Il contratto di franchising

commento alla L. 06/05/2004 n. 129 (in G.U. 24/05/04 n. 120)

Inquadramento e caratteristiche

Il franchising (o affiliazione commerciale) è stato regolamentato dalla L. 129/2004 , entrata in vigore il 25/05/04. Esso è un contratto di distribuzione, nato e sviluppatosi negli Stati Uniti nel cui sistema di commercializzazione di prodotti e servizi adempie ad una funzione di primaria importanza.

Lo sviluppo del fenomeno in Italia è iniziato in maniera massiccia ad opera della grande distribuzione nel corso degli anni settanta.

La sua diffusone è stata estremamente capillare non solo in Italia ma in tutti i paesi dell'Unione europea, con particolare riferimento alla Francia, Germania, Inghilterra e Spagna.

Dal punto di vista della disciplina normativa, in Italia, dopo un lungo periodo di affermazione del fenomeno sul piano pratico, senza che fosse individuata alcuna espressa regolamentazione, con la conseguente applicabilità dei principi generali dettati dal codice civile in tema di contratti e delle norme previste per i contratti tipici di volta in volta riscontrabili nelle singole fattispecie, si è avvertita l'esigenza di introdurre una disciplina specifica.

Si sono quindi succeduti una serie di progetti legislativi, poi confluiti in un testo unificato (approvato dalla 10^ Commissione permanente (Industria, commercio, turismo) del Senato il 25 marzo 2003, modificato dalla X Commissione permanente (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei deputati il 24 marzo 2004, trasmesso alla Presidenza del Senato in data 25 marzo 2004 ed assegnato alla 10^ Commissione (Industria commercio e turismo) in data 1 aprile 2004) definitivamente approvato dal Senato in data 21 aprile 2004 (ddl n. 19-25-103-842-B sul quale mi soffermerò in dettaglio nel successivo paragrafo 8).

E' dunque terminato il lungo e complesso iter legislativo, che ha portato all'adozione della prima regolamentazione italiana espressamente dedicata al contratto di affiliazione commerciale (franchising).

Trattasi per la verità di una disciplina che incide esclusivamente su taluni aspetti del fenomeno, con particolare attenzione alla fase precontrattuale, e che contiene tuttavia una serie di disposizioni e previsioni a partire dalla definizione stessa del contratto, destinati ad avere una certa influenza sia sui contratti in corso che su quelli che verranno stipulati in futuro.

L'atipicità del franchising, cosi come il suo utilizzo in settori disparati e con caratteristiche assai diverse, rendevano in passato alquanto complessa l'individuazione di una definizione unitaria.

La dottrina aveva proposto varie definizioni tese a privilegiare un aspetto piuttosto che un altro della fattispecie, e tutte caratterizzate da una metodologia puramente descrittiva del fenomeno contrattuale, sovente influenzata da considerazioni di carattere aziendalistico.

Analoghe incertezze di carattere definitorio si riscontravano anche nella prima decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in tema di franchising nel 1984 (sentenza Pronuptia, causa 161/1984) che, nel tentativo di differenziare il contratto di franchising dalla concessione di vendita e dai contratti di distribuzione selettiva, ha effettuato un'analisi delle singole pattuizioni invece di considerarne l'aspetto funzionale globalmente inteso.

Tra le varie definizioni proposte in passato in dottrina, quella a mio avviso più completa (Frignani), considerava il franchising come "un sistema di collaborazione tra un produttore (o rivenditore) di beni od offerente di servizi (franchisor) ed un distributore (franchisee) giuridicamente ed economicamente indipendenti l'uno dall'altro, ma vincolati da un contratto in virtù del quale il primo concede al secondo la facoltà di entrare a far parte della propria catena di distribuzione, con il diritto di sfruttare, a determinate condizioni e dietro il pagamento di una somma di denaro, brevetti, marchi, nome, insegna o addirittura anche una semplice formula o segreto commerciale a lui appartenente; inoltre il primo si obbliga a certi rifornimenti di beni o servizi, mentre il secondo si obbliga a conformarsi ad una serie di comportamenti prefissati dal primo".

Altro elemento a mio avviso essenziale nel contratto di franchising, e che risulta confermato dalla definizione contenuta nella nuova regolamentazione dell'affiliazione commerciale, dal quale dunque non poteva ne può prescindersi qualora si tenti di dare una definizione del fenomeno, è il trasferimento dal franchisor al franchisee di tecnologie e know how (in questo senso si era espressa gia in passato la giurisprudenza francese: Trib. Comm. Rennes 16 ottobre 1981, e successivamente anche quella italiana: Trib. Milano 28 febbraio 2002 e Trib. Milano 7 febbraio 2002 ).

In conclusione quindi, fermo restando che la definizione doveva risultare volutamente non tassativa e sufficientemente ampia da consentirne l'adeguamento alle diverse espressioni della prassi, in continua evoluzione, appariva condivisibile la definizione sopra riportata (Frignani) tenendo tuttavia presenti le osservazioni di quella parte della dottrina che sottolineava l'importanza dei comportamenti imposti al franchisee (Santini) e ribadendo, quanto meno a mio avviso, l'importanza fondamentale di un sostanziale ed effettivo trasferimento di know - how.

Con la definitiva approvazione il 21 aprile 2004 del d.d.l. n. 19-25-103-842-B "Norme per la disciplina dell'affiliazione commerciale", ed a partire dalla sua entrata in vigore (coincidente con il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, fatte salve le disposizioni transitorie, art. 9) la definizione di contratto di franchising da tenere presente è quella individuata nell'art. 1, che chiarisce altresì il significato da attribuirsi a nozioni essenziali quali il know how, il diritto di ingresso, le royalties ed i beni dell'affiliante.

In linea generale il contratto di affiliazione commerciale (o franchising) viene definito come "il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi".

Si confermano dunque alcune caratteristiche fondamentali dell'affiliazione commerciale e cioè che trattasi di un contratto oneroso (verso corrispettivo), bilaterale e tra soggetti giuridici indipendenti sia dal punto di vista economico che giuridicamente.

Oggetto del contratto è la concessione, dietro corrispettivo, della disponibilità di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale (concernenti marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti) oltre che di assistenza o consulenza tecnica e commerciale da parte dell'affiliante (franchisor) all'affiliato (franchisee).

Altra caratteristica fondamentale che si evince dalla definizione del contratto è l'inserimento dell'affiliato in una rete di affiliati ("sistema costituito da una pluralità di affiliati") distribuiti sul territorio.

La distribuzione territoriale è inserita in maniera abbastanza generica per evitare che dall'ampiezza del territorio coperto dalla rete possa dedursi un limite implicito alla qualificazione del rapporto come contratto di affiliazione: è in sostanza sufficiente che gli affiliati siano variamente dislocati sul territorio senza limitazioni di sorta.

Il secondo comma dell'art. 1 precisa che il contratto di affiliazione commerciale non incontra alcuna limitazione in ordine al settore di attività economica di utilizzo, anche se un limite può dedursi dall'ultima parte del primo comma, dal quale sembrerebbe escluso il cosiddetto franchising industriale (di cui più oltre al successivo paragrafo 3), che prescinde di norma dall'inserimento dell'affiliato in un sistema formato da una pluralità di affiliati e soprattutto dallo scopo indicato nel comma 1, costituito dalla commercializzazione di determinati beni o servizi.

La definizione e la conseguente applicabilità della normativa sembrerebbe quindi limitata al cosiddetto franchising di distribuzione e di servizi.

Da ultimo, in tema di inquadramento della fattispecie, nella definizione del contratto si precisa l'ininfluenza del nomen iuris ("L'affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato... . ").

Si prescinde quindi dalla denominazione del rapporto utilizzata dalle parti, anche in funzione della prassi cosi come sviluppatasi, che non sempre vede l'utilizzo della denominazione "affiliazione commerciale" o "franchising", anche considerando che sino all'approvazione della disciplina in commento il rapporto era privo di una disciplina specifica e rientrava nell'ambito dei contratti atipici.

E' evidente il fine antielusivo di questa precisazione, in linea peraltro anche con le caratteristiche stesse della definizione dell'affiliazione commerciale, che per alcuni aspetti può considerarsi descrittiva del fenomeno e dotata quindi di una certa elasticità. Appare dunque più che logico privilegiare una valutazione basata sui contenuti e sulle concrete modalità di svolgimento del rapporto più che sulla terminologia utilizzata.

Sempre nell'art.1, sulla scorta di quanto gia previsto in passato nella definizione del contratto di franchising contenuta nel regolamento comunitario n. 4087 del 30 novembre 1988 (attualmente sostituito dal regolamento unitario sugli accordi verticali n. 2790/99), è chiarito in maniera precisa il significato da attribuirsi a 4 elementi essenziali del contratto di franchising:
Know how, Diritto di ingresso, Royalties e Beni dell'affiliante

 

Know how

La definizione di know how accolta in questa nuova disciplina dell'affiliazione commerciale è sostanzialmente identica a quella prevista nel regolamento comunitario 4087/88.

Si precisa che il know how è costituito da un insieme (denominato "patrimonio" per sottolinearne il valore) di conoscenze pratiche, non brevettate, derivanti da esperienze e prove eseguite dall'affiliante.

Questo insieme di conoscenze dell'affiliante che, derivando dalla sua esperienza, egli è in grado di mettere a disposizione dell'affiliato, deve tuttavia possedere caratteristiche specifiche e cioè dev'essere segreto, sostanziale ed identificato.

In altri termini, posto che il contratto di affiliazione commerciale è oneroso e che anche a fronte della trasmissione di know how viene richiesto all'affiliato un corrispettivo (strutturato come vedremo in maniera articolata) si cerca con questa definizione di evitare che la trasmissione di know how si risolva in una formula di rito da inserire nei contratti, ma priva di reale contenuto.

La ragione posta a base del primo requisito di segretezza è evidente, posto che qualora il know non fosse segreto per definizione non potrebbe considerarsi come patrimonio di conoscenze dell'affiliante e comunque non si giustificherebbe l'onerosità connessa al suo trasferimento.

Il concetto di segretezza utilizzato è volutamente ampio, precisandosi che per know how segreto si intende che il know how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto ne facilmente accessibile. Viene quindi attribuita rilevanza anche alla segretezza della configurazione e composizione di elementi che, singolarmente considerati, potrebbero anche risultare conosciuti o conoscibili.

L'estensione poi del concetto di segretezza alla non facile accessibilità presuppone la non necessaria segretezza assoluta, rendendo più semplice riscontrare l'esistenza di questo requisito.

Il know how deve poi essere sostanziale e cioè comprendere conoscenze indispensabili all'affiliato per l'uso, la vendita, la rivendita, la gestione o l'organizzazione dei beni o servizi contrattuali.

In altri termini, il suo utilizzo da parte dell'affiliato deve risultare necessario ed intimamente connesso allo sfruttamento del franchising, per consentirgli di trarre dall'utilizzo della formula il miglior risultato possibile.

Infine il know how dev'essere individuato e cioè descritto in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire di verificare la sussistenza dei due precedenti requisiti di segretezza e sostanza.

Quest'ultima caratteristica, come vedremo in tema di obblighi precontrattuali rischia tuttavia di essere in parte sacrificata, quanto meno prima della conclusine del contratto, proprio al fine di garantire quel requisito di segretezza che si presenta quale indispensabile e caratterizzante per l'individuazione del know how.

 

Diritto di ingresso e royalties

Anche il corrispettivo direttamente riconosciuto all'affiliante è oggetto di precisa individuazione da parte della nuova normativa.

Una prima forma di remunerazione in favore dell'affiliante, peraltro eventuale poiché non sempre prevista nella prassi contrattuale, è costituita dal cosiddetto "diritto di ingresso" (entry fee) e viene di norma corrisposta al momento della conclusione del contratto, prima ancora che lo stesso abbia concretamente esecuzione.

Si tratta infatti di un corrispettivo riconosciuto a fronte dell'inserimento dell'affiliato nella rete dell'affiliante.

La nuova disciplina (art.1.3.b)) conferma che questa parte del corrispettivo è costituita da una cifra fissa, rapportata anche al valore economico ed alla capacita di sviluppo della rete. Non è peraltro previsto alcun preciso parametro per la sua quantificazione, mentre viene ribadito che la sua corresponsione avviene al momento della stipula del contratto.

Sempre in tema di corrispettivo vengono definite le royalties corrisposte dall'affiliato all'affiliante, ed individuate in una percentuale commisurata al giro d'affari dell'affiliato o in una quota fissa. Si precisa infine che le royalties possono anche essere corrisposte da parte dell'affiliato in quote fisse periodiche.

A queste forme di corrispettivo corrisposto direttamente dall'affiliato si aggiunge una ulteriore componente non prevista nel contratto ma che indirettamente va a vantaggio del franchisor, costituita dalla diffusione dei suoi prodotti attraverso la rete di franchisee.

 

Beni dell'affiliante

Infine, sempre l'art. 1 (ed in particolare il comma 3.d) fornisce una definizione, dei beni dell'affiliante, considerati come i beni dallo stesso prodotti o comunque prodotti secondo le sue istruzioni, e contrassegnati dal nome dell'affiliante. E' questa una definizione assolutamente identica a quella contenuta nel regolamento comunitario di esenzione 4087/88, ad oggi superato dal regolamento sugli accordi verticali n. 2790/99.

Ambito di applicazione

Dopo una serie di definizioni (art. 1) nelle quali vengono individuati il contratto di affiliazione commerciale ed alcuni dei suoi elementi essenziali (know how, diritto di ingresso, royalties e beni dell'affiliante: rinvio sul punto al paragrafo 1), l'art. 2 precisa l'ambito di applicazione della legge, nel quale è compreso il contratto di master franchise (denominato contratto di affiliazione commerciale principale) avente ad oggetto la concessione del diritto di sfruttamento di un'affiliazione commerciale allo scopo di concludere accordi di franchising con terzi.

Si precisa inoltre che l'applicabilità della disciplina è estesa al contratto tramite il quale il franchisee allestisce uno spazio nell'ambito di un'area di sua disponibilità per l'esclusivo svolgimento dell'attività commerciale indicata nel comma 1 dell'art. 1 della legge, dove è contenuta la definizione di contratto di affiliazione commerciale.

La fase precontrattuale

Nell'art. 4 dedicato agli obblighi incombenti sull'affiliante, la nuova normativa si sofferma sulla fase precontrattuale, dettando una serie di regole da osservarsi prima della conclusione del rapporto e che dovrebbero garantire al potenziale affiliato una conoscenza più approfondita della proposta dell'affiliante prima di impegnarsi con la firma di un vero è proprio contratto.

Questa fase precontrattuale è peraltro oggetto di disciplina anche in altre legislazioni europee (Francia e Spagna) e soprattutto negli Stati Uniti, dove sono previsti specifici obblighi di "disclosure" gravanti sul franchisor.

Il legislatore nazionale precisa anzitutto che una copia integrale del contratto deve essere consegnata al potenziale affiliato non meno di 30 giorni prima della sua sottoscrizione.

Per la verifica del rispetto del predetto requisito sarà dunque necessario per l'affiliante predisporre modalità idonee al fine di poter stabilire con certezza la data di consegna del contratto.

Contratto che peraltro dovrà essere corredato da una serie di allegati, fatti salvi i casi in cui risultino prevalenti le esigenze di riservatezza, che comunque dovranno essere citati nel contratto.

La nuova disposizione potrà pertanto avere un riflesso anche per quanto attiene alle tecniche di redazione del contratto, anche se non pare indispensabile che i singoli dati vadano raggruppati in allegati specifici, potendo per contro rinvenirsi anche nel contenuto complessivo del contratto, cosi come previamente consegnato all'aspirante affiliato.

Oltre ad una breve relazione sugli elementi principali dell'attività oggetto dell'affiliazione ed ai dati dell'affiliante, comprensivi del capitale sociale, sarà facoltà del potenziale affiliato richiedere copia dei bilanci degli ultimi 3 anni o dall'inizio dell'attività dell'affiliante, qualora risulti inferiore a tre anni.

Questa indicazione, correlata con l'obbligo di aver sperimentato la formula sul mercato, consente di ritenere sufficiente una sperimentazione di breve durata che in ipotesi appare poter essere inferiore al triennio.

Stante l'intima connessione dell'affiliazione commerciale con lo sfruttamento da parte della rete del marchio dell'affiliante, ben si comprende la necessita (prevista all'art. 4.1.b)) di indicare con precisione i marchi utilizzati nel sistema, cosi come gli elementi dai quali possa dedursi la titolarità degli stessi e la legittimità di utilizzo da parte dell'affiliante.

Un ultimo gruppo di indicazioni attiene invece alla rete di affiliati esistente e dei punti vendita diretti, anche al fine di valutare la presenza della formula sul mercato di riferimento cosi come il suo potenziale ed il suo valore, da considerarsi in relazione all'importo in ipotesi richiesto dall'affiliante come diritto di ingresso.

Si vuole in sostanza fornire al potenziale aderente alla rete il maggior numero di informazioni al fine di consentirgli, per quanto possibile, di ponderare la propria decisione in maniera ottimale.

Sempre con riguardo alla rete di affiliati esistente, deve altresì precisarsi la loro variazione e ubicazione nel corso degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'operatività dell'affiliante qualora anteriore al triennio. Infine andrà allegata una relazione sintetica delle vertenze, sia giudiziarie che arbitrali, promosse nei confronti dell'affiliante e che si siano concluse negli ultimi tre anni, purché connesse al sistema oggetto di valutazione da parte del potenziale affiliato.

Trattasi senza dubbio di un'indicazione utile, anche se la potenziale valutazione appare di fatto solo parziale, posto che si richiede che le vertenze siano non solo promosse, ma concluse negli ultimi tre anni, senza tenere conto di quelle iniziate ed ancora in corso.

Il legislatore ha dunque ritenuto da un lato sufficienti le informazioni relative agli ultimi 3 anni di esistenza del sistema, considerato dunque come lasso di tempo congruo al fine di valutarne lo stato e le prospettive, e dall'altro non necessario che l'affiliante sia in attività da un triennio, all'evidente fine di non penalizzare le nuove iniziative.

Tutte le informazioni collegate agli affiliati (di cui ai punti d), e) ed f) dell'art. 4.1), che certamente saranno utili al fine di consentire al potenziale nuovo affilato una valutazione più ponderata della situazione, potranno tuttavia riferirsi esclusivamente alle attività svolte dall'affiliante in Italia, prescindendo dunque totalmente dalla situazione dello stesso a livello internazionale. Questa limitazione non contribuirà certamente a fornire al potenziale affiliato un quadro completo ed esaustivo della situazione.

Rimane da valutare il contenuto di un emanando decreto del Ministro delle attività produttive (da emettersi entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della nuova legge) nel quale saranno stabilite, sempre in relazione agli affiliati presenti nella rete ed in genere a quanto previsto ai punti d), e) ed f) dell'art. 4.1., le informazioni che gli affilianti dovranno fornire qualora abbiano operato esclusivamente all'estero.

Resta fermo dunque il principio relativo all'obbligo di fornire informazioni limitate al mercato italiano qualora in Italia vi sia stata un'attività, prescindendo peraltro dalla posizione internazionale dell'affiliante.

Collegati a questi obblighi di informazione, sono poi previsti ulteriori obblighi di comportamento gravanti su entrambe le parti nella fase precontrattuale (art. 6), nel corso della quale andranno rispettati i principi di lealtà, correttezza e buona fede.

Principi questi ultimi la cui applicabilità poteva dedursi altresì dalle norme generali stabilite dal codice civile, con particolare riferimento alle trattative nella conclusione del contratto, anche se il loro inserimento espresso nella disciplina legislativa, con le precisazioni ivi previste in ordine alla posizione di ciascuna delle parti dello stipulando contratto, ne rafforza indubbiamente il contenuto.

Per quanto attiene all'affiliante l'art. 6.1., dopo aver affermato che il suo comportamento (cosi come quello del potenziale affiliato: art. 6.3) dovrà essere in qualsiasi momento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede, stabilisce l'obbligo di fornire tempestivamente all'aspirante affiliato ogni dato e informazione che lo stesso ritenga necessari o semplicemente utili per la futura conclusione del contratto di affiliazione commerciale.

L'individuazione dei dati e delle informazioni è lasciata, com'e logico, all'iniziativa del potenziale affiliato, anche ad evitare che la disposizione finisca per risultare priva di qualunque efficacia. Per la verità la dizione letterale della norma potrebbe ingenerare qualche dubbio, anche se il comma successivo appare estremamente chiaro sul punto.

Quest'obbligo di informazione tempestiva trova tuttavia un limite nell'ultima parte del primo comma, dove è fatta salva la possibilità per l'affiliante di non fornire quelle informazioni che possano considerarsi oggettivamente riservate o la cui divulgazione possa integrare gli estremi di una violazione dei diritti di terzi.

In sede di applicazione pratica andrà verificato in quale modo l'oggettiva riservatezza verrà considerata esistente al fine di determinare l'effettiva efficacia della norma, anche considerando che l'affiliante ha altresì l'obbligo di motivare l'eventuale mancata comunicazione dei dati e delle informazioni richieste dal potenziale affiliato.

Per quanto attiene alla posizione del potenziale affiliato, l'ultima parte dell'art. 6, dopo aver ribadito la necessita di tenere un comportamento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede, stabilisce un obbligo di comunicazione tempestiva, esatta e completa all'affiliante di ogni informazione e dato la cui conoscenza risulti necessaria o opportuna per la stipulazione del contratto. L'obbligo di informazione non si limita tuttavia alle richieste dell'affiliante, essendo per contro costruito su base oggettiva, per consentire quindi di considerare anche informazioni o dati che, pur non espressamente oggetto di richiesta da parte dell'affiliante, risultino comunque opportune o necessarie per la conclusione del contratto. Questa precisazione unitamente all'esattezza e completezza di informazione cosi come precisate nella norma sembrano conferire un carattere di maggior rigore all'obbligo di informazioni posto a carico del potenziale affiliato.

Da ultimo va menzionato il contenuto dell'art. 8 che contempla l'ipotesi di false informazioni che siano state fornite da una delle parti, cui consegue la possibilità per l'altra di richiedere l'annullamento del contratto (ex art. 1439 c.c.) oltre al risarcimento dei danni subiti.

La nuova disciplina in tema di affiliazione commerciale si riporta dunque ai vizi del consenso ed in particolare all'annullabilità del contratto per dolo, che come è noto non consente tuttavia di richiedere l'annullamento del contratto a fronte dell'esistenza di un qualunque raggiro, ma solo nell'ipotesi in cui i raggiri utilizzati da uno dei contraenti siano stati tali che, senza di essi l'altro contraente non avrebbe concluso il contratto.

Pertanto, al fine di ottenere l'annullamento del contratto non appare sufficiente riscontrare la falsità delle informazioni che una delle parti abbia fornito all'altra ma per contro andrà valutata l'incidenza di tale informazione sull'intendimento della parte di concludere il contratto. Anche il conseguente risarcimento del danno dovrà essere oggetto di accertamento preciso, come si deduce dall'ultima parte della disposizione.

Forma (rinvio) e contenuto dell'accordo

La nuova legge, dopo aver indicato la forma scritta quale requisito essenziale di validità del contratto (la cui assenza ne determina la nullità assoluta: rinvio sul punto al precedente paragrafo 2), si occupa del contenuto dell'accordo, ancorché in maniera non particolarmente incisiva e lasciando alle parti ampi margini di manovra.

E' prevista una durata minima triennale, peraltro in linea con la prassi contrattuale, qualora il contratto sia a tempo determinato anche se, come ho gia osservato, non è contemplata alcuna disposizione relativa al rapporto a tempo indeterminato nel quale dunque le parti, fermi gli obblighi di lealtà e buona fede, potranno stabilire termini di preavviso anche non particolarmente lunghi.

Vi è poi una previsione di carattere generalissimo, che stabilisce l'obbligo per l'affiliante di aver sperimentato la propria formula commerciale sul mercato al fine di poter costituire una rete di affiliazione.

La genericità della previsione, pur venendo incontro alle esigenze di autoregolamentazione degli operatori del settore, di fatto rischia di avere un impatto estremamente ridotto, se non in casi limite.

Non si precisa inoltre quale sia il mercato di riferimento sul quale è necessario aver sperimentato la formula, cosi legittimando un'interpretazione estensiva che può consentire di ritenere sufficiente la sperimentazione anche qualora la stessa sia operata ad esempio su di un mercato estero (che come abbiamo visto in precedenza prevede limitazioni in ordine agli obblighi di disclosure).

In ordine al contenuto minimo del contratto , l'art. 3.4 elenca una serie di elementi che devono essere necessariamente indicati, e più precisamente:

- gli investimenti necessari prima dell'inizio dell'attività , comprensivi dell'eventuale diritto di ingresso da riconoscere all'affiliante;

- le royalties , inteso come compenso ulteriore da riconoscere all'affiliante nel corso del rapporto, precisandone modalità di calcolo e pagamento,

- l'eventuale presenza di una clausola di minimo di fatturato (indicato nella norma come "incasso") che l'affiliato debba realizzare;

- l'esistenza di un'esclusiva territoriale (anche questa clausola, cosi come quella relativa al fatturato minimo viene indicata come meramente eventuale) da precisarsi sia in relazione agli altri affiliati che con riferimento alla posizione dell'affiliante in ordine a canali e punti vendita dallo stesso direttamente gestiti. In altri termini, il potenziale affiliato dovrebbe potersi rendere conto dei limiti e dell'entità dell'eventuale protezione territoriale allo stesso garantita. Valutazione questa certamente rilevante, anche al fine di rapportare alle potenzialità di sviluppo gli investimenti ed i costi richiesti per l'ingresso e la permanenza nella rete;

- le caratteristiche del know how (cosi come definito nell'art. 1) del quale l'affiliato potrà godere con il suo inserimento nella rete;

- le modalità, peraltro meramente eventuali, con le quali l'apporto dell'affiliato in termini di know how verrà tenuto in considerazione e/o valorizzato dall'affiliante;

- il ruolo dell'affiliante in una serie di attività essenziali al buon funzionamento ed all'affermazione della rete, che giustificano altresì il diritto di ingresso ed il pagamento delle royalties e più precisamente: la progettazione e l'allestimento (attività questa che non può che riferirsi al punto vendita, ancorché non precisato espressamente dalla norma), la formazione e l'assistenza tecnica e commerciale;

- le condizioni e modalità di rinnovo, cessazione, risoluzione e cessione (laddove consentita) del contratto.

Trattasi per la verità di meri obblighi di indicazione preventiva, che legittimano la validità delle relative clausole senza tuttavia dettare alcuna previsione che ne regolamenti il contenuto.
Indubbiamente pero queste disposizioni, ancorché senza carattere coercitivo, tendono ad influenzare e/o prendere atto della stessa tecnica di redazione dei contratti.

La sede dell'affiliato e l'obbligo di riservatezza

Oltre agli obblighi di informazione connessi alla fase precontrattuale, che come ho accennato nel paragrafo precedente gravano anche sul potenziale affiliato, l'art. 5 individua due obbligazioni specifiche a carico dell'affiliato durante e (limitatamente alla seconda) dopo la cessazione del rapporto.

La prima è a mio avviso più rilevante, che influisce direttamente sulla regolamentazione del rapporto, attiene alla sede dell'affiliato.

Si precisa infatti che, qualora la stessa sia indicata nel contratto, l'affiliato non potrà trasferirla senza il preventivo consenso dell'affiliante, ad esclusione delle ipotesi di forza maggiore (per definizione eccezionali).

E' questa una previsione certamente rilevante, poiché incide in maniera diretta sulla regolamentazione del rapporto, prescindendo dalla volontà delle parti ed inserendo un divieto di trasferimento della sede dell'affiliato (da intendersi quale luogo in cui viene esercitata l'attività - punto vendita - e non certo identificabile con la sede legale, qualora l'affiliato sia costituito in forma societaria) in assenza di approvazione preventiva dell'affiliante, sulla base della mera precisazione della stessa nell'ambito del contratto.

La sede e/o la localizzazione dell'affiliato può assumere infatti un ruolo determinante non solo in ordine alla conclusione del contratto, ma altresì sulla base della stessa struttura distributiva dell'affiliante, soprattutto laddove quest'ultimo conceda esclusive territoriali più o meno ampie e/o detenga una rete di punti vendita diretti.

Il secondo comma dell'art. 5 prevede infine un impegno dell'affiliato, sia durante che dopo la cessazione del contratto ad osservare ed a far osservare ai propri collaboratori e dipendenti un obbligo di riservatezza sul contenuto dell'attività oggetto dell'affiliazione commerciale.

Prescindendo dal rilevare che non è previsto alcun limite di carattere temporale alla validità dell'obbligo dopo la cessazione del rapporto, trattasi comunque di un'obbligazione estremamente ampia poiché riferita genericamente al contenuto dell'intera attività oggetto dell'affiliazione commerciale.

Dal punto di vista pratico appare difficile valutarne l'impatto, anche in chiave di sanzionabilità delle eventuali violazioni, mentre certamente dovranno essere inserite clausole analoghe a tutela della riservatezza nei contratti di lavoro subordinato e/o di collaborazione conclusi dall'affiliato con i propri collaboratori e dipendenti.

Disciplina transitoria

Molto opportunamente l'art. 9 prevede una specifica disciplina transitoria, con un termine di un anno concesso alle parti al fine di adeguare i contratti esistenti alle nuove disposizioni.

L'applicabilità della legge, nell'ambito delineato dall'art. 2 (di cui sopra 8.1), è estesa a tutti i contratti di affiliazione commerciale in corso nel territorio dello Stato al momento dell'entrata in vigore della stessa. Entrata in vigore fissata per il giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Le nuove norme appaiono quindi di diretta ed immediata applicabilità a tutti i contratti in corso al momento della loro entrata in vigore e che rientrino nell'ampia definizione di contratto di affiliazione commerciale di cui all'art. 1, quale che sia il nomen iuris in ipotesi utilizzato dalle parti.

E' tuttavia prevista una disciplina transitoria, con la concessione di un termine di adeguamento di un anno per gli accordi di affiliazione commerciale che, conclusi in forma scritta anteriormente all'entrata in vigore della legge, presentino disposizioni con la stessa contrastanti o comunque necessitino di essere modificati od integrati.

Per la verità, posto che la nuova disciplina appare incentrata in gran parte sulla fase precontrattuale, gli eventuali interventi di adeguamento e/o integrazione di contratti in corso redatti in forma scritta non dovrebbero essere di particolare rilievo.

Differente è per contro l'ipotesi, peraltro difficilmente riscontrabile nella prassi, di contratti di affiliazione commerciale non redatti in forma scritta, che come detto è considerata requisito necessario a pena di nullità. Anche in questo caso è concesso alle parti un termine di un anno decorrente dall'entrata in vigore della legge per la formalizzazione per iscritto secondo le disposizioni della stessa.

Trattasi tuttavia di ipotesi eccezionali posto che la quasi totalità degli accordi di franchising, anche in considerazione della complessità delle rispettive obbligazioni delle parti, e redatta in forma scritta.

 

Le differenti tipologie del franchising 

Il franchising e un contratto suscettibile di essere utilizzato nella quasi totalità dei settori economici, con la conseguenza che il suo contenuto risulterà variabile, sia in relazione alle diverse esigenze dei singoli settori, che sulla base del differente stadio economico nel quale si instaurerà il rapporto.

Ciò risultava possibile grazie alla natura del contratto che sino all'approvazione della nuova legge sulla disciplina dell'affiliazione commerciale, era quasi completamente abbandonato alla libera determinazione delle parti, salvi i limiti di cui all'art. 1322 c.c.

Una analoga apertura in ordine alle possibilità di utilizzo del contratto di franchising è peraltro contenuta anche nella nuova legge dove si precisa (art. 1.2) che "Il contratto di affiliazione commerciale può essere utilizzato in ogni settore di attività economica".

Questa apertura appare tuttavia meno ampia delle apparenze, posto che il franchising di produzione (o industriale) non appare regolato dalla nuova normativa.

Sulla base della prassi, cosi come concretamente sviluppatasi nell'affermarsi del fenomeno e seguendo la distinzione effettuata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nel caso Pronuptia, il franchising può essere diviso in tre categorie generali:

Franchising di servizi in cui il franchisee offre, sotto l'insegna, la ditta o il marchio del franchisor, un servizio con le stesse modalità di quest'ultimo, conformandosi a tal fine alle sue direttive;

Franchising di produzione dove il franchisee fabbrica, conformemente alle indicazioni del franchisor, dei prodotti che poi vende sotto il marchio di quest'ultimo;

Franchising di distribuzione in virtù del quale il franchisee si limita a rivendere certi prodotti in un punto di vendita recante l'insegna del franchisor ed impostato in maniera tale da rispecchiarne l'immagine.

La dottrina ha tentato di effettuare ulteriori differenziazioni, che sono pero risultate di scarso valore classificatorio dato l'empirismo di cui erano espressione che, di conseguenza, non ha consentito di enucleare categorie dotate di un grado di generalità sufficiente ad inserirle in un ambito sistematico che legittimasse l'applicazione di una normativa differenziata.

Tra le varie tipologie di franchising va ricordato altresì il cosiddetto contratto di affiliazione commerciale principale (o master franchising), dove il franchisor che intenda sfruttare un mercato o una parte di esso (di norma uno Stato estero) senza conoscerlo in profondità o semplicemente per il tramite di un terzo in luogo, delega l'attività di selezione e formazione dei potenziali franchisee cosi come lo sviluppo del franchising nella zona assegnata ad un soggetto, chiamato master franchisee, che opererà nel mercato di riferimento in vece del franchisor.

I rapporti tra franchisor e master franchisee e tra quest'ultimo ed i franchisee saranno variamente regolati sulla base dei singoli strumenti contrattuali anche se, di norma, l'eventuale interruzione del contratto di master franchising comporterà l'automatico subentro del franchisor nei contratti in essere con i franchisee (a condizione ovviamente che ciò sia previsto nel contratto principale).

Di affiliazione commerciale principale si occupa altresì espressamente la nuova legge (art. 2), che estende la sua applicabilità anche a tale forma contrattuale, definita come il contratto "... con il quale un'impresa concede all'altra, giuridicamente ed economicamente indipendente dalla prima, dietro corrispettivo, diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un'affiliazione commerciale allo scopo di stipulare accordi di affiliazione commerciale con terzi".

Anche in questo caso il contratto è oneroso, bilaterale e concluso tra due imprese giuridicamente ed economicamente indipendenti.

Si precisa che il corrispettivo può essere diretto o indiretto e che il suo oggetto è costituito dalla concessione del diritto di sfruttamento di un sistema di affiliazione (messo a punto dall'affiliante) al fine stipulare con terzi accordi di affiliazione commerciale.