LE NOVITA'  NEL CONTRASTO AL LAVORO "NERO" E L'ATTIVITA' DELLE
DIREZIONI PROVINCIALI DEL LAVORO

 

 

 

E' stata definitivamente approvata in data 3 agosto 2006 -ed è stata pubblicata sul supplemento ordinario n. 183/L alla Gazzetta Ufficiale n. 186 dell'11 agosto 2006- la legge n. 248/2006 che ha convertito, con profonde modificazioni, il D.L. n. 223/2006.

Nel provvedimento che è stato oggetto di forti contrasti e discussioni per la parte relativa alle c.d. "liberalizzazioni" (si pensi, ad esempio, alla vicenda dei servizi privati di trasporto, alle farmacie ed ai liberi professionisti) sono state inserite alcune norme che riguardano direttamente l'attività delle Direzioni provinciali del Lavoro e che toccano, da vicino, la lotta al lavoro irregolare il quale, soprattutto in determinati settori, ha raggiunto livelli difficilmente sopportabili in un paese civile. Oggetto di questa breve riflessione, quindi, sarà l'esame delle nuove disposizioni con un primo accenno a quelle che, ad avviso di chi scrive, sono le novità operative.

L'analisi partirà, tuttavia, da un' altra questione, quella della tassazione sugli incentivi all'esodo che, per certi versi, sia pure riflessi, può avere effetti indiretti su una parte dell'attività svolta dagli organi periferici del Ministero del Lavoro.

 

Tassazione degli incentivi all'esodo

La disposizione di riferimento è contenuta nell'art. 35, comma 23, del provvedimento. Essa, come si accennava pocanzi, può riverberare i propri effetti sull'attività svolta presso la commissione provinciale di conciliazione, ove, in parecchi verbali di accordo (si pensi, ad esempio, alle risoluzioni nel settore del credito per effetto delle concentrazioni bancarie), la voce "incentivi all'esodo" è ricorrente ed ha facilitato il raggiungimento di soluzioni transattive. Come è noto, per effetto di una disposizione precedente le somme erogate quali incentivi all'esodo per i lavoratori di età superiore ai 55 anni se uomini o ai 50 anni, se donne, erano soggette ad una tassazione ridotta alla metà, rispetto a quella riferita al trattamento di fine rapporto. La norma, di favore, ora è cambiata in quanto l'art. 19, comma 4 -bis del DPR n. 917/1986, è stato abrogato, pur se alcuni effetti possono protrarsi nel tempo. Infatti, la disciplina di favore continua ad applicarsi con riferimento alle somme corrisposte per rapporti cessati prima del 4 luglio 2006, data di entrata in vigore del D.L. n. 223/2006 o alle somme corrisposte in relazione a rapporti di lavoro cessati in attuazione di atti od accordi, aventi data certa, anteriori al 4 luglio. Un esempio di ciò potrebbe essere rappresentato da un accordo siglato avanti alla commissione provinciale di conciliazione in data antecedente ma che ha esplicato i propri effetti successivamente. Su tutti questi aspetti, l'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 28/E del 4 agosto 2006 , ha fornito alcune delucidazioni operative al punto 34.

Qui, tuttavia, si pone un problema di carattere generale, in quanto a meno che l'impegno del datore di lavoro non risulti da un atto rituale (si pensi, oltre alla conciliazione intervenuta avanti alla Direzione provinciale del Lavoro, a quella giudiziale o a quella in sede sindacale), ci si trova di fronte ad una mera scrittura privata, non autenticata, per la quale non c'è alcuna data certa , a meno che l'eventuale decisione non possa essere ricondotta ad una data certa nella formazione della volontà (ed esempio, una delibera di un organo amministrativo riportata in un atto di cui è certa, per altri versi, la data).

La fine del beneficio fiscale risolve, peraltro, due problemi: il primo relativo alla incompatibilità tra l'art. 19, comma 4 - bis del DPR n. 917/1986 e la direttiva della Comunità Europea n. 76/207/CE riguardante la parità di condizioni di lavoro tra uomo e donna. Il beneficio scattava ad età diverse, a seconda del sesso (55 per gli uomini e 50 per le donne).

Il secondo problema risolto contrapponeva, invece, la Corte di Cassazione e l'Amministrazione finanziaria e riguardava il contenuto, sotto questo aspetto, della circolare n. 326/1997. In tale nota si affermava che la tassazione agevolata sulle somme corrisposte per incentivare l'esodo si applicava soltanto allorquando il datore di lavoro avesse fatto l'offerta nei confronti di una pluralità di dipendenti. Osservava la Suprema Corte, con la sentenza n. 9334 del 20 aprile 2006 che "con riguardo all'IRPEF dovuta sulle somme corrisposte, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, l'applicabilità del regime di favore non presuppone che ne siano oggetto, anche solo potenziale, una pluralità di addetti e neppure che il datore di lavoro abbia offerto ad una pluralità di dipendenti condizioni speciali in caso di uscita anticipata dall'azienda".

 

Solidarietà nei subappalti

La conversione nella legge 248/2006 del D.L. n. 233/2006 ha apportato, al testo originario, alcune modifiche, soprattutto relative all'entrata in vigore a pieno regime del nuovo istituto che risulta differita, in quanto il comma 34 dell'art. 35 rimanda l'applicazione di tutte le disposizioni a dopo l'emanazione di un decreto interministeriale (Economia e Finanze e Lavoro e Previdenza Sociale) che dovrà uscire nei 90 giorni successivi all' 11 agosto 2006, data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Con tale provvedimento dovrà essere individuata la documentazione attestante l'assolvimento degli adempimenti ex comma 28, in relazione ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell'ambito di attività rilevanti ai fini dell'IVA e in ogni caso dai soggetti individuati ex artt. 73 e 74 del DPR n. 917/1986. Questi ultimi sono individuati nelle società per azioni ed in accomandita per azioni, nelle società a responsabilità limitata, nelle società cooperative e di mutua assicurazione, negli Enti pubblici o privati con oggetto esclusivo o principale rappresentato da attività commerciali residenti, nelle società e negli Enti di ogni tipo con o senza personalità giuridica non residenti in Italia, negli organi e nelle Amministrazioni dello Stato, comprese quelle ad ordinamento autonomo, anche se dotate di personalità giuridica, nei comuni, nei consorzi tra gli Enti locali, nelle Associazioni e negli Enti gestori di demanio collettivo, nelle comunità montane, nelle Province  e nelle Regioni. Da tale elenco restano fuori soltanto i committenti non esercenti attività commerciali (ad esempio, il soggetto privato che commissiona lavori di ristrutturazione del proprio appartamento).

Per effetto dell'ultimo periodo del comma 34 è fatto salvo il disposto dell'art. 29, comma 2, del D. L.vo n. 276/2003 in tema di solidarietà, entro il limite di un anno dalla cessazione dell'appalto di opere o di servizi, relativamente alle retribuzioni ed alle contribuzioni obbligatorie in favore dei lavoratori: il precetto "deve intendersi esteso anche per la responsabilità solidale per l'effettuazione ed il versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente".

Anche in questo caso l'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 28/E (si veda il punto 20) ha fornito le prime indicazioni.

La disciplina riguarda tutti i contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusione anche prima del 4 luglio 2006 ed ancora in corso.

Il comma 28 dell'art. 35 stabilisce la solidarietà tra l'appaltatore ed il subappaltatore circa l'effettuazione ed il versamento sia delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro che del versamento dei contributi previdenziali e dei contributi assicurativi obbligatori per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei dipendenti cui è tenuto il subappaltatore. Tale responsabilità viene meno se, prima del pagamento del corrispettivo, l'appaltatore verifica la correttezza dell'operato del subappaltatore (comma 29). La responsabilità solidale fa sì che l'appaltatore possa sospendere il pagamento del corrispettivo dovuto fino a quando quest'ultimo non produca la documentazione richiesta: gli importi non possono eccedere l'ammontare complessivo del corrispettivo dovuto al subappaltatore. Si tratta, indubbiamente, di uno strumento coercitivo in mano all'appaltatore che s'inquadra in quel sistema di "controllo a catena", sostenuto, come si vedrà successivamente, da una onerosa sanzione amministrativa. Tutto questo, va inquadrato, nel sistema di lotta al sommerso, particolarmente diffuso in edilizia, e, ad avviso di chi scrive, non può essere interpretato come un appesantimento dell'attività del committente o dell'appaltatore o come un ulteriore orpello burocratico. Infatti, correttezza e responsabilità postulano negli appalti certezza e chiarezza (che significano rispetto delle leggi) verso quei datori cui si affidano "a valle" della filiera lavori in subappalto. Indubbiamente, una particolare importanza avrà il decreto interministeriale il quale dovrà elencare la documentazione necessaria, verificata la correttezza della quale, non scatta la responsabilità solidale.

Quest'ultima non è illimitata ma giunge fino ad "un tetto" (comma 30) che è rappresentato dall'ammontare del corrispettivo dovuto dall'appaltatore al subappaltatore.

Il comma 31 tratta della notifica degli atti e della competenza territoriale: i provvedimenti soggetti a termine di decadenza vanno notificati entro lo stesso termine sia all'obbligato principale (subappaltatore) che a quello solidale (appaltatore). La competenza degli Uffici impositori e previdenziali (Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, ecc.) è determinata in rapporto alla sede del subappaltatore.

Il comma 32 pone il committente "a capo" della catena di controllo. Esso  (ed il discorso non può che riguardare anche le Pubbliche Amministrazioni) paga quanto dovuto all'appaltatore soltanto se quest'ultimo esibisce la documentazione attestante gli adempimenti del subappaltatore sia in materia di versamenti obbligatori contributivi che fiscali.

Il comma 33 fissa, nell'ottica della responsabilizzazione del committente, gli importi da pagare nelle ipotesi in cui lo stesso abbia proceduto ai pagamenti senza acquisire la documentazione relativa alle violazioni "ex comma 28" (che, peraltro, come detto in precedenza, non è immediatamente operativo in quanto la documentazione deve essere individuata con decreto interministeriale). Essi sono compresi in una "forbice" abbastanza ampia (da 5.000 a 200.000 euro), in deroga a quanto previsto dall'art. 10, comma 2, della legge n. 689/1981, il quale stabilisce che "fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (ma qui c'è la previsione), il limite massimo della sanzione amministrativa pecuniaria non può, per ciascuna violazione, superare il decuplo del minimo". Da ciò discende una riflessione forse,al momento, prematura, mancando il decreto interministeriale: il notevole scarto tra sanzione minima e sanzione massima (si ripete, da 5.000 a 200.000 euro) potrebbe rendere oltremodo delicata l'azione del funzionario incaricato della irrogazione, in assenza di criteri, pesi e parametri certi di riferimento. 

La competenza dell'Ufficio che irroga la sanzione è determinata in rapporto alla sede dell'appaltatore. 

Il decreto interministeriale cui, più volte, si è fatto cenno, dovrà chiarire chi, tra i vari soggetti che possono accertare il mancato rispetto del "comma 28", deve irrogare la sanzione amministrativa. Come è noto, per la specifica attività svolta, essi possono essere sia gli Istituti previdenziali, che la Guardia di Finanza che, il personale ispettivo delle Direzioni del Lavoro.

Alcune riflessioni si rendono, ad avviso di chi scrive, necessarie: esse riguardano, innanzitutto, un coordinamento che, al momento, non pare esserci tra l'art. 29, comma 2, del D. L.vo n. 276/2003 e la nuova disciplina, sia per quanto riguarda l'ambito della responsabilità solidale (che non comprende esplicitamente, nella versione dell'art. 35 quella relativa alle retribuzioni). che per i limiti temporali della solidarietà (un anno dalla cessazione dell'appalto nell'art. 29 del D.L.vo n. 276/2003, nessun termine esplicito nell'altra ipotesi. Probabilmente, su questo e su altri punti, sembrano opportuni interventi legislativi correttivi.

Per completezza di informazione si ricorda che in materia di solidarietà tra il committente e l'appaltatore è in vigore il comma 2 dell'art. 29 del D. L.vo n. 276/2003, così come allargato dalla interpretazione fornita nel comma 34 dell'art. 35 della legge n. 248/2006 ai versamenti IRPEF sul lavoro dipendente. Tale disposizione parla di un limite temporale che scade dopo un anno dalla cessazione dell'appalto e che concretizza la solidarietà nei trattamenti retributivi ed in quelli previdenziali dovuti ai lavoratori e non corrisposti o versati. Tale vincolo solidaristico viene meno (art. 29, comma 3 - ter) qualora il committente sia una persona fisica che non esercita un'attività d'impresa  o professionale (si pensi alla ristrutturazione  del proprio appartamento).

Una ulteriore disposizione in materia si trova nell'art. 32, comma 2, del D. L.vo n. 276/2003 che è intervenuto sulla dizione contenuta nell'art. 2112 c.c. (cessione di ramo d'azienda): "nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante ed appaltatore opera un regime di solidarietà ex art. 29, comma 2". Tale ultima disposizione riguarda, ad avviso di chi scrive, il periodo successivo alla cessione, atteso che per i crediti maturati dai lavoratori dell'appaltante cessionario, prima della cessione, trova applicazione l'art. 2112 c.c. . Tale responsabilità solidale, successiva alla cessione del ramo d'azienda è quella che investe in primo luogo l'imprenditore cedente che è divenuto appaltante. Un'ultima considerazione va fatta relativamente a questo aspetto: la solidarietà riguarda tutti i dipendenti, sia quelli originariamente facenti parte del ramo ceduto che quelli, eventualmente, occupati successivamente.

 

Contrasto del lavoro nero

La lotta al lavoro irregolare rappresenta la priorità assoluta nella attività istituzionale svolta dagli organi periferici del Ministero del Lavoro. In tale ottica, il recente rafforzamento dei quadri ispettivi (circa 800 nuove unità hanno preso servizio negli ultimi mesi e, pur in attività formativa, stanno già cominciando ad operare) e l'affinamento delle tecniche operative (in un quadro normativo complesso di riferimento che non agevola, certo, l'azione del personale di vigilanza) dovrebbero, auspicabilmente, rappresentare una inversione di tendenza. 

Con le disposizioni contenute nell'art. 36 - bis  il Parlamento ha emanato alcune disposizioni finalizzate a  combattere il lavoro nero, soprattutto in edilizia e l'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 28/E del 4 agosto 2006 ha emanato le prime indicazioni operative ( si veda il punto 44), per la parte di propria competenza.

Il comma 1, dopo aver richiamato le garanzie di tutela e sicurezza sul lavoro, ed in attesa dell'adozione di un Testo Unico sulla materia e ferme restando le attribuzioni del coordinatore dei lavori ex art. 5, comma 1, lettera e) del D.L.vo n. 494/1996, attribuisce al personale ispettivo operante presso le Direzioni del Lavoro (ad avviso di chi scrive, tutto, ivi compresi gli appartenenti al nucleo dei Carabinieri) il potere discrezionale (possono, afferma la norma) di sospendere l'attività nei cantieri edili in presenza di determinate condizioni di violazioni di norme. Ciò può accadere sia in caso di accesso diretto, che a seguito di segnalazione dell'INPS e dell'INAIL, cosa, quest'ultima, che comporta  l'assegnazione immediata della visita da parte dell'Ufficio, con assoluta priorità.

La sospensione dell'attività può operare in due ipotesi: quando si riscontri l'impiego di personale "in nero" (non risultante da alcuna scrittura o documentazione obbligatoria) in misura pari o superiore al 20% della forza operante nel cantiere, o in caso di reiterate violazioni alla normativa sulla durata massima dell'orario di lavoro, sui riposi giornalieri e settimanali, disciplinati dagli articoli 4, 7 e 9 del D. L.vo n. 66/2003.

In caso di sospensione, le Direzioni del Lavoro sono tenute a comunicare tempestivamente al Ministero delle Infrastrutture la notizia alfine di facilitare quest'ultimo nella adozione di provvedimenti interdittivi nella contrattazione con la pubblica amministrazione e nella partecipazione a gare pubbliche. A tal proposito, la legge impone alle due Amministrazioni centrali (Lavoro ed Infrastrutture) di integrare i propri archivi informatici. Ovviamente, l'Amministrazione centrale del Lavoro dovrà indicare alle proprie articolazioni periferiche l'organo del Ministero delle Infrastrutture destinatario della comunicazione.

Il comma 2  stabilisce quando, ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative e penali,  si può procedere alla revoca del provvedimento di sospensione: ciò può avvenire a seguito di regolarizzazione dei lavoratori "in nero" e (seconda ipotesi) nel ripristino delle regolari condizioni di orario di lavoro.

In attesa delle delucidazioni ministeriali la normativa sopra ricordata necessita di alcuni chiarimenti che riguardano il provvedimento di "sospensione dei lavori nell'ambito dei cantieri edili".

Esso è senz'altro, un potere discrezionale a disposizione del personale ispettivo che, in ricorrendo le condizioni previste dalla legge, è tenuto ad esercitarlo, a meno che fatti riferibili a forza maggiore (es. si sta effettuando nel cantiere una colata di cemento che, come è noto, non può essere interrotta) non lo procrastinino. Il requisito del 20% rispetto al personale in forza nella singola impresa riguarda i lavoratori trovati "in nero" in quel cantiere, con esclusione di coloro che, pur essendo ritenuti "a prima vista" dall'ispettore come subordinati, risultino da scritture contabili od altra documentazione obbligatoria, lavoratori autonomi. L'interpretazione della norma, riferita alla sola impresa irregolare e non a tutte quelle operanti nel  cantiere, cosa che avverrebbe con il blocco di tutta l'attività, si evince (al di là del testo letterale che, peraltro, non è particolarmente felice) dalla bozza di modello di sospensione inviata dalla Direzione Generale dell'Attività Ispettiva agli Uffici periferici in data 24 agosto 2006 e da regole di buon senso che dovrebbero portare alla conclusione che non sono punibili altre imprese che sono in regola e che svolgono altre fasi lavorative all'interno del cantiere. Il blocco delle imprese regolarmente operanti potrebbe portare anche ad una richiesta di risarcimento danni da parte delle stesse.

La violazione reiterata della normativa sull'orario di lavoro può, ad avviso di chi scrive (e su questo appare indispensabile un chiarimento amministrativo), essere intesa in un duplice significato: nel senso indicato dall'art. 8 - bis della legge n. 689/1981 (violazione amministrativa della stessa indole, accertata con provvedimento esecutivo, nei cinque anni successivi alla commissione) o, in un significato più ampio, riferito alla violazione posta in essere, più volte, nei confronti dei  lavoratori (in tal senso, reiterata). Il provvedimento di sospensione emesso dall'ispettore, in assenza di una specifica disposizione normativa, è definitivo, ricorribile al Tribunale Amministrativo Regionale entro 60 giorni o al Capo dello Stato attraverso il ricorso straordinario nel termine di 120 giorni dalla notifica (in tal caso, secondo i principi generali, è alternativo al ricorso giurisdizionale). La sospensione disposta dall'ispettore presenta una valenza a tempo indeterminato, nel senso che è valida fino a quando non vengano rimosse le condizioni che l'hanno determinato.

La sospensione ipotizzata dal Legislatore, può definirsi come provvedimento amministrativo speciale previsto da una legge speciale la quale non ha individuato alcun organo amministrativo cui indirizzare l'eventuale ricorso gerarchico. La mancata individuazione dell'organo amministrativo cui far ricorso poteva far intendere il provvedimento quale definitivo ma, in  dottrina, si presume che ciò possa avvenire soltanto in presenza di una esplicita affermazione del Legislatore. Nel  modello di sospensione adottato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale con la nota del 24 agosto , è stato, invece, individuato nella Direzione Regionale del Lavoro l'organo cui proporre il ricorso gerarchico ex DPR n. 1199/1971. Non sono, di conseguenza, attivabili con gravame i soggetti (Direttore Regionale del Lavoro e Comitato Regionale per i rapporti di lavoro) individuati dagli articoli 16 e 17 del D. L.vo n. 124/2004 che sono destinatari di altri ricorsi (rispettivamente, avverso l'ordinanza - ingiunzione o la sussistenza e la qualificazione di rapporti di lavoro individuati in atti di accertamento, verbali od ordinanze - ingiunzioni). Ad avviso di chi scrive, resta fermo quanto previsto dall'art. 21 - nonies della legge n. 241/1990, così come integrata dalla legge n. 15/2005: è sempre possibile l'annullamento del provvedimento dell'ispettore da parte del Direttore provinciale del lavoro il quale può procedere autonomamente o anche su segnalazione di parte, avendo riscontrato vizi o carenze nello stesso.

La sospensione (che va, in ogni caso, ben motivata con gli elementi normativi che giustificano l'interruzione dell'attività) si inquadra, nell'ambito dei procedimenti ablatori, tra gli ordini repressivi, finalizzati ad eliminare una turbativa dell'interesse pubblico (nel caso di specie, i lavoratori "in nero" o la violazione reiterata in materia di orario di lavoro e di riposi giornalieri e settimanali). Si tratta di procedimento ablatorio personale, indirizzato nei confronti di un datore di lavoro, in quanto ci si trova di fronte ad atto oggettivamente lesivo di un pubblico interesse (gravi violazioni in materia di lavoro e di sicurezza sul lavoro) il cui scopo è quello di rimuovere le cause dirompenti attraverso l'immediata iscrizione dei lavoratori sui libri obbligatori e la loro regolarizzazione.

La regolarizzazione del personale dipendente (che non comporta, assolutamente, il venir meno delle sanzioni amministrative ed, eventualmente, penali connesse al "pregresso comportamento") va immediatamente notiziata all'ispettore che ha emesso il provvedimento di sospensione: quest'ultimo, valutata positivamente la nuova situazione, dovrà procedere con celerità alla revoca del precedente atto, motivandola con le cose nuove intervenute. 

La norma non ha affrontato il problema del pagamento delle retribuzioni dei dipendenti successivo alla sospensione: non trattandosi di causa salariale integrabile (la colpa è del datore di lavoro) si ritiene che le stesse siano, comunque, dovute agli interessati. Da ciò ne discende la conseguenza che, se ciò non avviene spontaneamente, i lavoratori possono chiedere quanto dovuto utilizzando le usuali procedure conciliative obbligatorie, propedeutiche all'eventuale ricorso giudiziale.

Per quel che concerne il ripristino delle "regolari condizioni di lavoro" susseguenti alla violazione reiterata delle disposizioni sui riposi e sulla durata massima dell'orario, essendosi verificata una sospensione dell'attività, si ritiene (fatti salvi i diversi chiarimenti ministeriali che dovessero pervenire) che lo stesso possa essere inteso come una "dichiarazione d'intenti", verificabile, concretamente, alla ripresa dell'attività.

Ma cosa potrebbe succedere se il datore di lavoro non ottemperasse all'ordine di sospensione? Ad avviso di chi scrive è, innanzitutto, attivabile la denuncia ex art. 650 c.p che punisce l'inosservanza dei provvedimenti legalmente emanati dall'Autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene (arresto fino ad un mese o ammenda fino a 206 euro). Alla obiezione che l'articolo trova applicazione soltanto nelle ipotesi sopra elencate, si può rispondere (non dimenticando la qualifica di "polizia giudiziaria" posseduta dal personale di vigilanza) che la violazione rilevante di norme in materia di sicurezza e di regolarità in materia di "lavoro nero" può ben rispondere a criteri di giustizia e di ordine pubblico (si pensi, ad esempio, a fatti ricorrenti come l'utilizzazione di lavoratori clandestini o minorenni senza alcuna autorizzazione o a fatti che integrano altri aspetti di natura penale, legati al reiterato mancato versamento dei contributi o delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente). Il successivo passo, persistendo l'inottemperanza e ricorrendone le condizioni, potrebbe essere rappresentato dal sequestro nelle forme e nei modi previsti dalla normativa vigente.

Ma se nel cantiere la sospensione si è verificata, per esempio, a causa di una percentuale di clandestini extracomunitari non regolarizzabili per legge? In questo caso, in attesa  di chiarimenti operativi, si ritiene che il provvedimento di sospensione, ferme restando le altre conseguenze di natura penale ed amministrativa, possa durare fino al momento in cui il trasgressore paghi la "maxi - sanzione".

Il comma 3 introduce una novità di particolare importanza nei cantieri edili: dal 1° ottobre 2006, tutto il personale che opera nei cantieri edili dovrà portare una tessera di riconoscimento (c.d. "badge") con fotografia, generalità e nome dell'impresa o del datore di lavoro da cui dipende (requisiti necessari) e, perché no, del legale responsabile dell'impresa e del numero di matricola (requisiti facoltativi ma che, se inseriti, faciliterebbero l'attività di controllo). La tessera, a differenza del registro di cantiere, non è soggetta ad alcuna vidimazione da parte della Direzione provinciale del Lavoro. L'obbligo grava anche sui lavoratori autonomi che operano nei cantieri: essi però debbono provvedervi autonomamente. La norma stabilisce anche un criterio di solidarietà nei confronti del committente (cosa estremamente importante anche per l'aspetto sanzionatorio) se nel cantiere sono presenti contemporaneamente più datori di lavoro o lavoratori autonomi.

L'obbligo appena descritto vale per tutti a prescindere dall'inquadramento previdenziale o contrattuale (quindi, anche per le imprese come, ad esempio, quelle di impiantistica non inquadrate come "edili"): tuttavia, i datori di lavoro che occupano nel cantiere meno di dieci dipendenti (nel computo sono compresi anche coloro che sono titolari di contratti con prestazioni autonome o con tipologie formative come l'inserimento o l'apprendistato) possono optare per un registro di cantiere,  vidimato dalla Direzione provinciale del Lavoro competente per territorio, da tenersi sul luogo di lavoro ove vanno riportati gli estremi del personale giornalmente impiegato nei lavori (dati anagrafici e luogo di nascita).  La dizione adoperata dal Legislatore fa sì, ad avviso di chi scrive, che i lavoratori a tempo parziale vengano computati quale unità intera, con una deroga al dettato dell'art. 6 del D. L.vo n. 61/2000.

Le disposizioni appena riportate impongono alcuni comportamenti operativi per le Direzioni provinciali del Lavoro relativi alla vidimazione dei registri di cantiere.  Il registro dovrà riportare espressamente il nome dell'azienda, il cantiere cui lo stesso si riferisce e gli estremi normativi (art. 36 -bis, comma 4, D.L. n. 223/2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 248/2006). Da un punto di vista strettamente organizzativo, pur essendo "percorribile" per le piccole imprese la strada del "registro vidimato", è auspicabile che le strutture periferiche del Ministero del Lavoro, coinvolgano le Associazioni Datoriali di categoria, soprattutto artigiane, per far sì che si faccia la scelta del "badge" (indubbiamente più funzionale). La funzionalità di tale scelta dipende anche da due elementi non secondari: il primo è rappresentato dalla necessità dell'aggiornamento continuo del registro (e, talora, per trascuratezza od altro, potrebbe verificarsi qualche "dimenticanza"), il secondo dalla constatazione che un'impresa ai "margini" del limite massimo, qualora superi, sia pure temporaneamente le 10 unità, sarebbe costretta, comunque, ad utilizzare il "badge".

Regole di buon comportamento aziendale dovrebbero suggerire alle imprese di chiedere, sempre, prima  dell'assunzione una foto tessera, di consegnare, con ricevuta la stessa ad ogni lavoratore, spiegando anche quali sono gli adempimenti ora richiesti dalla norma e le relative sanzioni, e di inserire nel contratto, in caso di subappalto, l'obbligo del "badge"per i dipendenti del subappaltatore.

Il comma 5 contiene le nuove sanzioni relative al mancato rispetto di quanto appena detto. Esse presentano due singolarità: non sono diffidabili ex art. 13 del D. L.vo n. 124/2004 e sono applicabili anche nei confronti del lavoratore che non esponga il cartellino consegnatogli dal datore di lavoro. Le sanzioni (va, conseguentemente, aggiornato, a partire dal 1° ottobre 2006, il prontuario delle stesse) vanno da 100 a 500 euro per ogni lavoratore (a carico del datore) e da 50 a 300 euro (a carico del lavoratore). La sanzione nei confronti del datore di lavoro riguarda anche l'imprenditore che utilizza un registro di cantiere non vidimato o sul quale non sono state riportate le annotazioni.

Va, peraltro, ricordato come per ognuna delle sanzioni amministrative di cui si è appena parlato, sia prevista una specifica responsabilità solidale del committente (comma 3) se nel cantiere "siano presenti contemporaneamente più datori di lavoro o lavoratori autonomi": ciò significa, che in caso di violazione, la contestazione va notificata anche a quest'ultimo.

Con il comma 6 viene riscritto il comma 10 -bis dell'art. 86 del D. L.vo n. 276/2003. Le assunzioni nel settore edile vanno comunicate al centro per l'impiego almeno  nel giorno antecedente l'instaurazione dei rapporti a prescindere dalla tipologia contrattuale. La comunicazione può avvenire a mezzo lettera raccomandata, fax, consegna a mano o e-mail.

La norma originaria, introdotta nel vecchio testo del D. L.vo n. 276/2003, dal D.L.vo n. 251/2004, già prevedeva questo onere, soltanto che lo correlava alla emanazione del modello unico, postulato dal D. L.vo n. 297/2002, che ancora non è uscito. Le sanzioni sono rimaste le stesse (da 100 a 500 euro), con l'applicazione dell'istituto della diffida obbligatoria in quanto si tratta di violazione amministrativa sanabile, così come previsto dalla circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 24/2004 e con il conseguente pagamento della sanzione nella misura minima (100 euro) per ogni lavoratore interessato. Non è possibile, invece, possibile l'applicazione del c.d. "ravvedimento operoso" (sanzione ridotta alla metà del minimo), previsto dall'art. 19, comma 5, del D. L.vo n. 276/2003, in quanto non c'è nella disposizione alcun richiamo esplicito.

La "ratio" della norma appare evidente: si cerca di combattere, anche con questo mezzo, il lavoro nero in edilizia ove, in virtù della precedente disposizione, molti "infortuni sul lavoro" avvenivano il giorno dell'assunzione (c'erano 5 giorni di tempo per comunicare l'assunzione). Ovviamente, tale disposizione è, ora, da mettere in stretta correlazione con quella prevista, in via generale, sul lavoro nero dal comma 7.

Ma, quali sono le imprese appartenenti al settore edile cui trova applicazione la norma? Ad avviso di chi scrive, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale dovrà fornire un'elencazione delle attività: comunque, provando a farne una, sia pure non esaustiva e prendendo quale riferimento logico l'inquadramento previdenziale, si può sostenere che essa è estremamente ampia. Vi sono comprese quelle addette alla costruzione, manutenzione, demolizione, scavi, armature di opere realizzate in cemento, muratura, legno o metalli, quelle che operano nelle costruzioni idrauliche e nelle opere marittime e portuali "intese in senso lato", nella movimentazione della terra, nelle cave, nella costruzione di strade, ferrovie, ponti ed impianti funicolari, gallerie, nella messa in opera di tralicci e tubazioni, nella produzione di prefabbricati, nelle attività complementari o sussidiarie all'edilizia, quando il personale, anche ausiliario (es. autisti, falegnami, fabbri, elettricisti, o personale addetto alla mensa aziendale) è alle dipendenze di un'impresa edile. Sembrano rientrare nel campo di applicazione anche le c.d. "attività complementari" come l'intonacatura, la tinteggiatura, la "posa degli infissi" ed il rivestimento delle pareti.

La novità introdotta per l'edilizia suggerisce una considerazione che si potrebbe far valere anche per gli altri settori, cosa possibile atteso che il decreto ministeriale che approva il modello unico valido per tutte le comunicazioni nei confronti di una serie di Uffici pubblici ed Istituti previdenziali non è stato emanato: perché non si passa (magari, modificando, sul punto, il D. L.vo n. 297/2002), in via generalizzata, alla comunicazione di assunzione diretta prima dell'inizio del rapporto, invece che "contestuale" (oggi, per la verità, in assenza del modello unico è ancora entro i cinque giorni successivi all'assunzione)? Non sarebbe  un ritorno al passato (a prima del giugno 1994) perché lì l'assunzione doveva essere preceduta dal nulla - osta del collocamento (e quindi, si dipendeva dall'emanazione di un atto da parte di un organo amministrativo), qui, sarebbe soltanto un atto di chiarezza datoriale, attivabile anche in via telematica. Per completezza di informazione è opportuno sottolineare come, qualora si intenda giungere, in ogni caso, al modello unico per tutte le comunicazioni indirizzate ai vari Enti interessati alle assunzioni ed alle cessazioni, sia, comunque, necessario rimettere mano alla norma, in quanto il centro per l'impiego, quale soggetto destinatario unico di qualunque comunicazione assuntiva non lo è più per l'agricoltura per effetto della legge n. 81/2006, la quale, a partire dal 12 marzo 2006, ha individuato l'INPS come unico destinatario delle stesse, da inviare, peraltro, in via telematica entro i cinque giorni successivi all'instaurazione del rapporto. Solo successivamente l'Istituto comunica per gli adempimenti conseguenti l'avvenuta assunzione al centro per l'impiego ed all'INAIL.

Il comma successivo interviene sulla c.d. "maxi - sanzione", portando la stessa nell'alveo delle sanzioni irrogabili dalla Direzione provinciale del Lavoro e non più dall'Agenzia delle Entrate (D.L. n. 12/2002 convertito, con modificazioni, nella legge n. 73/2002). La nuova norma appare coerente con l'interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 144/2005, con la quale fu dettata una lettura della disposizione impugnata correlata non all'anno di riferimento, ma all'effettivo inizio del rapporto di lavoro. Per completezza di informazione si ricorda che per ciascun lavoratore irregolare la sanzione prevista era compresa tra il 200% ed il 400% dell'importo del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro, per il periodo compreso tra l'inizio dell'anno e la data di contestazione della violazione. Le nuove sanzioni amministrative, applicabili dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (con aggiornamento del prontuario delle stesse) sono comprese tra 1.500 e 12.000 euro per ogni lavoratore, maggiorate di 150 euro per ogni giornata di prestazione effettiva. Questa ultima precisazione fa sì che nel computo delle giornate debbano essere escluse, ad avviso di chi scrive, quelle fruite durante il rapporto irregolare per ferie, festività o riposi.

La "maxi - sanzione" trova applicazione nei confronti di tutti i datori di lavoro i quali impieghino "lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria": ciò significa che questi ultimi devono essere completamente "in nero" (ad esempio, un contratto a progetto in corso per il quale sono state effettuate le prescritte comunicazioni e versamenti contributivi, seppur contestato, a ragione, dall'ispettore non è un lavoratore "in nero" e la visita ispettiva procede secondo le usuali contestazioni). La vasta gamma dei soggetti cui la "maxi-sanzione" può trovare applicazione riguarda anche i datori di lavoro domestici: è pur vero che gli stessi non debbono compilare i libri obbligatori, ma è pur vero che sono tenuti, obbligatoriamente, a comunicare l'avvenuta assunzione agli organi del collocamento (così come previsto dopo le modifiche introdotte con il D. L.vo n. 297/2002) ed a versare la relativa contribuzione all'INPS. Se questo non avviene il lavoratore domestico è, a tutti gli effetti, da considerare "in nero".

Tali sanzioni non possono essere soggette alla procedura della diffida ex art. 13 del D. L.vo n. 124/2004 che consentirebbe al datore di lavoro ottemperante di "pagare" la sanzione amministrativa nella misura minima prevista. Inoltre, l'importo delle sanzioni civili connesse al mancato versamento dei contributi e dei premi riferiti a ciascun lavoratore  emanate dagli Istituti previdenziali ex art. 116, comma 8, della legge n. 388/2000, non può essere inferiore a 3.000 euro. A parere di chi scrive, tale sanzione scatta allorquando sia scaduto il termine per il pagamento del periodo cui ci si riferisce, atteso che la norma parla di "omesso versamento dei contributi e premi riferiti a ciascun lavoratore". Come è noto, in caso di omissione o ritardo la sanzione è pari al tasso ufficiale di riferimento, maggiorato di 5,5 punti, con un limite massimo pari al 40% dei contributi, mentre in caso di evasione accertata la sanzione è pari al 30% annuo con il limite massimo del 60% dei contributi. Disposizioni amministrative dovranno, ad avviso di chi scrive, dettare linene di indirizzo per la ripartizione degli introiti delle sanzioni tra i due Istituti previdenziali.

Da un punto di vista operativo, l'Agenzia delle Entrate continua ad essere competente per le sanzioni sui lavoratori "in nero" scoperti fino all' 11 agosto 2006, con la conseguenza che andrà,  scemando la competenza in materia di contenzioso delle commissioni tributarie.

Ma cosa succede se il rapporto "in nero" è sorto prima del 12 agosto e si è protratto dopo tale data? Nel caso di specie ci si trova di fronte ad un illecito amministrativo di natura permanente diverso, ad esempio, da quello della mancata comunicazione agli organi del collocamento ove lo stesso è, per così dire, "istantaneo". Tale precisazione, consente, ad avviso di chi scrive, di trovare la soluzione operativa sulla base dei principi contenuti nella sentenza della Corte di Cassazione n. 5957 del 15 giugno 1998, laddove si afferma che negli illeciti amministrativi "permanenti" la violazione si consuma allorquando cessa la condotta sanzionabile. Ciò porta, di conseguenza, a ritenere attraibili nella nuova disciplina quei rapporti che, pur iniziati sotto la vecchia normativa sanzionatoria, sono continuati dopo l'11 agosto 2006. 

Con la nuova formulazione il ricorrente potrà, attivando la previsione dell'art. 16 del D.L.vo n. 124/2004, presentare un ricorso amministrativo avverso la sanzione comminata dalla Direzione provinciale del lavoro  mediante l'ordinanza - ingiunzione, entro 30 giorni alla Direzione Regionale del Lavoro. In via giudiziale può essere presentato (art. 22 della legge n. 689/1981) ricorso in opposizione dinanzi al Tribunale del luogo in cui è stata commessa la violazione nel termine perentorio di 30 giorni (che diventano 60 se il trasgressore risiede all'estero) dalla data di notifica del provvedimento.

Si ritiene opportuno sottolineare una formulazione diversa tra in nuovo comma 3 dell'art. 3 del D.L. n. 12/2002 (contenuto nel comma 7 dell'art. 36 - bis) ed il vecchio: prima si faceva riferimento all'impiego di lavoratori "dipendenti" (quindi, subordinati), ora si parla di impiego di lavoratori, facendo, quindi, intendere la possibilità di una applicazione anche per quei soggetti che, ritenuti "in nero" dall'ispettore, hanno in essere un rapporto di lavoro autonomo o para subordinato per il quale sussiste il versamento alla gestione separata dell'INPS (art. 3, comma 26, legge n. 335/1995).

La competenza relativa alla rilevazione della sanzione è di tutti quei soggetti già individuati dal comma 4 della legge n. 73/2002: essi sono gli organi preposti al controllo fiscale (Guardia di Finanza, funzionari accertatori dell'Agenzia delle Entrate), contributiva (INPS, INAIL, ecc.) e del lavoro (personale ispettivo delle Direzioni del Lavoro).

Su quanto detto, sommariamente, in ordine alla "maxi - sanzione" e con lo sguardo "focalizzato" sull'edilizia si può sottolineare come (ma il discorso, è per certi versi, analogo anche agli altri settori), quandanche un datore di lavoro affermi che il rapporto è "iniziato da poco" e l'ispettore, per qualsiasi ragione non riesca a trovare prove di un inizio ancora antecedente, la sanzione irrogabile comincia ad essere abbastanza pesante (cosa, ad avviso di chi scrive, oltremodo positiva nell'ottica della lotta al lavoro "nero"): sanzione amministrativa da 1.500 a 12.000 euro (notevole nell'importo anche in caso di riduzione ex art 16 della legge n. 689/1981 a 3.000 euro), cui devono aggiungersi le sanzioni di 150 euro per ogni giorno "irregolare" per ciascun dipendente interessato, quelle relative alla mancata comunicazione di assunzione al centro per l'impiego, alla mancata consegna della lettera di assunzione, alla mancata registrazione sui libri obbligatori, alla mancata consegna della busta paga, alla mancata comunicazione contestuale all'INAIL, oltre ad almeno 3.000 euro di sanzione (comminata dagli Istituti previdenziali qualora sia scaduto il termine per il versamento relativo al periodo cui ci si riferisce), a prescindere dalla durata della prestazione lavorativa, per il mancato versamento dei contributi e premi in favore del soggetto per il quale è stata accertata l'irregolare costituzione del rapporto di lavoro.

E' appena il caso di precisare come l'avvenuto accertamento di un rapporto di lavoro nero attraverso una visita ispettiva, preclude ogni possibile intervento "conciliativo monocratico, secondo la previsione del D.L.vo n. 124/2004. Infatti, il tentativo di conciliazione (non obbligatorio) ex art. 11, presuppone una richiesta di intervento avanzata da un lavoratore che, unitamente a rivendicazioni di natura contributiva afferenti il rapporto di lavoro ("in nero" o "in grigio"), vanti crediti retributivi nei confronti del proprio datore. Non essendoci stato l'intervento ispettivo finalizzato a verificare la veridicità di quanto richiesto, è possibile ipotizzare una soluzione della controversia nella quale le parti concordano sul periodo lavorativo trascorso, con la conseguenza che l'eventuale verbale di accordo acquisisce la inoppugnabilità con il pagamento delle spettanze ed il versamento della contribuzione dovuta per il periodo concordato.

Il comma 8 vincola al DURC  (Documento Unico di Regolarità Contributiva, rilasciato dall'INPS, dall'INAIL o dalle Casse Edili) l'applicazione per il settore edile della speciale riduzione contributiva prevista dalla legge n. 341/1995 (11,50%): la disposizione esclude, altresì, per 5 anni dal beneficio le imprese che abbiano riportato condanne passate in giudicato per violazioni in materia e sicurezza e salute nei luoghi del lavoro.        

Il comma 9, intervenendo sull'art. 1, comma 213 -bis, della legge n. 266/2005, reintroduce l'indennità di missione in favore del personale ispettivo e di quello dell'INPS e dell'INAIL adibito ad attività di vigilanza. Conseguentemente, a partire dal 12 agosto 2006, gli ispettori potranno richiedere nei prospetti di missione la relativa indennità. Si tratta, sotto l'aspetto puramente economico di ben poca cosa che, tuttavia, ha un profondo significato: la legge Finanziaria, nell'ottica dei tagli di bilancio, l'aveva tolta e ciò aveva causato profondo sconcerto tra gli operatori che, nella loro attività, sovente, sono costretti ad utilizzare il mezzo proprio per raggiungere località, cantieri, terreni, difficilmente raggiungibili con i mezzi pubblici. Da qui erano seguite manifestazioni che avevano portato il personale a rifiutare di mettere a disposizione la propria autovettura, cosa che aveva portato ad un notevole rallentamento nell'attività di vigilanza. Bene ha fatto il Parlamento a riparare l'errore commesso con la legge n. 266/2005.

Il comma 10 introduce un cambiamento nella dizione dell'art. 10, comma 1, del D. L.vo n. 124/2004 con il quale, nell'ottica della razionalizzazione e del coordinamento dell'attività ispettiva, dovrà essere creata una banca dati telematica finalizzata a raccogliere le informazioni sui datori di lavoro ispezionati, sulle dinamiche del mercato del lavoro e su tutte le materie oggetto di aggiornamento e formazione permanente del personale ispettivo. Essa, che costituirà una sezione riservata della borsa continua nazionale del lavoro (art. 15 del D. L.vo n. 276/2003), consentirà l'accesso alle sole Amministrazioni che effettuano attività di vigilanza. Ora, con la modifica introdotta, richiesta anche dalla Corte Costituzionale, la conferenza permanente Stato - Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sono coinvolte nel funzionamento della banca dati sul mercato del lavoro e nel monitoraggio previsto a livello centrale dall'art. 17 del D. L.vo n. 276/2003.

Con il comma 11, infine, si proroga al 31 dicembre 2007 il termine di prescrizione dei contributi pagati alla gestione separata dell'INPS per i lavoratori autonomi, relativi all'anno 1996.

 

Settembre 2006

 

Autore: Dott. Eufranio Massi - tratto dal sito: www.dplmodena.it