La clausola di prelazione societaria ed il contenuto della denuntiatio
Nota a:
Tribunale Roma, 8/07/2005
Cassazione Civ., sez. I°,
13/04/2005, n. 7663
Sommario:
1. Profili generali della clausola di prelazione
societaria
2. Contenuto della denuntiatio
3. Rinunziabilità del diritto di
prelazione
4. Efficacia della clausola di prelazione e del trasferimento in
violazione della prelazione
1. Profili generali della clausola di prelazione
societaria.
L'art. 2469 c.c., in tema di s.r.l., stabilisce al comma
1 la libera trasferibilità delle quote per atto tra vivi e a causa di morte,
facendo salva una diversa disposizione dell'atto costitutivo.
Quest'ultimo
inciso normativo trova la sua estrinsecazione nelle clausole limitative della
circolazione delle partecipazioni, nell'àmbito delle quali deve certamente
ricomprendersi la clausola di prelazione, la cui presenza nell'atto costitutivo
obbliga il socio, che voglia alienare le propria quota, ad offrirla agli altri
soci, i quali avranno diritto di acquistarle alle medesime condizioni concordate
con i terzi.
Oggetto di attenta analisi è stato l'interesse perseguito
mediante l'apposizione della clausola di prelazione.
Secondo autorevole
dottrina (1)
l'interesse in esame sarebbe riconducibile prevalentemente ai singoli soci, e
consisterebbe nell'impedire modificazioni nel gruppo sociale, sia attraverso
l'ingresso di terzi, sia mediante un mutamento delle rispettive partecipazioni.
Si è, però, correttamente affermato (2)
come, una volta inserita nell'atto costituivo, la clausola assuma uno specifico
valore organizzativo, con la conseguenza che gli interessi con essa perseguiti
sarebbero tanto riferibili ai singoli soci, quanto attinenti alla collettività
dei membri della compagine sociale e, quindi, alla società medesima.
In base
a tale orientamento la titolarità degli interessi tutelati acquisirebbe
rilevanza ai fini della qualificazione della fattispecie come sociale o
parasociale, cosicché la clausola di prelazione sarebbe riconducibile ad
entrambe le categorie sopra citate, ponendo un requisito ulteriore per
l'efficacia del trasferimento delle partecipazioni nei confronti della società
(in ciò si estrinsecherebbe la socialità), ed allo stesso tempo attribuendo un
diritto ai soci individualmente considerati (in ciò troverebbe esplicitazione la
parasocialità).
La giurisprudenza di legittimità (3)
ha ulteriormente sviluppato questa tesi, precisando che la clausola di
prelazione, pur nascendo con un indubbio carattere parasociale, vista la
rilevanza che assume in essa l'interesse individuale dei soci, una volta
inserita nello statuto assume un carattere prettamente sociale. In altre parole,
la clausola di prelazione mantiene la natura pattizia tra le parti e quindi,
parasociale, divenendo allo stesso tempo elemento della struttura organizzativa
della società e parte integrante dell'atto costitutivo.
La natura della
clausola e degli interessi da essa tutelati ha assunto un valore determinante,
nella giurisprudenza anteriore alla riforma del diritto societario, anche ai
fini della fissazione delle maggioranze necessarie per l'introduzione, la
modifica o l'eliminazione della clausola in questione. Si riteneva (4), infatti, come l'introduzione dovesse avvenire
all'unanimità, stante l'incidenza sul diritto individuale del socio alla libera
circolazione della quota, mentre la modifica e la rimozione, riguardando oramai
una clausola facente parte dell'atto costitutivo, fossero soggette alla regola
maggioritaria. Di parere parzialmente diverso sembrava essere una parte della
dottrina (5), che affermava come il diritto alla libera
circolazione della quota, stante il disposto dell'art. 2355 c.c., non potesse
essere elevato a diritto soggettivo indisponibile da parte della
maggioranza.
A seguito del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, sembra trovare
ulteriore conferma la tesi prospettata da tale dottrina. Si è, infatti, da più
parti (6)
rilevato che l'orientamento della riforma del diritto societario in tema di
s.r.l. consente che con delibere a maggioranza si apportino rilevanti
modificazioni ai diritti dei soci, mentre l'unanimità è prevista solo per la
fattispecie di cui all'art. 2468, comma 3, c.c. che attiene ai particolari
diritti spettanti ai soci e riguardanti l'amministrazione della società o la
distribuzione degli utili.
A ciè è stato ulteriormente aggiunto (7)
come la possibilità di introdurre a maggioranza clausole di gradimento senza
condizioni o addirittura d'intrasferibilità, desunta chiaramente
dall'attribuzione al socio del diritto di recesso, consente di ritenere a
fortiori che siano approvabili a maggioranza le clausole di prelazione, che
rappresentano un minus rispetto alle prime.
Occorre, però, precisare che
l'argomento a fortiori non sembra inattaccabile, in quanto l'introducibilità a
maggioranza delle clausole di mero gradimento trova la sua ratio nella
previsione del diritto di recesso, qualificabile come strumento di tutela per il
socio, disposto al fine di evitare il ricorso all'unanimità, che costituirebbe
un eccessivo intralcio all'operatività della società. Tale strumento non è
applicabile, però, alle clausole di prelazione nelle s.r.l., stante il disposto
dell'art. 2469, che attribuisce il diritto di recesso esclusivamente
nell'ipotesi di clausole d'intrasferibilità o che subordinino il trasferimento
al mero gradimento di organi sociali o terzi o che pongano limiti che in
concreto impediscano il trasferimento a causa di morte, non facendo la benché
minima menzione alle clausole di prelazione, né potendo esse essere ricomprese
in quelle elencate dalla norma. Si vuole, in altre parole, rilevare, come non
sia possibile, al fine di affermare il superamento dell'unanimità anche per
l'introduzione delle clausole di prelazione, far riferimento a quelle di
gradimento, in quanto in tale ultima ipotesi la non necessità del consenso di
tutti soci trova la sua ragione nella tutela sostitutiva costituita dal diritto
di recesso.
L'introducibilità delle clausole di prelazione a maggioranza
sembra, quindi, continuare a trovare fondamento nelle corrette argomentazioni
formulate dalla dottrina anteriormente alla riforma.
Occorre, infine,
rilevare come alcuni Autori (8) hanno precisato che il diritto di recesso non si
possa escludere per ogni tipo di clausola di prelazione ed in particolare per
quelle cosiddette improprie. Tali clausole si caratterizzano per la circostanza
che il socio è obbligato ad offrire la propria partecipazione agli altri soci ad
un prezzo predeterminato da un collegio di arbitratori o dal consiglio
d'amministrazione. In tali ipotesi non può negarsi a priori il diritto di
recesso, in quanto occorrerà individuare la finalità con la quale è stata
redatta la clausola. Se essa risponde esclusivamente al principio di una equa
determinazione del prezzo, per evitare manovre fraudolente da parte del
venditore, non sembra invocabile da parte del socio il diritto di recesso,
stante la sussistenza della certezza oggettiva ed aprioristica di poter
disinvestire. Qualora, invece, la clausola di prelazione impropria sia stata
inserita nell'atto costitutivo con il solo scopo di deprezzare la partecipazione
per impedire al socio l'uscita dalla società, sembra corretto attribuire il
diritto di recesso, in quanto unico mezzo di tutela di fronte ad una clausola
che, seppur surrettiziamente, impedisce l'alienazione della
partecipazione.
2. Contenuto della denuntiatio.
La prima delle
massime in commento, al fine di stabilire la necessità dell'indicazione del
terzo acquirente nella denuntiatio, afferma come occorra, attraverso
l'utilizzazione dei criteri d'interpretazione del contratto, verificare se la
clausola sia posta o meno a tutela dell'interesse del socio ad impedire
l'ingresso in società di soggetto a lui non gradito.
La denuntiatio, secondo
l'orientamento prevalente, non è l'enunciazione della mera intenzione di vendere
la propria quota, ma integra una vera e propria proposta contrattuale.
Questa
tesi è stata contestata da autorevole dottrina (9) che ha rilevato come non vi sarebbe alcun motivo
per cui l'alienante, che ha ricevuto una proposta vantaggiosa da un terzo, debba
rinunciare, nei confronti degli aventi diritto alla prelazione, al ruolo
eventuale di accettante, affrontando così il rischio di una sicura conclusione
del contratto. Si è ulteriormente specificato che, qualificare la denuntiatio
come proposta contrattuale, sarebbe lesivo dell'interesse del soggetto passivo
del rapporto di prelazione a verificare se anche il soggetto attivo sia
disponibile ad offrire le medesime condizioni del terzo e, quindi, a decidere
solo in un momento successivo se addivenire o no alla stipulazione.
A ciò,
però, si è correttamente obiettato (10) come da tutta la normativa in tema di prelazione
legale, a cui quella volontaria e, quindi, anche quella in materia societaria,
fa certamente riferimento, si desume in maniera evidente come in capo
all'alienante sussista un vero e proprio obbligo di offrire, con la conseguenza
che la denuntiatiodeve essere qualificata come vera e propria proposta
contrattuale.
Sembrano, inoltre corrette le considerazioni di chi (11) ha rilevato come, nell'ipotesi in esame, l'oblato
ha solamente la possibilità di addivenire o no alla stipula del contratto, ma
non di controproporre altre clausole o condizioni, e questa situazione è tipica
dell'accettazione.
La configurazione della denuntiatio come vera e propria
proposta contrattuale determina, di conseguenza, la necessità che essa sia
completa e contenga tutti gli elementi del contratto che s'intende
concludere.
Nell'àmbito di tali elementi non è ben chiaro se debba essere
ricompresa anche l'indicazione del terzo intenzionato ad acquistare la
partecipazione sociale.
Parte della dottrina (12), ponendo in rilevanza le finalità di controllo che
persegue la clausola di prelazione, cioè la possibilità per l'avente diritto
d'impedire il trasferimento ad un soggetto non gradito, ha affermato in tutte le
ipotesi di prelazione, tanto legale che volontaria, l'essenzialità nella
denuntiatiodella menzione del nome del soggetto acquirente, sussistendo per
entrambe i tipi di prelazione il medesimo regime giuridico di base.
Di
opposto parere è parte della giurisprudenza di merito (13) che ha affermato come il patto di prelazione in
materia societaria non obbligherebbe l'alienante a comunicare agli altri soci il
nominativo del terzo proponente se non quando l'imponga una norma di legge o una
clausola dello statuto. Secondo tale orientamento non potrebbe ravvisarsi
l'esistenza di un interesse degli altri soci a conoscere il nominativo del terzo
aspirante all'acquisto, poiché funzione della prelazione in campo societario
sarebbe esclusivamente quella di consentire ai soci favoriti di accrescere la
loro ingerenza nell'amministrazione della società ma non quella di permettere
loro il controllo sulla qualità delle persone che intendono entrare in
società.
Nettamente predominante tanto in dottrina (14) che in giurisprudenza (15) è l'orientamento, a cui si è correttamente
conformato il giudice di merito nella sentenza in commento, che ha rilevato come
l'indicazione del terzo sia necessaria, quando, valutate le circostanze del caso
concreto ed esaminata la volontà posta alla base della clausola di prelazione,
emerga chiaramente la rilevanza dell'intuitus personae.
Si è ulteriormente
precisato come tale indicazione non solo consentirebbe di tutelare l'interesse
della società al mantenimento dell'omogeneità della compagine sociale, ma
permetterebbe altresì un corretto esercizio del diritto di prelazione, in quanto
la serietà dell'offerta potrebbe assumere una rilevanza determinante anche in
base all'identità del soggetto offerente.
La tematica della menzione del
terzo acquirente nella denuntiatio sembra per le s.r.l, alla luce della riforma
del diritto societario, assumere contorni più chiari e definiti. A seguito del
D.Lgs. n. 6 del 2003 la s.r.l. non è più
qualificabile come mero sottotipo della s.p.a., avendo al contrario assunto
un'autonoma rilevanza per l'impronta marcatamente personalistica impressale dal
Legislatore, che l'ha fortemente avvicinata alle società di persone.
L'importanza che, quindi, è venuto ad assumere l'intuitus personaenella società
a responsabilità limitata, sembra poter condurre, in considerazione
dell'orientamento consolidato sopra citato della Suprema Corte, ad affermare la
necessaria menzione del terzo acquirente in sede di denuntiatio.
3. Rinunziabilità del diritto di prelazione.
Non si
dubita che il diritto di prelazione in materia societaria sia un diritto
disponibile e come tale suscettibile di rinuncia da parte del suo titolare. A
tal proposito la Corte di Cassazione (16) ha rilevato come, qualora lo statuto di una
società accordi a ciascun socio la prelazione, in caso di vendita di azioni di
altro socio, facendo carico al secondo di dare comunicazione della proposta ed
attribuendo al primo la facoltà di accettarla entro un determinato termine, il
diritto di questi è suscettibile di rinuncia, vertendosi in materia di diritti
disponibili, e tale rinuncia ha effetto anche nei confronti di chi
successivamente acquisti i titoli del rinunciante. Tale pronuncia precisa,
inoltre, come il diritto in esame sia rinunciabile dopo la comunicazione della
denuntiatio, presupponendo, pare, il recepimento dell'orientamento che configura
la nascita del diritto di prelazione solo a seguito dell'adempimento della
suddetta comunicazione.
Anche la sentenza in commento ribadisce tali
affermazioni, sostenendo la rinunciabilità del diritto di prelazione,
trattandosi di una posizione attiva, vertente in materia disponibile, che non
incide né sull'atto costituivo né sullo status correlato alla partecipazione
sociale, ed affermando l'esercitabilità dell'atto abdicativo dopo la
comunicazione della denuntiatio. Il giudice di merito pone, inoltre, delle
specifiche condizioni affinché tale rinuncia possa essere validamente
esercitata.
Si afferma, infatti, come essa debba riferirsi ad una progettata
alienazione del bene ed il rinunciante debba essere a conoscenza di tutte le
condizioni di vendita, potendosi avere una consapevole rinuncia solo
nell'ipotesi in cui il titolare del diritto sia in grado di valutare tutti gli
aspetti positivi o negativi della sua scelta.
Se in ordine alla
rinunciabilità del diritto di prelazione non sussistono dubbi, ben più
problematica è la questione riguardante il momento in cui può essere esercitata
la rinuncia.
Parte della giurisprudenza di legittimità (17), seppur non specificamente in tema di prelazione
societaria, si è orientata in maniera difforme dalla sentenza in commento e
dalla sopra citata pronuncia della Suprema Corte, affermando la possibilità di
una rinuncia, anche preventiva rispetto alla denuntiatio. Si è, infatti,
contestato che il diritto in esame nasca solo ed esclusivamente con la
notificazione della denuntiatio, in quanto esso sorge ben prima, segnando la
comunicazione della proposta d'acquisto solo il momento in cui il diritto di
prelazione diviene attuale. Nell'àmbito di tale orientamento è stato, inoltre,
precisato che, affinché la rinuncia sia validamente esercitata vi deve,
comunque, essere un progetto concreto e determinato di alienazione in cui già
sono stabiliti gli elementi essenziali del negozio, di cui il rinunziante dovrà
essere a conoscenza. Ciò trova giustificazione nella considerazione che, se la
prelazione è il diritto di essere preferito a parità di condizioni rispetto ai
terzi, non vi può essere rinuncia all'esercizio di tale diritto se non si
conoscono i termini dell'accordo intercorso tra il soggetto passivo ed il terzo
acquirente, in quanto solo ed esclusivamente nel momento in cui essi vengono
stabiliti il diritto diventa attuale.
Di diverso avviso sembra essere un
recente orientamento della Suprema Corte (18) che in materia successoria ha affermato come la
rinuncia possa essere validamente esercitata anche di fronte ad un generico
progetto di vendita in cui non siano specificati in maniera chiara e definita i
termini dell'operazione, in quanto il diritto di prelazione nascerebbe ben prima
della denuntiatio o della definizione dell'affare. A ben vedere, però, questa
tesi suscita qualche perplessità, in quanto la prelazione presuppone la
sussistenza di un accordo circa i termini del negozio di trasferimento tra il
soggetto obbligato ed il terzo acquirente, altrimenti non sarebbe possibile
individuare quella parità di condizioni di fronte alla quale il prelazionario
può esercitare il suo diritto ed allo stesso modo può rinunziarvi.
Appare
condivisibile l'affermazione contenuta nella quarta massima nella quale si
sostiene l'ammissibilità di una rinuncia per comportamenti concludenti, non
essendo richiesta la forma solenne.
Di parere diverso, per ciò che riguarda
la prelazione agraria e quella urbana è la Suprema Corte (19) che ha affermato la necessità della forma scritta
ai sensi dell'art. 1350 n. 5, in quanto il diritto di prelazione è rivolto al
trasferimento della proprietà di un bene immobile.
Tale orientamento è stato
contestato dalla dottrina prevalente (20) che ha correttamente rilevato come l'art. 1350 n.
5 prevede la forma scritta per la rinuncia ad un diritto di cui già si è
titolari, mentre con la rinuncia alla prelazione si dismette semplicemente la
possibilità di rendersi acquirenti di quel diritto. Né potrebbe sostenersi che
il rifiuto di una proposta contrattuale, qual è la denuntiatio, dovrebbe
rivestire la medesima forma che la legge richiede per l'accettazione. È ben
noto, infatti, come le prescrizioni di carattere formale abbiano natura
eccezionale e come tali non siano estensibili al di là delle ipotesi
espressamente previste dalla legge.
Le argomentazioni della Suprema Corte
sembrano, comunque, non poter trovare applicazione nell'ipotesi della rinuncia
alla prelazione in caso di trasferimento di quote di s.r.l., in quanto per tale
negozio, secondo la dottrina prevalente, non sussiste la necessità della forma
ad substantiam. A ben vedere, infatti, nonostante la L. n. 310 dell'agosto del
1993 abbia stabilito che il trasferimento delle quote di s.r.l., per essere
iscritto nel libro soci, debba risultare da atto pubblico o scrittura privata
autenticata e debba essere depositato presso l'ufficio del registro delle
imprese nella cui circoscrizione ha sede la società, la dottrina prevalente (21) e la giurisprudenza (22) ritengono che non si tratti di forma ad
substantiam. Si è, infatti correttamente rilevato che, seppur alla luce della
ratio legis l'intenzione del Legislatore fosse stata quella d'imporre la forma a
pena di nullità, tale intenzione non è stata trasposta nel dettato normativo,
che richiede una forma specifica solo ed esclusivamente ai fini del deposito nel
registro delle imprese.
Mancando, quindi, una chiara disposizione legislativa
impositiva della forma ad substantiam, e stante il divieto di estendere le
prescrizioni formali al di là delle ipotesi espressamente previste, si è
affermata la libertà di forme per il trasferimento delle partecipazioni di
s.rl.
Da tutto quanto detto, quindi, risulta tanto più corretto
l'orientamento espresso nella sentenza in commento che ammette la possibilità di
una rinuncia alla prelazione mediante comportamenti concludenti.
4. Efficacia della clausola di prelazione e del trasferimento in
violazione della prelazione.
L'efficacia della clausola di
prelazione e la sorte della cessione della quota societaria effettuata in
violazione di essa hanno dato luogo a diverse interpretazioni. Parte della
dottrina (23) ha affermato come la clausola di prelazione
avrebbe esclusivamente efficacia obbligatoria, in quanto, stante il
perseguimento d'interessi esclusivamente individuali, essa sarebbe equiparabile
ad un patto parasociale.
La conseguenza di tale ricostruzione è che l'unica
tutela del socio leso nel diritto di prelazione consisterebbe nell'azione
risarcitoria, non essendo possibile inficiare il trasferimento al terzo.
Una
dottrina più risalente (24) è giunta alle medesime conclusioni sulla scorta,
però, di diverse argomentazioni. Tale Autore ha affermato come dagli artt. 1379
e 1372, comma 2, si desumerebbe un principio generale per cui solamente la legge
e non anche l'autonomia privata può imporre limitazioni aventi efficacia reale
alla libera circolazione dei beni. Sulla base di ciò questa dottrina ha rilevato
come, non sussistendo tale imposizione legislativa per le clausole di
prelazione, se ne debba necessariamente negare la natura
reale.
L'orientamento prevalente (25) sostiene, invece, come l'inserimento nello statuto
della clausola di prelazione eleva quest'ultima a regola dell'ordinamento
societario, conoscibile da parte di tutti per la pubblicità a cui essa è
sottoposta, e dotata di efficacia reale.
Non vi è, però, concordia di
opinioni tra coloro che sostengono la tesi dell'efficacia reale in ordine alle
conseguenze dell'alienazione effettuata in violazione della clausola di
prelazione.
La giurisprudenza di legittimità (26) ha affermato come il trasferimento della
partecipazione posto in essere senza rispettare il diritto di prelazione sarebbe
affetto da nullità assoluta, poiché, stante quanto disposto dall'art. 2355, ci
si troverebbe di fronte ad una prelazione stabilita dalla legge. Tale tesi è
stata oggetto di forti critiche (27), in quanto si è rilevato come la nullità opera
solo ed esclusivamente nel caso di violazione di norme imperative e non anche
nell'ipotesi di violazione di patti negoziali, tra i quali certamente rientra la
clausola di prelazione, che l'art. 2355 si limita esclusivamente a contemplare.
Non è neppure possibile sostenere la sussistenza di un collegamento tra
l'efficacia reale della clausola e la sanzione della nullità, in quanto, come è
stato correttamente rilevato (28), la limitazione del potere di disporre, che è
insito in ogni clausola di prelazione, non concerne gli elementi essenziali del
negozio, ma è esterna ad essi e riguarda il soggetto che pone in essere il
trasferimento.
Autorevole dottrina (29) ha sostenuto come le limitazioni derivanti dalla
clausola di prelazione non incidono né sulla circolazione dell'azione né nei
confronti della società, che non potrebbe rifiutare l'iscrizione nel libro dei
soci dell'acquirente sulla base della violazione del patto di prelazione.
Secondo tale tesi la posizione dei membri della compagine sociale sarebbe
equiparabile a quella dei coeredi aventi diritto alla prelazione, con la
conseguenza che la tutela per i soci sarebbe garantita dall'esercizio del
diritto di riscatto nei confronti del terzo acquirente.
La dottrina
prevalente sostiene, invece, la tesi dell'inefficacia dell'alienazione posta in
essere in violazione della clausola di prelazione.
Nell'àmbito di quest'unico
orientamento si sono formate due principali varianti. Alcuni Autori (30) hanno affermato la piena efficacia del
trasferimento inter partes e l'inefficacia nei confronti della società. Tale
tesi determinerebbe, non solo la possibilità per la società di rifiutare
l'iscrizione dell'acquirente nel libro dei soci, ma anche la legittimazione
esclusiva in capo ad essa ad agire giudizialmente al fine di far valere
l'inefficacia del trasferimento. Altri Autori (31) e numerose pronunce di merito (32) hanno invece sostenuto l'inefficacia assoluta,
tanto nei confronti dei soci che della società, dell'alienazione della
partecipazione sociale in spregio della clausola di prelazione, con la
conseguenza che anche i singoli soci potrebbero farne valere
l'inefficacia.
In maniera conforme si è espresso, nella sentenza in commento,
il Giudice di merito che ha rilevato come la violazione del patto di prelazione
conduce alla dichiarazione d'inefficacia assoluta del contratto di vendita ed
alla ricostituzione della situazione precedente in capo al socio pretermesso.
Quest'orientamento pare corretto e condivisibile, in quanto sussiste una
duplicità d'interessi lesi, quelli della società e quelli dei soci, a cui deve
conseguire una sanzione operante nei confronti di entrambi i soggetti. Tale
sanzione deve essere necessariamente individuata nell'inefficacia, non essendo
possibile, per i motivi già precedentemente esposti, configurare un'ipotesi di
nullità.
Autore: Dott. Salvatore Clericò, pubblicato su "Riv. notariato",
2006, 2, 546
Note:
(1) L. Ferri, Le società, in Tratt. di dir. civ., a cura di Vassalli, UTET,
1985, p. 486.
(2) Angelici, Azioni -
gruppi, in Tratt. delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, 2,
Torino, 1991, p. 190 ss.
(3) Cass., 26 novembre
1998, n. 12012, in questa Rivista, 1999, p. 755; Cass., 19 agosto 1996, n. 7614,
in Giur. comm., 1997, II, p. 520; Cass., 15 luglio 1993, n. 7859, in Foro it.,
1994, I, p. 406.
(4) Cass., 9 novembre 1993,
n. 11057, in Vita not., 1994, p. 820; App. Roma, 7 dicembre 1989, in Foro it.,
1990, I, p. 2027; Trib. Modena, 21 settembre 1996, in Soc., 1997, p.
84.
(5) Campobasso, Diritto
delle società, Torino, 2002, p. 247.
(6) Magliulo, in AA.VV., La
riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, p. 216; AA.VV.,
Le massime del consiglio notarile di Milano, Milano, 2005, p. 29.
(7) AA.VV, Le massime,
cit., p. 30.
(8) Maltoni, in AA.VV., La
riforma, cit., p. 182.
(9) G. Gabrielli, voce
Patto di prelazione, in Enc. giur., XXIII, 1990, p. 5.
(10) Catricalà, Funzioni e
tecniche della prelazione convenzionale, in Riv. dir. civ., 1978, II, p.
546.
(11) Rubino, La
compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo
continuato da Mengoni, Milano, 1971, p. 67.
(12) Spallanzani, in questa
Rivista, 1979, p. 1452 ss.
(13) App. Bologna, 25
gennaio 1978, in Giur. comm., 1982, II, p. 303; Trib Roma, 29 ottobre 1988, in
Impresa, 1988, p. 3006.
(14) Per tutti Santoro
Passarelli, Struttura e funzione della prelazione, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 1981, p. 697 ss.
(15) Cass., 12 giugno 2001,
n. 7879, in questa Rivista, 2002, p. 232; Cass., 12 marzo 1981, n. 1407, in
questa Rivista, 1981, p. 706.
(16) Cass., 15 novembre
1993, n. 11278, in Giust. civ., 1994, I, p. 1583.
(17) Cass., 22 gennaio
1994, n. 624, in Vita not., 1994, p. 1368.
(18) Cass., 14 gennaio
1999, n. 310, in Notariato, 2000, p. 252.
(19) Cass., 4 marzo 2003,
n. 3166, in Mass. Giust. civ., 2003, f. 3; Cass., 10 aprile 1996, n. 3313, in
questa Rivista, 1996, p. 1447; Cass., 21 marzo 1995, n. 3241, in Mass. Giust.
civ., 1995, p. 650.
(20) D'Orazi, Rinuncia alla
prelazione, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, III, p. 816; Triola, La prelazione
legale, Milano, 2003, p. 271.
(21) Laurini, La società a
responsabilità limitata, Milano, 2000, p. 71; Campobasso, Diritto delle società,
Torino, 2002, p. 554, nota 1.
(22) Cass., 23 gennaio
1997, n. 697, in Soc., 1997, p. 647; Cass., 10 novembre 1998, n. 11296, in
Giust. civ., 1999, p. 1717.
(23) Maccabruni, in Giur.
comm., 1990, II, p. 96; Oppo, I contratti parasociali, Milano, 1942, p.
40.
(24) Messineo, Nullità ed
inefficacia relative della clausola di gradimento nell'acquisto di azioni, in
Riv. soc., Milano, 1962, p. 533 ss.
(25) Per tutti Campobasso,
Diritto delle società, Torino, 2002, p. 242 e Di Sabato, Società, Torino, 1995,
p. 340.
(26) Cass., 21 ottobre
1973, n. 2763, in Giur. comm., 1975, II, p. 23; Cass., 10 ottobre 1957, n. 3702,
in Giur. it., 1958, I, 1, p. 548.
(27) Trib. Milano, 23
settembre 1991, in Soc., 1992, p. 357.
(28) Carnevali, in nota a
Trib. Bassano del Grappa, 17 febbraio 1993, in Soc., 1993, p. 978.
(29) Ferri, Le società, in
Trattato di diritto civile, Torino, 3, p. 486.
(30) Graziani, Diritto
delle società, Napoli, 1963, p. 268; De Ferra, La circolazione delle
partecipazioni azionarie, Milano, 1964, p. 221.
(31) Campobasso, Diritto
delle società, Torino, 2002, p. 242 e Di Sabato, Società, Torino, 1995, p.
337.
(32) Per tutte Trib. Milano, 23 settembre 1991, in Soc., 1992, p. 357; Trib. Roma, 4 maggio 1998, in Vita not., p. 305.