Doppia tutela per l'investitore:
intermediario ed onere
della prova
Sulla scia della Suprema Corte, con la ormai nota sentenza
31 marzo/29 settembre 2005, i giudici di merito si stanno orientando nel senso
che la violazione degli obblighi informativi e della valutazione di adeguatezza
in un investimento finanziario comporti la responsabilità contrattuale della
banca negoziatrice e la condanna di quest'ultima al risarcimento del danno
patrimoniale cagionato all'investitore.
Sembra pertanto ormai abbandonata
la tesi della cd. "nullità virtuale", ovvero quella, non stabilita espressamente
da alcuna norma di legge, conseguente alla violazione delle norme imperative
contenute nella normativa di settore.
Gli obblighi imperativi di
condotta imposti dal Legislatore del DLgs
58/1998
(cd. Tu dell'Intermediazione
Finanziaria, TUIF) e dalla Consob con le norme precettive di cui al Regolamento
n. 11522/98
, assurgono così al rango di vera e propria prestazione, tanto quanto
quella, meramente esecutiva, dell'acquisto e della vendita di uno strumento
finanziario per conto dell'investitore.
La corretta prestazione, dunque,
da parte dell'intermediario, complessivamente considerata, non si esaurisce
nella materiale esecuzione dell'ordine conferito dal cliente, ma si arricchisce
di aspetti informativi e valutativi, che precedono il momento esecutivo del
rapporto e supportano l'investitore nella consapevole scelta
dell'investimento.
La tutela dell'investitore diventa, in poche parole,
la prestazione, la sua violazione concretando così inadempimento.
E
diversamente non potrebbe essere, posto che l'investitore - consumatore,
operatore non qualificato, non dispone normalmente di conoscenze ed esperienza
sufficienti a consentirgli una scelta conveniente e ponderata.
Si
assottiglia, conseguentemente, il limite discretivo fra prestazione di mera
negoziazione e prestazione di consulenza: è pur vero, come sostengono gli
intermediari nelle proprie difese, che il servizio di negoziazione non comporta
sic e simpliciter anche quello di consulenza, ma è inequivoco che gli oneri
normativi vigenti impongono un comportamento che, se non si estrinseca in vera e
propria consulenza, vi si avvicina molto, laddove richiedono una informazione
specifica sull'investimento prescelto e un'assistenza trasparente del cliente
alla luce delle rispettive conoscenze al momento del conferimento
dell'ordine.
L'esigenza di eliminare le asimmetrie informative tra banca
e cliente comporta addirittura un vero e proprio obbligo di consulenza laddove
l'investimento non appaia adeguato rispetto alla tipologia di investitore: la
banca intermediaria deve consigliare, rectius sconsigliare, l'investitore
fornendogli le specifiche e dettagliate informazioni in suo possesso che
giustificano la valutazione di inadeguatezza.
Tanto discende anzitutto
dall'articolo 21 Tuif, norma manifesto delle regole di condotta
dell'intermediario nella prestazione di un servizio di investimento. Ma è anche
quanto emerge dalla giurisprudenza di merito ormai unanime.
Il Tribunale di Lecce, Sezione II Civile, con sentenza 1105/06
, ha
accolto pienamente il principio e condannato la banca intermediaria al
risarcimento del danno cagionato ad un'investitrice dall'aver acquistato, senza
la dovuta assistenza informativa, obbligazioni Cirio rimaste inadempiute alla
scadenza.
A tali conclusioni il Tribunale è giunto considerando che, già
all'epoca del conferimento dell'ordine di acquisto da parte dell'attrice, la
banca negoziatrice era in possesso di conoscenze tali da permettere una
valutazione di elevata rischiosità dell'investimento e, conseguentemente, di
inadeguatezza dello stesso rispetto alla cliente.
La mancanza di rating
da parte di agenzie specializzate, le "gravi distonie" e i "notevoli squilibri
di natura finanziaria" rilevabili sin dal bilancio della società capogruppo
dell'anno 1999, la destinazione originaria delle obbligazioni ad investitori
qualificati avrebbero dovuto costituire un campanello d'allarme per la banca
negoziatrice già al tempo della sottoscrizione dell'ordine di acquisto. Essi
dovevano essere anzitutto comunicati all'investitrice, in assolvimento degli
obblighi informativi, nonché addotti come causa di inadeguatezza
dell'investimento alla luce dell'ingente capitale investito e della scarsa
propensione al rischio dell'investitrice (che, nel caso di specie, era una
vedova in avanzata età, la cui unica fonte di reddito era la pensione di
reversibilità del defunto marito).
Ma la sentenza in commento è andata ben oltre la
consacrazione degli obblighi informativi: essa ha tratto dall'onere probatorio
di cui all'articolo 23, comma 6, Tuif l'obbligo per l'intermediario di fornire
siffatte informazioni per iscritto sull'ordine di acquisto, e specificamente
all'interno della clausola che avverte l'investitore dell'inadeguatezza
dell'operazione con riferimento alle informazioni acquisite dal cliente ex articolo
28, comma 1, lettera b), Reg. Consob n. 11522
.
Il
Tribunale ha infatti ritenuto generico tale avvertimento laddove non specifichi
il motivo per cui l'operazione vada valutata come inadeguata, ed ha ritenuto
tale genericità inidonea a consentire all'investitore di decidere
consapevolmente se rinunciarvi o meno.
Conseguentemente, ha considerato
violati gli obblighi informativi e consulenziali (nell'accezione anzidetta)
sulla base della documentazione acquisita, non ritenendo liberatoria per la
banca la prova di aver fornito verbalmente le informazioni richieste. Sono state
infatti rigettate tutte le richieste istruttorie orali delle parti, sull'assunto
che "i dati cartacei esibiti agli atti consentono, comunque, di pervenire ad una
valutazione sulla natura degli strumenti finanziari oggetto del presente
giudizio nonché sulle modalità seguite per la loro cessione
all'attrice".
La tutela dell'investitore dunque
si rafforza: il combinato disposto degli articoli 21 e 23, comma 6, Tuif e 29 Reg.
Consob n. 11522
genera,
nell'interpretazione data dal Tribunale, un obbligo di informazione specifica
scritta, non bastando all'uopo (parrebbe leggere fra le righe della sentenza) le
avvertenze verbali del funzionario proponente.
La decisione in commento
merita, poi, adesione anche per l'interpretazione ormai costante e qui ribadita
del rifiuto da parte dell'investitore di compilare il questionario previsto
dall'articolo 28, comma 1, lettera b), Reg. Consob citato.
Tale ipotesi
non genera in capo alla banca l'esonero dal valutare l'adeguatezza
dell'investimento sol perché essa non disponga di informazioni sulla situazione
finanziaria, sulla competenza e sulla propensione al rischio
dell'investitore.
Tutt'altro: il Tribunale giunge addirittura ad interpretare
l'articolo 29 Reg.
Consob
nel senso che l'intermediario finanziario
debba astenersi dal compiere per conto dell'investitore operazioni ritenute non
adeguate rispetto ad ogni altra informazione disponibile "anche diversa da
quella fornita ex articolo 28 Reg. cit. dai clienti", con ciò probabilmente
dando prevalenza alle informazioni in concreto disponibili su età, pregressa
operatività e disponibilità finanziarie del cliente, a prescindere da quanto
eventualmente dichiarato nella scheda compilata ex articolo 28.
La
sottile osservazione non può che essere condivisa. Molto spesso l'investitore è
indotto, per riservatezza, confusione o semplicemente non conoscenza, a rendere
dichiarazioni sulla propria situazione finanziaria e sulla propria propensione
al rischio differenti da quelle reali. La valutazione di tali dichiarazioni da
parte del bonus argentarius, pertanto, deve essere suffragata da quanto in
concreto egli sappia del suo interlocutore.
Infine, in tema di prova del
danno si segnala che il Tribunale nulla ha osservato sulla definitività del
danno patrimoniale subito, diversamente da altri orientamenti più rigorosi che
considerano motivo di difetto di interesse ad agire per l'attore l'esistenza di
una procedura concorsuale che potrebbe, in un futuro allo stato non
determinabile ed in base ad una previsione certamente solo ottimistica,
chiudersi col rimborso in favore degli obbligazionisti.
Sul punto, la
sentenza si è limitata giustamente a statuire che il danno subito
dall'investitore corrisponde alla perdita del capitale investito, che "infatti
al momento della scadenza naturale del titolo e della presente decisione non è
stato restituito". La prova del danno è dunque in re ipsa nell'inadempimento da
parte dell'emittente; non può costituire oggetto del contendere la circostanza
che altri strumenti e procedure, attivati da soggetti estranei al rapporto e
come tali non nella disponibilità e nel controllo dell'investitore danneggiato,
possano modificare, in un tempo successivo alla naturale scadenza del prestito,
il valore commerciale del titolo.
Ma anche a tal proposito vi è di più:
il Tribunale di Lecce è giunto a riconoscere, oltre al danno emergente, anche il
lucro cessante, come componente del danno patrimoniale subito dall'investitore,
"per il ritardo nella liquidazione del dovuto e per la perdita della possibilità
di effettuare altri investimenti remunerativi". E lo ha liquidato in via
equitativa in misura pari agli interessi legali maturati sul capitale dalla data
dell'investimento a quella della decisione.
La decisione dunque merita
piena condivisione, per la tutela ad ampio spettro riservata all'investitore,
che la accomuna alla maggior parte delle statuizioni che la giurisprudenza
recente sta producendo, ma ancor di più per i nuovi spunti di riflessione, nella
consapevolezza, forse, di dover colmare le ormai consapevoli lacune del
Legislatore nelle norme e delle associazioni bancarie di categoria nella
predisposizione dei moduli contrattuali, anch'essi purtroppo troppo generici e
carenti.
Autore: Avv. Antonio Tanza, vicepresidente Adusbef -
tratto da: www.dirittoeprogetti.it