IL CURATORE PUO' AGIRE, A TUTELA DELLA MASSA, NEI CONFRONTI DELLA BANCA CHE HA CONCESSO CREDITO, NONOSTANTE LA SUSSISTENZA DI UNO STATO DI INSOLVENZA, ALL'IMPRESA POI FALLITA  

Con la sentenza n. 9983/2017, il Giudice di legittimità ha affermato un principio di diritto non solo innovativo ma destinato ad aprire nuovi varchi, nel diritto fallimentare, alle azioni di recupero esercitabili dal curatore nei confronti delle banche. Il principio è che, quando una banca concede o protrae crediti a un’impresa in stato di insolvenza, il curatore è legittimato a chiedere alla banca i danni subìti dalla massa per tale condotta. E’ nella pratica molto frequente che le banche provvedano a concedere credito non tanto con la concreta aspettativa di ottenerne il rimborso quanto al fine -prevalente od unico- di mantenere artificiosamente in vita un’impresa insolvente il più delle volte modificando a loro vantaggio la natura del loro credito (es.: ipotecario anziché chirografo). Finora la Giurisprudenza a la Dottrina hanno considerato pacifico che la suestesa tipologia di concessione del credito sia in se stessa un illecito e che, in ipotesi di insolvenza, da un lato l’impresa è tenuta ad astenersi da nuove operazioni e, dall’altro lato, la banca è tenuta a sua volta ad astenersi dal consentirle. In queste ipotesi, però, fino alla sentenza n. 9983/2017, la Cassazione ha sempre affermato che la legittimazione ad agire per i danni derivanti dall’abusiva concessione del credito poteva spettare solo ai singoli Creditori e non anche al curatore nell’interesse della massa. Non tutti i creditori, si osservava, sono danneggiati dall’abusiva concessione del credito e, si aggiungeva, comunque non lo sarebbero nella stessa misura. Come avrebbe potuto il curatore far valere gli effetti pregiudizievoli dell’atto rispetto alla massa? Il curatore veniva quindi ritenuto legittimato ad agire solo nel caso in cui fosse stato possibile dimostrare danni sofferti direttamente dall’impresa finanziata; ma tali danni non potevano mai coincidere con l’aggravamento del dissesto (danno di cui risente la massa dei creditori, e non l’impresa come tale), bensì con i soli costi del finanziamento. Giova segnalare, al riguardo, che nel 2010 (ma solo in via incidentale, quindi con un accertamento privo di efficacia vincolante), la Cassazione, nella motivazione della sentenza n. 13413 del 01/06/2010, introduceva un primo e labile  riconoscimento della legittimazione attiva del curatore nei casi in cui la responsabilità ascritta alla banca “sia di terzo responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito” da parte della società. Dovranno passare altri sette anni (non invano, stante i risultati nel frattempo compiuti dalla Dottrina) perché la Cassazione, con la sentenza n. 9983/2017, affermi testualmente: “Dinanzi a una avventata richiesta di credito da parte degli amministratori della società che ha perduto interamente il capitale e dinanzi a una altrettanto avventata o comunque imprudente concessione di credito da parte della banca, il comportamento illecito è concorrente ed è dotato di intrinseca efficacia causale, posto che il fatto dannoso si identifica nel ritardo nell’emersione del dissesto e nel conseguente suo aggravamento prima dell’apertura della procedura concorsuale”. In altre parole: l’abusiva concessione del credito “integra un danno per la società in sé, oltre che per i creditori anteriori, e determina –siccome consequenziale al concorso di entrambi i comportamenti- l’insorgere dell’obbligazione risarcitoria in via solidale, giacché gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità sono correlabili alla mala gestio degli amministratori di cui le banche si siano rese compartecipi per il tramite dell’erogazione di quei medesimi finanziamenti, nonostante una condizione economica tale da non giustificarli”. Ciò in applicazione del principio secondo cui un medesimo evento dannoso può sempre fondare una responsabilità contrattuale dell’inadempiente (gli amministratori della società) e una extracontrattuale del terzo estraneo al rapporto obbligatorio (la banca), quando la condotta di questi, in concorso con quella del primo, danneggi le ragioni creditorie del terzo.

Gli insegnamenti di cui sopra sono forse tardivi (nel senso che sarebbero dovuti intervenire prima), ma sicuramente del tutto condivisibili e consentono alla curatela fallimentare di superare il principale problema finora occorso: quello della legittimazione attiva nei confronti delle banche nei casi di abusiva concessione del credito, se solo l’abusiva concessione verrà invocata come fonte di danni non in quanto tale bensì quale fatto costitutivo di un concorso di colpa con gli amministratori dell’impresa fallita. E la pretesa risarcitoria potrà essere fatta coincidere, come la pretesa nei confronti degli amministratori, con l’aggravamento del dissesto tout court e non solo col semplice costo del finanziamento.

Vai alla sentenza Cassazione, I° Sezione Civile, 20/04/2017 n. 9983

Vai alla sentenza Cassazione, I° Sezione Civile, 01/06/2010 n. 13413