I PRESUPPOSTI PER L'ISCRIZIONE DEL TRAENTE NELLA C.A.I. IN CASO DI EMISSIONE DI ASSEGNO BANCARIO A VUOTO

 

Sommario:
1. Il nuovo panorama normativo conseguente al d.lg. n. 507 del 1999
2. La disciplina attuale della c.d. revoca di sistema
3. La condizione di procedibilità dell'azione sanzionatoria amministrativa nell'ipotesi dell'illecito riconducibile all'emissione di assegni a vuoto: le problematiche principali in tema di c.d. pagamento tardivo



1. IL NUOVO PANORAMA NORMATIVO CONSEGUENTE AL D.LG. N. 507 DEL 1999

I due provvedimenti del Tribunale di Nocera Inferiore (quello collegiale di conferma in sede di reclamo dell'ordinanza di diniego del ricorso ex art. 700 c.p.c. emessa dal giudice unico in prima istanza) offrono l'occasione per fare il punto - dopo i primi impatti giurisprudenziali - sulla complessiva disciplina concernente l'individuazione dei presupposti per far luogo alla legittima iscrizione nella Centrale di allarme interbancaria (in sintesi: CAI) nell'ipotesi di avvenuta emissione di assegno bancario senza idonea copertura.
Da un punto di vista introduttivo, occorre evidenziare che il d.lg. n. 507 del 30 dicembre 1999 (pubblicato nella G.U. del 31 dicembre 1999), con riferimento alla disciplina normativa in materia di assegni, ha prodotto, da un lato, l'effetto di depena lizzare le fattispecie precedentemente rilevanti sotto il profilo penale (così come previste negli artt. 1 e 2 l. n. 386 del 1990, relative rispettivamente all'emissione di assegno bancario senza autorizzazione e a quella dell'emissione dello stesso titolo in mancanza di provvista) e, dall'altro, ha inciso profondamente sulla disciplina in questione con la previsione di nuove figure e regole civilistiche che hanno determinato l'insorgenza di un nuovo panorama istituzionale in questo ambito.
Le sopravvenute innovazioni principali maggiormente rilevanti a quest'ultimo proposito sono state identificate:
- nell'introduzione della c.d. «revoca di sistema», che ha sostituito la precedente limitata «revoca aziendale» (riferentesi, peraltro, alla sola ipotesi di emissione di assegno senza provvista) che investe tutte le autorizzazioni ad emettere assegni ed il divieto di stipulare nuove convenzioni con qualsiasi banca od ufficio postale (e non più soltanto con l'istituto con il quale il traente aveva concluso la convenzione) (art. 34 d.lg. n. 507 del 1999);
- nell'istituzione di un archivio informatico centralizzato che costituisce l'impianto informatico dell'intera organizzazione bancaria e si pone in rapporto strumentale rispetto al funzionamento e alla concreta applicazione della riferita «revoca di sistema» (art. 36 d.lg. n. 507/99) (1);
- nella previsione della responsabilità solidale dell'istituto trattario con il traente nell'ipotesi di omissione o ritardo nell'iscrizione del soggetto insolvente nel predetto archivio in presenza dei relativi presupposti ovvero di autorizzazione al rilascio di moduli di assegni in favore di «soggetto segnalato» (art. 35 d.lg. n. 507 del 1999).
Pertanto, sulla scorta della nuova impostazione normativa, risulta essere stato approntato un duplice livello di intervento:
- per un verso, di tipo tradizionale, secondo uno schema di progressione sanzionatoria, che si risolve, in via generale, nell'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, ma che consente, in casi particolari più gravi, il ricorso alla tutela mediante l'irrogazione di misure interdittive, anch'esse di natura amministrativa, per poi completarsi con la previsione della più incisiva tutela penale per le ipotesi in cui le misure da ultimo richiamate vengano violate;
- per l'altro verso, di tipo innovativo, agendo in una prospettiva preventiva e generale (e svolgentesi in modo anticipato rispetto all'intervento sanzionatorio amministrativo), che legittima le banche, nei casi di emissione di assegni senza provvista non seguita dal tardivo pagamento del titolo comunque liberatorio nel termine prescritto - ai sensi del novellato art. 8 l. n. 386 del 1990 - ovvero di attivazione della circolazione di assegni in mancanza di autorizzazione, a revocare al traente, ancorché solo a tempo determinato (sei mesi) -, tutte le autorizzazioni ad emettere assegni, con ciò provocando l'estromissione temporanea (2) dal circuito bancario di coloro che hanno violato la fede pubblica e si sono, perciò, dimostrati inaffidabili.
Sul piano cronologico, bisogna sottolineare che mentre le norme implicanti l'intervenuta depenalizzazione degli illeciti penali principali - innanzi richiamati - sono state rese immediatamente applicabili (salva l'osservanza dell'ordinaria «vacatio legis»), le disposizioni di cui agli artt. 34 (sulla revoca dell'autorizzazione), 35 (riguardante la responsabilità del trattario) e 37 comma 2 d.lg. n. 507 del 1999 (attinente alla riformulazione dell'art. 125 r.d. n. 1736 del 1933, con riferimento all'obbligo della banca di informarsi sull'insussistenza dell'interdizione bancaria a carico del soggetto con il quale si vuole concludere la convenzione, nonché alla previsione della responsabilità penale del dipendente bancario o postale che rilascia moduli di assegni a persona temporaneamente interdetta) sono divenute efficaci - ai sensi del disposto dell'art. 105 d.lg. in questione n. 507 del 30 dicembre 1999 - una volta decorsi 150 gg. dalla pubblicazione sulla G.U. del regolamento dettato dall'art. 36 comma 2, relativo all'istituzione dell'archivio informatico centrale (che, peraltro, avrebbe dovuto essere emesso entro 150 giorni dall'entrata in vigore dello stesso d.lg. n. 507 del 1999 in discorso, decorrente dal 15 gennaio 2000).
Il relativo decreto ministeriale attinente alla regolamentazione del funzionamento dell'archivio appena menzionato è stato emanato solo in data 7 novembre 2001 (recando il n. 458) e pubblicato sulla G.U. del 4 gennaio 2002, con la subordinazione della sua operatività alla scadenza dell'ulteriore termine di 150 giorni dalla stessa pubblicazione, e, perciò, dal 4 giugno 2002, data nella quale, quindi, hanno cominciato ad esplicare la loro efficacia anche le anzidette disposizioni attinenti alla previsione della c.d. «revoca di sistema» e alla responsabilità solidale limitata dell'istituto trattario.
Il successivo regolamento attuativo della Banca d'Italia è stato adottato in data 29 gennaio 2002 (con pubblicazione sulla G.U. del 1 febbraio 2002), a cui ha fatto seguito l'emanazione della circolare del Ministero della giustizia del 23 aprile 2002, n. 593 (in G.U. del 21 maggio 2002) concernente l'illustrazione degli adempimenti relativi al precedente decreto del 7 novembre 2001, n. 458.
Ciò posto, si osserva che anche nel nuovo impianto normativo conseguente alla riformulazione dell'art. 9 l. n. 386 del 1990 (alla quale è stata coordinata l'introduzione «ex novo» di due collaterali disposizioni individuate negli artt. 9 bis e 9 ter), l'istituto della revoca svolge il ruolo di una misura esplicante un duplice simultaneo effetto contro le pratiche illecite attinenti alla emissione degli assegni bancari e postali: di tipo sanzionatorio (3), da un lato, e di prevenzione speciale (4), dall'altro.
Anzi, la nuova disciplina ha inteso rafforzare questa complessiva funzione estendendo l'applicazione della revoca (da inquadrarsi come sanzione di tipo civilistico demandata direttamente all'iniziativa dell'istituto di credito), oltre che all'ipotesi del mancato pagamento, totale o parziale, di un assegno posto in circolazione senza l'adeguata copertura (fattispecie, invero, contemplata in via esclusiva nella previgente normativa, ancorché con riferimento all'operatività della sola revoca aziendale (5)), anche al caso dell'assegno emesso in difetto di autorizzazione.
Inoltre la revoca in oggetto si caratterizza - come anticipato - per la sua riferibilità all'intero sistema creditizio bancario e postale e, soprattutto per questo, costituisce la più apprezzabile espressione dell'evoluzione del sistema bancario verso una sempre più efficace ed efficiente gestione organizzativa del credito (6).
La nuova forma di revoca - il cui onere di applicazione incombe alla generalità degli istituti bancari e postali (e, perciò, viene denominata anche «interdizione bancaria») - si differenzia dall'interdizione prefettizia (che è sanzione amministrativa accessoria) e dall'interdizione giudiziale (che si connota come pena accessoria conseguente alla condanna per il reato contemplato dall'art. 7 l. n. 386 del 1990) e si atteggia come una sanzione civile inquadrabile nell'ambito dell'autotutela del contraente forte, con la particolarità - rispetto al sistema previgente - che essa deve essere automaticamente attuata anche dai contraenti che non hanno subito dalla controparte effetti negativi derivanti da condotte illecite.
Naturalmente - per attuare la descritta direttiva di fondo - l'art. 34 d.lg. n. 507 del 1999 (con il quale è stato ridefinito il precedente testo dell'art. 9 l. n. 386 del 1990) ha previsto che la revoca si presenta subordinata all'iscrizione del nominativo del soggetto (segnalato) nell'archivio informatico centrale (7), costituendo essa la condizione essenziale che consente di rendere conoscibile la revoca stessa e la conseguente operatività degli effetti alla medesima connessi da parte del sistema globale bancario e postale.
In altri termini, con l'entrata in funzione dell'archivio centralizzato tutti gli istituti bancari e gli uffici postali che accedono - attraverso le loro rispettive sezioni remote (8) - alla banca dati gestita dalla Banca d'Italia sono in grado di accertare direttamente la segnalazione nominativa in capo al traente per irregolare emissione di assegni e, quindi, devono provvedere alla revoca di qualsiasi autorizzazione e, comunque, sono obbligati a negare la concessione di nuove autorizzazioni e a non pagare i titoli emessi durante il periodo di interdizione (9). Una nuova convenzione di chèque potrà, invero, essere stipulata dalla banca solo una volta che sarà decorso il termine di sei mesi dall'intervenuta iscrizione del nominativo nell'archivio informatizzato.


2. LA DISCIPLINA ATTUALE DELLA C.D. REVOCA DI SISTEMA
La revoca dell'autorizzazione postula - secondo il relativo sistema normativo di riferimento - due condizioni tra di loro strettamente correlate:
1) l'omesso pagamento, in modo integrale o parziale, di un assegno emesso nonostante l'assenza di apposita autorizzazione ovvero di (sufficiente) provvista;
2) l'iscrizione del nominativo nell'archivio centrale, previsto dall'art. 10 bis l. n. 386 del 1990, così come inserito dall'art. 36 d.lg. n. 507 del 1999 e successivamente regolamentato dal d.m. n. 458 del 7 novembre 2001.
In particolare, la prima condizione costituisce presupposto per far luogo alla seconda, dalla cui esecuzione deriva, poi, l'automatico effetto della revoca generale (10).
Alla stregua del nuovo impianto normativo si desume che non è più richiesto che il mancato pagamento dell'assegno per una delle due causali innanzi richiamate sia formalmente constatato col protesto (o dichiarazione equivalente) (11), dovendosi rite nere che, in effetti, alla sua funzione - così come concepita nel precedente sistema - supplisca l'iscrizione nell'archivio informatico centralizzato, con la quale il rifiuto di pagamento e il motivo della relativa causale risultano comunque in modo non solo formale (12) ma anche concretamente conoscibili dalla collettività dei fruitori delle relative informazioni conseguenti all'intervenuta iscrizione (13).
Tuttavia all'iscrizione non si può procedere immediatamente al solo ricorrere della condizione dell'omesso pagamento, ma la nuova disciplina impone l'osservanza di rigide modalità temporali cadenzate.
In merito il riformulato art. 9 l. n. n. 386 del 1990 stabilisce:
- da un lato, che l'istituto trattario vi possa provvedere, in caso di mancato pagamento del titolo per difetto di provvista, una volta scaduto il termine di sessanta giorni (a decorrere dalla data di scadenza del termine di presentazione del relativo titolo, su cui si discorrerà nella parte seconda del presente studio) senza che l'avente interesse abbia effettuato il pagamento tardivo (14) (di cui all'art. 8 della stessa legge, concepito come condizione di procedibilità dell'azione sanzionatoria amministrativa) offrendone rituale e tempestiva prova (15);
- dall'altro lato, risulta sancito che, nell'ipotesi di emissione di assegno senza autorizzazione (16), non prospettandosi possibile il pagamento tardivo, all'iscrizione viene dato corso entro il ventesimo giorno decorrente dalla presentazione del titolo (17), termine che potrà essere utilizzato dal trattario per procedere eventualmente alle opportune comunicazioni in proposito nei confronti del traente, invero prescritte obbligatoriamente dalla legge - secondo la strutturazione di una fattispecie procedimentale a formazione progressiva - solo con riguardo al caso di emissione di assegno «a vuoto», nelle more della maturazione del termine utile per la realizzazione del riferito pagamento tardivo.
Come può, pertanto, constatarsi, la norma in questione attribuisce rilievo all'omesso pagamento dipendente dai due distinti motivi del rifiuto di pagamento derivante dal difetto di provvista ovvero scaturente dalla mancanza di autorizzazione e si chiarisce che, in entrambi i casi, rileva anche il difetto soltanto parziale della copertura o del limite dell'autorizzazione concessa e, quindi, anche un pagamento che non copra l'intero importo del titolo (18).
Quanto al pagamento anomalo (19), poiché esso non esclude né la consumazione dell'illecito né l'applicabilità della penale e delle sanzioni amministrative, si deve ritenere che lo stesso non è idoneo ad escludere l'iscrizione nell'archivio centrale e, quindi, la conseguenza della revoca di ogni autorizzazione (20).
Inoltre, occorre sottolineare che l'iscrizione nel richiamato archivio (così come la revoca che ne deriva) è indipendente dalla punibilità in concreto dei correlati illeciti amministrativi (ora configurati come tali a seguito della sopravvenuta depenalizzazione ad opera degli artt. 28 e 29 d.lg. n. 507 del 1999). Infatti non è richiesta, tra le inerenti condizioni, anche la sussistenza della sopravvenuta circostanza relativa all'emanazione dell'ordinanza prefettizia di accertamento dell'illecito con correlativa applicazione delle corrispondenti sanzioni amministrative.
Con riferimento al soggetto attivo, cioè al soggetto che produce l'impulso determinante per l'iscrizione dell'emittente da segnalare nell'archivio centrale informatizzato gestito dalla Banca d'Italia, bisogna evidenziare che, in base al sistema normativo, esso si identifica con l'istituto trattario, per cui la revoca - come già anticipato - non risulta conseguente alla comminazione di una sanzione disposta in sede giudiziale o in ambito sanzionatorio amministrativo. Sotto questo particolare profilo, perciò, rimane confermata la previsione del trasferimento del compito di prevenzione e repressione dal giudice (o dalla pubblica amministrazione) al sistema bancario (21).
È importante sottolineare che non si può escludere (22) - per il caso di illegittimità dell'iscrizione nel predetto archivio, con la derivante produzione degli effetti negativi riconducibili all'applicazione della revoca generalizzata - la possibilità, da parte dell'interessato, nella sussistenza dei relativi complessivi presupposti, di far ricorso alla tutela cautelare atipica di cui all'art. 700 c.p.c. (23). Anzi è questa certamente la forma di tutela che maggiormente viene praticata (24) (ed i due provvedimenti in commento lo testimoniano) per ottenere una risposta giudiziale immediata avverso le illegittime iscrizioni nella C.A.I. (25).
Invero, con riferimento al fumus boni iuris, si osserva che, alla stregua dei principi regolanti la materia della responsabilità civile, l'inoltro da parte della banca di una segnalazione erronea si configura come comportamento antigiuridico se nello svolgimento dell'attività di assunzione e di controllo delle informazioni la stessa abbia agito con negligenza ovvero applicando illegittimamente la normativa di riferimento.
In relazione, poi, al periculum in mora bisogna osservare che - sul presupposto che la dottrina e la giurisprudenza, già da tempo, riconoscono la sussistenza dell'irreparabilità del pregiudizio anche in ordine ai diritti a contenuto e funzione patrimoniale - esso sussiste ogni qualvolta, a causa del perdurante protrarsi dello stato di lesione durante il giudizio di merito, lo scarto tra danno subito e danno risarcibile si riveli in concreto eccessivo e tale da superare il limite della normale tollerabilità, come quando possa derivare una concreta lesione al futuro esercizio di un'impresa (26). In sostanza il pericolo imminente ed irreparabile è riconducibile alla revoca di sistema, poiché essa è idonea ad implicare una conseguente prevedibile impossibilità di accesso al credito presso qualsivoglia istituto bancario (o postale), comprimendo in modo considerevole la libera esplicazione da parte del segnalato delle proprie attività, sia sotto il profilo professionale (soprattutto quando ci si riferisca a lavoratori autonomi o a imprese) sia con riferimento, più in generale, alla stessa vita di relazione, che sicuramente trova un ostacolo nell'impossibilità o nella grave difficoltà di avvalersi di strumenti di credito.
Per converso, l'omissione od il ritardo del trattario nell'iscrizione del nominativo nel medesimo archivio, alle condizioni e secondo l'osservanza dei termini innanzi individuati, comporta - come si illustrerà più ampiamente in seguito - l'insorgenza di una responsabilità autonoma, ancorché limitata quantitativamente e collegata con vincolo solidale a quella del traente, dello stesso istituto, secondo la nuova previsione ora contenuta nel riformulato art. 10 l. n. 386 del 1990 (ad opera dell'art. 35 d.lg. n. 507 del 1999).
Dal punto di vista del soggetto passivo nei cui riguardi opera la revoca, il nuovo art. 9 l. n. 386 del 1990 (così come del resto disponeva anche il testo precedente) prevede che la stessa sia irrogata esclusivamente al traente.
Al riguardo occorre, tuttavia, ricollegarsi, a titolo integrativo, alle precisazioni contenute nell'art. 5 del sopravvenuto d.m. n. 458 del 2001 cit., il quale, anche sulla scorta dei pregressi risultati raggiunti dall'elaborazione dottrinale, puntualizza la sfera di azione dell'efficacia della revoca nelle ipotesi in cui l'assegno, con riguardo al profilo dell'emissione, non sia direttamente riferibile in via esclusiva al traente.
In particolare questa disposizione sancisce che:
a) nel caso di emissione di assegno per il quale è richiesta la firma congiunta, il trattario deve trasmettere i dati di tutti coloro che hanno sottoscritto il titolo;
b) nell'ipotesi di apposizione di firma legittimata da apposita di delega di traenza, il trattario è tenuto a trasmettere i dati relativi al soggetto delegante;
c) nell'eventualità di assegno emesso in nome e per conto di un ente, anche sprovvisto di personalità giuridica, il trattario trasmette i dati dell'ente.
È particolarmente importante rilevare, inoltre, che l'efficacia della revoca si estende solo al soggetto traente in quanto tale, avuto riguardo alla relativa qualità in cui egli ha agito nell'emissione del titolo. Questo vuol significare che, qualora un determinato soggetto sia incorso nella revoca a titolo autonomo e personale, ciò non comporta che egli - ancorché revocato in proprio - non sia legittimato, durante il periodo di efficacia della revoca, a trarre assegni ricoprendo una diversa posizione, come può accadere nell'ipotesi in cui egli rivesta la qualità di legale rappresentante di una persona giuridica (che è, per l'appunto, soggetto differente sul piano giuridico) o, eventualmente, di delegato (che, dal punto di vista passivo, salvo il caso dell'abuso di funzione da dimostrare in concreto, non è destinatario degli effetti della revoca).
È rilevante sottolineare, inoltre, che lo stesso art. 5 d.m. cit., al comma 2, stabilisce che, qualora il traente non sia identificabile, il trattario non è tenuto ad effettuare alcuna trasmissione di dati all'archivio (27).
Passando all'esame delle formalità della revoca, occorre sottolineare che mentre nell'antecedente formulazione dell'art. 9 in questione la disciplina concernente le modalità della revoca era contenuta in un unico contesto normativo con la regolamentazione riguardante l'individuazione dei suoi presupposti e delle relative conseguenze civili (28), il legislatore del 1999 - anche per fugare alcuni dubbi configuratisi in fase applicativa - ha ravvisato l'opportunità di dedicare agli aspetti propriamente formali propedeutici all'operatività della revoca - proprio in virtù delle rilevanti conseguenze dalla stessa discendenti, non più circoscritte al singolo ambito della banca con la quale era stata conclusa la convenzione di chèque - due norme distinte (e tra loro correlate) collocandole nei nuovi artt. 9 bis e 9 ter, in tal modo inserendole nel preesistente impianto normativo della l. n. 386 del 1990.
L'art. 9 bis citato disciplina il c.d. «preavviso di revoca», il quale, peraltro, è rivolto alla sola ipotesi di emissione di assegno senza provvista (invero nessun preavviso è dovuto all'emittente di assegno senza autorizzazione, né avrebbe potuto essere diversamente, visto che quest'ultimo, non essendo munito di alcuna autorizzazione, già non figurava tra i correntisti dell'istituto bancario).
In particolare, tale norma stabilisce che il trattario deve inoltrare al traente apposita comunicazione secondo la quale, alla scadenza del termine dei sessanta giorni utile per il c.d. «pagamento tardivo» (includente, oltre alla somma portata dall'assegno, anche gli interessi, la penale e le eventuali spese di protesto), in difetto dell'allegazione di prova idonea a confortare il sopravvenuto adempimento, il suo nominativo sarà iscritto nell'archivio centrale e che, a decorrere dal verificarsi di quest'ultimo evento, gli sarà revocata ogni autorizzazione ad emettere assegni in senso generale (ovvero presso qualsiasi banca od ufficio postale) (29).
Gli eventuali assegni emessi dal traente, dopo il preavviso di revoca, ma prima dell'iscrizione nell'archivio (e quindi anteriormente all'operatività in concreto della revoca), vanno pagati dal trattario nei limiti della provvista (eventualmente ricostituita).
È importante, altresì, porre in luce che la nuova disciplina stabilisce che la comunicazione del preavviso di revoca deve essere effettuata entro il decimo giorno dalla presentazione (che può avvenire anche in via telematica: cfr. art. 15 comma 1 d.m. n. 487 del 2001) del titolo al pagamento.
Secondo quanto precisato dall'art. 3 comma 3 d.m. giustizia n. 458 del 2001, i dieci giorni in questione sono da computarsi come «giorni lavorativi bancari» (30).
La normativa, nel prevedere il rispetto del riferito termine, ha preso in considerazione le difficoltà di effettuare i controlli sulla fisicità del titolo (con particolare riguardo alla verifica della corrispondenza della firma di traenza allo specimen depositato presso l'istituto), che sono necessari prima dell'invio del preavviso di revoca al traente, nel caso di presentazione telematica dell'assegno al pagamento (attraverso il sistema denominato «Check Truncation»), e, nel riconoscere espressamente la praticabilità di questo tipo di presentazione, ha previsto un regime peculiare per il computo del termine in questione in ordine a questa modalità di presentazione (per l'appunto contemplata dal cit. art. 15 comma 1 d.m. giustizia n. 458 del 2001) (31).
È necessario specificare ulteriormente che, in ogni caso, anche in deroga al termine ordinariamente previsto nell'art. 9 comma 2 lett. b) l. n. 386 del 1990 (riferito al caso di emissione di assegno a vuoto, senza che sia intervenuto tempestivamente il possibile pagamento tardivo, in difetto di adeguata prova al riguardo), l'iscrizione nell'archivio non può in ogni caso conseguire prima che siano decorsi almeno dieci giorni dalla data di ricevimento della dichiarazione contenente il preavviso di revoca, in modo da consentire concretamente la fruttuosità dell'esercizio della facoltà di pagamento tardivo. La regola appena enunciata è, all'evidenza, diretta ad evitare che il preavviso pervenga con estremo ritardo e che tra la sua comunicazione e la data utile per effettuare il pagamento intercorra un periodo di tempo troppo breve - e, perciò, incongruo - che impedisca di fatto al traente di organizzarsi per adempiere o determinarsi diversamente.
È appena il caso, inoltre, di evidenziare che la riforma legislativa ha imposto all'istituto trattario di invitare, attraverso la comunicazione di preavviso in argomento, il traente a restituire, alla scadenza del termine indicato nell'art. 8 l. n. n. 386 del 1990, tutti i moduli di assegno in suo possesso alle banche e agli uffici postali che li hanno rilasciati. Tuttavia - così come nel previgente regime - tale obbligo incombente in capo al traente non è sanzionato né penalmente né civilmente né, anche nel nuovo sistema, dal punto di vista amministrativo. D'altro canto non sembra che l'istituto trattario, una volta formulata l'ingiunzione di restituzione del carnet, nel difetto di spontaneo adempimento da parte del traente, sia tenuto a compiere una qualche attività indirizzata ad ottenere coattivamente la materiale restituzione dei moduli, rimanendo, peraltro, impregiudicata la sua facoltà di esperire le normali azioni ex contractu per raggiungere tale scopo. Inoltre in dottrina è stato precisato che trattandosi, appunto, di una facoltà della banca e non di un obbligo (che si esaurisce nel solo invito alla restituzione), la banca non risponderà di eventuali danni arrecati a terzi in virtù dell'uso illecito di detti moduli di assegni.
Occorre, tuttavia, porre in luce che l'art. 6 d.m. giustizia n. 458 del 2001 impone agli istituti trattari di trasmettere i dati relativi ai moduli di assegno non restituiti alla sezione centrale dell'archivio dopo l'intervento della revoca dell'autorizzazione ovvero in seguito all'applicazione delle sanzioni e dei divieti di cui all'art. 10 bis comma 1 lett. c) l. 15 dicembre 1990, n. 386 (vale a dire di quelli applicati per l'inosservanza degli obblighi imposti a titolo di sanzione amministrativa accessoria).
Come già anticipato, l'iscrizione nell'archivio produce la revoca di sistema nei confronti del traente con riguardo ad ogni autorizzazione ad emettere assegni. In altri termini gli effetti della revoca non sono limitati solo ai rapporti intercorrenti con l'istituto trattario che ha proceduto all'iscrizione, ma si estendono ad ogni altra autorizzazione (32).
Tuttavia la revoca incide direttamente sulle convenzioni di chèque ma non investe, di per sé, il rapporto di conto corrente cui afferiva la convenzione alla quale era riferibile il titolo rimasto insoluto e dal quale si è originato il procedimento, né riguarda altri eventuali rapporti di conto corrente eventualmente in corso di esecuzione con altri istituti (ai quali la convenzione di assegno inerisce quasi come elemento accessorio naturale, legittimando il diritto del cliente di disporre dei fondi anche attraverso l'emissione di titoli).
Ovviamente sia all'istituto che ha attivato la procedura di iscrizione che agli altri che abbiano intrattenuto in precedenza diverse relazioni bancarie (o postali) e che siano venuti a conoscenza dell'iscrizione di un dato nominativo nell'archivio è riconosciuta la facoltà di procedere autonomamente alla chiusura dei relativi conti ricorrendo al recesso dal rapporto secondo le ordinarie norme contrattuali applicabili; diversamente, nel caso in cui alla revoca della traenza non faccia seguito anche l'estinzione del conto, al soggetto colpito dall'interdizione bancaria deve ritenersi inibita la sola emissione di assegni bancari (naturalmente anche mediante lo svolgimento della funzione di delegante alla traenza) e, per converso, consentita ogni altra attività connessa all'esercizio di operazioni di utilizzo della provvista eventualmente esistente (anche in seguito a ricostituzione) con riguardo alle altre utilità ricollegabili alla persistenza del conto che non implichi «emissione» nel senso sopra specificato: così dovranno ritenersi ancora permesse operazioni non direttamente colpite dalla revoca oltre che dal lato attivo (accredito di somme) pure dal lato passivo (come ordini di bonifico, operazioni con carte di credito, richieste di rilascio di assegni circolari).
Del resto, il tenore del novellato art. 9 è chiaro nell'avallare questa considerazione poiché sancisce che la revoca deve intendersi riferita ad «ogni autorizzazione ad emettere assegni», aggiungendo che una nuova autorizzazione non può essere riconosciuta prima del decorso di sei mesi dall'avvenuta iscrizione del nominativo nell'archivio. A tale effetto si ricollega il divieto, per tutte le banche e gli uffici postali (33), per un'identica durata, di stipulare nuove convenzioni di assegno con il traente iscritto, nonché di pagare gli assegni eventualmente emessi dal medesimo successivamente (e non antecedentemente) all'effettuata iscrizione, ancorché contenuti nei limiti della provvista. Naturalmente la caducazione provvisoria dell'autorizzazione ad emettere assegni per effetto dell'intervenuta revoca comporta che l'istituto trattario non è più tenuto - durante l'arco temporale di applicazione dell'interdizione nei riguardi del traente - all'assolvimento delle altre prestazioni che si riconducono tipicamente alla convenzione di assegno (34).
Dal momento dell'operatività della revoca dipendente dall'iscrizione nell'archivio del nominativo del traente è preclusa a quest'ultimo l'emissione di assegni bancari, almeno fino a quando, una volta terminato il periodo semestrale, non gli venga accordata una nuova autorizzazione al riguardo. La violazione del relativo obbligo, durante la fase di interdizione, comporta a carico dello stesso traente la configurazione dell'illecito amministrativo contemplato dall'art. 1 della l. n. n. 386 del 1990, così come riformulato ad opera dell'art. 28 del d.lg. n. 507 del 1999, con tutte le pubbliche conseguenze sanzionatorie che ne derivano, oltre alla responsabilità civilistica di tipo risarcitorio nei confronti del portatore.


3. LA CONDIZIONE DI PROCEDIBILITÀ DELL'AZIONE SANZIONATORIA AMMINISTRATIVA NELL'IPOTESI DELL'ILLECITO RICONDUCIBILE ALL'EMISSIONE DI ASSEGNI A VUOTO: LE PROBLEMATICHE PRINCIPALI IN TEMA DI C.D. PAGAMENTO TARDIVO
Incentrando, ora, l'attenzione sulla condizione di procedibilità di cui al modificato art. 8 l. n. 386 del 1990 - su cui si sono soffermate le ordinanze dei giudici nocerini -, appare preliminare rilevare che il nuovo disposto di tale articolo (risultante in virtù delle modifiche apportate dall'art. 33 d.lg. n. 507 del 1999), che disciplina l'ipotesi del pagamento tardivo dell'assegno, non prevede novità sostanziali rispetto alla previgente disciplina introdotta dalla stessa legge del 1990, la quale aveva individuato nella necessità del preventivo decorso del termine di sessanta giorni - a partire dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo - una particolare condizione di procedibilità dell'azione penale per il pregresso reato di emissione di assegno a vuoto.
Anche nell'attuale assetto normativo è stata, infatti, ribadita la possibilità per colui che ha emesso un assegno in mancanza di provvista di evitare l'instaurazione del procedimento sanzionatorio (ora di tipo amministrativo) provvedendo al pagamento tardivo dell'importo portato dal titolo, maggiorato dell'ammontare degli interessi, della penale e delle eventuali spese sostenute per il protesto o la constatazione equivalente (35).
Il riferito termine per il c.d. pagamento tardivo fruttuoso è da considerarsi perentorio ed, in relazione ad esso, non sono ipotizzabili cause sospensive od interruttive.
Il giorno dal quale comincia a decorrere coincide - come evidenziato - con quello della scadenza del termine utile per la presentazione (secondo la disciplina trasparente dall'art. 32 r.d. n. 1736 del 1933).
Nella prassi è stato prospettato il problema di come ci si debba regolare - ai fini del computo del predetto termine - nel caso in cui la presentazione avvenga prima del decorso del termine massimo di scadenza, con conseguente levata del protesto e, quindi, con consumazione della violazione stabilita dall'art. 2 l. n. 386 del 1990, nel momento in cui, avvenuta la presentazione alla banca trattaria, l'assegno non sia stato pagato.
La dottrina predominante - sulla scorta dell'inequivocabile dato testuale emergente dalla norma di riferimento - ritiene che, indipendentemente dalla data di effettiva presentazione dell'assegno per il pagamento, il termine di sessanta giorni in questione decorre in ogni caso dalla scadenza del termine massimo per l'utile presentazione del titolo, rimanendo irrilevante che l'assegno sia stato presentato per il pagamento prima della scadenza ultima e che sia stato levato il protesto (36).
Tale interpretazione, del resto, consente di ritenere che il traente è posto automaticamente in condizione di conoscere l'esatta scadenza del termine, calcolandola in sessanta giorni decorrenti dagli otto o quindici giorni successivi all'emissione (a seconda che l'assegno sia tratto su piazza o fuori piazza), mentre questa operazione non potrebbe essere da lui compiuta con esattezza nel caso in cui il termine di sessanta giorni decorresse dall'effettiva negoziazione, proprio per il fatto che la data di quest'ultima gli risulterebbe relativamente imprevedibile ed ignota.
Da quanto appena detto si evince che la ricostruzione della decorrenza del termine di sessanta giorni non ha alcuna rilevanza sulla necessità di procedere comunque al formale ed integrale pagamento tardivo così contemplato dall'art. 8 in questione anche nel caso in cui l'assegno sia stato presentato anteriormente alla scadenza del termine massimo previsto dalla legge, incidendo l'eventuale pagamento tardivo che dovesse sopravvenire prima di quest'ultima scadenza (e, pur tuttavia, ad illecito amministrativo già consumatosi e, perciò, perfezionatosi) soltanto sulla diversa determinazione degli interessi rispetto ad una condotta solutoria più dilazionata nel tempo e, comunque, ricompresa nel termine finale del sessantesimo giorno dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo.
Sul piano probatorio va osservato che incombe sull'incolpato l'onere di riscontrare che il pagamento è avvenuto entro i sessanta giorni sicché si deve ritenere inidonea (in quanto insufficiente allo scopo di comprovare la tempestività dell'intervenuta condotta solutoria) la dichiarazione sottoscritta dal prenditore del titolo, che comprovi solo l'avvenuto pagamento delle somme di cui all'art. 8 cit., con omissione della data dell'avvenuto soddisfacimento del complessivo credito (37).
Davanti al pubblico ufficiale che ha levato il protesto, la prova della tempestività del pagamento deve risultare dalla quietanza autenticata o dall'attestazione del deposito vincolato (38).
In sede procedimentale (e, successivamente, nell'ambito processuale del giudizio di opposizione all'ordinanza prefettizia), ai fini della dichiarazione di improcedibilità dell'illecito, l'epoca del pagamento può, invece, essere riscontrata con qualsiasi mezzo (salva la valutazione della relativa congruità da parte del prefetto e del giudice) e, quindi, può essere desunta anche da una quietanza contenuta in una scrittura privata non autenticata né registrata, formata in epoca successiva alla scadenza dei prescritti termini, ma attestante l'avvenuto pagamento entro i medesimi termini.
Il problema principale che sorge in ordine alla verifica della ritualità e della proficuità del pagamento tardivo previsto dall'art. 8 l. n. 386 del 1990 è quello attinente all'individuazione del soggetto legittimato ad effettuare tale condotta solutoria.
Mentre è indiscusso in via generale che tale legittimazione spetti - sulla scorta dello stesso riferimento testuale adottato dalla norma - al traente (anche eventualmente attraverso un procuratore, un mandatario od anche un mero incaricato alla consegna materiale del denaro), è controverso se essa possa essere riconosciuta anche ad un terzo.
Tuttavia (39) appare logico sostenere l'ammissibilità dell'adempimento da parte del terzo, a norma dell'art. 1180 c.c., poiché l'interesse del sistema è quello di realizzare l'interesse civilistico del portatore creditore. La contraria soluzione contrasterebbe con tale finalità, gravando inutilmente i notai e gli istituti di credito di obblighi di accertamento, contravvenendosi in tal modo ai principi civilistici.
Il pagamento eseguito dall'emittente ha effetto estensivo nei confronti degli altri compartecipi, rendendo improcedibile l'azione sanzionatoria.
Con riguardo all'ammontare del pagamento, è necessario ricordare che esso, per ritenersi utilmente eseguito, deve essere completo e, perciò, comprensivo del capitale, degli interessi legali su questo, della penale e delle spese sopportate per l'eventuale protesto o constatazione equivalente (40). Solo provvedendosi ad un pagamento tem pestivo e pienamente esaustivo con riferimento a tutte le voci appena indicate potrà evitarsi la conseguente segnalazione alla C.A.I. In tal senso si prospetta condivisibile l'ordinanza del giudice di prima istanza che aveva rigettato il ricorso ex art. 700 c.p.c. del segnalato per aver dato lo stesso la prova di aver provveduto al tardivo pagamento entro il prescritto termine del solo importo facciale dell'assegno bancario. Di conseguenza risulta conforme a tale indirizzo anche l'ordinanza pronunciata in sede di reclamo, con la quale è stato confermato il primo provvedimento di diniego della tutela cautelare atipica invocata.
Del resto il traente si assume ogni responsabilità per i rischi connessi all'esattezza della somma versata, in quanto non potrà giovarsi di un eventuale errore, anche se scusabile od esente da colpa (e tale non può considerarsi un errore di calcolo), in quanto non si tratta di un errore incolpevole sul fatto della violazione (art. 3 l. n. 689 del 1981), ma di un errore su un fatto successivo. In ogni caso, però, il pubblico ufficiale dovrebbe in questa ipotesi redigere rapporto, siccome le valutazioni del caso resterebbero demandate all'accertamento del Prefetto e, successivamente, del giudice, nell'eventualità della proposizione di opposizione in sede giudiziale.
Un'altra peculiare questione è stata prospettata con riguardo all'eventualità in cui il traente provveda a pagare l'importo prima della scadenza del termine di presentazione, e cioè nel caso in cui l'assegno, già nelle mani del pubblico ufficiale, non sia stato ancora protestato (c.d. «richiamo dell'assegno») (41). Mentre è pacifico che, in questo caso, non si verifica alcuna conseguenza rispetto alla possibile attivazione del procedimento di applicazione delle sanzioni amministrative, ci si è chiesto se il traente è tenuto a corrispondere, oltre - ovviamente - all'importo nominale dell'assegno, anche gli interessi, la penale e le eventuali spese. Dal punto di vista strettamente giuridico (42) è stato, sul punto, evidenziato che, in conseguenza dell'entrata in vigore della l. n. 386 del 1990, non vi era stata alcuna innovazione della disciplina civilistica del rapporto intercorrente tra emittente e portatore e che, pertanto, doveva essere garan tito al prenditore analogo ristoro rispetto a quanto accordatogli dalla legge in virtù dell'esercizio dell'azione di regresso. È stato, inoltre, aggiunto che anche l'attuale disciplina non ha innovato alla regolamentazione precedente e, in particolare, il comma 1 dell'art. 8 della stessa l. n. 386 del 1990, nell'attuale formulazione, contiene un esplicito riferimento al pagamento dell'assegno, degli interessi, della penale e delle eventuali spese per il protesto o per la constatazione equivalente. Tale richiamo riprende sostanzialmente il contenuto dell'art. 50 r.d. n. 1736 del 1933, ad eccezione della penale. Quindi, se anche il testo del vigente art. 8 richiama implicitamente il contenuto della norma precedentemente menzionata, si è rilevato che possa nascere una pretesa di natura civilistica in capo al portatore dell'assegno ricomprendente le voci appena evidenziate, ad eccezione delle spese per il protesto (43). Per quanto riguarda la data di decorrenza degli interessi, essa andrà individuata sulla scorta della dichiarazione del trattario relativa all'avvenuta presentazione per il pagamento e, in mancanza, si potrà far ricorso alla data in cui è stato effettuato l'accertamento dell'inesistenza di fondi in sede di stanza di compensazione, con conseguente comunicazione del mancato pagamento al pubblico ufficiale che deve levare il protesto od effettuare la constatazione equivalente, e tanto per garantire le esigenze di certezza e formalità che l'ordinamento richiede per gli atti di costituzione in mora.
Un'altra problematica di un certo rilievo, anch'essa affrontata dalla dottrina, è stata quella relativa all'individuazione degli effetti della revoca o della caducazione del pagamento.
In altri termini ci si è interrogati su quali siano le conseguenze che si verificano sulla condizione di procedibilità in virtù della circostanza che il pagamento, effettuato nei termini con la conseguenza dell'omissione di rapporto da parte del pubblico ufficiale, venga successivamente meno per qualsiasi motivo (ad es. per effetto di revocatoria fallimentare, di sequestro del denaro perché proveniente da reato o per impugnazione ai sensi dell'art. 1192 c.c.). La risposta più logica e più corretta sotto il profilo strettamente giuridico non può che implicare la considerazione secondo la quale, qualora venga meno il pagamento, l'azione di applicazione della sanzione diventerà procedibile, siccome il provvedimento di archiviazione per difetto di una condizione di procedibilità non è da considerarsi ostativo all'esercizio dell'azione per il medesimo fatto e contro lo stesso soggetto, se successivamente sopravviene detta condizione.
Quanto alla determinazione dell'ammontare dell'importo complessivamente dovuto per il rituale ed efficace pagamento tardivo, è agevole affermare che non sorgono problemi particolari in ordine alla quantificazione della sorta capitale (risultante dal titolo) e delle spese di protesto, evidenziate direttamente dalla banca.
La giurisprudenza ha, poi, naturalmente specificato che, in tema di emissione di assegno a vuoto, la condizione di improcedibilità ex art. 8 l. n. 386 del 1990 non può essere dimostrata mediante un tardivo versamento della provvista (sia pure con interessi e spese), ma senza alcun riferimento al pagamento della penale. Ciò in quanto quest'ultima costituisce una componente ineliminabile della condizione di improcedi bilità medesima, non suscettibile - per la sua natura pubblicistica - di costituire oggetto di rinunzia anche parziale o, comunque, di accomodamenti affidati alla mera volontà delle parti (44).
Problemi possono, invece, sorgere relativamente alla decorrenza degli interessi (mentre il loro ammontare va determinato a norma dell'art. 1284 comma 1 c.c., per cui esso è del 2,5% annuo, a decorrere dal 1 gennaio 2004, per effetto del d.m. 1 dicembre 2003). Detto dies a quo è quello della presentazione dell'assegno al trattario per il pagamento, come dispone l'art. 50 n. 2 L.A., facendosi, però presente che, se detto assegno venga presentato ad una stanza di compensazione, ciò equivale a presentazione dell'assegno per il pagamento (art. 34 L.A.).
Tuttavia per gli assegni presentati per corrispondenza o in stanza di compensazione, o con il sistema della chek truncation, tale data appare di difficile individuazione, sia perché essa non viene generalmente apposta dalla banca, sia perché i titoli possono anche non pervenire allo sportello essendo lavorati dal centro assegni. In questo caso parte della dottrina ritiene che la decorrenza degli interessi è costituita pur sempre dalla data di presentazione per il pagamento, mentre altri autori ritengono che vada considerato come momento iniziale della decorrenza degli interessi, la data del protesto, che fra l'altro presenta anche gli estremi della data certa, in quanto contenuta in un atto pubblico. La Direzione generale degli affari civili e delle libere professioni del Ministero di grazia e giustizia (con parere del 15 gennaio 1991, prot. 35/12 espresso all'ABI) ha dichiarato che gli interessi sulla somma portata dal titolo vanno calcolati dal giorno della presentazione, avendosi riguardo in primo luogo, sotto il profilo di ordine logico alla data in cui il trattario dichiara che sia avvenuta la presentazione per il pagamento. Qualora detta dichiarazione non sia stata emessa (ipotesi assai ricorrente nella pratica), dovrà farsi ricorso alla data in cui è stato elevato il protesto o in cui è stata effettuata la constatazione equivalente in sede di stanza di compensazione. Infatti, tali atti rispondono alle esigenze di certezza e formalità generalmente sottese dall'ordinamento agli atti di costituzione in mora (art. 1219 c.c.).
La conclusione, cui perviene la detta nota ministeriale, pare da condividersi. Essa, infatti, salva l'affermazione di principio, per cui la data della commissione dell'illecito e, quindi, della decorrenza degli interessi coincide con quella della presentazione per il pagamento, e risolve anche il caso pratico in cui detta data non sia accertabile, ritenendo che, in questo caso, possa farsi riferimento alla presentazione formale ai fini del protesto.
I soggetti legittimati a ricevere il c.d. pagamento tardivo sono individuati dal comma 2 dell'art. 8 l. n. 386 del 1990, il quale prevede che tale forma di pagamento può essere effettuata esclusivamente:
- nelle mani del portatore dell'assegno;
- presso lo stabilimento del trattario, attraverso l'accensione di un deposito vincolato al portatore del titolo;
- presso il pubblico ufficiale che ha levato il protesto o realizzato la constatazione equivalente.
La giurisprudenza, occupandosi della questione in esame, ha precisato che il legittimo portatore del titolo deve identificarsi con il legittimo detentore dell'assegno e non con il soggetto cartolarmente legittimato (sulla scorta di una serie continua di girate). Infatti il citato art. 8 pone riferimento al portatore del titolo, ma senza alcun richiamo all'art. 22 r.d. n. 1736 del 1933 (che, per l'appunto, ha riguardo a colui che è legittimato in virtù di una serie continua di girate), con la conseguenza che la quietanza liberatoria, con firma autenticata, deve essere rilasciata da detto legittimo detentore del titolo e non da quello la cui qualità risulti in modo cartolare (45).
Peraltro è stato puntualizzato che, in virtù del combinato disposto degli artt. 8 e 11 l. n. 386 del 1990, il portatore dell'assegno nelle cui mani può essere effettuato il pagamento non è soltanto colui che abbia presentato l'assegno, ma anche il prenditore originario del titolo o uno dei giratari che abbia subito l'azione di regresso (46).
In particolare la giurisprudenza più recente (47) ha sottolineato che, in materia di disciplina sanzionatoria degli assegni bancari, per portatore del titolo deve intendersi non solo colui che, in possesso dell'assegno, giustifica il suo diritto con una serie continua di girate, e, cioè, l'ultimo prenditore, ma anche ogni giratario, ivi compreso il primo prenditore, che, obbligato in via di regresso, abbia pagato l'assegno ricevendo in consegna il titolo. Infatti, ai sensi dell'art. 52 r.d. n. 1763 del 1933, il giratario «può esigere, contro pagamento, la consegna dell'assegno bancario col protesto o la constatazione equivalente ed il conto di ritorno quietanzato» ed è, quindi, evidente, che, a seguito di ciò, il giratario può rivolgersi al girante per chiedere a sua volta il pagamento del titolo e così via fino all'emittente.
Ulteriore riprova che il pagamento di cui all'art. 8 l. n. 386 del 1990 può essere fatto non solo all'ultimo prenditore, ma anche al giratario in possesso del titolo, la si ricava dall'art. 3 della stessa l. n. 386 del 1990, il quale prescrive che l'emittente è tenuto al pagamento di una penale pari al 10% della somma dovuta e non pagata a favore «del prenditore o del giratario che agisce nei suoi confronti per il pagamento del titolo» e che ribadisce così l'equiparazione tra l'ultimo prenditore del titolo ed i precedenti giratari sotto il profilo della legittimazione a richiedere il pagamento all'emittente.
Con riferimento al pagamento presso lo stabilimento trattario, la migliore dottrina ha spiegato che il pagamento deve essere eseguito allo sportello bancario su cui l'assegno è stato tratto, salvo il ricorso ad eventuali forme di giroconto interno, mentre residue perplessità in ordine all'esatta compilazione della quietanza sono state superate dalla circostanza che l'ultima parte del comma 3 dell'art. 8 in oggetto, riferendosi espressamente all'«attestazione della banca», sembra superare ogni rischio che la quietanza stessa non venga considerata idonea ai fini della prova dell'avvenuto pagamento.
Il richiamato deposito dovrà essere compiuto dall'emittente e non dal pubblico ufficiale al quale compete solo riceversi l'eventuale pagamento. Non si può, peraltro, escludere che ad esso provveda un terzo, ma solo se agisce nella qualità di mandatario dello stesso emittente.
L'emittente è tenuto ad indicare alla banca gli importi da versare, spettando il successivo giudizio di congruità del versamento al pubblico ufficiale che ha levato il protesto, ai fini della predisposizione dell'eventuale rapporto al Prefetto, nell'eventualità in cui il deposito non risulti adeguato.
Per quanto concerne il pagamento effettuato nelle mani del pubblico ufficiale che abbia levato il protesto, o che debba levarlo, sulla scorta delle previsioni generali bisogna dire che tale pubblico ufficiale si identifica nel segretario comunale, nell'ufficiale giudiziario o nel notaio, secondo il dettato dell'art. 60 r.d. n. 1736 del 1933.
Il pagamento deve essere effettuato con moneta avente corso legale, e non può essere soddisfatto - come già evidenziato - attraverso il rilascio di cambiali dell'importo corrispondente. A quest'ultimo riguardo la giurisprudenza ha rilevato che la consegna al creditore di effetti cambiari, in sostituzione della somma pecuniaria indicata nel titolo (artt. 1277 e 1992 c.c.) non integra la condizione dell'avvenuto pagamento, necessaria allo scopo della declaratoria di improcedibilità di cui all'art. 8 l. n. 386 del 1990. Infatti, ricorrendo tale ipotesi, non viene a configurarsi l'evento giuridico del pagamento del titolo secondo la definizione che di esso si desume dalle pertinenti norme di rango civilistico evocate da detta norma.
Al di là delle specificate modalità non si ritiene che siano ammissibili altre forme di pagamento, ragion per cui, ove si provveda in modo diverso, il pubblico ufficiale competente non è esonerato dall'obbligo del rapporto, essendo per lui vincolata la prova del pagamento stesso al fine di potersi ritenere esentato dal predetto obbligo.
Tuttavia è importante notare che la necessità del ricorso alla prova vincolata nella fase dell'accertamento della ritualità del c.d. pagamento tardivo non condiziona la decisione del Prefetto nel conseguente procedimento amministrativo sanzionatorio o del giudice di pace nell'eventuale successivo giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione, qualora essi ritengano comunque provato l'esatto e completo pagamento nel prescritto termine di sessanta giorni, ancorché avvenuto con formalità diverse rispetto a quelle previste dall'art. 8 l. n. 386 del 1990, come tale ugualmente idoneo ad impedire l'esercizio dell'azione sanzionatoria amministrativa ovvero - nella fase giudiziale - a comportare l'annullamento del provvedimento afflittivo irrogato.
È pacifica la dottrina sul fatto che solo l'elemento oggettivo del pagamento rileva, per cui è irrilevante ogni questione attinente alla mancanza di imputabilità del mancato pagamento e cioè la sua riferibilità a colpa o dolo dell'emittente (48).
La prova dell'avvenuto pagamento al pubblico ufficiale (al di là, ovviamente, dell'ipotesi in cui esso venga effettuato direttamente nelle sue mani) deve essere necessariamente fornita o attraverso la quietanza del portatore con firma autenticata ovvero - per il caso di pagamento a mezzo di deposito vincolato - mediante attestazione dell'azienda di credito comprovante il versamento dell'importo dovuto (49).
Si tratta, quindi, di prove vincolate (a forma tipizzata), ragion per cui l'inosservanza delle relative modalità non esime il pubblico ufficiale dall'obbligo di elevare e trasmettere rapporto al competente Prefetto.
In effetti la prova in oggetto, secondo le formalità tipicamente previste nell'art. 8 comma 3 l. n. 386 del 1990, rappresenta un elemento formale costitutivo della fattispecie complessa di sospensione dall'obbligo di rapporto per il pubblico ufficiale, durante i sessanta giorni dalla data di scadenza per la presentazione del titolo ovvero di esonero dallo stesso, allorquando, nello stesso termine, si sia verificato il pagamento. Infatti l'art. 8 bis, al comma 2, della legge citata sancisce che il pubblico ufficiale, che deve procedere alla levata del protesto od effettuare la constatazione equivalente, è tenuto a trasmettere al Prefetto il rapporto di accertamento solo se non è stato provveduto al pagamento nel termine contemplato dal precedente art. 8.
I riferiti principi erano già stati affermati dalla giurisprudenza penale nel vigore della pregressa disciplina normativa (ma con sicura adattabilità anche a quella attuale), la quale aveva, altresì, rilevato che occorreva distinguere l'improcedibilità dell'azione dall'esonero dell'obbligo di rapporto.
Ai fini dell'improcedibilità, invero, la prova può essere data nel procedimento amministrativo e nell'eventuale successivo giudizio di opposizione in sede giudiziale secondo le rispettive norme che regolano tali ambiti procedimentali.
Allo scopo dell'esonero dall'obbligo di rapporto, invece, la prova deve essere data dal pubblico ufficiale competente e nelle forme previste dal comma 3 del cit. art. 8 (50). Conseguentemente, ai fini della dichiarazione di improcedibilità in esame, è indispensabile che il pagamento dell'assegno e delle altre somme correlate avvenga nei termini indicati, ma non occorre che anche la prova dell'avvenuto pagamento venga formata entro lo stesso termine (51).
Con riferimento alla quietanza del portatore essa deve essere rilasciata necessariamente con l'apposizione di firma autenticata. Pertanto non ha efficacia liberatoria la semplice attestazione, da parte del prenditore, dell'avvenuto pagamento del titolo, ancorché risultante dall'assegno stesso.
La giurisprudenza (52) ha ritenuto che l'autenticazione della firma può essere effettuata da uno qualsiasi dei soggetti indicati nell'art. 39 disp. att. c.p.p., il quale sancisce che l'autenticazione di sottoscrizione di atti, per i quali il codice penale stabilisce detta formalità, può essere effettuata oltre che dal funzionario di cancelleria, dal notaio, dal difensore, dal sindaco, da un funzionario da questi delegato, dal segretario comunale, dal giudice militare, dal presidente del consiglio dell'ordine forense o da un suo delegato (53).
Al di là della necessità dell'autenticazione della sottoscrizione, il prenditore dell'assegno deve attestare, sul piano contenutistico ed in modo idoneo ed inequivoco, che il pagamento sia intervenuto con riferimento alle varie causali (importo del titolo, interessi, penale, spese di protesto o constatazione equivalente), non essendo, peraltro, indispensabile che sia specificato l'importo per ciascuna causale (54). È, invece, necessario che in detta attestazione, ove venga rilasciata successivamente al decorso dei sessanta giorni, sia precisata la data in cui il pagamento è avvenuto, che, allo scopo di essere giuridicamente rilevante in funzione dell'esclusione della condizione di procedibilità, deve essere tempestivo, e cioè avvenuto nei termini di cui all'art. 8 l. n. 386 del 1990 (55).
In sostanza, dunque, la prova dell'avvenuto pagamento idoneo ad escludere la procedibilità dell'azione sanzionatoria, secondo la disciplina individuata dalla l. n. 386 del 1990, è correlata al solo fatto del rilascio della quietanza del portatore con firma autenticata, senza che sia stato previsto che detta quietanza debba anche recare una data certa nell'ambito del termine previsto dall'art. 8 della legge citata. Conseguentemente è idonea, come prova, una quietanza con firma autenticata avente data certa successiva alla scadenza del termine, ma nella quale risulti attestato che il pagamento è avvenuto entro il predetto termine.
In merito alla falsità ideologica della quietanza autenticata, poiché l'emissione di assegno senza copertura non ha più rilevanza penale, il mendacio realizzato dal portatore, che falsamente dichiari di essere stato pagato sia per il capitale, che per gli interessi, le spese e la penale, nella loro complessità, non è più idoneo ad integrare il reato di favoreggiamento personale previsto dall'art. 378 c.p., come si riteneva nel sistema previgente. Piuttosto, nell'ordinamento attuale, si ritiene che tale fattispecie di falso potrebbe integrare gli estremi del reato di cui agli artt. 48-328 c.p., sempre a carico del portatore che ha rilasciato la falsa attestazione liberatoria, perché, inducendo in inganno il pubblico ufficiale, verrebbe a comportare la conseguenza dell'omissione del rapporto al Prefetto da parte dello stesso pubblico ufficiale.
Per quanto concerne l'attestazione della banca in ordine all'avvenuto deposito vincolato, occorre sottolineare che per essa non è prevista l'autenticazione, onde, avendo questa funzione certificativa, tale da essere opponibile al pubblico ufficiale e da esentare lo stesso pubblico ufficiale dall'inoltrare il rapporto, parte della dottrina rico nosce alla medesima la natura di atto pubblico e la funzione di pubblico ufficiale al soggetto che la rende. Detto pubblico ufficiale, perciò, certamente non riveste la qualità di pubblico ufficiale nel momento in cui riceve l'assegno senza provvista per il pagamento, ovvero lo inoltra per il protesto o lo riceve in restituzione successivamente al protesto: in questo caso, infatti, egli svolge un'attività bancaria di natura privata, nell'ambito della raccolta del risparmio e dell'esercizio del credito (56). Nel momento in cui, invece, l'operatore bancario rilascia l'attestazione dell'avvenuto deposito, egli viene a svolgere una funzione certificativa opponibile ai terzi, nella specie al pubblico ufficiale che ha levato il protesto, con funzione probatoria vincolante per quest'ultimo, che è esentato dall'obbligo del rapporto. Conseguentemente determinati indirizzi dottrinali ritengono che, qualora tale attestazione venga falsamente formata, si potranno integrare gli estremi del reato di falso (ideologico) in atto pubblico.
Una volta verificatesi le due condizioni stabilite dall'art. 8 l. n. 386 del 1990 (decorso del termine di sessanta giorni e mancato pagamento da parte dell'emittente), scatta a carico del pubblico ufficiale che ha levato il protesto l'obbligo di elevare rapporto di accertamento della violazione con la derivante trasmissione al Prefetto del luogo di pagamento dell'assegno.
A questo scopo non è necessario che il mancato pagamento risulti dal protesto o dalla constatazione equivalente, poiché la legge fa discendere l'obbligo del rapporto esclusivamente dalla circostanza dell'avvenuto decorso dei sessanta giorni e dell'omesso pagamento entro questo termine. In effetti il protesto si atteggia come un atto formale, il cui compimento costituisce un onere per il creditore, allo scopo principale di evitare la perdita dell'azione di regresso e, pertanto, esso si configura come un atto irrilevante al fine in discorso (dal momento che il rifiuto di pagamento per difetto di provvista può essere provato in maniera informale con qualsiasi mezzo).
Il rapporto (che la prevalente dottrina inserisce nella categoria degli «accertamenti valutativi») deve contenere essenzialmente (57) i seguenti elementi:
- le generalità ed ogni altro elemento utile riguardanti l'autore della violazione e la persona offesa;
- la rappresentazione, in modo sostanzialmente compiuto, del fatto illecito nei suoi connotati essenziali;
- la descrizione delle modalità di accertamento e delle fonti di prove acquisite.
Nel caso in cui l'assegno non sia stato protestato incombe all'istituto trattario l'obbligo di trasmettere un'apposita informativa al Prefetto del luogo di pagamento del titolo. A tal proposito è stato approntato uno schema base allegato alla circolare del Ministero dell'interno n. 80 del 20 novembre 2001, che ha consentito di semplificare certamente l'assolvimento dell'obbligo predetto. Con l'approvato modello di informativa si è raggiunto l'obiettivo tendenziale di standardizzare il quadro delle informazioni relative al traente di assegni emessi senza autorizzazione o senza provvista, di individuare l'elenco base dei documenti essenziali da accludere all'informativa medesima e, soprattutto, è stato possibile rendere omogenea tale attività sull'intero territorio nazionale, in modo da agevolare al massimo il compimento delle inerenti operazioni.
Occorre ricordare, infine, che ci si è domandato, da più parti, se il pubblico ufficiale, il notaio o l'istituto trattario debbano trasmettere anche l'originale dell'assegno al quale si riferisce la segnalazione, a cui non abbia fatto seguito il c.d. pagamento tardivo nei sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione. Si è risposto in merito che, mentre questo adempimento si poteva ritenere necessario precedentemente allorquando l'illecito assurgeva al rango di reato (58), attualmente, per effetto dell'intervenuta depenalizzazione, è possibile rimettere alla competente autorità prefettizia solo una copia autentica dell'assegno protestato, dovendo l'originale essere restituito al legittimo titolare dello stesso onde consentirgli l'esperimento delle conseguenti azioni civili per il recupero del credito ed il soddisfacimento di ogni altra eventuale collegata prestazione, anche di carattere risarcitorio (59).

Autore: Dott. Aldo Carrato, pubblicato in "Giur. merito", 2007, 3, 620

Note:

(1) Per un riferimento generale ai contenuti essenziali della inerente regolamentazione v. Ruggiero, Commento alle «Disposizioni penali» del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, in I titoli di credito, a cura di Laurini, Milano, 2003, 550-556; Franciosi, Struttura e funzioni della Centrale d'allarme interbancaria, in Banche e banc., 2002, 396 ss., nonché R. Razzante, La nuova disciplina sanzionatoria degli assegni senza provvista e senza autorizzazione, in Giur. it., 2002, V, 2209-2211; Segreto-Carrato, L'assegno, 2ª ed., Milano, 2001, spec. 623-627 e 715-727.

(2) Ma comunque penalizzante, soprattutto con riferimento ai soggetti appartenenti alle categorie produttive (vale a dire a quelle imprenditoriali e, in genere, commerciali).

(3) Perché essa svolge un ruolo repressivo nel momento in cui è chiamata a costituire la prima e più immediata reazione nell'ordinamento al mancato pagamento del titolo.

(4) Infatti la misura in questione è funzionale al contenimento del rischio potenziale di nuove trasgressioni inibendo ulteriori emissioni, ovvero neutralizzando temporaneamente i soggetti che abbiano utilizzato l'assegno in modo illecito, nell'attesa della successiva applicazione delle sanzioni prefettizie o penali.

(5) Che, sul piano pratico, non aveva realizzato i risultati auspicati sia in termini di coazione che di repressione, poiché non spiegava alcun effetto sugli altri rapporti bancari costituiti, mediante i quali, nella maggior parte dei casi, lo stesso soggetto revocato commetteva nuovi illeciti.

(6) Cfr., sul punto, circ. ABI prot. LG/SP/003554 del 24 maggio 2002. Quanto alla sua natura giuridica, la dottrina (v., ad es., Lattanzi-Lupo, Depenalizzazione, Milano, 2001, 205) ritiene giustamente che essa abbia la natura di sanzione civile, di tipo interdittivo, avente efficacia neutralizzatrice. Trattasi, quindi, di una sanzione civile che si affianca all'altra costituita dalla clausola penale. La nuova disciplina, mutuata dal sistema francese, ha inteso rafforzare non solo la funzione sanzionatrice dell'istituto, ma anche quella di prevenzione speciale, estendendo la stessa non solo all'ipotesi di emissione di assegno senza (sufficiente) provvista, ma anche a quella di emissione dello stesso in assenza di autorizzazione. Inoltre la revoca non si prospetta più come misura di interdizione bancaria correlata al solo istituto di credito con la quale è intercorsa la convenzione di chèque, a cui è relativo l'assegno in questione, ma si estende a qualsiasi altro rapporto dello stesso tipo, con altre banche ed uffici postali.

(7) Istituito presso la Banca d'Italia ai sensi dell'art. 36 dello stesso d.lg. n. 507 del 1999, con il quale è stato introdotto il nuovo art. 10 bis nel corpo della pregressa l. n. 386 del 1990. Nell'archivio in questione è, in effetti, rinvenibile una schedatura per soggetto ed oggetto idonea a consentire ad ogni banca ed ufficio postale di essere in grado di sapere in quale condizione si trovi il potenziale o effettivo cliente. In particolare, nell'archivio sono richiamati i dati relativi alle generalità di coloro che emettono assegni bancari o postali senza provvista od autorizzazione, gli elementi identificativi dei suddetti assegni, quelli degli assegni non restituiti alle banche ed agli uffici postali in seguito alla revoca dell'autorizzazione (in un'ottica preventiva), le sanzioni amministrative ed accessorie applicare per l'emissione di assegni privi di copertura od autorizzazione, le sanzioni penali irrogate per l'inosservanza degli obblighi posti a titolo di sanzione amministrativa accessoria, i dati identificativi degli assegni di cui sia stato denunciato il furto o lo smarrimento ed infine i dati riguardanti le carte di pagamento smarrite o rubate e le generalità dei titolari cui sia stata tolta l'autorizzazione di usarle.

(8) Secondo le modalità indicate nell'art. 13 d.m. n. 458 del 2001 e con gli accorgimenti previsti negli artt. 11 e 12 del regolamento della Banca d'Italia del 29 gennaio 2002.

(9) In sostanza, la notevole mole di dati che affluisce nell'archivio informatico centrale permette, attraverso la verifica in tempo reale di tutte le infrazioni commesse, ad ogni filiale di banca e ad ogni ufficio postale di revocare l'autorizzazione ad emettere assegni presso tutti gli istituti nei quali il traente che abbia violato le regole sia ancora titolare di conti correnti aperti e, così, di impedire ad ogni trattario di rilasciare agli stessi altri carnet di assegni.

(10) L'archivio informatico costituisce, dunque, lo strumento essenziale per l'operatività della revoca, la quale, infatti, viene a coincidere con il momento in cui avviene l'iscrizione del nominativo del traente nella banca dati; tale caratteristica dell'equivalenza e coincidenza tra l'iscrizione e la revoca di sistema è di portata notevole indubbia, poiché ha consentito di automatizzare in pieno le procedure evitando ogni dispendioso adempimento di natura cartacea: v. Baldi, La depenalizzazione dei reati di emissione illecita degli assegni bancari e postali - commento ai titoli V, VII ed VIII del d.lg. 30 dicembre 1999, n. 507, Milano, 2000, 93; cfr., altresì, Donato, Le linee generali della riforma: strategia normativa ed evoluzione del sistema bancario, in Il nuovo assegno bancario, Roma, 2003, 24.

(11) Anche la più recente giurisprudenza di merito ha ritenuto che la comunicazione del mancato pagamento di un assegno all'archivio C.A.I. della Banca d'Italia non presuppone la levata del protesto in quanto essa è del tutto autonoma ed indipendente da tale circostanza: cfr. Trib. Monza, sez. dist. Desio, 16 marzo 2004 (ord.), in Gius, 2004, n. 21, 3804 (solo massima). Nella specie il tribunale ha considerato corretto il comportamento della banca che aveva segnalato alla Banca d'Italia il mancato pagamento di un assegno nei sessanta giorni dalla data di scadenza, avendo ritenuto irrilevante una quietanza del creditore perché priva dell'autentica di firma, e solo in un secondo momento, dopo la comunicazione alla Banca d'Italia, era stata presentata la quietanza autenticata, fatto questo che aveva evitato la levata del protesto. Con lo stesso provvedimento il giudicante ha ritenuto criticabile il diverso orientamento espresso da altra giurisprudenza (v. Trib. Firenze 11 giugno 2003, di cui infra) secondo il quale l'iscrizione non potrebbe avvenire ogniqualvolta la pretesa del beneficiario sia venuta meno nei sessanta giorni, poiché tale interpretazione della legge arreca un vulnus ad un sistema che il legislatore ha voluto improntare a netto rigore: solo il completo rispetto della procedura riparatoria prevista dalla l. n. 386 del 1990, come modificata dal d.lg. n. 507 del 1999, e nei termini fissati, è idonea ad evitare l'iscrizione nella C.A.I.

(12) Alla luce dei dati complessivi da riportare, secondo l'elencazione contenuta nell'art. 10 bis cit. ed ora più dettagliatamente indicati nell'art. 2 d.m. n. 458 del 2001.

(13) Alla stregua del diritto di accesso previsto negli artt. 12 e 13 del cit. d.m. n. 458 del 2001.

(14) Ad avviso di un opinabile orientamento espresso in una recente pronuncia di merito (v. Trib. Catania, sez. dist. Paternò, 20 febbraio 2003 (ord.), in Giur. comm., 2004, II, 327, con nota di Ruggiero) il nominativo del traente di un assegno emesso in difetto di provvista non deve essere iscritto nell'archivio informatizzato della C.A.I., se - pur restando inadempiuto il debito relativo agli interessi, alla penale di cui all'art. 3 l. n. 386 del 1990, e alle spese per il protesto - il traente fornisce la prova di aver pagato l'importo dell'assegno nei sessanta giorni successivi alla scadenza del titolo, con la conseguenza che la banca trattaria, la quale ha illegittimamente trasmesso il nominativo del traente al predetto archivio, è tenuta a revocare la segnalazione. Tale indirizzo si poggia sulla considerazione che il pagamento degli accessori atterrebbe solo ai rapporti privatistici tra traente e prenditore restando estraneo rispetto all'iscrizione nell'archivio previsto dall'art. 10 bis citato.

(15) Secondo parte della giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Firenze 11 giugno 2003 (ord.), in Banca, borsa e tit., 2003, 752, con nota critica di A.S. Alibrandi, Illegittima iscrizione nella Centrale d'allarme interbancaria, revoca di sistema e tutela cautelare) l'iscrizione nella C.A.I. non va effettuata, non solo nella specifica ipotesi di pagamento, ai sensi dell'art. 8 l. 15 dicembre 1990, n. 386, ma anche in tutti gli altri casi in cui, per qualsiasi ragione, entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo, venga meno la pretesa di pagamento ad esso sottesa: rientra in tale ipotesi il caso in cui il portatore e beneficiario del titolo ha revocato alla banca negoziatrice l'ordine di procedere all'incasso del medesimo. La dottrina (v. Alibrandi, in nota cit.), peraltro, ha correttamente rilevato, sul punto, che il «richiamo» dell'assegno non può essere reputato in sé equivalente al pagamento tardivo (v., con riferimento alla pregressa disciplina, C. cost. 29 aprile 1993, n. 203), posto che - pur volendosi immaginare adempiuta con altre modalità la pretesa creditoria del beneficiario del titolo richiamato, nonché prova idonea di tale adempimento la semplice esibizione del titolo alla banca trattaria da parte del traente - rimarrebbe comunque inosservata la previsione ex art. 8 in discorso del necessario pagamento di penale, interessi ed eventuali spese. Lo stesso orientamento teorico aggiunge che ad un risultato diverso neppure si potrebbe giungere anche a voler leggere dietro al richiamo dell'assegno, anziché il pagamento del beneficiario del titolo eseguito con altre modalità, il venir meno della pretesa di quest'ultimo per effetto di un'avvenuta remissione del debito o del verificarsi di un modo di estinzione dell'obbligazione diverso dall'adempimento; e, quindi, a voler configurare il «richiamo» dell'assegno, anziché come equipollente del pagamento tar divo, alla stregua di una revoca della presentazione, idonea ad impedire che si verifichi il mancato pagamento del titolo, senza il quale l'illecito in parola non si completa e, dunque, non raggiunge la sua rilevanza. Sul punto v., anche, Trib. Modena 21 gennaio 2003 (ord.), in Mondo banc., 2003, n. 5, 73, con nota di Siclari.

(16) È risaputo che la mancanza di autorizzazione può dipendere sia dall'inesistenza ab origine di una convenzione di chèque, che dall'emissione dell'assegno in epoca successiva alla revoca della stessa, purché resa nota al traente; invero l'illecito in questione si perfeziona con la semplice emissione del titolo, da intendersi come la consegna del medesimo al prenditore, senza che necessiti a tal fine la presentazione in tempo utile. Per un esempio in proposito v. Giud. pace Torino 29 marzo 2002 (con nota di Carosso, Emissione di assegni in assenza di autorizzazione alla luce delle disposizioni introdotte dal d.lg. n. 507 del 1999), in Giur. piem., 2002, 316, con la quale si è affermata l'insussistenza dell'illecito di emissione di assegno senza autorizzazione con riguardo ad un assegno post-datato, in quanto dopo il rilascio dello stesso era intervenuta revoca della convenzione di chèque. È stata, invece, ritenuta legittima la segnalazione alla CAI in caso di assegno emesso senza autorizzazione, anche se sia provato che esso era stato consegnato con la data in bianco, e che è stata indicata una data in violazione dei patti contrattuali tra emittente e prenditore (v. Trib. Reggio Calabria 18 febbraio 2004 - ord., (in Riv. edit. Elettronica on line 2004 - Giuffrè).

(17) La più recente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Bari 22 marzo 2006 (ord.), in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 1009 ss., con nota di Palmentola) ha affermato che, nell'ipotesi di emissione di assegno senza autorizzazione, la segnalazione alla CAI deve essere effettuata dalla banca trattaria entro il ventesimo giorno dalla presentazione del titolo difettante della prescritta autorizzazione, senza subordinarla a particolari condizioni e senza prevedere esenzioni di sorta, con la conseguenza che, in mancanza di un'espressa autorizzazione, la segnalazione effettuata dalla banca integra non solo un atto legittimo, ma anche dovuto.

(18) Conseguentemente non possono dar luogo ad iscrizione, e quindi a revoca, i rifiuti di pagamento dovuti a cause diverse dalla mancanza di autorizzazione o dal difetto di provvista, quali, ad esempio, quelle riconducibili ad irregolarità dell'assegno per mancanza di alcuno dei requisiti esenziali di cui ai nn. 1, 2, 3 e 5 r.d. n. 1736 del 1933.

(19) Cioè effettuato dal traente o da un terzo nelle mani del pubblico ufficiale che avrebbe dovuto levare il protesto, con riferimento alla sola somma portata dall'assegno, senza interessi, penale e spese, come, invece, previsto dall'art. 8.

(20) Cfr. Segreto-Carrato, L'assegno, cit., 719. Invero, nonostante l'attenuazione del rigore sanzionatorio, il bene giuridico tutelato rimane anche l'interesse generale alla soddisfazione dell'assegno, o, in altri termini, la fiducia degli operatori economici nell'idoneità di quest'ultimo a fungere incondizionatamente da mezzo di pagamento. Proprio in quest'ultima prospettiva, anzi, ci si spiega meglio perché il legislatore non si accontenti, per rendere improce dibile l'azione amministrativa, come pure per impedire la segnalazione alla CAI, del solo pagamento tardivo della somma nominale dell'obbligazione cartolare, bensì richieda la dazione, oltre che degli interessi e delle eventuali spese per la levata del protesto o per dichiarazione equivalente, di una somma, a titolo di penale, pari al 10% dell'importo dovuto. In effetti, il mero pagamento della somma facciale portata dall'assegno potrebbe sì valere a ripristinare gli interessi patrimoniali privati, ma non anche a tutelare l'affidamento che la collettività pone nell'assegno bancario come mezzo di pagamento, risultando, in ultima analisi, insufficiente a disincentivare l'uso dell'assegno come strumento di credito e a tutelare l'efficienza del sistema dei pagamenti.

(21) È rilevante evidenziare che - ad avviso della più acuta e recente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Roma 7 luglio 2003 (ord.), in questa Rivista, 2004, 374, con riguardo alla fattispecie in cui la ricorrente lamentava l'erronea iscrizione del suo nome nell'archivio della CAI a seguito di comunicazione di Poste Italiane s.p.a. dopo l'infruttuosa presentazione al pagamento di una assegno) - sussiste la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria sulla controversia riguardante la gestione della CAI, in quanto tale tipo di controversia non riguarda i protagonisti del rapporto pubblicistico afferente al servizio pubblico, cioè la Banca d'Italia e la società che per effetto di un provvedimento di concessione gestisce l'archivio, ma tra il ricorrente, la Banca d'Italia, in qualità di titolare dell'archivio, e l'ente che ha effettuato la comunicazione.

(22) E a questa eventualità si sono riferite le prime pronunce giurisprudenziali di merito che si sono occupate della materia in questione. Per l'illustrazione della praticabilità di tale rimedio, in dottrina, cfr. Fauceglia, Archivio informatizzato di assegni bancari e postali irregolari, in Dir. fall., 2002, I, 1069 ss., nonché Carrato, La nuova disciplina dell'assegno bancario: profili civilistici (d.lg. 30 dicembre 1999, n. 507), ivi, 2000, 1042 ss. In via alternativa, la correlazione della revoca di sistema con l'iscrizione in archivio, legittima la proposizione del ricorso al garante per la protezione dei dati personali ai sensi dell'art. 29 l. 31 dicembre 1996, n. 675 e succ. mod. (v. ora artt. 141 ss. d.lg. 30 giugno 2003, n. 196).

(23) Trib. Reggio Calabria 18 febbraio 2004 (ord.), cit., ha ritenuto che, nel caso di ricorso cautelare d'urgenza strumentalmente collegato all'azione di merito di risarcimento danni da illegittima segnalazione alla CAI, può aversi riguardo, ai fini della determinazione della competenza per territorio, anche al luogo in cui ha sede l'azienda (o residenza il soggetto) che si dichiara parte danneggiata. Con la stessa pronuncia si è ravvisata l'ammissibilità della domanda cautelare volta ad ottenere la condanna della banca a rettificare l'illegittima segnalazione fatta alla CAI, anche se si tratta di fare infungibile.

(24) Per un panorama generale in proposito v. Profeta, La tutela cautelare avverso l'iscrizione nella Centrale d'allarme interbancaria: una rassegna di giurisprudenza, in Banca, borsa e tit. credito, 2005, II, 459-474.

(25) Costituisce ormai un dato acquisito che la Banca d'Italia è priva di legittimazione passiva nel procedimento ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere la sospensione dell'iscrizione nella C.A.I., in quanto le attività di inserimento, aggiornamento e cancellazione dei dati sono effettuate per via telematica esclusivamente dalle banche e dagli uffici postali e in ragione del fatto che la Banca d'Italia si limita ad esercitare l'attività di gestione dell'archivio, peraltro delegata, in regime di concessione, alla SIA s.p.a., con conservazione di una mera attività di vigilanza su quest'ultima società: cfr., in proposito, tra le più recenti, Trib. Modica 7 febbraio 2006 (ord.); Trib. Roma 23 marzo 2006 (ord.), e Trib. Trani, sez. dist. Di Ruvo di Puglia, 18 aprile 2006 (ord.). In concreto la Banca d'Italia, e per essa la società concessionaria che gestisce l'archivio, si limita a verificare la mera completezza formale delle segnalazioni e a diffondere i relativi dati al sistema, essendole sottratta ogni valutazione in merito al contenuto ed ai presupposti delle segnalazioni pervenute. Pertanto, la mancanza di discrezionalità nella gestione dei dati conferiti all'archivio consente di escludere in radice il coinvolgimento del titolare, e in sua vece del responsabile della C.A.I., nelle contestazioni concernenti le segnalazioni inviate all'archivio dai trattari.

(26) In tal caso il pregiudizio irreparabile verrebbe a coincidere con l'insieme dei riflessi negativi che, in seguito alla violazione insita nell'invio di una segnalazione erronea, si producono sulla sfera economica del soggetto leso. Non si può, peraltro, trascurare che l'illegittima iscrizione nell'archivio informatico centrale implica anche una lesione apprezzabile dei diritti della personalità da parte del soggetto che ne viene colpito in relazione all'incidenza negativa che tale condotta è idonea a provocare sulla reputazione dello stesso soggetto destinatario, in relazione a quelli che sono i principi generali individuati dalla giurisprudenza anche in tema di levata di protesto illegittimo.

(27) E ciò in base ad un principio di effettiva iscrivibilità del traente: cfr. circ. ABI del 24 maggio 2002, cit., la quale specifica che la previsione in esame si profila di particolare rilievo per alcuni casi di emissione di assegno in difetto di autorizzazione, in cui, pur essendo possibile effettuare la levata del protesto a nome del soggetto che ha firmato l'assegno, la banca, tuttavia, non si trovi nella disponibilità dei dati identificativi dello stesso indispensabili per procedere all'iscrizione in archivio.

(28) In particolare, la precedente revoca aziendale veniva comunicata al traente con lettera raccomandata o telegramma con avviso di ricevimento entro venti giorni dal protesto o dalla constatazione equivalente e a questa comunicazione era ricollegata una responsabilità oggettiva a carico della banca che avesse effettuato la comunicazione decorso il predetto termine. Infatti, era stabilito che la stessa fosse obbligata al pagamento degli assegni nel frattempo emessi, anche se con il limite di dieci milioni di lire per ogni titolo, obbligo che la dottrina prevalente riteneva sussistere non solo in ordine al traente, ma anche al mero portatore del titolo. Al cliente l'autorizzazione poteva essere riconcessa quando fossero decorsi tre mesi dalla revoca, che aumentavano a sei se gli importi fossero stati superiori ai venti milioni, con la previsione che - anche in questo caso - un errore della banca, che avesse importato un rinnovo prematuro dell'autorizzazione, obbligava l'istituto trattario ad accollarsi l'importo dei titoli scoperti, sempre nel limite massimo di dieci milioni di lire per ciascun titolo.

(29) Dalle circolari della Banca d'Italia si evince che il preavviso di revoca deve essere adeguatamente circostanziato, comunicando, in particolare, al traente che il solo pagamento dell'importo facciale del titolo non è idoneo ad evitare l'iscrizione in C.A.I. in mancanza del pagamento degli ulteriori oneri accessori previsti dalle vigenti disposizioni.

(30) Questa puntualizzazione è riconfermata dalla circ. del Ministero della giustizia n. 593 del 23 aprile 2002: cfr. punto 3, ult. cpv.

(31) Sul punto si rimanda ai contenuti dell'art. 6 commi 1 e 2 Regolamento della Banca d'Italia adottato il 29 gennaio 2002, con le relative precisazioni e i necessari chiarimenti diramati dall'ABI (cfr., da ultimo, quelle inserite nella circolare ABI n. 25 del 13 giugno 2006).

(32) Pertanto, nell'attuale regime normativo, con l'attivazione dell'archivio centralizzato, tutti gli istituti bancari e postali vengono a trovarsi nella condizione, in virtù dell'aggiornamento permanente della banca dati, di avere cognizione della segnalazione nominativa in capo ai singoli traenti per l'irregolare emissione di assegni senza autorizzazione e senza provvista e, pertanto, sono in grado di provvedere alla revoca di qualsiasi autorizzazione ed è con l'iscrizione nell'archivio - come precisato - che viene a determinarsi «ex lege» l'effetto della revoca ad emettere assegni (con il conseguente divieto per banche ed uffici postali di stipulare nuove convenzioni di assegni per periodo di sei mesi e di pagare gli assegni emessi nel periodo di interdizione, ancorché nei limiti della provvista).

(33) Che sono posti, in virtù della possibilità di consultare l'archivio, nella condizione di conoscere la circostanza dell'intervenuta interdizione temporanea: v. art. 13 d.m. n. 458 del 2001.

(34) Come, ad es., all'obbligo di somministrare al cliente i moduli da usare per la traenza, configurandosi al contrario - come si preciserà successivamente nel testo del commento - l'insorgenza di una responsabilità della banca nel caso in cui non rimanga sospeso tale obbligo.

(35) La stessa relazione di accompagnamento al d.lg. n. 507 del 1999 ha ritenuto che la riferita previsione conservava, anche di fronte alla modificata natura dell'illecito (degradato da penale in amministrativo), la positiva funzione di incentivare il pagamento del titolo, elidendo nel contempo la possibilità che, per fatti di lieve entità, potesse scattare la revoca generale delle autorizzazioni ad emettere assegni bancari e postali.

(36) In questi termini si era pronunciata, peraltro, anche la pregressa giurisprudenza di legittimità: cfr., ad es., Cass. pen. 17 giugno 1992, n. 7030. La riportata interpretazione, del resto, si pone in sintonia con quanto già ritenuto sul punto - ancorché sotto il vigore del pregresso regime normativo - dal Ministero della giustizia, con una nota di risposta della Direzione generale degli affari civili e delle libere professioni ad un quesito formulato dal Consiglio nazionale del notariato in data 21 marzo 1991, con la quale fu rilevato che le rispettive date di scadenza della presentazione del titolo fossero agevolmente individuabili in via generale proprio sulla scorta di quanto disposto dall'art. 32 r.d. n. 1736 del 1933 (rimasto immutato), con la conseguenza che la presentazione del titolo prima delle scadenza nella norma da ultimo richiamata non poteva essere considerata idonea a determinare, immediatamente, l'avvio del decorso dei sessanta giorni concessi al traente per evitare che venisse presentata, nel pregresso sistema, la relativa denuncia all'A.G. competente, ora trasformatasi nel rapporto di violazione da indirizzare al Prefetto territorialmente competente.

(37) Cfr. Cass. pen. 2 dicembre 1994, n. 12183, con riferimento all'ipotesi in cui il documento prodotto non attestava la data del versamento di quanto dovuto, ma solo la sua antecedenza rispetto alla redazione della scrittura, successiva alla scadenza del termine di legge.

(38) La giurisprudenza più recente ha rilevato che, qualora la quietanza o «archiviazione solutoria» sia prodotta in fotocopia, essa deve contenere, oltre all'attestazione dell'autenticità della firma, anche l'attestazione di conformità all'originale da parte del pubblico ufficiale competente, poiché, in difetto, perde ogni valore giuridico dal punto di vista processuale per violazione della forma prescritta: cfr. Giud. pace Benevento 21 novembre 2002, cit.

(39) Come ritenuto anche dal Consiglio nazionale del notariato (con nota del 22 gennaio 1991, prot. RB/amc).

(40) Cfr. già Cass. pen. 17 gennaio 1995, n. 3202, Gennaro, che aveva, peraltro, puntualizzato - con riferimento alla fattispecie in cui lo stesso soggetto era contestualmente emittente e giratario-beneficiario del titolo - che non è richiesto anche il pagamento degli interessi, della penale e delle spese del protesto, oltre quello del titolo, quando il traente e il prenditore si identifichino nella stessa persona, sul presupposto, oltretutto, che, anche in tal caso, è configurabile comunque l'illecito di emissione di assegno senza provvista; cfr., anche, Cass. pen. 4 marzo 1994, Carnevale. Cfr., nella giurisprudenza attuale, Trib. Modena 24 gennaio 2003, in Banca, borsa e tit. cred., 2005, II, 448 ss., con nota cit. di Profeta, nella quale - a p. 472 - si afferma che, alla luce del nuovo sistema, non sembra ipotizzabile né che l'emissione di assegni senza provvista possa essere sanata con la corresponsione del mero importo facciale del titolo, né che un pagamento di questo tipo, non comprensivo della penale e degli altri accessori, possa conseguire l'effetto di impedire l'applicazione nei confronti del traente della misura di dissuasione più efficace introdotta dal legislatore in sostituzione delle sanzioni penali. Ne discende, pertanto, che il mancato pagamento tardivo del titolo, completo degli interessi, della penale e delle eventuali spese di protesto, costituisce il necessario presupposto sia dell'avvio del procedimento sanzionatorio amministrativo, sia dell'iscrizione all'archivio C.A.I. e della conseguente revoca di sistema del responsabile dell'illecito; parimenti, a contrario, deve ritenersi che il mero pagamento dell'importo facciale del titolo non valga ad escludere l'iscrizione nella C.A.I. e la conseguente revoca di ogni autorizzazione ad emettere assegni rilasciata da qualunque banca o ufficio postale, come non esclude, d'altronde, l'avvio del procedimento sanzionatorio amministrativo.

(41) In dottrina (v. Profeta, op. cit., 472 s.) si ritiene che l'unica ipotesi in cui risulta possibile «richiamare» l'assegno senza provvista al fine di non incorrere nell'illecito (e, quindi, evitare l'iscrizione in archivio) è quella in cui il «richiamo» intervenga prima della presentazione al pagamento del titolo, quando cioè l'illecito non si è ancora perfezionato. Dopo la presentazione, invece, l'unico strumento dettato per evitare l'iscrizione in archivio e l'avvio del procedimento sanzionatorio amministrativo è quello tipizzato dal legislatore del «pagamento tardivo», da eseguirsi entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione, con un pagamento necessariamente comprensivo degli accessori, come previsto dall'art. 8 l. n. 386 del 1990.

(42) Espresso sulla base di altra nota dalla Direzione generale degli affari civili e delle libere professioni del Ministero della giustizia in data 15 gennaio 1991, in risposta ad un quesito proposto in merito dall'ABI.

(43) Ma non sotto il profilo, ovviamente, della sussistenza dell'illecito amministrativo così come ridisegnato dalla legge di riforma, che non può ancora ritenersi integrato in tale momento (essendo consentito il ricorso al pagamento del titolo, oltre che delle altre voci, entro i 60 giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo stesso previsto in via generale).

(44) Tale tesi è decisamente da condividere anche a seguito della depenalizzazione dell'illecito, sul rilievo che non vi sarebbe motivo, in caso si ritenesse la rinunciabilità, di limitarla esclusivamente alla penale, ben potendo, in applicazione degli stessi principi civilistici, estenderla anche al capitale, interessi e spese. Sennonché, in questo caso, il promovimento dell'azione sanzionatrice sarebbe condizionato al mero arbitrio del privato prenditore, mentre il legislatore non ha voluto ciò, continuando a ritenere che l'illecito in questione fosse sanzionabile su iniziativa di ufficio. Deve, pertanto, escludersi rilevanza alla eventuale rinunzia alla penale, ai fini della condizione di procedibilità in questione (Cass. pen. 21 ottobre 1999, Gagliano; Carrato, Il procedimento amministrativo sanzionatorio conseguente all'intervenuta depenalizzazione in materia di assegni, cit., 333).

(45) Cfr. Cass. pen. 27 gennaio 1994, n. 988.

(46) Cfr. Cass. pen. 21 dicembre 1993; Cass. pen. 25 maggio 1995, n. 6086 e Cass. pen. 5 aprile 1995, n. 308.

(47) Ancorché con riferimento al quadro normativo antecedente di rilevanza penalistica: cfr. Cass. pen. 11 dicembre 1997, n. 1478, Di Rosa.

(48) Va ricordato - come già segnalato - che la C. cost. con sentenza n. 3 del 1992, cit., ha ritenuto che è infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 (nella precedente originaria formulazione) nella parte in cui non esclude la procedibilità nei confronti dell'imputato, fallito successivamente all'emissione dell'assegno a vuoto, che si trova a causa del fallimento nell'impossibilità di pagare la somma di cui all'art. 8 e quindi di determinare l'improcedibilità del reato, pur senza sua colpa, in quanto ciò rientra nella discrezionalità delle scelte legislative. Il principio, per quanto affermato allorché l'illecito dell'emissione di assegno senza provvista aveva rilevanza penale, conserva, a maggior ragione, tutta la sua validità a seguito dell'avvenuta depenalizzazione dell'illecito in questione.

(49) La giurisprudenza di merito più recente ha stabilito che, al fine di evitare l'iscrizione in Archivio, compete al traente l'onere della prova del rispetto della procedura e dei termini previsti per il pagamento tardivo (cfr. Trib. Lucca 17 maggio 2006 (ord.); è stato, poi, in particolare, evidenziato, sempre dalla giurisprudenza di merito (v. Trib. Trani, sez. dist. di Ruvo di Puglia, 18 aprile 2006, (ord.) cit.) che «le condizioni di validità della prova in questione, disciplinate dalla legge, non sono soddisfatte nell'ipotesi in cui l'ultimo giorno utile il debitore presenti una quietanza con l'indicazione di un numero di assegno diverso da quello oggetto del mancato pagamento e solo successivamente alla scadenza del termine di cui all'art. 8 della l. n. 386 del 1990 presenti una quietanza corretta».

(50) Cfr., ad es., con riferimento al precedente sistema, Cass. pen. 17 febbraio 1995, n. 1615.

(51) V. già Cass. pen. 10 dicembre 1992, n. 11750.

(52) V. Cass. pen. 21 marzo 1994, n. 3418.

(53) V., anche, Cass. pen. 4 febbraio 1994. Durante, la quale ribadisce che l'art. 39 disp. att. c.p.p. deve intendersi richiamato dalla l. n. 386 del 1990, laddove stabilisce, per l'appunto, che la prova dell'avvenuto pagamento deve essere fornita con la quietanza recante la sottoscrizione autenticata.

(54) V., ad es., Cass. pen. 18 aprile 1994, Fiderio.

(55) V., tra le tante, nel previgente sistema sanzionatorio penale, Cass. pen. 2 dicembre 1994, n. 12183.

(56) Cfr. Cass. pen. 16 gennaio 1991, n. 396.

(57) Sulla falsariga della conformazione della denuncia contemplata dall'art. 332 c.p.p. e per soddisfare l'esigenza di completezza necessaria in vista dello sviluppo del procedimento sanzionatorio amministrativo.

(58) Dal momento che l'originale, costituendo corpo dell'illecito penale, o - in ogni caso - «cosa pertinente al reato», a norma dell'art. 253 c.p.c., era sottoponibile a sequestro probatorio penale.

(59) Del resto, nello schema di informativa da trasmettere al Prefetto individuato per gli istituti trattari, è indicato che si può allegare la fotocopia dell'assegno in questione, apponendo sulla stessa la dicitura «copia conforme all'originale reso alla banca negoziatrice», seguita dalla data, dal timbro della filiale e dalla sigla dell'operatore.