Il diritto di recesso nel nuovo Codice del consumo
E' noto che il legislatore delegante, fra i criteri contenuti nella legge delega per l'adozione del codice del consumo, ebbe a fissare anche quello di armonizzare i termini previsti in materia di recesso nella diverse direttive che avevano affrontato tale problema. Del resto, anche a livello comunitario tale problema era ed e particolarmente avvertito[1].
E tuttavia, nell'attuazione di tale direttiva il codice del consumo si e limitato, per cosi dire, ad un'opera, certo meritoria, di armonizzazione che, tuttavia, non e andata oltre il mero riordino della durata del periodo di ripensamento, invece perpetuando talune diversità in ordine al dies ad quem dello ius poenitendi e perdendo, poi, l'occasione per regimentare in modo armonico i servizi finanziari commerciati a distanza come altre ipotesi che rimangono disseminate in ambiti normativi diversi dal codice del consumo.
Va invece a merito dei redattori del codice l'estensione della disciplina maggiormente protettiva prevista per determinati istituti dei contratti a distanza a quella dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali.
Orbene, procedendo con ordine, va detto che il legislatore delegato ha infatti mantenuto, anche dal punto di vista logistico, all'interno delle singole tipologie contrattuali, le previsioni sostanziali concernenti il diritto di recesso, anche se ha creato un'apposita sezione -la IV (artt.64 ss)- dedicata alle modalità di esercizio del recesso per i contratti c.d. portata porta e per quelli c.d. a distanza.
Occorre a questo punto sottolineare che nell'ambito dei contratti conclusi fuori dai locali commerciali, il codice del consumo ha perpetuato la disciplina prevista dal d.lgs.n. 50/1992, anche se nel recepire l'imput del Consiglio di Stato - in sede di parere - a proposito dei contratti per corrispondenza o conclusi sulla base di un catalogo consultabile dal consumatore, ha previsto il comma 3 dell'art. 45 -"ai contratti di cui al comma 1, lettera d), si applicano, se più favorevoli, le disposizioni di cui alla sezione II"- al quale va ascritto il merito di avere precisato l'applicazione a tali peculiari contrattazioni delle più favorevoli disposizioni contenute nella sezione II- dedicata ai contratti a distanza-. Sempre nell'ambito di tali tipologie negoziali va rammentato l'art. 48 del codice, nella parte in cui esclude il diritto di recesso per i contratti riguardanti la prestazione di servizi, rispetto alle prestazioni che siano state gia eseguite.
Passando alla Sezione IV, può dirsi, in modo estremamente sintetico, che il termine di recesso e ora di dieci giorni lavorativi -art. 64 primo comma e art. 73 primo comma-.
Il comma 2 dell'art. 64 prevede che il diritto di recesso si esercita con l'invio, entro i termini previsti dal comma 1, di una comunicazione scritta alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La comunicazione può essere inviata, entro lo stesso termine, anche mediante telegramma, telex, posta elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le quarantotto ore successive; la raccomandata si intende spedita in tempo utile se consegnata all'ufficio postale accettante entro i termini previsti dal codice o dal contratto, ove diversi. L'avviso di ricevimento non e, comunque, condizione essenziale per provare l'esercizio del diritto di recesso.
Viene poi chiarito che con la ricezione da parte del professionista della comunicazione di cui all'art. 64, le parti sono sciolte dalle rispettive obbligazioni derivanti dal contratto o dalla proposta contrattuale, fatte salve, nell'ipotesi in cui le obbligazioni stesse siano state nel frattempo in tutto o in parte eseguite, le ulteriori obbligazioni di cui all'art. 67-art. 66 cod.cons.-.
E fin qui l'armonizzazione si e spinta.
Se invece si va a guardare il sistema di decorrenza per l'esercizio del recesso e di durata del recesso in caso di informazioni incomplete, ci si accorge che la situazione di disarmonia esistente ante codice si e sostanzialmente perpetuata.
Ed infatti, benché l'art. 65 disciplini congiuntamente le ipotesi relative a vendita c.d. porta a porta e contratti a distanza, lo stesso ha mantenuto ferma la decorrenza in caso di informazioni offerte all'atto della conclusione del contratto porta a porta o dalla data di ricevimento della merce, se successiva- comma 1 art. 65- autonomamente specificando le ipotesi di contratti a distanza - ove e previsto che il termine di dieci giorni decorre dal momento in cui e soddisfatto l'obbligo di informazione, purché ciò avvenga "non oltre il termine di tre mesi dalla conclusione del contratto"-art. 65 comma 2 lett.a)-.
Permane, ancora, la diversità di disciplina per le ipotesi di mancata informazione o di incompleta od errata informazione, prevedendo il comma 3 dell'art.65 il termine di 60 per i contratti fuori dai locali commerciali e quello di 90 giorni per quelli conclusi a distanza, decorrenti entrambi, in caso di consegna di beni, dal giorno del loro ricevimento ed in caso di prestazione di servizi dalla conclusione del contratto- art. 65 comma 3: "Nel caso in cui il professionista non abbia soddisfatto, per i contratti o le proposte contrattuali negoziati fuori dei locali commerciali gli obblighi di informazione di cui all'articolo 47, ovvero, per i contratti a distanza, gli obblighi di informazione di cui agli articoli 52, comma 1, lettere f) e g), e 53, il termine per l'esercizio del diritto di recesso è, rispettivamente, di sessanta o di novanta giorni e decorre, per i beni, dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore, per i servizi, dal giorno della conclusione del contratto. 4. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano anche nel caso in cui il professionista fornisca una informazione incompleta o errata che non consenta il corretto esercizio del diritto di recesso. 5. Le parti possono convenire garanzie più ampie nei confronti dei consumatori rispetto a quanto previsto dal presente articolo "-
V'e solo da ricordare la precisazione - forse pleonastica- contemplata dal comma 5 dello stesso articolo, che consente alle parti di convenire in favore del consumatore garanzie più ampie di quelle normativamente fissate. Precisazione che non compare, per converso, in tema di multiproprietà ove il diritto di recesso di dieci giorni va esercitato dalla conclusione del contratto- primo comma art.73-.
Va poi aggiunto che il codice del consumo ha introdotto un'altra importante novità in tema di conseguenze successive all'esercizio del diritto di recesso.
Ed infatti, innovando la precedente disciplina in tema di contratti c.d. porta a porta, che impone la restituzione delle spese accessorie indicate in contratto, l'art. 67 comma 3 del codice prevede ora che il consumatore e tenuto al rimborso delle spese dirette alla spedizione del bene al mittente ove tanto sia previsto in contratto.
Tale previsione normativa sembra rivolta a scoraggiare le pratiche commerciali che, proprio per condizionare l'esercizio del diritto di recesso, erano andate nel tempo prevedendo ingenti spese in caso di esercizio dello ius poenitendi, cosi camuffando come oneri accessori delle vere e proprie multe penitenziali che l'ordinamento comunitario non poteva tollerare.
Occorre infine rammentare l'ulteriore, importante, modifica introdotta dall'art.67 comma 6 del codice del consumo, a proposito dell'estensibilità degli effetti del recesso esercitato nel contratto di acquisto di bene o di prestazione di servizio concluso fuori dai locali commerciali ed attraverso un finanziamento.
In tale ipotesi e stato normativamente previsto che l'esercizio del diritto di recesso nell'ambito del contratto principale produce la risoluzione del contratto di credito al consumo a questi collegato -art. 67 comma 6: "Qualora il prezzo di un bene o di un servizio, oggetto di un contratto di cui al presente titolo, sia interamente o parzialmente coperto da un credito concesso al consumatore, dal professionista ovvero da terzi in base ad un accordo tra questi e il professionista, il contratto di credito si intende risolto di diritto, senza alcuna penalità, nel caso in cui il consumatore eserciti il diritto di recesso conformemente alle disposizioni di cui al presente articolo. E' fatto obbligo al professionista di comunicare al terzo concedente il credito l'avvenuto esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore. Le somme eventualmente versate dal terzo che ha concesso il credito a pagamento del bene o del servizio fino al momento in cui ha conoscenza dell'avvenuto esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore sono rimborsate al terzo dal professionista, senza alcuna penalità, fatta salva la corresponsione degli interessi legali maturati"-.
Si tratta di un'importante innovazione che si inserisce coerentemente nell'ordinamento positivo che conosce la figura del c.d. collegamento negoziale, in relazione alla quale i fenomeni genetici o patologici che attengono ad una stipulazione si producono anche sul contratto ad esso legato da un nesso di collegamento. E' noto che il collegamento contrattuale, al di fuori delle ipotesi legislativamente contemplate (tipico), si risolve in un meccanismo (atipico)attraverso il quale le parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno e finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Ciò significa che l'accertamento del contratto collegato non deve inferirsi da elementi formali, quali l'unita o la pluralità dei documenti contrattuali o dalla mera contestualità delle stipulazioni, ma da quello sostanziale dell'unicità o pluralità degli interessi perseguiti.
E' poi noto che proprio l'esistenza di un nesso di interdipendenza fra le due contrattazioni può comportare che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia, risoluzione, ecc.)possono ripercuotersi sull'altro, seppure non in funzione di condizionamento reciproco (ben potendo accadere che uno soltanto dei contratti sia subordinato all'altro, e non anche viceversa) e non necessariamente in rapporto di principale ad accessorio[2].
Occorre solo rammentare che secondo il codice del consumo gli effetti del recesso sono presi in considerazione tenendo presente soltanto il contratto principale e non l'eventuale recesso dal contratto di finanziamento, non avendo il legislatore ritenuto di operare un'estensione degli effetti del recesso al caso di ius poenitendi esercitato nel contratto di credito al consumo.
Si tratta, all'evidenza, di una disciplina compatibile con i criteri della legge delega[3] e che, pero, conferma l'attenzione del legislatore interno al fenomeno del collegamento negoziale fra contratto di finanziamento e contratto di acquisto propendendo, tuttavia, per una soluzione che intende tale collegamento in senso unilaterale- si prevede, appunto, solo la risoluzione del contratto di finanziamento e non del contratto di acquisto in caso di recesso dal contratto di mutuo-. Tema questo che ha trovato in altre esperienze normative dei paesi dell'Unione ben diversa attenzione, anche nella giurisprudenza- si vede il recente caso S. (Corte giust.25 ottobre 2005, Grande sezione, causa C-350/03, E.S., W. S. c. Deutsche Bausparkasse Badenia AG) esaminato dalla Corte di giustizia, al cui commento, di imminente pubblicazione su Corr.giur., si rinvia-. Basta qui considerare l'ipotesi, non contemplata dal codice del consumo, in cui il consumatore, che si era indotto a stipulare il contratto principale proprio in ragione del contratto di finanziamento stipulato attraverso il venditore, decida di esercitare il recesso per il finanziamento; fattispecie che troverà presto disciplina anche a livello comunitario- v. ultima proposta varata dalla Commissione in tema di modifica della disciplina sul credito al consumo COM (2005) 483 def. 2e commento alla sentenza S., cit. -.
Cambiando argomento, va detto che e rimasta isolata la disciplina dello ius poenitendi in tema di c.d.multiproprieta- istituto ora ribattezzato come "contratto relativo all'acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili" (v.rubrica del capo I del titolo IV -Disposizioni relative ai singoli contratti- della parte III -Il rapporto di consumo-) anche se l'art.75 comma 1, voluto dal Consiglio di Stato, chiarisce che al contratto in oggetto deve applicarsi in blocco la disciplina in tema di recesso prevista per i contratti a distanza e fuori dai locali commerciali -. Salvo quanto specificamente disposto, ai contratti disciplinati dal presente capo si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 64 a 67- poi aggiungendo -art.75 comma 2- che ove ne ricorrano i relativi presupposti, trovano applicazione le piu favorevoli disposizioni dettate dal capo I del titolo III della parte III- in tema di contratti porta a porta e contratti a distanza-.
Va precisato, peraltro, che il codice del consumo non ha mancato di prevedere una specifica disciplina a proposito del recesso in tema di multiproprietà, parametrata alla particolare tipologia contrattuale.
In particolare, l'art.73 comma 1 ha previsto che entro dieci giorni lavorativi dalla conclusione del contratto l'acquirente può recedere dallo stesso senza specificarne il motivo. In tale caso l'acquirente non e tenuto a pagare alcuna penalità e deve rimborsare al venditore solo le spese sostenute e documentate per la conclusione del contratto e di cui e fatta menzione nello stesso, purché si tratti di spese relative ad atti da espletare tassativamente prima dello scadere del periodo di recesso. Il comma 2 dello stesso articolo aggiunge poi che Se il contratto non contiene uno degli elementi di cui all'articolo 70, comma 1, lettere a), b), c), d), numero 1), h) e i), ed all'articolo 71, comma 2, lettere b) e d), e non contiene la data di cui all'articolo 71, comma 2, lettera e), l'acquirente può recedere dallo stesso entro tre mesi dalla conclusione. In tale caso l'acquirente non e tenuto ad alcuna penalità ne ad alcun rimborso. Se poi entro tre mesi dalla conclusione del contratto sono comunicati gli elementi di cui al comma 2, l'acquirente può esercitare il diritto di recesso alle condizioni di cui al comma 1, ed il termine di dieci giorni lavorativi decorre dalla data di ricezione della comunicazione degli elementi stessi. E' poi il comma 4 a chiarire che se l'acquirente non esercita il diritto di recesso di cui al comma 2, ed il venditore non effettua la comunicazione di cui al comma 3, l'acquirente può esercitare il diritto di recesso alle condizioni di cui al comma 1, ed il termine di dieci giorni lavorativi decorre dal giorno successivo alla scadenza dei tre mesi dalla conclusione del contratto.
Nello stesso contesto si trova, poi, introdotta una disciplina volta a regolare gli effetti del contratto di concessione di credito in caso di recesso dal contratto di multiproprietà.
Infatti, analogamente a quanto previsto dall'art.67 comma 6 di cui si e gia detto, l'art.77 prevede che il contratto di concessione di credito erogato dal venditore o da un terzo in base ad un accordo tra questi ed il venditore, sottoscritto dall'acquirente per il pagamento del prezzo o di una parte di esso, si risolve di diritto, senza il pagamento di alcuna penale, qualora l'acquirente abbia esercitato il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 73.
V'e semmai da sottolineare che la specularità di siffatta disposizione rispetto a quella contenuta nell'art.67 comma 6 e solo parziale, mancando nell'art.77 ogni riferimento alle conseguenze economiche del recesso sul contratto di concessione del credito che invece trovano specifica regolamentazione nell'art.67 comma 6- ed e ben evidente che l'operazione interpretativa volta a colmare la lacuna prevista seguendo il canone analogico potrebbe non risultare agevole.
Resta poi da dire che rispetto alla disciplina dei pacchetti turistici contenuta nel codice del consumo essa rimanda alla disciplina in tema di recesso per le ipotesi in cui gli stessi siano stati conclusi con le forme dei contratti c.d.porta a porta o a distanza- art.88:i termini, le modalità, il soggetto nei cui riguardi si esercita il diritto di recesso ai sensi degli articoli da 64 a 67, nel caso di contratto negoziato fuori dei locali commerciali o a distanza-prevedendo poi una disciplina particolare in ordine alle conseguenze del recesso-art.92-.
Il sistema cosi succintamente descritto sembra perpetuare un marcato deficit di trasposizione della normativa interna in tema di contratti c.d. porta a porta, almeno per l'ipotesi di assenza o incompletezza delle informazioni.
E valga qui brevemente rammentare il caso Heininger[4] originato da una vicenda in cui si discuteva della mancata informazione del diritto di recesso in un contratto di mutuo.In tale occasione il giudice di Lussemburgo ha ritenuto che la legge tedesca, nella parte in cui limitava il diritto di recesso nell'ipotesi in cui il consumatore non era stato informato della possibilità di recedere dal contratto, contrastava con l'art.4 della dir.85/577.E poiché tale disposizione non prevedeva alcuna limitazione all'esercizio del recesso nelle ipotesi in cui il consumatore non era stato avvertito della facoltà di rescindere il rapporto, la Corte ha in quell'occasione affrontato il tema del limite temporale entro il quale deve essere esercitato il diritto di recesso previsto dall'art.4 della dir.85/577 in caso di mancata informazione del cliente[5].
Orbene, la Corte di giustizia, muovendo dal presupposto che il diritto di recesso può essere esercitato, stando al tenore letterale dell'art.5 della dir.85/577, entro il termine di 7 giorni dal momento in cui il consumatore ha ricevuto l'informazione, non ha avuto difficoltà ad evidenziare il contrasto della legislazione nazionale tedesca con il diritto comunitario, sottolineando in particolare che ancorché spetti ai singoli Stati prevedere le misure appropriate per la tutela dei consumatori qualora non venga fornita l'informazione di cui all'art.5 -art.4 par.3 dir.85/577/CEE-, appare irragionevole e contrario allo spirito della direttiva ammettere che il diritto di recesso possa consumarsi laddove il commerciante non ha informato di tale diritto il cliente-mutuatario.
E nemmeno la circostanza che quella legislazione nazionale consentiva al cliente parte di un contratto di credito al consumo il lasso di tempo,certamente non esiguo, di un anno dalla conclusione del contratto per esercitare il recesso fu ritenuta sufficiente per scriminare la contrarietà del diritto nazionale al sistema comunitario, proprio in considerazione della impossibilita per cosi dire ontologica di tollerare una consumazione di un diritto laddove il consumatore non sia messo nelle condizioni di legge che ne consentano l'esercizio.
Gia all'indomani della sentenza Heininger avevamo cercato di preconizzare le ricadute di quella decisione sulla disciplina italiana che indicava in sessanta giorni il tempo entro il quale il cliente non informato - o non correttamente informato- può esercitare, nelle vendite porta a porta, il diritto di recesso.
Se infatti il legislatore interno, analogamente a quello tedesco, era partito dal convincimento che il trascorrere di un lasso di tempo significativamente superiore a quello fissato in via generale per l'esercizio dello ius poenitendi dovesse comunque impedire al consumatore, anche se disinformato, di mettere e repentaglio la stabilita del contratto, tale costruzione sembrava smentita dalla pronunzia della Corte del Lussemburgo secondo cui l'obbligo, incombente sugli Stati membri, di prevedere misure appropriate per la tutela del consumatore qualora non venga fornita l'informazione circa il diritto di pentirsi, non può mai consentire alle legislazioni interne di prevedere la decorrenza dello ius poenitendi.
D'altra parte, la Corte, ancorché esortata ad avvalersi di quella stessa giurisprudenza che avrebbe potuto, in casi eccezionali, limitare l'efficacia retroattiva della sentenza anche al fine di preservare il principio- anche di rango comunitario- della certezza del diritto[6], aveva con estremo rigore ritenuto che nel caso concreto non vi erano situazioni di buona fede da tutelare.Cio perché il comportamento dei commercianti che avevano omesso la dovute informazione sul recesso, conculcando le legittime prerogative del cliente, non meritava affatto alcuna tutela, incidendo siffatta condotta su diritti garantiti dal diritto comunitario. Tale conclusione sembrava dunque confermare quella linea di pensiero che inquadra fra i veri e propri doveri incombenti sul contraente c.d.forte gli obblighi informativi che la normativa comunitaria pone spesso a carico del predetto[7] e fra questi quello di cui alla dir.85/577/CEE[8].
In questa prospettiva la scelta silenziosa del codice del consumo sul tema ora esaminato conferma l'inosservanza di uno dei criteri principe fissati nella delega, che era appunto quello di adeguare il diritto interno alla normativa comunitaria in modo da perseguire a livello elevato gli obiettivi di tutela del consumatore-art.7 lett.a l.n.229/2003-.
D'altra parte, non può farsi a meno di notare come nulla dica il codice del consumo in ordine ai contratti a distanza relativi alla commercializzazione di servizi finanziari, disciplinata dalla dir.2002/65/CE ed ora trasposta dal d.lgs.19 agosto 2005 n.190.
Rispetto a tale disciplina, va ricordato che l'art.11 d.lgs.ult.cit., nel recepire quasi letteralmente l'art.6 della dir.ult.cit., ha previsto che il consumatore dispone di un termine di 14 giorni per recedere dal contratto senza penali, poi aggiungendo che tale termine- pari a 30 giorni solo nel caso di contratti di assicurazioni sulla vita- decorre dalla data di conclusione del contratto- o da quella in cui l'assicuratore comunica che il contratto e stato concluso- in caso di regolare informazione da parte del professionista circa l'esistenza dello ius poenitendi.
Infatti, nel caso di mancata informazione di cui all'art.10, tale termine decorre dalla data in cui il consumatore riceve tali notizie.
Tanto significa che il diritto di recesso potrà essere esercitato ad libitum tutte le volte in cui il fornitore non ha adempiuto all'obbligo di informazione. Disciplina, quest'ultima che, pur pienamente in linea con la sentenza Heininger citata, e rimasta pero fuori dal codice del consumo, probabilmente per mere ragioni di ordine temporale, se si considera che il d.lgs.n.190/2005 venne inserito nella G.U. n.221 del 22 settembre 2005- epoca successiva al varo del codice, avvenuto il 6 settembre dello stesso anno. Ma non v'e dubbio che tale assenza pesa non poco, proprio perché concernente una disciplina realmente protettiva degli interessi del consumatore in caso di mancata o non completa informazione del consumatore.
Del resto, va solo aggiunto che la funzione armonizzatrice del codice si stempera considerando le ulteriori assenze in tema di recesso concernente altre tipologie contrattuali.
Il riferimento e, in particolare, alle ipotesi di cui all'art.30 d.lgs. n. 58/1998 in tema di valori mobiliari venduti fuori dai locali commerciali della ditta o a distanza - termine di recesso di 7 giorni non lavorativi- ed a quelle altre previste in tema di fondi di investimento chiusi venduti a domicilio del consumatore, polizze di assicurazione vita e contratti di qualunque tipo stipulati per via telematica mediante uso della firma digitale.
Passando, infine, in rassegna il tema della concreta operatività del diritto di recesso, occorre ricordare un arresto della Corte di Cassazione in tema di caratteristiche degli obblighi di informazione che fanno da preludio all'esercizio del diritto di recesso, teso a garantire in termini di effettività l'esercizio dello ius poenitendi.
In particolare, Cass. n. 14762/2003, resa in tema di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, non ha mancato di sottolineare che l'inserzione della clausola relativa al diritto di recesso del consumatore ottempera a due precisi requisiti di forma, il primo relativo all'autonomia della clausola "de qua", che deve restare separata dalle altre onde rendere chiara, immediata e trasparente l'informazione (sicche' deve ritenersi inammissibile il suo inserimento in un contesto uniforme di clausole di apparentemente pari rilevanza, inserite secondo una sequenza numerata), il secondo attenente alla evidenza grafica dell'informazione, che deve avere caratteri di scrittura eguali o superiori a quelli degli altri elementi indicati nel documento.
Sulla base di tali principi, il giudice di legittimità, riformando la decisione di merito impugnata, ha preso atto che nel contratto relativo alla frequenza ad un corso di informatica la clausola contenente il riconoscimento del diritto di recesso era stata scritta in caratteri uguali a quelli delle altre clausole, ma non era stata evidenziata in modo autonomo, bensì inserita nel corpus delle altre condizioni generali di contratto.
[1] Piano d'azione 2002-2004 Comm.Eur. (Com) 208 def., p.3.1.2.3: "Il follow-up potrebbe anche definire le misure da adottare per garantire la coerenza tra l'acquis comunitario attuale e futuro, tenuto conto del quadro di riferimento generale. In questo contesto e ipotizzabile un riesame del diritto dei contratti dei consumatori in vigore per rimuovere le incoerenze riscontrate, colmare le lacune e apportare semplificazioni. Rientrerebbe in questo riesame anche un'armonizzazione dei periodi di riflessione previsti da diverse direttive".
[2] Cass.28 giugno 2001 n.8844 a proposito della risoluzione fra contratti collegati.V.con riferimento alla possibilità di rifiutare la prestazione in conseguenza dell'inadempimento della controparte in caso di inadempimento realizzato nell'ambito di un diverso contratto pero collegato v.Cass.19 dicembre 2003 n.19556.cfr. pure Cass.18 luglio 2003 n.11240.
[3] sul punto v. il parere reso dal Consiglio di Stato, punto 11.6:
[4] Corte giust. 13 dicembre 2001, causa C-481/99,Heininger,in Corr.giuri, 2002,7,865, con commento di Conti,Il diritto di recesso tra "contratti porta a porta" e "credito al consumo".Un'importante sentenza della Corte UE.
[5] la legislazione tedesca prevede che in tema di contratti di credito al consumo il cliente possa recedere dal contratto entro un anno dalla conclusione del contratto nel caso in cui non sia stato informato della facoltà di risolvere il rapporto.E' invece fissato in un mese dall'integrale esecuzione del contratto il termine per esercitare il recesso in caso di vendita c.d.porta a porta.
[6] Corte giust. 28 settembre 1994,in causa C-57/93, Vroege, in Raccolta,1994, p. I-4541, punto 21.
[7] V.ad esempio il d.lgs.n?427/1998 che ha recepito la dir.94/47/CE sulla multiproprietà in cui al mancato rispetto degli obblighi informativi previsti dall'art.2, prevede, oltre a sanzioni di tipo amministrativo, l'allungamento sino a tre mesi del termine ordinario di dieci giorni per l'esercizio del diritto di recesso. Anche tale norma, seguendo le indicazioni provenienti dalla sentenza in rassegna, potrebbe dimostrarsi non conforme alla normativa comunitaria nella parte in cui prevede comunque la consumazione del diritto di recesso in caso di mancata informazione.
[8] Del resto il testo italiano della dir.ult.cit. prescrive che il consumatore "deve" essere informato dalla controparte del diritto di recesso.V.sul punto Gabrielli,L'attuazione in Germania.,cit. anche Colaiacomo,Contratti negoziati fuori dai locali commerciali,in Alpa,(a cura di),Codice del consumo e del risparmio,1999.V.anche Conc.Roma,24 giugno 1991, in Nuova giur.civ.comm.,1992,1, con nota di Stoppa, che ha ritenuto il contratto concluso fuori dai locali commerciali in assenza dell'informazione sul diritto di recesso affetto da nullità per contrarietà a norme imperative.
Autore: Dott. Roberto Conti - Magistrato del Tribunale di Palermo - tratto dal sito: www.ilquotidianogiuridico.it