1.
Il fondo patrimoniale consiste in un vincolo posto nell'interesse della
famiglia su di un complesso di beni determinati (immobili, mobili
registrati o titoli di credito) e realizza la costituzione di un
patrimonio separato o di destinazione, con limitazione dei poteri
dispositivi dei costituenti (ciascuno o un ambedue i coniugi, un terzo,
anche per testamento).
Funzione del vincolo è
quella di destinare i beni conferiti al soddisfacimento dei diritti di
mantenimento, di assistenza e di contribuzione esistenti nell'ambito
della famiglia.
Nella collocazione
codicistica, con la legge di riforma del diritto di famiglia (n. 151 del
19.05.1975), la normativa del fondo patrimoniale (artt. 167 - 171 c.c.)
ha sostituito quella del patrimonio familiare.
La sostanziale
differenza tra i due istituti risiede nella intensità del vincolo di
destinazione, assai rigido nel secondo, così da assicurare a quel
complesso di beni stabilità e durata in armonia con quelli che erano un
tempo anche i caratteri del matrimonio (potendo i coniugi disporre dei
beni soltanto previa autorizzazione del giudice nei casi di necessità o
utilità evidente e con l'obbligo del reimpiego della somma ricavata, ed
i creditori agire soltanto sui frutti dei beni, purchè non fossero stati
a conoscenza che i debiti venivano contratti per scopi estranei ai
bisogni della famiglia), più tenue e labile nel primo, posto che i
coniugi (art. 169 c.c.) possono disporre dei beni liberamente, senza
obbligo di reimpiego, non soltanto quando sia loro consentito dall'atto
di costituzione, ma anche quando abbiano raggiunto l'accordo sull'atto
di disposizione e, allorchè vi siano figli minori, nei soli casi di
necessità od utilità evidente e con l'autorizzazione del Tribunale
ordinario, che provvede in Camera di consiglio sentito il Pubblico
ministero (art. 38, commi 2 e 3, disp. att. c.c.).
2. Tra gli
ulteriori effetti del fondo, merita particolare attenzione il divieto di
esecuzione sui beni ad esso destinati (e sui relativi frutti) " ... per
debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi
estranei ai bisogni della famiglia." (art. 170 c.c.): i beni del
fondo ed i loro frutti rispondono soltanto per obbligazioni assunte
nell'interesse della famiglia (così come avveniva per i frutti del
patrimonio familiare).
La consapevolezza del
creditore della estraneità del debito alle esigenze familiari deve
sussistere al momento del perfezionamento della fonte dell'obbligazione
e deve costituire oggetto di prova da parte di colui che si oppone
all'espropriazione forzata.
La prova può essere
fornita anche mediante presunzioni semplici, essendo sufficiente
dimostrare che lo scopo dell'obbligazione appariva come normalmente
estraneo ai bisogni della famiglia.
In ordine al significato
ed alla portata dell'art. 170 c.c., la giurisprudenza (Cass., Sez. I,
18.09.2001 n. 11683; conf. Cass., Sez. III, 7.01.1984 n. 134) ha
chiarito che " In tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale,
il disposto dell'art. 170 c.c. -nel testo di cui alla legge 19 maggio
1975 n. 151- per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti
che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai
bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come
riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l'indispensabile per
l'esistenza della famiglia, bensì -analogamente a quanto, prima della
riforma di cui alla richiamata legge n. 151 del 1975, avveniva per i
frutti dei beni dotali- nel senso di ricomprendere in detti bisogni
anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico
sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità
lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o
caratterizzate da intenti meramente speculativi.".
Alla stregua del
principio giurisprudenziale testè enucleato, non potrebbero, ad esempio,
ritenersi contratti per "scopi estranei" i debiti inerenti
l'attività di lavoro autonomo di un coniuge, allorquando da tale
attività la famiglia tragga i mezzi di mantenimento.
3. Nel corso
degli anni, purtroppo, le finalità originarie dell'istituto in esame
sono state in larga parte disattese, proprio in funzione del menzionato
divieto di esecuzione forzata.
E', difatti, opinione
comune in dottrina che il fondo patrimoniale, nella prassi, sia stato
assai raramente utilizzato per le originarie funzioni solidaristiche che
il codice civile gli attribuisce.
Invero, si registra come
la maggior parte dei fondi patrimoniali siano stati e vengano tutt'ora
costituiti in epoca successiva al sorgere del credito e per una finalità
strumentale (la sottrazione di determinati beni alla generica garanzia
di tutti i creditori), con conseguente deviazione dalla causa tipica che
l'ordinamento attribuisce al negozio.
Tale deviazione dalla causa tipica è stata di recente avvertita anche
dal G.E. del Tribunale di Chieti il quale, con propria ordinanza in data
8.03.2002, nel respingere un'istanza di sospensione dell'esecuzione, ha
così motivato "...
la Sig.ra Tizia,
infatti, ebbe a costituire il fondo patrimoniale l'11.9.1995, e cioè
-forse fu solo una mera coincidenza- quattro giorni dopo che il Banco
Napoli aveva iscritto su di essi ipoteca giudiziale (il 7.9.1995), e
quando erano trascorsi già 18 anni dalle nozze ...".
Quanto alla
giurisprudenza di legittimità, si sottolinea come la funzione
strumentale che il fondo patrimoniale ha nella prassi assunto sia stata
di fatto avallata.
Si segnala, sul punto,
l'unico precedente giurisprudenziale esistente (Cass., Sez. III,
9.04.1996 n. 3251) secondo cui "Con riguardo a beni conferiti in
fondo patrimoniale, l'art. 170 c.c. -secondo cui l'esecuzione sui beni
del fondo e sui frutti non può aver luogo per debiti che il creditore
conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della
famiglia- non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti
(estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla
costituzione del fondo.
Ne consegue che detto
divieto estende la sua efficacia anche ai crediti sorti prima di tale
data, ferma restando in questo caso la possibilità del creditore di
agire in revocatoria ordinaria, qualora ne ricorrano i presupposti, al
fine di far dichiarare l'inefficacia nei propri confronti dell'atto
costitutivo del fondo patrimoniale."
Il principio
giurisprudenziale testè enucleato, seppure di fonte autorevole, se
accolto sic et simpliciter, suscita perplessità e, difatti, ad
esso si contrappone una recente pronunzia di merito (Tribunale Ragusa,
21.12.1999) che, dopo aver mosso congrue ed esaustive critiche alla
citata sentenza della Suprema Corte, ha -per contro- affermato che
"La costituzione del fondo patrimoniale in epoca successiva al sorgere
del o dei debiti personali dei coniugi confligge ragionevolmente con il
sistema della responsabilità patrimoniale (artt. 2740 e 2741 c.c.), per
cui non è consentito -in mancanza di dati obiettivi e coerenti-
restringere la difesa dei terzi creditori all'azione ex art. 2901 e ss.
c.c., l'inespropriabilità sancita dall'art. 170 dovendo collegarsi
con i crediti successivi alla pubblicità della convenzione
matrimoniale" (conf. Tribunale Milano, 5.11.1990:
"L'art. 170 c.c., nel porre un limite all'azione dei creditori, postula
necessariamente che la costituzione del fondo sia avvenuta prima del
sorgere del credito per il cui soddisfacimento essi agiscono").
In particolare,
all'argomentazione della Suprema Corte secondo cui l'espropriabilità dei
beni del fondo patrimoniale va ricollegata esclusivamente alla natura
dell'obbligazione (se inerente o meno ai bisogni familiari), "essendo
ininfluente il tempo della sua nascita", il Tribunale di Ragusa ha
obiettato che "Il rischio dell'inespropriabilità del bene per effetto
-riguardo i rapporti estranei ai bisogni familiari- della eventuale
successiva costituzione del fondo, ben può indurre il terzo a non
prestare credito, e pertanto introduce una variabile di grande
incertezza nel delicato bilanciamento degli interessi delle parti
(coniugi/terzi)"; ed ancora che "... all'infuori della
convenzione la natura dell'obbligazione non ha rilievo; e se allora
l'acquista con la convenzione, non può essere svalutato il principio
della sua opponibilità ai terzi se e in quanto sia espletata la relativa
pubblicità".
All'ulteriore
argomentazione (dedotta dal previgente art. 169 comma 3 c.c.) secondo
cui l'art. 170 c.c. "... non riproduce la regola secondo cui la
inalienabilità dei beni costituenti il patrimonio familiare non era
opponibile ai terzi il cui diritto fosse sorto anteriormente alla
trascrizione dell'atto ..." , il Tribunale di Ragusa ha poi
replicato che "... la sua plausibilità è apparente, poichè secondo
dottrina pressochè unanime l'istituto del fondo patrimoniale è
qualitativamente diverso dal patrimonio familiare e questa disomogeneità
pertanto esclude una valida possibilità di raffronto".
4. Le pertinenti
osservazioni appena esposte privilegiano, dunque, l'opzione
interpretativa che esclude l'applicabilità dell'art. 170 c.c. qualora il
debito sia stato contratto in epoca precedente alla costituzione del
fondo patrimoniale, interpretazione che, peraltro, appare maggiormente
in linea con i principi fondamentali del nostro ordinamento.
Ed invero, ove si
accedesse alla contrapposta tesi (secondo cui le limitazioni di cui
all'art. 170 c.c. avrebbero carattere assoluto e generalizzato, colpendo
indistintamente non soltanto i crediti successivi, ma anche quelli
precedenti alla costituzione del fondo), si introdurrebbe e
legittimerebbe un mezzo per eludere il sistema della responsabilità
patrimoniale del debitore.
Si cita l'esempio di un
Istituto di credito, il quale -confidando nella solvibilità dell'utente,
poiché proprietario di immobile libero da iscrizioni e trascrizioni
pregiudizievoli- conceda le richieste linee di credito.
Se si consentisse a
colui che abbia così ottenuto consistenti affidamenti di cautelarsi da
preordinate insolvenze e conseguenti azioni esecutive, mediante
destinazione successiva dei propri beni al fondo patrimoniale, si
introdurrebbe appunto un mero espediente elusivo e lesivo, che vieppiù
prospetterebbe la q.l.c. dell'art. 170 c.c., in relazione agli artt. 3 e
24 Cost., nella parte in cui estende l'inespropriabilità dei beni
destinati al fondo patrimoniale anche all'ipotesi in cui i crediti siano
sorti in epoca precedente alla costituzione del fondo medesimo.
Il dubbio di contrasto
con l'art. 3 Cost. (per violazione del principio di uguaglianza) si
fonda sul rilievo che mentre per i titolari di crediti concessi
successivamente alla costituzione del fondo patrimoniale vi sarebbe la
previa possibilità di acquisire informazioni e compiere accertamenti
sulla destinazione del credito e, quindi, di cautelarsi dagli effetti
della costituzione medesima, concedendo unicamente "finanziamenti di
scopo"(ovvero erogando crediti da utilizzare per esigenze
familiari), per i titolari di crediti concessi anteriormente una
siffatta indagine, in assenza del fondo patrimoniale, non avrebbe,
invece, significato alcuno.
In buona sostanza, non
avrebbe senso richiedere la conoscenza della estraneità del debito ai
bisogni familiari se già non risultasse trascritto il fondo patrimoniale
(così, peraltro, argomenta anche Tribunale Milano 5.11.1990).
Parimenti fondato è il
vulnus all'art. 3 Cost. per irragionevolezza sopravvenuta e/o
anacronismo delle scelte legislative, atteso che -come peraltro
osservato dal Tribunale di Ragusa- le limitazioni al diritto di agire
in executivis di cui all'art. 170 c.c. confliggerebbero con
il sistema della responsabilità patrimoniale (artt. 2740 e 2741 c.c.),
introducendo un regime derogatorio ingiustificato ed incoerente.
Ed invero, proprio in
ragione del disposto di cui all'art. 170 c.c., il fondo patrimoniale ha
ormai assunto -nella prassi- una funzione strumentale e distorta
rispetto alle sua originaria finalità solidaristica (il soddisfacimento
delle esigenze familiari), rappresentando -come accennato- un mero
espediente per sottrarre determinati beni alla generica garanzia di
tutti i creditori.
In relazione alla
violazione dell'art. 24 Cost., pure prospettata, si rileva che le
limitazioni de quibus restringerebbero la difesa dei terzi
creditori all'azione revocatoria che, pertanto, pur presentando
complessi profili probatori, costituirebbe l'unico rimedio per evitare
gli irreversibili pregiudizi (sopravvenuta assenza di garanzie) della
costituzione successiva del fondo patrimoniale.
Sul punto, il risalente
ed ormai consolidato orientamento della Corte Costituzionale (sentenze
n. 94/1973 e n. 5/1974), pur ammettendo diversificazioni e limitazioni
del sistema di tutela giurisdizionale, ha sempre affermato che
l'evenienza va circoscritta alle ipotesi in cui si ponga l'esigenza di
salvaguardare interessi razionalmente ritenuti degni di tutela.
Tale esigenza, seppure
sussistente all'epoca della legge di riforma del diritto di famiglia
(che ha appunto introdotto il fondo patrimoniale in sostituzione del
patrimonio familiare) in ragione del carattere ancora patriarcale della
famiglia e del diverso contesto storico-sociale esistente, ha da anni
assunto connotazioni marginali e residuali riconducibili alla crisi ed
alla dissoluzione della famiglia legittima.
Autore: Avv. Romolo D'Argento - tratto sal sito: www.filodiritto.com |