Relazione dell'Avv. Francesco Billotta al convegno "I nuovi danni
alla persona. Profili eso ed endo familiari", organizzato dalla Camera degli
Avvocati di Portogruaro il 13 ottobre 2006
PROVA E QUANTIFICAZIONE DEL DANNO ESISTENZIALE
Grazie Presidente, grazie ai colleghi di Portogruaro per averci inviato
oggi qui con voi.
Devo dire che quello della prova e della quantificazione non è un tema che
affronto per la prima volta, ma lo faccio sempre con un rinnovato piacere,
perché secondo me incontri come questo non sono soltanto utili per le persone
che ascoltano, ma lo sono anche per chi deve parlare, perché lo obbliga a
riflettere nuovamente su alcune cose che pensa di avere già elaborato in una
maniera definitiva e non più modificabile.
Bisogna ogni volta riconsiderare il percorso dell'evoluzione di un'idea, in
questo caso il percorso dell'evoluzione delle modalità di risarcimento del danno
esistenziale e soprattutto della nozione danno esistenziale. Perché - parliamoci
chiaro - nel momento in cui redigo un atto di citazione o nel momento in cui
redigo una memoria istruttoria e articolo i capitoli di prova testimoniale, se
non so che cosa voglio provare, non ho precisamente chiaro qual è il mio
obiettivo, probabilmente quell'atto di citazione, quella memoria istruttoria non
avrà la stessa efficacia che invece potrebbe avere se ho ben chiaro l'obiettivo
che voglio raggiungere.
Forse ripeto cose che già sono note, ma lo faccio un po' per ordine
sistematico di esposizione, un po' perché non ci siano dubbi in chi mi ascolta
su che cosa è per me il danno esistenziale.
Il danno esistenziale è l'alterazione peggiorativa della quotidianità di
una persona. Ho detto alterazione peggiorativa e non ho detto condizione in cui
si trova la vittima a seguito di un illecito che la obbliga a fare qualcosa,
perché potrebbe essere "alterazione" anche un
non-poter-fare-più.
Danno esistenziale è:
a) sia
una attività aggiuntiva che prima non svolgevo: per esempio, in caso di illecita
trasmissione di Hiv tutti i giorni dovrò, (tutti i giorni forse no, ma insomma
spessissimo) recarmi in day hospital, spessissimo dovrò fare delle
analisi del sangue, dovrò monitorare la mia malattia perché l'abbassamento dei
linfociti può essere improvviso e devo essere pronto ad intervenire da un punto
di vista farmaceutico per poter far fronte a questo calo dell'immunità.
b) sia
impossibilità di svolgere un'attività che prima svolgevo abitualmente: nel caso
appena esemplificato, l'illecita trasmissione di Hiv mi obbliga a non poter più
avere dei figli se non esponendomi a rischio di trasmettere la malattia a questi
bambini. Se, poi, l'illecita trasmissione dell'Hiv, riguarda una donna che ha
già partorito, ma sta allattando il bambino, la donna non può comunque allattare
il bambino perché già l'allattare il bambino è fonte di un rischio di contagio
per il bambino.
Quindi danno esistenziale è alterazione
peggiorativa della quotidianità della vittima - laddove per
alterazione intendo non solo la necessità di fare cose che prima non facevo, ma
anche impossibilità di fare cose che prima facevo. Si altera - questa è
l'espressione molto intensa, figurata che usa sempre Paolo Cendon - l'agenda
della vittima. Il danno esistenziale è l'alterazione dell'agenda, della
quotidianità della vittima. Questo è il danno esistenziale.
Le due domande quindi sono: come si prova e quanto vale, ovvero che cos'è e quanto vale il danno esistenziale?
Prima di rispondere a queste domande vorrei esporre un caso
pratico, in modo che il mio dire non rimanga una fumisteria teorica.
C'è una coppia di persone relativamente giovani, diciamo più o meno quarantenni,
che dopo tanti sforzi riescono ad avere una gravidanza; più o meno miei coetanei
per cui, insomma, diciamo giovani, va!
Dopo tanto tempo la signora riesce a rimanere incinta. La gravidanza viene
seguita ovviamente con l'attenzione che merita, visto appunto anche l'età della
signora. Fatto sta che il medico ginecologo continua a sostenere che è
assolutamente tutto a posto, che il bambino cresce normalmente. Si arriva
all'ottavo mese e ad un certo punto, dopo l'ulteriore controllo routinario, si
vede che c'è un arresto nella crescita del bambino, il peso non aumenta più. Ci
si preoccupa, si fa un ulteriore controllo in un centro specializzato. Il
responsabile del centro specializzato dice che c'è un ingrossamento della
placenta, ma tutto sommato niente di anormale: potrebbe essere una disfunzione
della signora, che ha questa propensione ad avere una placenta più grossa.
Viene dimessa. Dopo 15 giorni le si ordina una nuova ecografia. Ormai
arriviamo ad una settimana dalla scadenza del nono mese, quindi una settimana
prima del lieto evento. La signora si sveglia e non sente come tutte le mattine
muoversi il bambino nel ventre. Si allarma per questo, vanno subito in ospedale,
fanno subito un'ecografia: il bambino è morto, una settimana prima che scadesse
il nono mese. Ovviamente viene procurato il parto attraverso delle iniezioni;
la signora partorisce il bambino (perfettamente sano) morto.
Viene dato morto in braccio al papà. La mamma purtroppo non può neanche vivere
questo momento perché era stata sedata, il che forse da un punto di vista
psicologico per la signora sarebbe stato un bene: avrebbe elaborato in una
maniera diversa il lutto. Lei non vedrà mai il bambino; il papà invece lo
prenderà in braccio morto.
Si fanno alcune indagini, loro non si danno pace per questo, avevano già
scelto il nome, si chiama Angelo questo bambino, e decidono di andare avanti e
cominciare tutta una serie di indagini attraverso consulenti tecnici. Viene
fuori che né il ginecologo, né questo altissimo centro specialista del Friuli
Venezia Giulia si era reso conto che c'era un valore del - questo è il termine,
io non sono un esperto di queste cose - didimero che era superiore di uno e
mezzo rispetto alla media che avrebbe dovuto raggiungere. Il che significa che
il sangue di questa signora si coagulava in un modo eccessivo, al punto che si
erano creati dei trombi all'interno della placenta, perciò a un certo punto il
sangue non affluiva più al feto e il feto muore. Di queste misurazioni del
sangue ne sono state fatte diverse durante la gravidanza, quindi i medici
avrebbero potuto, assolutamente in una maniera molto semplice, accorgersi di
tale disfunzione e somministrare alla signora degli anticoagulanti in modo che
tutto andasse per il verso giusto. Ma, a parte questo, dopo che all'ottavo mese
avevano fatto quel controllo per cui il feto aveva cessato di crescere, comunque
avrebbero potuto disporre un parto cesareo, perché ormai eravamo all'ottavo
mese, quindi era possibile far nascere quel bambino. Fatto sta che la negligenza
patente di questi medici purtroppo è stata tale per cui oggi Angelo non è
qua.
Qual è il danno esistenziale di questi due genitori? Io penso che nessuno dei presenti, sia o meno genitore, dubiti del fatto che la vita di queste persone è stata sconvolta, il punto è: come è stata sconvolta, quanto è stata sconvolta e soprattutto quanto vale questo danno esistenziale. Io non vi voglio dare una risposta, innanzitutto perché io ho una mia idea a riguardo e poi perché questo è un caso sub iudice e non mi va di parlarne, non lo trovo deontologicamente corretto perché aspetto prima una decisione di un Tribunale. Però l'ho voluto raccontare per farvi comprendere che quello che ora vi sto per dire a livello teorico ha poi la possibilità di una applicazione pratica: tutte le cose che vi sto per dire, le ho trasfuse e le ho fatte diventare un atto giudiziario.
Qual è il danno esistenziale di questi due genitori? Io penso che nessuno dei presenti, sia o meno genitore, dubiti del fatto che la vita di queste persone è stata sconvolta, il punto è: come è stata sconvolta, quanto è stata sconvolta e soprattutto quanto vale questo danno esistenziale. Io non vi voglio dare una risposta, innanzitutto perché io ho una mia idea a riguardo e poi perché questo è un caso sub iudice e non mi va di parlarne, non lo trovo deontologicamente corretto perché aspetto prima una decisione di un Tribunale. Però l'ho voluto raccontare per farvi comprendere che quello che ora vi sto per dire a livello teorico ha poi la possibilità di una applicazione pratica: tutte le cose che vi sto per dire, le ho trasfuse e le ho fatte diventare un atto giudiziario.
Insomma, non sono, non siamo perché questa è una cosa che si deve
sicuramente a Paolo Cendon, dei teorici che stanno lì a pensare ai massimi
sistemi, no; ogni volta bisogna che ci si ponga il problema di come queste idee
poi troveranno riscontro nella pratica. Il danno esistenziale in fondo è questo:
è guardare la vita delle persone in concreto e rendersi conto che la vita di una
persona è diversa dalla vita di un'altra persona.
Quando si parla di personalizzazione del danno, spesso si usa questa
formula come un artificio retorico, invece è una cosa importantissima perché
obbliga tutti, le parti, quindi procuratori, a rendersi conto che devono
ascoltare il proprio cliente, trasfondere nell'atto, non quello che hanno nella
loro testa, ma quello che gli dice il cliente, se ne deve rendere conto il
Giudice, che deve ascoltare la parte, che deve rendersi conto di qual è la
portata della alterazione di una certa posizione giuridico soggettiva anziché
un'altra.
Un conto è slogarsi una caviglia, un conto è che mi uccidono un figlio. E se ne deve rendere conto il consulente tecnico d'ufficio. Parlando della prova e della liquidazione la parte del consulente tecnico d'ufficio viene sempre omessa, perché sistematicamente la consulenza tecnica d'ufficio non è propriamente un mezzo di prova per cui (se uno vuole fare l'accademico) se parla della prova non può parlare anche della consulenza tecnica d'ufficio. Eppure è un aspetto importantissimo del processo, primo per il modo distorto in cui la consulenza tecnica d'ufficio viene utilizzata: spesso si delega al consulente tecnico d'ufficio tutto. Ha, tra l'altro, poteri di indagine piuttosto penetranti quindi può conoscere la realtà in una maniera molto ampia. In secondo luogo, spesso è quello che quantifica anche il danno, non si limita a dire: la percentuale dell'alterazione è x, ma è x e quindi vale y. Tante volte quella che è la relazione del consulente tecnico d'ufficio diventa esattamente il corpo della motivazione della sentenza. "Non si ritiene di dover prendere le distanze dalle valutazioni del consulente tecnico d'ufficio in quanto adeguatamente motivate", con queste parole si inserisce all'interno della motivazione della sentenza tutto quello che ha detto il consulente tecnico d'ufficio.
Un conto è slogarsi una caviglia, un conto è che mi uccidono un figlio. E se ne deve rendere conto il consulente tecnico d'ufficio. Parlando della prova e della liquidazione la parte del consulente tecnico d'ufficio viene sempre omessa, perché sistematicamente la consulenza tecnica d'ufficio non è propriamente un mezzo di prova per cui (se uno vuole fare l'accademico) se parla della prova non può parlare anche della consulenza tecnica d'ufficio. Eppure è un aspetto importantissimo del processo, primo per il modo distorto in cui la consulenza tecnica d'ufficio viene utilizzata: spesso si delega al consulente tecnico d'ufficio tutto. Ha, tra l'altro, poteri di indagine piuttosto penetranti quindi può conoscere la realtà in una maniera molto ampia. In secondo luogo, spesso è quello che quantifica anche il danno, non si limita a dire: la percentuale dell'alterazione è x, ma è x e quindi vale y. Tante volte quella che è la relazione del consulente tecnico d'ufficio diventa esattamente il corpo della motivazione della sentenza. "Non si ritiene di dover prendere le distanze dalle valutazioni del consulente tecnico d'ufficio in quanto adeguatamente motivate", con queste parole si inserisce all'interno della motivazione della sentenza tutto quello che ha detto il consulente tecnico d'ufficio.
E' vero che la consulenza tecnica d'ufficio avviene nel contraddittorio
delle parti, ma credo che sia un abdicare da parte del Giudice rispetto a quella
che è la sua funzione all'interno del sistema, cioè quella di darmi una risposta
di diritto nel momento in cui gli faccio una domanda su una questione
giuridicamente rilevante.
Quindi entriamo nel vivo: come si prova il danno esistenziale? A questa domanda penso che in maniera abbastanza esaustiva abbia risposto la Cassazione (che si ricordava all'inizio) a Sezioni Unite del marzo 2006, la numero 6572.
Nella cartella so che c'è un mio componimento. Io chiedo scusa se non è il
massimo della chiarezza, ma si tratta dell'estrapolazione di un libro che sto
scrivendo e ho avuto piacere di darlo ai colleghi di Portogruaro perché ne
facessero copia per tutti voi, per cui le cose che non ho il tempo di dire, le
trovate in quello scritto, compresi tutti i riferimenti e i luoghi di
pubblicazione delle sentenze che sto per citare.
La Cassazione a Sezioni Unite ha detto che per quanto
riguarda il danno esistenziale questo può essere verificato mediante la prova
testimoniale documentale o presuntiva, che dimostri nel processo i concreti
cambiamenti che l'illecito ha portato in senso peggiorativo nella qualità di
vita del danneggiato.
Ora, con la Cassazione a Sezioni Unite abbiamo avuto una specie di
decalogo, di statuto del danno esistenziale e una cosa cheè assolutamente chiara
(in verità a noi era chiara già prima, però ormai, come dire, è diventata
acquisizione comune) è che il danno esistenziale è un danno conseguenza. Non vi
lasciate più fuorviare, semmai la cosa vi è capitata, dalla distinzione tra
danno evento e danno conseguenza. Quello è il tipico esempio di un artificio
retorico che la dottrina da un lato e la giurisprudenza dall'altro ha trovato
perché non sapeva dare un nome alle cose che aveva sotto gli occhi. E' un
artificio retorico perché non si sapeva in concreto che cosa fosse l'alterazione
della vita di una persona, perché nessuno se lo chiedeva, questa è la verità.
Noi eravamo abituati col danno morale soggettivo a presumere l'esistenza
del danno, quindi non ci dovevamo chiedere che cos'era. Una delle cose più
divertenti nei convegni all'inizio del danno esistenziale era che, gli avversari
soprattutto, alla domanda: dimmi che cos'è il danno non patrimoniale allora,
definiscimi il danno morale soggettivo. Allora pretium doloris, allora la
sofferenza, le frasi che tornavano come una specie di refrain, ormai ci
eravamo abituati. Ma nessuno si chiedeva: sì, va bene, ma in concreto prima
della lesione e dopo la lesione la vita di quel soggetto ma come era? Che cosa è
cambiato? Allora danno evento, in re ipsa, non mi devo porre questa
questione, non solo non me la so porre, non me la voglio porre, non me la devo
neanche porre, perché il danno è in re ipsa; ecco la formula magica, non
per niente si usa il latino, evoca misticismo: in re ipsa. Ora ci
torneremo in chiesa, (cioè ci torneremo, io non ci tornerò, ma, insomma), chi
tornerà in chiesa potrà continuare a ripetere queste formule in latino che fanno
tanto misticismo. La giurisprudenza e la dottrina anche, per carità, quando
vuole usare la retorica innanzitutto usa il latino. Voi sentite il latino e
immediatamente chiedetevi perché.
Il danno esistenziale ci ha consentito di andare al di là di questo velo,
di squarciare il velo di Maia; ci ha consentito di chiederci: in questo caso
della signora che si è trovato il bambino morto in grembo, in concreto la vita
come le è cambiata?
Io sono stato giorni a parlare con queste persone, che peraltro erano stati seguiti da uno psicologo bravissimo che aveva redatto una cronistoria della vita di queste persone dopo il decesso del bambino e a chiedergli: "Ma che facevate prima? Uscivate, andavate con gli amici? Svolgevate delle attività lavorative che ora non svolgete più? Avevate degli hobby che ora non coltivate più?". "La vita, per esempio, con l'altra bambina" - perché poi per fortuna hanno avuto una gravidanza successivamente - "come è cambiata? Il vostro rapporto con questa bambina è stato influenzato in qualche modo da quel trauma che avevate vissuto precedentemente?". Fatte tutte queste domande poi ho chiesto: "Ma chi ha assistito a questo cambiamento peggiorativo della vostra vita? Avete delle persone che frequentate abitualmente? Ci sono dei familiari che con voi hanno sostenuto il momento successivo a questo grave lutto?" e ci siamo fatti man mano la nostra lista testimoni. E in questo momento, ancora se sono a pochi giorni dal deposito dell'iscrizione a ruolo di questo atto di citazione, so perfettamente a chi e che cosa devo porre delle domande per provare il danno esistenziale, ma semplicemente perché mi sono già posto nell'ottica di raccontare al Giudice concretamente, nella fase istruttoria, che cosa è stata l'alterazione della vita di quelle persone. Allegazione e prova, questo è un altro binomio che la Cassazione ha messo in evidenza in maniera molto lucida.
Io sono stato giorni a parlare con queste persone, che peraltro erano stati seguiti da uno psicologo bravissimo che aveva redatto una cronistoria della vita di queste persone dopo il decesso del bambino e a chiedergli: "Ma che facevate prima? Uscivate, andavate con gli amici? Svolgevate delle attività lavorative che ora non svolgete più? Avevate degli hobby che ora non coltivate più?". "La vita, per esempio, con l'altra bambina" - perché poi per fortuna hanno avuto una gravidanza successivamente - "come è cambiata? Il vostro rapporto con questa bambina è stato influenzato in qualche modo da quel trauma che avevate vissuto precedentemente?". Fatte tutte queste domande poi ho chiesto: "Ma chi ha assistito a questo cambiamento peggiorativo della vostra vita? Avete delle persone che frequentate abitualmente? Ci sono dei familiari che con voi hanno sostenuto il momento successivo a questo grave lutto?" e ci siamo fatti man mano la nostra lista testimoni. E in questo momento, ancora se sono a pochi giorni dal deposito dell'iscrizione a ruolo di questo atto di citazione, so perfettamente a chi e che cosa devo porre delle domande per provare il danno esistenziale, ma semplicemente perché mi sono già posto nell'ottica di raccontare al Giudice concretamente, nella fase istruttoria, che cosa è stata l'alterazione della vita di quelle persone. Allegazione e prova, questo è un altro binomio che la Cassazione ha messo in evidenza in maniera molto lucida.
Io non solo devo dire al Giudice e dimostrargli ovviamente nella fase
istruttoria che ho avuto un'alterazione esistenziale, gliela devo anche
raccontare fin da subito perché, vuoi non riesca a provare con una prova diretta
il danno esistenziale, vuoi che il Giudice voglia far uso spontaneamente delle
presunzioni, allegare il danno esistenziale significa avvantaggiare il lavoro
del Giudice, significa aiutarlo nel momento in cui, usando le presunzioni voglia
risarcire il danno esistenziale.
Quanto vale il danno esistenziale? Su questo vi sono state
diverse proposte. C'è il sistema tedesco, c'è chi si è inventato - peraltro un
Magistrato, tra l'altro amico carissimo fin dall'Università - una formula, che è
la cosiddetta formula Liberati. Fin dall'inizio gli ho esposto
le mie riserve, soprattutto perché c'è un problema a monte, cioè lui mi dice
come faccio a calcolare il danno esistenziale, sulla base di alcuni parametri,
(come l'età, il tempo dell'alterazione esistenziale e così via); il problema è
che il valore vita, come lo chiama lui, cioè il valore base su cui si dovrebbe
calcolare tutto il danno esistenziale non mi dice qual è. Allora sto daccapo a
dodici; o uso l'equità o uso la formula Liberati alla fine siamo allo stesso
punto.
Certo la formula Liberati mi aiuta perché in sede di motivazione mi dice
quali sono i passaggi logici che ho fatto per partire da una certa cifra e
arrivare al risarcimento del danno esistenziale, ma il problema è spiegarmi
perché è partito da quella cifra e non da un'altra.
La Cassazione cosa ci dice? La Cassazione ci dà in verità
delle indicazioni un po' troppo vaghe a mio avviso. Probabilmente è anche giusto
così, in fondo la Cassazione non è un Giudice di merito è un Giudice di
legittimità, però, forse qualcosa in più, visto che è ritornata più volte sul
punto, avrebbe potuto dire. La Cassazione sostanzialmente mi dice che non devo
fare alcuna duplicazione, che devo usare il metodo equitativo puro e che ho
bisogno, nel motivare la mia decisione, di individuare dei parametri, degli
indici che consentano, a chi deve valutare la correttezza della decisione del
Giudice, di seguire il suo percorso logico e di verificare che l'equità non si è
trasformata in arbitrio.
Ma il problema, ripeto, è la cifra da cui partire. Spesso e volentieri
i Giudici che fanno? Determinano il danno esistenziale come una
percentuale di qualcosa, che è di volta in volta il danno biologico o il danno
morale. Liquidano il biologico e poi dicono: si ritiene equo risarcire il danno
esistenziale o la lesione di interessi costituzionalmente rilevanti afferenti
alla persona con il 40% del danno biologico, 20% del danno biologico, il 50% del
danno biologico; e finisce lì la motivazione. Ora, questo mi sembra un po'
pericoloso. Mi sembra pericoloso perché fa venir meno quella che è la funzione
culturale sostanzialmente del danno esistenziale, ossia l'aiuto poi più grande
che il danno esistenziale dà in sede pratica, perché evita quella
percentualizzazione automatica costringendomi a pormi la questione: ma la vita
di quel soggetto com'è cambiata in concreto?
Impedisce - questa percentualizzazione automatica - di personalizzare il
risarcimento del danno. Due casi non sono mai uguali, non solo perché sono
diversi magari gli interessi lesi a monte, ma perché l'organizzazione di ognuno
di noi, della vita di ognuno di noi è diversa: lo stesso danno potrebbe avere
delle ricadute, dei cascami negativi nella vita di ognuno di noi diverso da
quello dell'altro. Quindi, posto che abbiamo avuto lo stesso danno biologico,
può darsi che la mia alterazione esistenziale sia molto diversa da quella di un
altro, con la percentuale automatica del biologico questa diversità, questa
personalizzazione viene meno.
Ora, la mia proposta è stata discussa ed effettivamente è discutibile come
tutte le cose umane. Propongo sostanzialmente un ragionamento analogico a
partire dalle tabelle per il risarcimento del danno biologico. Faccio questa
considerazione che poi è stata ripresa da già alcune sentenze, e dallo stesso
osservatorio del Tribunale di Milano sul risarcimento del danno non
patrimoniale: nelle tabelle del danno biologico è incorporata sostanzialmente
l'alterazione esistenziale standard conseguente alla menomazione psicofisica.
Per cui, se io ritengo che nella cifra tabellare sia incorporata l'alterazione
standard dell'esistenza di un soggetto a seguito di una lesione psicofisica, se
io allego e provo delle alterazioni esistenziali ulteriori rispetto a quelle
standard, caratteristiche di quella singola vittima, evidentemente la cifra
tabellare non è più sufficiente a realizzare la personalizzazione del
risarcimento del danno. Devo cioè liquidare, maggiorando la cifra tabellare,
oppure attraverso il metodo equitativo puro, devo maggiorare quella cifra che è
stata determinata attraverso l'applicazione rigida delle tabelle. Però, questo è
il caso più semplice, perché è il caso in cui il danno esistenziale derivi da
una lesione psicofisica.
Il punto è che ci potrebbero essere dei danni esistenziali che sono
svincolati completamente dall'alterazione psicofisica ed ecco qua che entra in
gioco quello che vi dicevo prima, cioè quella proposta di ragionamento analogico
in cui i ruoli dei vari protagonisti del processo a mio avviso vengono esaltati.
Da un lato, il ruolo dell'Avvocato rispetto all'allegazione, dall'altro il ruolo
del C.T.U., che speriamo che faccia solo il C.T.U. e che mi venga esattamente a
dire - con la sua competenza scientifica che di volta in volta potrebbe essere
medica, potrebbe psicologica, potrebbe essere psichiatrica e così via - qual è
la menomazione, l'alterazione di quella determinata vittima. E poi il ruolo del
Giudice, che veramente deve fare un saggio uso dell'equità, che ovviamente non è
arbitrio, ma è giustizia del caso concreto.
Allora io dico: se do' come alterazione esistenziale più alta, totale, il
100% del danno biologico, 100% del danno biologico significa
che qualcuno è a letto immobile, non può fare assolutamente nulla, nulla delle
attività realizzatrici della persona che uno si può immaginare. Dopo di che, e
qua è una sorta di accordo che facciamo, dividiamo per semplicità la
vita di una persona in cinque aree: un'area riguardante le attività
biologico sussistenziali, un'area riguardante le relazioni affettive di
carattere familiare, un'area che riguarda le attività lavorative, un'area che
riguarda le attività sociali, politico associative e infine un'area che riguarda
tutto ciò che concerne lo svago.
Una volta che io ho schematizzato la vita di una persona in questi cinque
insiemi, prendo il 100% del danno biologico, che significa che io in nessuno di
questi insiemi posso svolgere assolutamente niente, e dividendo per 5 ho il
valore di ciascuna area realizzatrice della persona.
A questo punto posso avere una biforcazione: o
l'alterazione esistenziale mi viene da una lesione di carattere biologico, per
cui il danno biologico, cioè la prima area, l'attività biologica sussistenziale
è già calcolata attraverso la percentuale di biologico che ho riconosciuto alla
vittima; oppure mi posso trovare in un caso in cui a monte non c'è una lesione
psicofisica. Allora a quel punto che faccio? Dal valore 100% biologico sottraggo
un quinto che equivale al valore dell'area biologico sussistenziale. A questo
punto ho il valore delle singole aree.
Ora non è detto che una certa lesione possa alterare il 100% di quell'area,
probabilmente ci può essere una percentuale x, che può andare da 0 a 100 di
ciascuna area e che mi dice quale è stata l'alterazione rispetto a quel comparto
che la vittima ha subito. E' qua che entra in gioco il ruolo del Giudice e il
suo potere di carattere equitativo perché, una volta che ho ponderato il valore
di ciascuna area, si dovrà evidenziare da un lato quale area è stata
compromessa, delle quattro rimanenti (infatti, non è detto che siano tutte e
quattro alterate), e in secondo luogo si dovrà considerare se
l'alterazione di ciascuna area sia stata parziale o totale. Se
è stata parziale si risarcirà percentualmente il valore di quell'area alla
vittima dell'illecito.
Spero di essere stato chiaro. Grazie.