Il danno alla persona e la riscoperta del sistema risarcitorio bipolare: percorsi di giurisprudenza


(Cassazione civile, sentenze nn. 7281-7282-7283-8827-8828/2003; 10482-20814/2004.
Corte Costituzionale, sentenza n. 233 dell'11/07/2003)


La nozione di danno alla persona, come oggi la conosciamo, è la risultante un processo di ricca elaborazione giurisprudenziale e dottrinale iniziatosi negli anni '70. Un percorso che, recentemente, ha trovato il suo punto d'approdo nel recentissimo ritorno alla bipolarità del danno, riscoperto nella sua duplice dimensione di danno patrimoniale e/o non patrimoniale (non piu inteso solo quale danno morale) e nella liberazione di quest'ultimo, se ne ricorrano le condizioni, dal vincolo imposto dall'art. 2059 c.c., inerente l'astratta configurabilita del reato.

Una redecouverte tradotta nei fatti nelle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, primo tra tutti ad elaborare un proprio modello risarcitorio fondato sul nuovo orientamento della Consulta e della Corte di Cassazione.

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Gli anni '70 segnano l'epoca della prima grossa svolta in materia di responsabilita civile e di danno alla persona.

Prima di allora il danno alla persona era determinato principalmente con riferimento al reddito del danneggiato e la sua liquidazione si risolveva in una mera operazione di calcolo: moltiplicando il reddito x la percentuale di invalidita riportata x il coefficiente numerico relativo all'eta e sottraendovi il c.d. "scarto tra vita fisica e lavorativa" (-20%), si poteva risarcire il danneggiato della diminuita sua capacita, in seguito al sinistro, di produrre reddito, lasciando al giudice il compito di "personalizzare" discrezionalmente il risultato se la particolarita della fattispecie lo richiedesse.
E tuttavia, si trattava di una soluzione estremamente iniqua, evidentemente inapplicabile a quei danneggiati non aventi un reddito proprio: si pensi ai minori, ai disoccupati, o alle casalinghe che dal sinistro non avevano riportato alcuna diminuita capacita reddituale, assente anche in precedenza. Essi, al piu, avevano riportato solo la diminuzione della loro generica ed astratta capacita di produrre reddito, una finzione che consentiva di non lasciare irrisarciti i danni subiti da quei soggetti1 .

Anche sul versante del danno non patrimoniale, la giurisprudenza era arroccata su posizioni restrittive che ne limitavano la risarcibilita: l'art. 2059 c.c. si riteneva disciplinasse il solo fenomeno del danno morale subiettivo; la riserva ai soli "casi determinati dalla legge (c.p.c. 89, 120; c.p. 185 ss.)", veniva letta unicamente in chiave di un richiamo al reato.

Sono dei Tribunali di Genova e di Pisa i primi tentativi di superare i limiti di un sistema siffatto: occorreva anzitutto un modello di danno alla persona il cui risarcimento fosse svincolato dal dato reddituale e, per questo, concedibile indistintamente a tutti coloro che subivano pregiudizio.

Segnatamente, presso i giudicanti toscani, si fa strada la prima forma di danno biologico: un danno accordabile a tutti in quanto sinonimo non gia di una diminuita capacita reddituale, bensi di una lesione dell'integrita fisica e psichica; un danno da collocare nell'area del danno patrimoniale, perche i vincoli imposti dall'art. 2059 c.c. ne avrebbero pregiudicato la concedibilita in ogni caso di danno a persona dovuto a responsabilita di terzi.

E' della dottrina il decisivo contributo ad una simile collocazione: secondo l'impostazione che sara seguita da tutta la successiva giurisprudenza, un danno poteva dirsi patrimoniale allorche vi fosse la possibilita di farne una misurazione secondo criteri oggettivi ed uniformi. Cio era fattibile anche con il danno all'integrita fisica e psichica della persona che, dunque, non poteva che consistere in un danno di ordine patrimoniale (Cfr. Busnelli).

La definitiva consacrazione di un sistema coerente e generalizzato è -però- di un decennio successivo.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 184 del 14.7.1986, affermava chiaramente l'esistenza di 3 voci di danno: il danno biologico (danno c.d. "evento" e con valenza centrale) ed i danni patrimoniale e non patrimoniale (danni c.d. "conseguenza").

Secondo il paradigma "Dell'Andro" (dal nome dell'estensore della pronuncia), per essere rilevante, la condotta lesiva doveva produrre l'"evento" danno biologico, pregiudizio posto su di un piano differente rispetto alle tradizionali figure di danno, legato alla obiettiva lesione psicofisica.

Solo in presenza di tale evento sarebbe stato possibile valutare e risarcire anche gli eventuali danni "conseguenza": si trattava del danno non patrimoniale, inteso unicamente quale danno morale soggettivo, come patema d'animo, come transeunte sofferenza, esistente solo in quanto esistesse un reato; e del danno patrimoniale, come danno da lucro cessante, come pregiudizio della capacita di produrre un determinato reddito, da provarsi con estremo rigore, oltre al danno emergente.

Alla costruzione si uniformò la successiva giurisprudenza. Presso i Tribunali, la pubblicazione delle tabelle contribui a dare maggiori certezze al risarcimento del danno biologico.

Le sue debolezze, tuttavia, non tardarono a manifestarsi.
Si pensi, per esempio, alla legittimazione degli enti - e non solo delle persone fisiche - a vedersi risarcito un danno non patrimoniale: se, come nella costruzione dell'Andro, il danno non patrimoniale consisteva unicamente nel danno morale soggettivo (patema d'animo), tutti i soggetti diversi dalle persone fisiche restavano fuori dall'area di risarcibilita del danno non patrimoniale. E, tuttavia, anche una persona giuridica avrebbe potuto subire dall'altrui comportamento illecito un danno non patrimoniale: ci riferiamo, ad esempio, alle condotte lesive della credibilita ed onorabilita di una societa2 .

Si pensi, ancora, alla questione del risarcimento del danno a persona quando esso fosse consistito nella solo sofferenza, senza alcuna lesione dell'integrita psicofisica: la necessaria centralita e preminenza del danno biologico portava ad escludere la risarcibilita di un simile - pur sussistente - pregiudizio.

La questione rese necessaria una rivisitazione del paradigma dell'Andro, a fronte della quale il danno non patrimoniale venne "promosso" nella categoria dei danni evento cosi ricevendo, sostanzialmente, parita rispetto al danno biologico e risarcibilita a prescindere da questo.

A tal proposito, è celebre il precedente costituito dalla sentenza "Seveso" secondo cui "In caso di compromissione dell'ambiente a seguito di disastro colposo (art. 449 c.p.), il danno morale soggettivo lamentato da coloro che, trovandosi in una particolare situazione con tale ambiente (nel senso che ivi abitano e/o svolgono attivita lavorativa), provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenze e patemi d'animo) di natura transitoria a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita, e risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all'integrita psico - fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all'offesa all'ambiente ed alla pubblica incolumita, anche l'offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale". In motivazione, il collegio non mancava di precisare che "[...] non sussiste alcuna ragione, logica e/o giuridica, per negare tale risarcibilita ove il soggetto offeso, pur in assenza di una lesione alla salute, provi di avere subito un turbamento psichico (che si pone anch'esso come danno-evento, alla pari dell'eventuale danno biologico o patrimoniale, nella specie non ravvisati)" (Cass. S.U. n. 2515 del 21.2.2002 in Danno e resp. 2002, 499).

Ma il danno non patrimoniale rimaneva pur sempre legato inscindibilmente al reato: che dire di quelle situazioni pregiudizievoli certamente non patrimoniali che non avevano prodotto alcuna lesione psicofisica e per le quali non era configurabile astrattamente alcuna fattispecie di reato?

Con gli strumenti giuridici a disposizione residuavano pregiudizi non risarcibili.

Era arrivato il momento del danno esistenziale.

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Elaborato dalla scuola giuridica triestina, il danno esistenziale ricevette definitiva consacrazione giurisprudenziale con la pronuncia della Corte di Cassazione n. 7713 del 7.6.2000.

Nella specie, era stato convenuto in giudizio un genitore che, per anni, non aveva adempiuto al proprio dovere di mantenimento nei confronti del figlio, parte istante: questi, pur avendo in seguito ricevuto gli importi alimentari dovuti, insisteva per il risarcimento degli altri danni personalmente subiti "sia sotto il profilo affettivo che economico" in conseguenza del comportamento intenzionalmente e pervicacemente defatigatorio del padre naturale.

Accolta la domanda anche dalla Corte d'appello di Venezia, la causa giungeva innanzi alla Corte di Cassazione. Segnatamente, proponendo gravame avverso la pronuncia di secondo grado, il padre perorava l'assenza, nel caso di specie, di un danno risarcibile: il giudice di secondo grado aveva liquidato un risarcimento ancorche avesse accertato l'intervenuta corresponsione di tutto quanto dovuto dal padre a titolo di mantenimento; non era liquidabile nemmeno alcun danno morale, stante la previa pronuncia del giudice penale che aveva escluso illiceita penalistica del fatto.

Ciononostante, la Corte di Cassazione giungeva a confermare la decisione dei giudici di merito, sottolineando, invece, che il pagamento non aveva esaurito tutti i profili di danno conseguenti al rilevante ritardo nell'erogazione: cio che i giudici di merito avevano inteso risarcire era la violazione in se che, dal comportamento di ostinata inadempienza del padre, era stata perpetrata in pregiudizio dei diritti della persona, in particolare quei diritti afferenti alla qualita di figlio e di minore dell'originario attore.

Una violazione che, pur evidentemente realizzatasi con il contegno dilatorio del padre, sarebbe rimasta priva di tutela risarcitoria: i crediti alimentari erano gia stati soddisfatti ne poteva configurarsi il reato (ai fini del risarcimento del danno morale) o una lesione psico-fisica di matrice biologica.

Ecco dunque, nei minimi termini, la ratio sottesa al riconoscimento del danno esistenziale: nell'ottica di un sistema risarcitorio del danno alla persona in cui trovavano tutela il solo danno biologico (quale lesione dell'integrita psicofisica del soggetto) il danno morale ex art. 2059 c.c. (coincidente con la sofferenza, il patema d'animo, risarcibile solo in presenza di reato) ed il danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. (come perdita di un'utilita economica) tutti i pregiudizi non implicanti una deminutio patrimonii, ne una lesione suscettibile di una valutazione medico-legale, sarebbero rimasti, in assenza anche di reato, privi di risarcimento3.

La giurisprudenza, soprattutto di merito, sensibile all'esigenza di conferire al danneggiato un risarcimento realmente "integrale" del pregiudizio subito, aveva finito per enucleare nel nuovo "danno esistenziale", risarcibile ex art. 2043 c.c., ciò che doveva essere risarcito ma che non era in altro modo risarcibile. Si trattava di un danno polivalente, omnicomprensivo di qualsivoglia modificazione in pejus delle abitudini di vita di un individuo: come dira parte della giurisprudenza di merito affrontando una casistica quanto mai diversificata, il danno esistenziale e dato da una forzosa rinuncia allo svolgimento di attivita non remunerative, fonte di compiacimento o di benessere per il danneggiato, perdita non causata da una compromissione dell'integrita psicofisica4.

A differenza del biologico, tale voce di danno sussiste indipendentemente da una lesione fisica o psichica suscettibile di accertamento e valutazione medico legale; rispetto al morale, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima, non consiste in una sofferenza od in un dolore, ma nella rinuncia ad una attivita concreta; diversamente dal patrimoniale, prescinde da una diminuzione della capacita reddituale5.

Per inciso, l'esigenza sottesa alla creazione del danno esistenziale non era certo cosa nuova.

Gia precedentemente, sin dalla nascita del danno biologico, si era sentita l'esigenza di inglobare omnicomprensivamente in quella nuova figura di danno le autonome voci che nella prassi avevano assunto una connotazione distinta dalla lesione dell'integrita psicofisica in se, emergendo nelle categorie di "danno alla vita di relazione", "danno estetico", "danno alla sessualita" ecc... cosi finendosi per configurare, all'interno del danno alla salute, una sua componente statica ed una dinamica, la prima aderente alla uniformita dei metodi di liquidazione a "punto" o "tabellare", la seconda deputata invece alla valorizzazione delle peculiarita del caso che, mediante una liquidazione puramente equitativa o un "appesantimento" del valore-punto, potesse rendere ragione dei riflessi ulteriori che la medesima lesione poteva comportare in modo diverso da soggetto a soggetto, tenuto conto delle modalita di esplicazione della personalita di ciascuno.

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La costruzione di cui detto sarebbe risultata ben presto "superata" a fronte dei nuovi orientamenti giurisprudenziali manifestatisi nel corso del 2003, che avrebbero condotto alla riscoperta della tradizionale concezione "bipolaristica" del danno nella sua veste di danno patrimoniale o non patrimoniale.

A distanza di qualche anno dalla sua consacrazione, infatti, il danno esistenziale cominciava a mostrare l'esigenza di essere ancorato a propri criteri di concedibilita, altrimenti avrebbe finito per essere solo un contenitore a disposizione della discrezionalita della magistratura giudicante, suscettibile di essere riempito di volta in volta di qualsivoglia doglianza non compiutamente dimostrabile, ad evidente discapito della certezza del diritto e dei diritti alla difesa.

Era auspicabile, per parte della dottrina, un suo avvicinamento all'area dei danni non patrimoniali ma a quel punto la formulazione dell'art. 2059 c.c. avrebbe rappresentato un vincolo fortemente limitativo alla sua concedibilita.

L'art. 2059 c.c. era norma gia certamente in grado di convogliare a se ogni sorta di pregiudizio non dotato di patrimonialita: cio, tuttavia, a patto che potesse ritenersi afferente non solo al danno morale subiettivo e che, soprattutto, potesse essere letta a prescindere dal vincolo relativo alla configurabilita del reato.

In costanza di quel vincolo, il giudice civile poteva concedere il danno non patrimoniale solo allorche sulla questione fosse intervenuto un giudicato penale di condanna ovvero, quanto meno, previa indagine circa la sussistenza di tutti gli elementi costituenti il fatto-reato, tra cui, immancabile, l'accertamento in concreto dell'elemento psicologico colpa.

Invero, questa impostazione si era formata sotto la vigenza del vecchio codice di procedura penale: in quel contesto, caratterizzato dal rapporto di pregiudizialita necessaria tra giudizio penale e giudizio civile, si era ritenuto coerente al sistema che l'accertamento del reato da parte del giudice civile avesse ad oggetto il reato in tutti gli elementi penalmente rilevanti e si svolgesse secondo le regole probatorie proprie del giudizio penale. Evidentemente, non era possibile pensare alla configurabilita del reato sulla base di una colpa solo presunta e non superata, meccanismo di matrice prettamente civilistica.

Agli inizi del nuovo millennio, ormai mutati i rapporti tra processo civile e penale a seguito dell'introduzione del nuovo codice di procedura penale (ottobre 1989) e venuta meno la preminenza della giurisdizione penale su quella civile, non v'era ragione per continuare a negare che l'accertamento della responsabilita penale potesse essere effettuato in base alle regole probatorie proprie del processo civile, in particolare con l'ausilio del sistema delle presunzioni di colpa.

In altre parole, come confermera a piu riprese la Corte di Cassazione con le note sentenze nn. 7281-82-83/2003, era venuto il momento di avallare la risarcibilita del danno non patrimoniale anche se l'esistenza del fatto-reato fosse stata desunta, non gia dall'obiettivo accertamento della colpa, ma dal mero mancato superamento della presunzione di colpa eventualmente gravante sulla parte convenuta, come nei casi di cui agli artt. 2054 e 20516 c.c..

Secondo la Cassazione, sarebbe apparso "[...] incongruo ritenere che, in un contesto connotato da un onere probatorio posto a carico al danneggiante convenuto, evidentemente in funzione di tutela della posizione della vittima, ove lo stesso non sia soddisfatto e la prova liberatoria non sia data, il danneggiato attore possa ottenere o no il risarcimento del danno non patrimoniale a seconda che abbia o meno dato la prova di un fatto (colpa) che non gli compete e la cui mancanza va invece provata dall'altra parte. Posto che, se la colpa fosse sussistente, il fatto integrerebbe il reato ed il danno non patrimoniale sarebbe dunque risarcibile, la non superata presunzione di colpa altro non significa che essa agli effetti civili sussiste, sicche il fatto senz'altro corrisponde anche in tale ipotesi alla fattispecie astratta di reato" (Cfr. Cass. n. 7281/2003, pag. 4)

Evidentemente, vengono in considerazione "[...] soltanto gli effetti civili della condotta dell'autore del danno e non anche le conseguenze penali, ovviamente connesse all'effettivo positivo accertamento della colpa, essendo sconosciuto al sistema penale il meccanismo, esclusivamente proprio del diritto civile, di una presunzione legale circa la sussistenza di un elemento del fatto. Ma proprio per la insopprimibile diversita degli ambiti, sembra del tutto improprio frustrare gli scopi di una disposizione, qual e l'art. 2059 c.c., che non mira a punire il responsabile, ma a consentire il risarcimento del danneggiato dal fatto illecito anche se leso in interessi non economici, operandone un'interpretazione del tutto antinomica rispetto all'esigenza alla quale il sistema in cui e inserita palesemente si ispira: quella, appunto, di rendere possibile il risarcimento del danno anche se la prova della colpa sia raggiunta grazie ad una presunzione legale" (Cfr. Cass. n. 7281/2003, pag. 4).

E cosi, Secondo la Suprema Corte, "Alla risarcibilita del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. e 185 c.p. non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno se essa - come nei casi di cui agli artt. 2054 e 2051 c.c. - debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato" (Cass. n. 7281 del 12.5.2003 in Foro it. 2003, I,2274; Cass. n. 7282 del 12.5.2003 in Resp. civ. e prev. 2003, 676; Cass. n. 7283 del 12.5.2003 in Giur. it. 2004, 1130).

L'impostazione era quanto mai attuale e consona alle molteplici novelle legislative che, in settori specifici, avevano di fatto ampliato i casi di concessione del danno non patrimoniale anche al di fuori delle ipotesi di reato: si pensi alla Legge 675/1996 (per il vero oggi abrogata e sostituita dal D.Lgs. 30.6.2003, n. 196) la quale, se la raccolta di dati personali fosse avvenuta con modalita illecite, concedeva la risarcibilita del danno non patrimoniale (art. 29, comma 9); la Legge 89/2001, concernente l'equo processo7, ispirata alla piena risarcibilita del danno non patrimoniale alla sola condizione che fosse stato superato il termine di ragionevole durata dello stesso (art. 2).

Anche lo stesso danno biologico, del resto, veniva sempre risarcito a prescindere dal reato. Ed esso non era altro che una "peculiare figura di danno non patrimoniale", da riportare all'area dell'art. 2059 c.c. (Cfr. Cass. n. 7281/2003, pag. 4).

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Con due pronunce del successivo 31 maggio, la Corte di Cassazione porta a compimento il processo di reinterpretazione dell'art. 2059 c.c.: le sentenze nn. 8827 ed 8828 del 31/05/2003.

Se, fino a quel momento, il danno non patrimoniale aveva continuato ad identificarsi nel solo danno morale ed il reato era rimasto il principale filtro alla risarcibilita di detto pregiudizio - pur potendo rilevare, nell'indagine del giudice civile circa la sua sussistenza, anche la colpa solo presunta -, con le c.d. "sentenze gemelle" la Corte di legittimita si spinge oltre, approntando una lettura "costituzionalmente orientata" dell'art. 2059 c.c..

Ad avviso del Supremo Collegio, "Nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all'art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo - il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale soggettivo" (Cfr. Cass. n. 8828/2003, pag. 5).

Ed infatti, come apoditticamente affermato in sentenza, "La tutela risarcitoria della persona [...] va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, quest'ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una lesione dell'integrita psico - fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera sofferenza psichica e del patema d'animo) nonche dei pregiudizi, diversi ed ulteriori, purche costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto" (Cfr. Cass. 8827/2003, pag. 16).

In particolare, "Il danno non patrimoniale conseguente alla ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non e soggetto, ai fini della risarcibilita, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p., e non presuppone, pertanto, la qualificabilita del fatto illecito come reato, giacche il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben puo essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale [...]" (Cass. 8827 del 31/05/2003 in Danno e resp. 2003, 819).

Ci troviamo nel punto di ritorno al danno bipolare.

Come in passato, i soli danno patrimoniale e non patrimoniale si contendono la scena del pregiudizio risarcibile, sgomberato il campo da voci di danno che ora possono trovare collocazione nel nuovo art. 2059 c.c..

Esso non si identifica piu con il solo danno morale ma attrae a se, oltre ad esso, il danno biologico e tutti i pregiudizi che ledono interessi costituzionalmente qualificati: sono proprio tali interessi, oltre (e non piu solo) l'astratta configurabilita del reato, ad essere nuovo filtro di concedibilita del danno non patrimoniale.

Ai fini della risarcibilita del danno non patrimoniale, il reato e l'indagine circa l'elemento psicologico che ne sta alla base rilevano solo in quanto in una fattispecie possa dedursi il solo pregiudizio morale - in assenza del danno biologico o della lesione di un altro diritto di rango costituzionale - ferma restando la configurabilita del reato anche in ipotesi di mancato superamento della presunzione di colpa8.

Evidentemente, discendendo direttamente dall'art. 32 della Costituzione, il danno biologico e sempre sinonimo della violazione di un diritto di rango costituzionale e rientra a pieno titolo nei danni risarcibili ex art. 2059 c.c..

Come precisato successivamente dalla Cassazione, "[...] una volta esattamente ritenuto che il concetto di danno non patrimoniale [...] non si identifichi con la formula tradizionale riduttiva di danno morale subiettivo ed una volta ritenuto che la lettura costituzionalmente orientata della norma comporti che, per il principio della gerarchia delle fonti, il legislatore ordinario non possa limitare, ai soli casi previsti dalla normativa ordinaria, il risarcimento della lesione dei valori della persona umana ritenuti inviolabili dalla Costituzione, ne consegue che non vi e piu la necessita di allocare la tutela del danno biologico nell'art. 2043 c.c., attraverso la costruzione dell'ipotesi del "danno - evento" o del tertium genus di danno rispetto al danno patrimoniale ed al danno morale subiettivo" (Cass. n. 3399 del 20.2.2004 in Giust. civ. Mass. 2004, f. 2; nello stesso senso, Cass. 19057 del 12.12.2003 in Danno e resp. 2004, 762).

Come tale, la sua liquidazione non puo che avvenire in via equitativa, sebbene nulla osti a che le tabelle gia elaborate dalla giurisprudenza di merito restino valida base di partenza, da adeguarsi, se del caso e motivatamente, in relazione alla peculiarita della fattispecie: "In tema di liquidazione dei danni non patrimoniali, pur a seguito del nuovo inquadramento del diritto all'integrita psicofisica della persona nell'ambito esclusivo del combinato disposto dell'art. 2059 e 32 cost. (nonche delle altre norma costituzionali poste a presidio della detta integrita personale), rimangono validi tutti i principi generali elaborati in tema di quantificazione del danno biologico e di quello morale" (Cass. n. 3399 del 20.2.2004 in Giust. civ. Mass. 2004, f. 2; cosi anche Cass. n. 19057 del 12.12.2003 in Giust. civ. Mass. 2003, f. 12; Cass. n. 16525 del 4.11.2003 in Foro it. 2004, I, 779)9.

Quanto ai pregiudizi che incidono su interessi costituzionalmente protetti, e la stessa giurisprudenza del 2003 a darcene alcuni esempi.

Le sentenze 8827 ed 8828 sono infatti costruite intorno al vecchio danno c.d. "morale riflesso"10 (nella specie del genitore del macroleso) e al danno da perdita di congiunto, entrambi ricondotti alla tutela costituzionale.

Il primo, in quanto sinonimo del drastico peggioramento delle abitudini di vita di un genitore in relazione all'esigenza di provvedere perennemente ai bisogni del figlio sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti, e certamente espressione della lesione dei diritti della famiglia ex art. 29 comma 1 Cost.: "Il riconoscimento dei "diritti della famiglia" va inteso non gia, restrittivamente, come tutela delle estrinsecazioni della persona nell'ambito esclusivo di quel nucleo, con una proiezione di carattere meramente interno, ma nel piu ampio senso di modalita di realizzazione della vita stessa dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto personale ispira, generando bensi bisogni e doveri, ma dando anche luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorche il fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto, provocando una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri ed una determinante riduzione, se non annullamento, delle positivita che dal rapporto parentale derivano, il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita del genitore in relazione all'esigenza di provvedere perennemente ai (niente affatto ordinari) bisogni del figlio, sopravvissuto a lesioni seriamente invalidanti, deve senz'altro trovare ristoro nell'ambito della tutela ulteriore apprestata dall'art. 2059 c.c. in caso di lesione di un interesse della persona costituzionalmente protetto" (Cfr. Cass. n. 8827/2003, pag. 15).

Cosi anche per il secondo, espressione dell'irreversibile venir meno del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalita con le quali essi normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare: "L'interesse fatto valere nel caso di danno da uccisione di congiunto e quello alla intangibilita della sfera degli affetti e della reciproca solidarieta nell'ambito della famiglia, alla inviolabilita della libera e piena esplicazione delle attivita realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela e ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost. Si tratta di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell'art. 2043, nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad un risarcimento (o meglio: ad una riparazione), ai sensi dell'art. 2059, senza il limite ivi previsto in correlazione all'art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in tema di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato. Il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella perdita del rapporto parentale, si colloca quindi nell'area dell'art. 2059 in raccordo con le suindicate norme della Costituzione" (Cfr. Cass. n. 8828/2003, pag. 7)11.

Successivamente, la Suprema Corte indichera altre ipotesi di lesione di interessi di rango costituzionale: "La negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni, al pari del demansionamento professionale integrano una lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalita del lavoratore anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato, con una indubbia dimensione sia patrimoniale sia - a prescindere dalla configurabilita di un reato - non patrimoniale, che rende il pregiudizio medesimo suscettibile di risarcimento" (Cass. n. 7980 del 27.4.2004 in Giust. civ. Mass. 2004, f. 4).

Ancora, secondo la recentissima giurisprudenza di legittimita, al di la della ricorrenza di un danno di matrice biologica, il danno alla reputazione dell'imprenditore illegittimamente protestato puo inquadrarsi come pregiudizio non patrimoniale dipendente dalla lesione della dignita sociale e professionale del medesimo, tutelata dal combinato disposto degli articoli 2, 3, e 41 della Costituzione (Cass. n. 6732 del 30.3.2005 in D&G - diritto & giustizia 19/2005, pag. 32). Analogamente, anche per il caso non integrino gli estremi del reato di diffamazione, le dichiarazioni lesive dell'altrui onore costituiscono pur sempre violazione dei diritti - di rango costituzionale - all'onore e alla reputazione (Cass. n. 5677 del 18.3.2005 in D&G - diritto & giustizia 19/2005, pag. 38).

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L'art. 2059 c.c. venne ben presto sottoposto all'esame di legittimita costituzionale da parte della Consulta.

Questa, tuttavia, ritenne la questione infondata12: secondo la Corte, non occorreva alcuna formale dichiarazione di incostituzionalita dell'art. 2059 c.c. dal momento che il processo di erosione e nuova interpretazione della disposizione si era gia compiuto a livello legislativo e giurisprudenziale.

Era comunque opportuno, nella forma di un corposo obiter dictum, segnare il punto di approdo di una simile evoluzione: "E infondata la q.l.c. dell'art. 2059 c.c. sollevata in riferimento all'art. 3 cost. per irragionevole contrasto con il principio di parita delle giurisdizioni, civile e penale, nella parte in cui escluderebbe la risarcibilita del danno non patrimoniale allorche la responsabilita dell'autore del fatto, corrispondente a una fattispecie astratta di reato, venga affermata in base a una presunzione di legge. Infatti l'art. 2059 c.c. deve essere interpretato nel senso che il danno non patrimoniale sia risarcibile anche quando la colpa dell'autore del fatto risulti da una presunzione di legge"13; e ancora, "Nell'astratta previsione della norma di cui all'art. 2059 c.c. deve ricomprendersi ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrita psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona" (Corte Cost. n. 233/2003 in Giur. it. 2004, 1129).

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In questa logica, e evidente come il danno esistenziale, cosi come inteso dalla prima sua giurisprudenza, risulti privo di fondamento: viene a cessare l'esigenza sottesa alla creazione di una figura di danno distinta dalle categorie tradizionali e svincolata dai relativi criteri di risarcibilita. Il pregiudizio non implicante una deminutio patrimonii, ne una lesione suscettibile di una valutazione medico-legale, prodottosi in assenza di reato, puo essere risarcito in quanto danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., allorche sia ipotizzabile una violazione di diritti costituzionalmente qualificati14.

Proprio detta violazione e clausola di salvaguardia contro il rischio di espansione a dismisura dei pregiudizi risarcibili e contro eventuali ingiustificati risarcimenti.

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Recependo gli esposti sviluppi giurisprudenziali, nella logica del ritorno al sistema risarcitorio bipolare proprio del codice civile, l'osservatorio sulla giustizia civile del

Tribunale di Milano ha ritenuto opportuno adeguare le proprie Tabelle risarcitorie tramite la predisposizione di un nuovo schema per la liquidazione del danno non patrimoniale (gia oggetto della Circolare direzionale n. 04/2005, cui vi rimandiamo).

Quest'ultimo, seguendo l'orientamento della Suprema Corte, comprende il danno biologico - vale a dire la lesione all'integrita psicofisica della persona - e il danno non patrimoniale diverso dal biologico, voce comprensiva sia del danno morale soggettivo (pecunia doloris) che dei pregiudizi diversi e ulteriori costituenti conseguenza della lesione di interessi costituzionalmente qualificati.

Per la liquidazione del DANNO BIOLOGICO PERMANENTE l'osservatorio continua a fare riferimento alla tabella gia in uso, il cui ultimo aggiornamento e dello scorso aprile, con la possibilita di aumentare fino al 30% i valori tabellati nell'ottica di personalizzare il risarcimento alle peculiari condizioni soggettive del danneggiato15.

Occorre precisare che la tabella in uso presso il Tribunale di Milano gia considera il danno biologico subito dalla persona nei suoi aspetti statico e dinamico-relazionali medi. Solo ulteriori condizioni soggettive del danneggiato diverse da quelle "medie", se allegate e provate, potranno essere oggetto della personalizzazione di cui detto: "Il danno biologico, a seguito della valutazione che deve essere nel piu alto grado possibile personalizzata, e liquidato in precipua considerazione di cio che il soggetto non potra piu fare" (Cfr. Cass. n. 8827/2003, pag. 16)16.

Si pensi, per esempio, al caso scolastico di amputazione del dito ad una persona che pratichi l'hobby di suonare uno strumento musicale o alla riduzione della funzionalita dell'arto inferiore per una persona che coltivi sistematicamente uno sport.

Per il DANNO BIOLOGICO TEMPORANEO viene proposto l'aggiornamento della diaria giornaliera a Euro 65,00= per IT totale (l'ultimo aggiornamento delle diarie per inabilita temporanea totale prevista dalla legge 57/01 e pari a Euro 38,79=).

Per la liquidazione del DANNO NON PATRIMONIALE DIVERSO DAL BIOLOGICO, come tale comprensivo del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso e dei pregiudizi diversi e ulteriori costituenti la violazione di interessi costituzionalmente protetti, l'osservatorio effettua una distinzione tra "vittima primaria" (riferendosi al caso in cui il vi sia un danneggiato che abbia patito un pregiudizio biologico) e "vittime secondarie" (riferendosi al caso della morte o grave lesione di un familiare).

Per cio che concerne la vittima primaria, l'Osservatorio propone di:

  • mantenere fermo il precedente criterio di liquidazione del danno morale soggettivo tradizionalmente inteso, parametrato in via equitativa sull'entita del danno biologico: il danno morale soggettivo (patema d'animo contingente) e dunque quantificabile in linea di massima nella misura da 1/4 a 1/2 della liquidazione del danno biologico;
  • portare fino a 2/3 della somma liquidata a titolo di danno biologico l'entita massima del risarcimento attribuibile per il danno non patrimoniale (diverso dal biologico) unitariamente inteso (patema d'animo + pregiudizi diversi e ulteriori costituenti la violazione di interessi costituzionalmente protetti) ove, oltre al danno morale soggettivo, risulti una ulteriore significativa compromissione di interessi costituzionalmente protetti, diversi dal diritto alla salute.

Quanto alle vittime secondarie per il caso di morte di un familiare l'Osservatorio propone di disancorare la commisurazione del danno non patrimoniale risarcibile (da intendersi come somma del danno morale soggettivo tradizionalmente inteso e danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale) da ogni astratto riferimento ad ogni ipotetico danno biologico del 100% subito dalla vittima primaria, privilegiando invece essenzialmente il legame familiare tra la vittima primaria e le vittime secondarie e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (tipizzabili in particolare nella sopravvivenza o meno di altri congiunti, nella convivenza o meno di questi ultimi, nella qualita ed intensita della relazione affettiva familiare residua, nella qualita ed intensita della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto familiare con la persona perduta).

A tal fine l'osservatorio propone come indicazione di massima un'ampia forbice che sembra idonea, da un lato, a consentire al giudice maggiore elasticita e, dall'altro, a non comprimere in automatismi il dovere di motivazione.

La proposta liquidatoria e la seguente:

      • Danno non patrimoniale a favore di ciascun genitore per morte di un figlio da Euro 100.000,00= a Euro 200.000,00=;
      • Danno non patrimoniale a favore del figlio per morte di un genitore da Euro 100.000,00= a Euro 200.000,00=;
      • Danno non patrimoniale a favore del coniuge o del convivente sopravvissuto da Euro 100.000,00= a Euro 200.000,00=;
      • Danno non patrimoniale a favore del fratello per morte di un fratello da Euro 20.000,00= a Euro 120.000,00=.

Analoghe le considerazione dell'Osservatorio con riferimento, infine, alle vittime secondarie in caso di grave lesione familiare.

Anche in questo caso si propone di disancorare la misura del danno non patrimoniale risarcibile alla vittima secondaria dal danno biologico subito dalla vittima primaria.

Infatti, pur essendo la gravita di quest'ultimo rilevante per la stessa configurabilita del danno al familiare, e sembrato opportuno, nella liquidazione del danno al familiare, tener conto essenzialmente della natura e intensita del legame tra vittime secondarie e vittima primaria, nonche della quantita e qualita dell'alterazione della vita familiare.

E, tuttavia, la difficolta di tipizzazione delle possibili variabili nei casi concreti ha portato all'individuazione solo di un possibile tetto massimo della liquidazione, pari al tetto massimo per ciascuna ipotesi di cui sopra (danni non patrimoniali per morte di un familiare), da applicare nell'ipotesi di massimo sconvolgimento della vita familiare.

Note:


1 Il danno alla capacita lavorativa generica e stato definito da parte della dottrina l' "antenato" del danno biologico, dal momento che la nozione di generica attitudine al lavoro era nata proprio al fine di ristorare eventuali menomazioni che, in un'epoca segnata dalla patrimonialita del danno, non avevano alcuna incidenza sulla capacita reddituale del soggetto leso e sarebbero altrimenti rimaste prive di risarcimento. L'esigenza e evidentemente la medesima sottesa alla nozione di danno biologico. La sostanziale identita tra i due danni e stata, ancora di recente, ribadita dalla Cassazione: "All'interno del risarcimento del danno alla persona, il danno da riduzione della capacita lavorativa generica, costituendo una lesione di un'attitudine o di un modo di essere del soggetto, non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia in una menomazione dell'integrita psico-fisica risarcibile quale danno biologico" (Cass. n. 15187 del 6.8.2004 in Giust. civ. Mass. 2004, f. 7-8; cosi, tra le numerose, Cass. 3727 del 19.4.1996 in Giust. civ. Mass. 1996, 609; Cass. n. 1198 del 16.2.1996 in Giust. civ. Mass. 1996, 204; Cass. n. 3260 del 19.3.1993 in Resp. civ. e prev. 1993, 268).

2 Secondo la Corte di Cassazione, "Danno non patrimoniale e danno morale sono nozioni distinte: il primo comprende ogni conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento sibbene di riparazione, mentre il secondo consiste nella cosiddetta "pecunia doloris"; poiche il danno non patrimoniale comprende gli effetti lesivi che prescindono dalla personalita giuridica del danneggiato, il medesimo e riferibile anche a enti e persone giuridiche" (Cass. n. 2367 del 3.3.2000 in Danno e resp. 2000, 490; Cfr. anche Cass. n. 12951 del 5.12.1992 in Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 12; Cass. n. 7642 del 10.7.1991 in Giust. civ. 1991, I, 1955).

3 La problematica sottesa al riconoscimento del danno esistenziale viene esemplificata - e risolta nella specie negativamente - in una sentenza del Tribunale di Lecco: "In materia di risarcimento dei danni deve ritenersi che, al di fuori del danno patrimoniale, possano essere riconosciuti soltanto il danno biologico ed il danno morale, che esauriscono tutta la gamma delle lesioni (non patrimoniali) possibili (patologiche, quanto al danno biologico; non patologiche quanto al danno morale): aggiungere una nuova voce di danno, quale quella del c.d. danno esistenziale, alle categorie attualmente gia risarcibili serve soltanto ad aggirare la questione dei criteri da cui dipendono la risarcibilita del danno biologico e del danno morale nonche la loro corretta valutazione" (Trib. Lecco, 5.3.2002 in Giur. milanese 2004, 31).

4 Secondo la Corte d'Appello di Milano, "Il danno esistenziale e individuabile, ove sia accertata una modificazione peggiorativa, purche, apprezzabile per intensita e qualita, nella sfera personale del soggetto leso, tra cui va fatta rientrare la alterazione del diritto alla "normale qualita della vita" e/o "alla libera estrinsecazione della personalita" (C. Appello Milano, 14.2.2003 in Diritto & Giustizia 2003). Poco prima, il Tribunale aveva affermato che "Perche possa ravvisarsi il "danno esistenziale" occorre che sussistano le seguenti condizioni: 1) violazione del "diritto alla qualita della vita" e/o "alla libera estrinsecazione della personalita", con modificazioni peggiorative nella sfera personale del soggetto leso; 2) ingiustizia del danno secondo gli usuali parametri dell'art. 2043 c.c. o in base a presunzioni di legge; 3) nesso di causalita tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi in un giudizio di proporzionalita o adeguatezza tra il fatto illecito e le conseguenze dannose; 4) consecutivita temporale tra comportamento lesivo e danno; 5) mancanza di danno biologico" (Trib. Milano, 15.6.2000 in Giur. it. 2002, 952). Il Tribunale di Torino descrive il danno esistenziale come "[...] lesione della personalita del soggetto nel suo modo di essere sia personale sia sociale, comportante una apprezzabile alterazione della qualita della vita, senza necessita di sussistenza di una lesione dell'integrita fisio-psichica accertabile con criterio medico legale" (Trib. Torino, 21.5.2003 in Giur. merito 2003, 2174).

5 Secondo la Sez. Lavoro della Cassazione, "Il danno biologico ed il danno esistenziale si distinguono in ordine alla prova: nel primo caso e necessaria la presenza di una patologia oggettiva, che si accerta mediante parametri medico - legali, nel secondo caso e necessaria l'esistenza di disagi e turbamenti di tipo soggettivo" (Cass. sez. lav. n. 9009 del 3.7.2001 in Resp. civ. e prev. 2001, 1177). Al proposito, il Tribunale di Milano aveva affermato che "Il danno esistenziale non comportando un'alterazione dello stato di salute o l'insorgere di una malattia non va qualificato come danno biologico" (Trib. Milano 21.10.1999 in Nuova giur. civ. commentata 2000, I, 558). Ancora, secondo il Tribunale di Locri, "Il danno esistenziale, risarcibile ex art. 2043 c.c., consiste nel pregiudizio che l'individuo subisce alle attivita realizzatrici della propria persona e va distinto dal danno biologico in virtu della matrice medico legale di quest'ultimo, ancorche anche nella sfera esistenziale possono essere presenti componenti biologiche" (Trib. Locri 6.10.2000, in Danno e resp. 2001, 393). Ad opinione del Tribunale di Foggia "Il danno morale (inteso come danno-conseguenza) si distingue dal danno esistenziale (quale danno - evento, diretto e non riflesso) e non rimane confinato nell'area del danno non patrimoniale definito dall'art. 2059 c.c. e, pertanto, deve essere riconosciuto anche in assenza di un fatto astrattamente configurabile come reato e pure in presenza di mere presunzioni di responsabilita" (Trib. Foggia 2.4.2003 in Giur. merito 2003, 1643). Secondo il Tribunale di Parma, "In ipotesi di infortunio sul lavoro da cui siano derivate lesioni dell'integrita psicofisica del lavoratore, il risarcimento del danno esistenziale in aggiunta al risarcimento del danno morale e biologico non costituisce ingiustificata duplicazione delle voci di danno, in quanto il danno esistenziale differisce sia dal danno morale che dal danno biologico. Dal danno morale, in quanto il danno esistenziale si traduce nell'impossibilita di svolgere precedenti attivita quotidiane realizzatrici della propria personalita, mentre il danno morale attiene alle sofferenze fisiche e morali patite a cagione dell'altrui comportamento; dal danno biologico; in quanto tale voce di danno concerne le sole lesioni dell'integrita psicofisica suscettibili di accertamento medico legale, mentre il danno esistenziale riguarda le limitazioni subite dall'attivita realizzatrice della propria personalita a conseguenza della condotta illecita altrui" (Trib. Parma 17.4.2003 in D.L. Riv. critica dir. lav. 2003, 668).

6 In relazione all'art. 2051 c.c. si veda infra nota 8.

7 La Cassazione, anche di recente, ha avuto modo di precisare che "In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 2 l. 24 marzo 2001 n. 89, anche per le persone giuridiche (e, piu in generale, per i soggetti collettivi) il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, e [.] conseguenza normale, ancorche non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri; sicche, pur dovendo escludersi la configurabilita di un danno non patrimoniale "in re ipsa" - ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione -, una volta accertata e determinata l'entita della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che l'altra parte non dimostri che sussistono, nel caso concreto, circostanze particolari, le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente" (Cass. n. 13163 del 16 luglio 2004, n. 13163 in Giust. civ. Mass. 2004, f. 7-8).

8 Con le sentenze nn. 7281-82-83/2003, alla risarcibilita del danno non patrimoniale non sarebbe ostato il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno ogni qual volta detta colpa potesse ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge. La dichiarazione di principio investiva, secondo quei giudici di legittimita, i casi disciplinati dagli artt. 2051 e 2054 c.c.: nelle sentenze del 2003, tali disposizioni vengono sostanzialmente parificate e ritenute - entrambe - ipotesi di colpa presunta, malgrado l'interpretazione piu recente vedesse nell'art. 2051 c.c. (gia presunzione "iuris et de iure" e non "iuris tantum") un'ipotesi di responsabilita oggettiva.

Invero, nel 2004, la Cassazione recuperera l'interpretazione dell'art. 2051 c.c. come appartenente all'area della responsabilita oggettiva precisando i confini delle precedenti affermazioni: in assenza della violazione di interessi di rango costituzionale (la cui ricorrenza consentirebbe di superare ogni problematica connessa alla configurabilita del reato) il risarcimento del danno non patrimoniale comporta la necessita dell'indagine circa l'esistenza di tutti gli elementi del reato, salvi i soli casi in cui operi il meccanismo della colpa presunta. Non cosi nelle ipotesi di responsabilita oggettiva, istituto la cui natura giuridica e intimamente differente rispetto a quella della colpa presunta: "Ritiene questa Corte di dover condividere questo principio nella sua innovativa impostazione, pur dovendone limitare la portata solo alle ipotesi di presunzioni di colpa, non essendone possibile l'estensione alle ipotesi di presunzione di responsabilita intese come ipotesi di responsabilita oggettiva" (Cfr. Cass. n. 10482/2004, pag 10).

La responsabilita oggettiva e una responsabilita che prescinde dalla colpa (e per la quale la prova liberatoria del caso fortuito incide sul solo nesso causale e non invece sull'elemento psicologico) mentre le argomentazioni di cui alle sentenze 7281-82-83/2003 trovano il loro comune denominatore nell'esistenza e nella configurabilita di una colpa dell'agente, seppur solo in via presuntiva: "Ben diversa e l'ipotesi in cui il legislatore non preveda una presunzione di colpa, come appunto nei primi due commi dell'art. 2054 c.c., ma una presunzione di responsabilita intesa come responsabilita oggettiva, come nell'ipotesi di cui all'ultimo comma dell'art. 2054 c.c. ovvero negli artt. 2051 e 2052 c.c.. In questi casi la responsabilita del danneggiante ha natura oggettiva, perche fondata sul solo rapporto tra il danneggiante e la cosa e l'unica prova liberatoria concessa e quella volta a negare la sussistenza del nesso causale tra la cosa e l'evento dannoso. E infatti giurisprudenza pacifica che in queste ipotesi di responsabilita oggettiva, e privo di ogni rilevanza il comportamento, anche se diligente, del danneggiante e la responsabilita extracontrattuale dello stesso e fondata solo sull'elemento materiale, mentre la prova liberatoria del fortuito (riconosciuta per ogni ipotesi di responsabilita oggettiva e quindi anche per quella di cui all'art. 2054, ult. c., c.c.) incide non sull'elemento psicologico, estraneo alle specifiche fattispecie di responsabilita definita - appunto - oggettiva, ma sul nesso di causalita, e quindi sempre nell'ambito dell'elemento materiale, sul quale solo e costruita la specifica ipotesi di responsabilita extracontrattuale oggettiva. In questi casi, quindi, il limite della responsabilita risiede nell'intervento di un fattore, il caso fortuito, che attiene non ad un comportamento del responsabile (che puo essere anche assolutamente incolpevole) ma alle modalita di causazione del danno (cfr. Cass. 20.5.1998, n. 5031). In queste ipotesi, conseguentemente, non vi e una presunzione di colpa, ma un'irrilevanza della colpa e tutta la responsabilita e fondata sull'accertata esistenza dell'elemento materiale" (Cfr. Cass. n. 10482/2004, pag. 15).

In definitiva, nel 2004, la Corte di Cassazione giunge a dare migliore specificazione delle dichiarazioni di principio dell'anno precedente: in assenza della lesione di interessi di rango costituzionale, nelle fattispecie di responsabilita oggettiva (artt. 2051, 2052, 2054 c. 4, 2049 c.c.), mancando ogni accertamento della colpa - sia pure fondato su presunzione legale - si rende necessario che il giudice civile, con i mezzi di prova del suo rito, accerti anche tale elemento, al fine di ritenere sussistente il reato e, quindi, risarcibile il danno non patrimoniale (Cfr. Cass. n. 10482 dell' 1.6.2004 in Danno e resp. 2004, 10, pag. 953; nello stesso senso Cass. n. 20814 del 27.10.2004 in D&G - Dir. e Giust. 2004, f. 44, 24).

9 Secondo Cass. n. 19057/2003, "[.] nell'evoluzione dei criteri relativi alla liquidazione del danno [...] il giudice di merito deve considerare le circostanze del caso concreto, e specificamente, quali elementi di riferimento pertinenti, la gravita delle lesioni, gli eventuali postumi permanenti, l'eta, l'attivita espletata, le condizioni sociali e familiari del danneggiato. E un criterio valido, nell'ambito dei vari criteri utilizzabili di liquidazione equitativa del danno alla salute, quello che assume a parametro il valore medio del punto di invalidita, calcolato sulla media dei precedenti giudiziari; onde la decisione che ricorre a tale criterio non e di per se censurabile in sede di legittimita, purche sia sorretta da congrua motivazione in ordine all'adeguamento del valore medio del punto alla peculiarita del caso [.]" (Cass. n. 19057 del 12.12.2003 in Giust. civ. Mass. 2003, f. 12).

10 Questa tipologia di danno ha subito, soprattutto di recente, profonde rivisitazioni che ne hanno sostanzialmente modificato il modo d'essere e i presupposti di concedibilita. Nella sua prima ricostruzione giurisprudenziale esso non era altro che un danno morale, segnatamente il turbamento subito dai congiunti del danneggiato che avesse riportato lesioni seriamente invalidanti, i quali, costretti all'assistenza, subivano "di riflesso" un grave stato di sconvolgimento personale con coinvolgimento delle proprie abitudini di vita. L'ostacolo costituito dal disposto dell'art. 1223 c.c. (secondo cui e risarcibile solo ogni conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento) era superato dall'affermazione che, ai fini del sorgere dell'obbligazione di risarcimento dei danni da fatto illecito, il nesso di causalita tra il fatto e l'evento lesivo potrebbe essere anche indiretto e mediato, purche si presenti come effetto normale, secondo il principio della c.d. regolarita causale: "ai fini del sorgere dell'obbligazione di risarcimento dei danni da fatto illecito il nesso di causalita tra il fatto e l'evento lesivo puo essere anche indiretto e mediato, purche si presenti come effetto normale, secondo il principio della c.d. regolarita causale" (Cass. n. 4852 del 19.5.1999 in Danno e resp. 2000, 157).

Alla luce delle recenti pronunce in tema di danno alla persona, oggi, pur restando sostanzialmente risarcibile il pregiudizio che ne sta alla base, parlare di danno riflesso non ha piu senso. Piu volte la corte di legittimita ha affermato che un medesimo fatto lesivo possa condurre, in modo egualmente immediato e diretto, a conseguenze pregiudizievoli verso piu soggetti. Quello che era un danno riflesso e oggi, dunque, un danno diretto, manifestatosi in capo ai congiunti del soggetto che ha subito la lesione principale. E' questo l'indirizzo assunto dalla Cassazione a Sezioni Unite: "Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione a una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c. in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso; ne consegue che in tal caso il congiunto e legittimato ad agire "iure proprio" contro il responsabile" (Cass. S.U. n. 9556 del 1.7.2002 in Giust. civ. Mass. 2003, f. 7-8).

11 Qualche tempo dopo, la Cassazione ribadira che "L'interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale si concreta nell'interesse all'intangibilita della sfera degli affetti e della reciproca solidarieta nell'ambito della famiglia, all'inviolabilita della libera e piena esplicazione delle attivita realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela e ricollegabile agli art. 2, 29 e 30 cost." (Cass. n. 12124 del 19.8.2003 in Giur. it. 2004, 1129).

12 Cosi Corte Cost. n. 233/2003 in Giur. it. 2004, 1129. La posizione sara ribadita dalla Consulta anche successivamente: "E manifestamente infondata, in quanto riproposta negli stessi termini gia dichiarati non fondati dalla sentenza 233/03, la q.l.c. dell'art. 2059 c.c., nella parte in cui escluderebbe la risarcibilita del danno morale, la dove la responsabilita sia stata affermata in base alla presunzione di cui all'art. 2054 comma 2 c.c." (Corte Cost. n. 356 del 12.12.2003 in D&G - Dir. e Giust. 2004, f. 2, 27). Piu di recente, nell'ambito dell'ordinanza 13-28 gennaio 2005 n. 58, la Consulta ha confermato che la nuova interpretazione dell'art. 2059 c.c. non lascia vuoti di tutela che contrastino con i valori della Costituzione, sicche e destinato a fallire ogni tentativo di tacciare di incostituzionalita la norma.

13 Il punto verra ripreso e ribadito ancora dalla Corte di Cassazione: "Non e ostativo al risarcimento del danno non patrimoniale il fatto che la responsabilita dell'autore del fatto illecito non sia stata accertata in concreto in un procedimento penale, in quanto - come affermato da Corte cost. con sentenza n. 233 del 2003 - l'interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 2059 c.c. esige che il riferimento al reato contenuto nell'art. 185 c.p. non sia limitato alla ricorrenza di una fattispecie concreta di reato, ma, piu in generale, comprende tutte le fattispecie corrispondenti nella sua oggettivita all'astratta previsione di una figura di reato, con la conseguente possibilita che ai fini civili la responsabilita sia ritenuta per effetto di una presunzione di legge" (Cass. n. 4359 del 3.3.2004 in D&G - Dir. e Giust. 2004, f. 14, 28).

14 Il Tribunale di Roma affermera addirittura che "Non e concepibile nel nostro ordinamento, e di conseguenza non e autonomamente risarcibile, il danno c.d. "esistenziale", asseritamente consistente nella perdita o nello stravolgimento delle proprie abitudini di vita; tale tipo di pregiudizio, infatti, costituisce un danno indistinguibile dalle sofferenze morali con la conseguenza che di esso si deve debitamente tenere conto nella liquidazione del (unico ed unitario) danno morale, e non puo essere liquidato a parte ed in aggiunta rispetto agli altri danni non patrimoniali" (Tribunale Roma, 16 gennaio 2004 in Giur. romana 2004, 106).

15 Non si dimentichi che, in tema di micropermanenti riportate a seguito di sinistro auto, l'art. 23, comma 3, della legge 273/2002 ha modificato l'art. 5, comma 4, della legge 57/2001 stabilendo che "L'ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 2 puo essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato".

16 A suo tempo, la Corte Costituzionale aveva a piu riprese affermato che "La considerazione della salute come bene e valore personale, in quanto tale garantito dalla Costituzione come diritto fondamentale dell'individuo, nella sua globalita e non solo quale produttore di reddito, impone di prendere in considerazione il danno biologico, ai fini del risarcimento, in relazione alla integralita dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attivita, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalita, e cioe a tutte le attivita realizzatrici della persona umana" (Corte Cost. n. 356 del 18.7.1991 in Assicurazioni 1991, II, 109; nello stesso senso Corte Cost. n. 184 del 14.7.1986 in Giur. it. 1987, I, 1, 392).

Autore: Avv. Simone Cattaneo - tratto dal sito www.altalex.com