I finanziamenti destinati
ad uno specifico affare

 

Tra le modalità di reperimento di mezzi finanziari concessi alle s.p.a. dalla recente riforma del diritto societario vanno menzionati i c.d. finanziamenti destinati ad uno specifico affare, disciplinati dagli artt. 2447-bis, comma 1, lett. b) e 2447-decies c.c. Tali disposizioni vanno integrate con l'art. 72-ter legge fall. che disciplina la sorte del contratto nel caso di fallimento della società beneficiaria del finanziamento.

La riforma del diritto societario consente alle società di stipulare un contratto volto al finanziamento di uno specifico affare convenendo che al rimborso totale o parziale del finanziamento stesso siano destinati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi dell'affare medesimo (art. 2447-bis, comma 1, lett. b), c.c.). L'operazione in esame è volta a far si che una società possa reperire mezzi finanziari al fine di rendere più facile la realizzazione di specifici affari consentendo al finanziatore di ottenere la restituzione della somma prestata senza concorrere con gli altri creditori della società. Anche in tale fattispecie si configura un fenomeno di separazione patrimoniale ma, a differenza dei patrimoni destinati, il vincolo di destinazione concerne esclusivamente i proventi dell'affare o i loro eventuali reimpieghi e non anche i beni strumentali destinati alla realizzazione dell'operazione.

Sulla base di quanto disposto dall'art. 2447 decies, comma 2, c.c., il contratto di finanziamento deve contenere:

  • a) una descrizione dell'operazione, che permetta di individuare l'oggetto specifico, le modalità ed i tempi di realizzazione, nonché i costi ed i ricavi attesi;
  • b) il piano finanziario dell'operazione, specificando la parte coperta dal finanziamento e quella a carico della società;
  • c) i beni strumentali necessari alla realizzazione dell'affare, rectius operazione;
  • d) le specifiche garanzie offerte dalla società in ordine all'obbligo di esecuzione del contratto e di corretta e tempestiva realizzazione dell'affare;
  • e) i controlli che il finanziatore, o il soggetto da lui deputato, può effettuare sull'esecuzione dell'operazione;
  • f) la parte dei proventi destinati al rimborso del finanziamento e le modalità per determinarli;
  • g) le eventuali garanzie che la società presta per il rimborso di parte del finanziamento;
  • h) la durata, cioè il tempo massimo in cui deve essere effettuato il rimborso, decorso il quale nulla è più dovuto al finanziatore.

Obiettivo di quest'ultimo punto non è certo quello di determinare una fattispecie di "perdita del diritto di credito", ma più propriamente quello di evitare che il vincolo obbligatorio possa configurarsi come di durata indefinita o perpetua.

Affinché, tuttavia, i proventi dell'affare costituiscano patrimonio separato rispetto a quello della società e, come tale, sottratto ai creditori della società medesima è necessario (art. 2447-decies, comma 3, c.c.):

  • - da un lato, che una copia del contratto di finanziamento sia depositata per l'iscrizione nel Registro delle imprese;
  • - dall'altro, che la società adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad individuare in qualsiasi momento i proventi dell'affare ed a tenerli separati dal restante patrimonio della società.

La norma in esame non specifica, però, l'organo deputato a deliberare in relazione alla stipulazione del contratto di finanziamento, lasciando presupporre come, nel caso di specie, si debba privilegiare l'autonoma determinazione degli amministratori, rientrante in quanto tale nelle funzioni caratteristiche dell'agire amministrativo.

Ai creditori "generali" della società, oltre ai proventi dell'affare, rectius ricavi dell'operazione ed i loro reimpieghi, sono inoltre sottratti i beni strumentali al compimento dell'operazione, ma soltanto sino al rimborso del finanziamento o alla scadenza del termine previsto per lo stesso. In altri termini, su tali beni i creditori sociali non possono esercitare azioni esecutive sino al rimborso del finanziamento ovvero ad una scadenza pattuita, essendo loro consentito esclusivamente di esercitare azioni conservative a tutela dei propri diritti (art. 2447-decies, comma 4, c.c.), dal momento che i beni in questione sono soggetti al vincolo di destinazione alla realizzazione dell'operazione finanziaria.

I finanziatori dell'affare, a loro volta, sono veri e propri creditori al cui soddisfacimento sono destinati soltanto i proventi dell'affare, oltre alle eventuali garanzie prestate da terzi o dalla società (art. 2447-decies, comma 2, lett. d) e g), c.c.), essendo, invece, preclusa ogni azione sul patrimonio della società, inclusi i beni strumentali di compimento dell'operazione finanziaria.

Nel caso di fallimento della società beneficiaria del finanziamento destinato, infine, l'art. 2447-decies, comma 6, c.c. prevede, nell'ipotesi in cui il fallimento della società impedisca la realizzazione o la continuazione dell'operazione, la cessazione degli effetti della segregazione ed il conseguente diritto del finanziatore ad insinuarsi nel passivo fallimentare per l'ammontare del suo credito, al netto delle somme già percepite. Il fallimento della società, pertanto, come la liquidazione coatta amministrativa, può generare lo scioglimento del contratto di finanziamento stipulato ai sensi dell'art. 2447-bis, comma 1, lett. b), c.c., al pari di quanto previsto dall'art. 72-ter, comma 1, legge fall. Al riguardo, è opportuno precisare che non si tratta di scioglimento automatico conseguente alla dichiarazione di fallimento, dal momento che l'effetto discende dalla idoneità del fallimento ad impedire l'operazione. Spetterà, infatti, al curatore valutare se il fallimento della società precluda o meno la prosecuzione dell'operazione.

Qualora il fallimento precluda il compimento dell'operazione, Il curatore, sentito il parere del comitato dei creditori (da ritenersi obbligatorio ma non vincolante), può decidere di subentrare nel contratto di finanziamento in luogo della società assumendone i relativi oneri (art. 72-ter, comma 2, legge fall.). Se, tuttavia, il curatore non subentri nel contratto, il finanziatore può richiedere al giudice delegato, sentito il parere del comitato dei creditori, di realizzare o di continuare l'operazione, in proprio o affidandole a terzi. In tale ipotesi, il finanziatore può trattenere i proventi dell'affare e può insinuarsi al passivo del fallimento in via chirografaria per l'eventuale credito residuo (art. 72 ter, comma 3, legge fall.).

Il fallimento della società determina, quindi, lo scioglimento del contratto di finanziamento destinato quando impedisce la realizzazione o la continuazione dell'operazione. In caso contrario, sia il curatore, previo parere del comitato dei creditori (art. 72-ter, comma 2, legge fall.), sia il finanziatore, qualora non vi sia il subentro da parte del curatore fallimentare, autorizzato dal giudice delegato, previo sempre il parere del comitato dei creditori (art. 72 ter, comma 3), possono decidere di subentrare nel contratto avente ad oggetto il finanziamento destinato. Nelle ipotesi di subentro da parte del curatore o del finanziatore, resta comunque fermo quanto disposto dall'art. 2447-decies, commi 3, 4 e 5, c.c. (art. 72 ter, comma 4, legge fall.).

Autore: Dott. Daniele Fico - tratto da "Il Quotidiano Giuridico" - 18/02/2008