoccupazioni circondano le iniziative di chi nutra motivazioni di socialita.

Si potrebbe discutere sulla perspicuita di tale approccio sul versante etico; in fondo, si potrebbe ribattere, al diritto poco dovrebbero importare gli scopi dei protagonisti e, se mai, si dovrebbe guardare ai soli risultati, alla dimostrata capacita di razionalizzare le prassi di incontro fra domanda ed offerta. Eppure, nel nostro sistema e nel suo retroterra di considerazioni morali e politiche, resta una diffidenza non superata per chi agisca per guadagno. Quindi, il ricorrente invito all'intervento del "privato sociale" vuole offrire consistenti opportunita di limitare lo spazio crescente delle imprese lucrative.

In realta, questo dualismo fra forze economiche protese al profitto ed organismi attenti ad interessi di socialita e piu nell'impianto normativo che nei comportamenti; se mai, si assiste ad una distinzione di compiti, poiche ciascun soggetto cerca ambiti propizi, di volta in volta, per guadagnare o per realizzare le aspettative di solidarieta. Quindi, l'azione dei privati si specializza nei contesti piu coerenti con le differenti motivazioni e, al limite, dallo scontro fra distinte concezioni dell'azione privata si passa alla collaborazione od alla spontanea delimitazione dei compiti rispettivi. L'accettazione (tardiva di decenni) del fallimento del collocamento pubblico ha posto le premesse per tollerare l'azione di imprese protese al guadagno e per cercare di conservare occasioni per interventi di solidarieta. Tali ultimi non sono solo affidati agli apparati amministrativi, sempre piu in difficolta a giustificare le ragioni del loro persistere, ma a chi, da privato e con la connessa, auspicabile efficienza, voglia dare un contributo a facilitare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro.

La crisi del sistema pubblico ha imposto uno sbocco verso forme di solidarieta privata; per converso, la stessa crisi ha suggerito al nostro legislatore di lenirne gli effetti conferendo agli esponenti del "privato sociale" un ruolo significativo, con vari supporti. Resta articolato il giudizio sulle singole soluzioni normative, ma, in generale, almeno in questa materia, non e irragionevole privilegiare chi non veda nel lavoro una "merce", ma il fine di una azione basata su convinzioni non egoistiche. Non e detto che a questi meritori obbiettivi si accompagnino risultati convincenti; peraltro, a chi, in oggettive difficolta personali e, talvolta, economiche, si affacci sul mercato, l'ordinamento deve presentare piu opportunita. Se quelle offerte dal sistema pubblico appaiono poco allettanti, all'efficienza delle imprese lucrative si deve accompagnare la proposta di altri soggetti.

Di fronte alla mancanza di una collocazione professionale e agevole immaginare risposte che traggano motivo da convinzioni ideali. Del pari, il necessario carattere personalizzato di qualsiasi servizio all'impiego impedisce di equiparare alle azioni solidaristiche quelle votate al guadagno; proprio perche l'intervento a favore del lavoratore deve essere personalizzato e, quindi, attento alla sua condizione ed ai suoi bisogni, il fine perseguito incide sul metodo, sull'approccio, sulla soluzione proposta. Lo scopo solidaristico (quando sia autentico) si ripercuote sull'iniziativa e sulla relativa organizzazione.

Peraltro, gli attori del "privato sociale" non sono una sorta di collaboratori stabili degli apparati pubblici e non rimediano alla loro cronica incapacita di assumere un ruolo di governo del mercato, poiche l'iniziativa privata non puo mai essere ricompresa nell'azione istituzionale. Una simile "funzionalizzazione" contrasterebbe con il riconoscimento della liberta che, invece, e il presupposto ed il motore dell'attivita delle organizzazioni non lucrative. Con tale liberta non sarebbe coerente una concezione dell'attivita del "privato sociale" che lo riducesse a strumento di un disegno delle pubbliche amministrazioni. Oltre tutto, vista la loro tradizionale difficolta ad assumere un effettivo ruolo di governo, tale "funzionalizzazione" ridurrebbe l'originalita dell'azione di chi, accostandosi alle questioni dell'occupazione per suoi fini etici, deve pretendere di realizzare le sue idee e non di essere asservito ai disegni degli organismi pubblici.

5. Il nostro diritto identifica come preferenziale area di intervento per le organizzazioni senza scopo di lucro i segmenti dell'offerta con maggiori problemi a reperire una soddisfacente collocazione professionale, quindi le cosiddette fasce deboli. In larga parte, tali prestatori di opere presentano situazioni di difficolta fisica, sociale, psicologica, definite in vario modo da piu interventi normativi, non sempre coordinati. Sono chiare le ragioni che hanno indotto a pensare ad iniziative del "privato sociale" in simili contesti; queste persone necessitano spesso di articolati supporti, che tocchino differenti profili della loro vita. A fianco di misure di recupero, di aiuto al reinserimento, di sostegno per loro e le famiglie, strutture con finalita solidaristiche possono aggiungere azioni mirate agli aspetti professionali. Non a caso, molte cooperative sociali nascono a fianco di organismi dediti all'assistenza a soggetti tossicodipendenti o ai margini di centri rivolti ai disabili.

L'idea stessa delle imprese cooperative sociali (di tipo "b", per usare il lessico consueto) sottintende l'accettazione di una presenza capillare del "privato sociale" nel mercato del lavoro, per agevolare la collocazione di chi abbia specifiche debolezze. La legge n. 381 del 1991 testimonia della fiducia per le risorse di organizzazioni non lucrative e per il loro contributo flessibile al collocamento. Come e stato segnalato, non era opportuno accomunare tali strutture (di tipo "b") con quelle indicate alla lettera "a" dell'art. 1 della legge n. 381 del 1991, perche queste ultime non si propongono compiti riguardanti il mercato del lavoro.

Per la categoria definita alla lettera "b", il legislatore ha avuto una intuizione felice, comprendendo che, meglio di altri, i privati con apposite competenze e motivazioni culturali avrebbero potuto agevolare il transito di persone con elementi di disagio verso una vita attiva, a vari livelli ed in differenti contesti. Del resto, non era in discussione la tradizionale incapacita delle strutture pubbliche di dare effettivi contributi in simili settori. Il punto nevralgico del disegno normativo non e tanto l'indicazione di chi si possa occupare dell'inserimento professionale delle fasce deboli, quanto l'individuazione a tale fine di una impresa, seppure senza scopi di profitto. Quindi, la legge n. 381 del 1991 non ricorre a soluzioni assistenziali, ma vuole garantire che anche i soggetti con difficolta si possano immettere in una azienda, con i collegati problemi di efficienza. Alle cooperative sociali non si chiede di offrire una retribuzione a chi abbia poche opportunita, ma di immettere tali persone in una reale posizione di lavoro, seppure in un contesto piu accogliente e consapevole dello stato di difficolta.

Se l'esperienza di questo decennio ha dimostrato il deprecabile transito da questa felice intuizione a logiche assistenzialistiche, non in sintonia con l'impianto originario della legge n. 381 del 1991, tale testo normativo aveva compreso come non si possa dare una effettiva attivita solidaristica se non creando condizioni per una progressiva e spesso parziale riacquisizione di ragionevoli capacita da parte degli svantaggiati. In fondo, alle cooperative sociali si chiede di ridurre, se non di annullare (laddove possibile) tale deficit di competenze e, in generale, di idoneita professionale, per aumentare le possibilita di occupazione. Se la matrice originaria della legge n,. 3481 del 1991 non fosse stata spesso rinnegata nei fatti, la politica attiva del lavoro avrebbe dovuto tenere in forte considerazione le cooperative sociali, attribuendo vantaggi rilevanti in cambio di un simile supporto a persone in stato di bisogno.

Invece, nella disciplina degli anni '90, si e talora confusa l'assistenza con il sostegno professionale e si e perso il punto qualificante dell'art. 1 della legge n. 381 del 1991. Ad esempio, non era opportuno attribuire funzioni alle cooperative sociali con riguardo al gia discutibile istituto dei lavori di pubblica utilita, poiche, per un verso, tale strategia ha determinato un consistente vantaggio competitivo per queste imprese e, per altro verso, le ha indotte a cimentarsi con una misura che, lungi dal rientrare in una razionale politica attiva, ha connotati di assistenzialismo non eliminati da illusorie dichiarazioni di principio. In generale, lo strumento dei lavori di utilita sociale non e difendibile; infatti, comporta l'accesso ad attivita lavorative con retribuzioni inferiori al minimo desumibile dall'art. 36 cost., in assenza di procedimenti selettivi oggettivi, in regime precario. Quindi, tali strumenti hanno fatto cadere anche le cooperative sociali di tipo "b" in logiche assistenzialistiche. Invece, perche il reinserimento sia reale, anche alle persone con svantaggi si deve offrire una collocazione in un contesto produttivo (seppure piu tutelato).

Maggiori prospettive puo avere la legge n. 68 del 1999, la quale fa riferimento sia all'art. 12, sia gia all'art. 11 a meccanismi convenzionali (di difficile qualificazione), per creare forme di collaborazione fra qualunque datore e le cooperative sociali (o, con riferimento all'art. 11, anche con altri soggetti specializzati), per facilitare l'inserimento dei disabili. Tali indicazioni non vogliono trasformare le cooperative sociali in una sorta di consulenti per la migliore accoglienza dei disabili, ne l'intero problema del collocamento obbligatorio puo essere cosi risolto. Ma, nell'opinabile impianto della legge n. 68 del 1999, di conservazione di strumenti di collocamento, gli artt. 11 e 12 aprono logiche piu promozionali, basate sull'intesa e, quindi, su una dimensione paritaria. Meglio avrebbe fatto il legislatore a rinunciare al potere di imperio ed a passare sempre a meccanismi di incentivazione. Quanto meno, in un testo legato ancora a concezioni tradizionali (e per questo poco persuasive), il coinvolgimento delle cooperative e di altre organizzazioni non lucrative puo dare maggiore respiro a settori della politica attiva da sempre avari di successi.

Del resto, proprio l'area del collocamento obbligatorio mostra come in relazione alle cosiddette fasce deboli non vi possa essere fungibilita fra l'attivita di soggetti con o senza fine di lucro; si discute della sorte di persone e qualsiasi intervento mirato alle situazioni di disagio evoca azioni di tipo altruistico e non funzionali al profitto. Sarebbe singolare se, a fianco del collocamento obbligatorio, dovessero essere incentivate iniziative di inserimento professionale a matrice speculativa. Le strutture di collocamento privato, fra cui si iscrivono imprese votate al guadagno, si possono occupare dei disabili, ma, qualora la disciplina specifica inviti ad accordi per una piu lineare immissione in azienda, si identifica una area riservata a chi sia mosso da motivazioni ideali.

La forte presenza delle cooperative sociali seleziona segmenti del mercato presidiati solo da tali attori, con una sorta di canale non gia preferenziale, ma quasi esclusivo per l'inserimento lavorativo. A fronte della penuria di strumenti delle amministrazione pubbliche e delle loro tradizionali incapacita di affrontare in modo personalizzato simili casi, a proposito dei quali si accrescono i motivi di complessita, sia sul versante umano, sia su quello professionale, il dinamismo delle cooperative accresce in modo progressivo il loro spazio. Cio sarebbe apprezzabile se questa tendenza non si accompagnasse a troppi tratti di assistenzialismo, in specie con riguardo a persone con disabilita fisiche.

Sarebbe singolare se il mercato creasse al suo interno una nicchia, nella quale all'attribuzione costante di compiti a soggetti specializzati si unisse il prevalere dell'assistenza. Si potrebbe giungere ad espungere dal disegno della politica attiva le misure rivolte a chi ha maggiori debolezze, con la riserva a suo favore di opportunita di mera "occupazione" e non di "lavoro". In modo opposto, le cooperative sociali devono consentire a tutti, anche alle persone con piu gravi disagi, di partecipare in pieno al mercato, con pari dignita e con la prospettiva di trovare sistemazioni stabili e di piena soddisfazione morale e patrimoniale, laddove possibile.

Nasconde pericoli lo sforzo del diritto degli anni '90 di incoraggiare le cooperative sociali, come dimostrato anche da alcune leggi regionali. Non si puo escludere da una articolata politica attiva l'azione a favore delle cosiddette fasce deboli, ne la risposta a tali necessita puo provenire sempre dal "privato sociale". Il suo ruolo si deve immettere in un panorama equilibrato di attivita, anche pubbliche. Il meccanismo convenzionale degli artt. 11 e 12 della legge n. 68 del 1999 merita apprezzamento qualora sia una delle possibili risorse, non quella necessaria, per l'assenza di credibili alternative.

6. Fra le disposizioni meno incisive volte a valorizzare il ruolo delle organizzazioni senza scopo di lucro si iscrivono quelle che le stesse strutture pongono in potenziale contrapposizione con le imprese votate al profitto, sia nell'esecuzione di servizi di collocamento privato (a proposito dei quali si contempla l'autorizzazione ad organismi non commerciali), sia nell'offerta di prestazioni di lavoro interinale, per cui si fa piuttosto riferimento alle societa cooperative. Per ora, tali indicazioni non hanno avuto troppo successo; in particolare, ne in un caso, ne nell'altro le previsioni sono state molto sfruttate e, anzi, soggetti che per tradizione e sensibilita sarebbero potuti rientrare nell'ambito di tali prescrizioni hanno preferito utilizzare forme giuridiche tipiche delle aziende proiettate al profitto, ad esempio associazioni sindacali e datoriali hanno fatto il ricorso a societa di capitali.

Del resto, sarebbe stato un po' singolare svolgere l'intermediazione prevista dal decreto n. 496 del 1997 con una associazione, per ovvi problemi sulla responsabilita patrimoniale illimitata di chi agisca in suo nome e per suo conto; non a caso, in una nota situazione e stato preferito l'istituto della fondazione. Si puo discutere, in tale fattispecie, sulla piena coerenza fra funzione e struttura e, cioe, sull'idoneita della fondazione ad essere strumento di offerta di servizi di collocamento privato. Peraltro, la societa di capitali presenta comunque maggiori garanzie di duttilita gestionale, a tacere dell'autonomia patrimoniale perfetta. Quindi, si presentano sul mercato del collocamento privato societa costituite da associazioni. Dal punto di vista economico, tali enti possono essere iscritti in un concetto allargato di "privato sociale", ma cio non e possibile sul piano giuridico, poiche lo strumento prescelto e per sua natura coerente con lo svolgimento di attivita economiche, proiettate al profitto.

Per lo scarso successo riscosso nell'esperienza di questi anni, non sono state fruttuose le disposizioni che hanno inteso allargare ad organismi non lucrativi la possibilita di offerta in ordine sia al collocamento privato, sia al lavoro interinale. Le ragioni possono diverse; in primo luogo, l'entita degli investimenti puo avere scoraggiato i soggetti animati da intenti solidaristici. Per la necessita di operare su larga scala, occorrono ingenti capitali, con l'ovvia aspirazione ad una proporzionata redditivita. Sarebbe forse stato negli auspici del legislatore contenere una sorta di "mercificazione" del lavoro, allargando l'intervento di organizzazioni solidaristiche, ma e rimasto un preciso ostacolo, determinato dalla necessaria disponibilita di risorse e dalla preparazione tecnica. In fondo, risultati economici positivi sono arrisi solo a chi abbia applicato in pieno schemi aziendalistici e tendenti alla massima efficienza, quindi a coloro che abbiano trattato il lavoro come una "merce", per lo meno se cosi si intende il ricorso alle tecniche di vendita e di organizzazione tipiche delle piu moderne aziende.

Questo processo puo condurre ad una sorta di divaricazione fra un mercato del lavoro delle fasce deboli (dominato da organizzazioni senza fine di lucro) ed uno dei segmenti medio - alti, all'insegna del prorompere di logiche di azienda, utilizzate anche da organizzazioni non lucrative, le quali, nel presentarsi su questi orizzonti, adottano le tecniche delle imprese votate al profitto. In fondo, l'offerta di servizi di lavoro interinale e di collocamento privato comporta investimenti, strumenti e metodi di matrice capitalistica. Organizzazioni che si affidino a percorsi spontaneistici non possono soddisfare le rigorose condizioni poste dalla legge quale condizione per l'accesso a tali mercati e resistere ad una concorrenza gia strutturata e capillare.

Pochi organismi senza fini lucrativi sembrano in possesso della maturita e delle risorse per cimentarsi in simili contesti; oltre tutto, quando cio e accaduto, si sono adottati gli schemi giuridici delle attivita lucrative, a conferma del fatto che una sostanziale natura capitalistica del servizio attrae anche le scelte sull'impostazione della struttura preordinata ad eseguire le prestazioni. Se il legislatore voleva competizione fra attori votati o meno al guadagno, l'obbiettivo non e stato raggiunto e non vi sono segnali per una inversione di questa tendenza. La partecipazione del "privato sociale" al governo potrebbe riguardare i soli ambiti caratterizzati dalla marginalita sociale, professionale, economica. L'attrazione fra situazioni di svantaggio ed attivita di solidarieta appare piu marcata e sembrano velleitarie le aperture della disciplina ad un impegno delle organizzazioni senza fini lucrativi in contesti di maggiore concorrenza.

7. Nel nuovo sistema di offerta di servizi inaugurato dal decreto n. 469 del 1997, la devoluzione delle competenze ai Centri per l'impiego ed alle Province e l'avvio di una imponente regolazione da parte delle leggi regionali hanno coinciso con la frequente stipulazione di accordi con organizzazioni senza scopo di lucro, per l'affidamento a queste dell'esecuzione di parte delle complessive prestazioni. La difficolta degli apparati amministrativi di curare per intero con le loro risorse il complesso di compiti trasferiti dallo Stato ha indotto a cercare forme di cooperazione, per alleviare gli oneri operativi ed ampliare la gamma di iniziative. In tale logica, non desta meraviglia la preferenza assegnata a strutture del "privato sociale", che, forse, danno garanzia di maggiore attenzione per i problemi personali e morali dei prestatori di opere.

In generale, non e censurabile questa costante utilizzazione di percorsi contrattuali per l'organizzazione degli apparati amministrativi; anzi, sarebbe singolare se, di fronte alle attuali, oggettive e gravi difficolta, le amministrazioni pretendessero di rinunciare agli apporti di possibili interlocutori, i cui contributi possono dare impulso all'istituzione di efficienti servizi. Non puo neppure essere criticata l'idea di identificare nelle organizzazioni senza fine di lucro i migliori candidati per cooperare con gli apparati pubblici, sia per l'attenzione specifica alle fasce deboli, sia perche chi non agisce per profitto puo dare maggiori garanzie di imparzialita.

Peraltro, mentre possono essere accettate soluzioni di favore del legislatore per sostenere la presenza del "privato sociale", l'assenza di un obbiettivo lucrativo non e motivo di preferenza per la conclusione di accordi di collaborazione; in tale limitato, ma cruciale aspetto, deve prevalere la libera concorrenza, a prescindere dalle loro motivazioni e dagli scopi. Infatti, in un rapporto negoziale, spetta all'ente pubblico assicurare che i comportamenti dei suoi collaboratori siano coerenti ai principi costituzionali ed ai criteri di imparzialita, di buon andamento e di economicita i quali devono caratterizzare qualunque attivita istituzionale, comprese quelle di politica attiva.

Sebbene sia comprensibile per una amministrazione preferire i rapporti con le organizzazioni senza fini di lucro, una simile propensione non trova avallo nel diritto positivo. Anzi, all'opposto, si discerne un principio generale di matrice costituzionale sulla necessaria, piena competizione ed a tale gara (che si traduce in conformi procedure selettive) devono essere ammessi tutti i privati, a prescindere dalle loro finalita. La ricerca del profitto non e motivo di inidoneita per eseguire servizi la cui impostazione deve essere conformata dall'istituzione ed i quali devono essere pensati e strutturati prima dell'inizio del rapporto convenzionale, che si deve adattare alle autonome determinazioni dell'ente committente. Nel rapporto negoziale fra il soggetto privato e quello pubblico, questo ultimo deve rendere l'attivita coerente con gli scopi legali. Pertanto, poco importa la natura della struttura privata con la quale si stipuli l'accordo; questa deve realizzare funzioni prestabilite ed inserite in un disegno del quale l'amministrazione deve preservare coerenza ed utilita.

Del resto, il principio della concorrenza fra organismi con e senza fine di lucro trova conferma nelle risolute indicazioni della legge n. 388 del 2000, la quale ha introdotto un concetto estensivo, quasi onnicomprensivo, dell'intermediazione fra domanda ed offerta, con l'allargamento del novero di funzioni assegnate ai titolari di autorizzazioni ai sensi dell'art. 10 della legge n. 469 del 1997. In tale nuovo orizzonte, la netta maggioranza delle attivita devolute per convenzione a soggetti privati dovrebbe cadere nell'area di competenza di chi sia autorizzato al collocamento privato. Quindi, lungi dal potere dare una preferenza alle organizzazioni con meri obbiettivi solidaristici, l'apparato pubblico dovrebbe selezionare i suoi interlocutori fra i titolari dell'autorizzazione.

Si puo obbiettare che simili indicazioni restringono lo spazio di azione delle organizzazioni non lucrative, ponendo a repentaglio le opportunita di collaborare con le istituzioni. Peraltro, non deve essere questa la strategia per una incisiva presenza del "privato sociale" nel mercato del lavoro. E' da avversare la tendenza a farne una sorta di appendice delle amministrazioni; all'opposto, ciascuna struttura deve trovare una collocazione che valorizzi l'originale ricerca di un suo spazio, in rispondenza con gli specifici obbiettivi solidaristici. Solo cosi tale contributo si potra accreditare, per la sua capacita di trovare risposte convincenti alle necessita occupazionali, con il ricorso all'inventiva ed alla disponibilita di ciascun gruppo piu che con una preferenziale cooperazione con gli enti pubblici.

Autore: Dott. Enrico Gragnoli - tratto dal sito http://www.unicz.it