Conferimento di beni in natura e di crediti
Particolari cautele sono poste dalla norma, quando il capitale sociale
viene costituito o aumentato con mezzi diversi dal denaro.
La stima di un
esperto indipendente, nominato dal Tribunale, deve periziare il bene conferito e
le sue conclusioni devono essere confermate da un esame successivo da parte
degli amministratori.
Relazione di stima
Se il socio sottoscrive l'aumento di capitale mediante conferimento di beni in natura o di crediti, alla delibera assembleare straordinaria deve essere allegata la relazione giurata di un esperto che contenga:
- la descrizione dei beni o dei crediti conferiti;
- il valore attribuito a ciascuno di essi;
- i criteri di valutazione adottati;
- l'attestazione che il valore attribuito non è inferiore al valore nominale (aumentato dell'eventuale sopraprezzo) delle nuove azioni emesse.
La nomina dell'esperto per la valutazione dei beni da conferire in società di
capitali è di competenza del presidente del tribunale nel cui circondario ha
sede la società conferitaria (App. Bologna, 23 novembre 1990, in Le
società , 1991, p. 805).
La descrizione dei beni o dei crediti deve
essere analitica e deve indicare singolarmente le attività conferite con i
riferimenti utili alla individuazione (Trib. Treviso, 30 giugno 1984, in Le
società, 1986, p. 1021).
Il valore deve anch'esso essere indicato
singolarmente per ciascuna voce e, ai fini della determinazione della congruità
del complesso conferito, nel totale.
La mancanza della relazione di stima
integra un'ipotesi di nullità della delibera di aumento di capitale. La stessa
conseguenza si verifica per il caso di presentazione tardiva della stima o di
tardivo controllo (App. Torino, 30 gennaio 2001, in Giur. it., 2002, p.
994).
I criteri di valutazione utilizzati per la stima devono essere
succintamente illustrati e deve essere motivata la scelta rispetto ai criteri
alternativi, per permettere ai soci di poter verificare l'adeguatezza dei
criteri di valutazione utilizzati. L'esperto deve anche indicare il grado di
attendibilità del risultato ottenuto, e i condizionamenti obbiettivi di
eventuali difficoltà di valutazione.
I beni oggetto del conferimento possono
essere i più disparati, purché si tratti di beni ed entità che, economicamente
valutabili, possono essere iscritti in bilancio, in quanto a fronte
dell'iscrizione nel passivo dello stato patrimoniale del valore del capitale,
deve corrispondere un pari valore all'attivo (App. Trento, 16 marzo 1999, in
Rep. Foro it., 1999, voce società, n. 597).
Si può trattare di
scorte, per cui i criteri di valutazione sono costituiti, per le materie prime,
dal valore corrente d'acquisto (per le merci quotate soccorre la valutazione
degli ultimi prezzi di listino), e per i prodotti finiti, dal costo di
produzione, se non è inferiore al prezzo di vendita. Per questi ultimi si deve
tener conto di eventuali svalutazioni per prodotti di lento movimento o obsoleti
o, comunque, di difficile commercializzazione.
Le immobilizzazioni tecniche
devono essere valutate al valore di mercato (se esistente). In caso contrario
devono essere valutate al costo di sostituzione, diminuito del grado di
deperimento fisico e di obsolescenza tecnica dell'immobilizzazione conferita. La
valutazione delle immobilizzazioni costituite da fabbricati e terreni viene
generalmente effettuata in base valore di mercato desumibile dal riferimento a
beni analoghi, in condizioni e tipologia simili.
La valutazione dei titoli a
reddito fisso, se quotati, corrisponde al loro corso recente; se non sono
quotati possono essere valutati al valore nominale attualizzato (Trib. Milano, 3
novembre 1986, in Le società, 1987, n. 407), a meno di particolari
motivi, costituiti principalmente dal rendimento in regime di tassi fissi, che
rendano necessaria una rettifica. In particolare dovrà essere operata una
rivalutazione se il rendimento fisso del titolo è superiore al tasso di mercato
e una svalutazione nel caso contrario. La rivalutazione (o svalutazione) dovrà
essere commisurata al valore attuale della rendita tra il tasso di mercato e il
tasso fisso applicato al titolo fino alla scadenza.
Tra i beni conferibili
rientra anche l'azienda, nella sua totalità ovvero uno o più rami di essa (Cass.
civ. 26 febbraio.1994, n. 1975, in Rep. Foro it., 1994, voce azienda,
n. 12): il conferimento determina, salvo patto contrario, il trasferimento in
capo alla società dei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda. Il
conferimento di crediti deve avere ad oggetto crediti pecuniari, cui vengono
equiparate le obbligazioni emesse dalla società. Trova inoltre applicazione in
tema di conferimenti in natura la norma di cui all'art. 2342, c. 5, che vieta
nelle s.p.a. il conferimento di prestazioni di opere o di servizi, le quali
possono formare oggetto solo di prestazioni accessorie. Si ritiene che - a
seguito dell'introduzione, da parte della riforma del diritto societario, della
possibilità di ripartire le azioni di nuova emissione in misura non
proporzionale fra i soci - possa essere conferito anche un bene avente valore
negativo (Platania, Conferimenti di beni in natura e di crediti,
AA.VV., Società per azioni. Obbligazioni, bilancio,
recesso, operazioni sul capitale. Il nuovo diritto societario a
cura di Lo Cascio, Milano, 2003, 473).
La valutazione delle partecipazioni,
non quotate in mercati regolamentati, dovrà basarsi sul valore dell'azienda
apportata, consistente in una stima con il metodo patrimoniale per i singoli
beni (attivi e passivi) e in una stima col metodo reddituale per definire il
valore dell'avviamento. Se l'apporto non riguarda la totalità della
partecipazione, il risultato deve essere rapportato alla reale percentuale di
possesso, tenuto debito conto dell'eventuale sconto di minoranza. Per le
partecipazioni di società quotate in borsa il riferimento può tener conto anche
delle più recenti quotazioni di mercato.
La valutazione dei beni immateriali,
per i quali il costo sostenuto per l'acquisizione può non essere significativo
(come avviene generalmente per marchi e brevetti) deve avere a riferimento
l'utilità che da essi può essere ricavata, sia per l'attività di vendita
dell'azienda, sia come provento per eventuale concessione a terzi (royalties).
Non hanno generalmente valore, a questi fini, i costi pluriennali, in quanto
essi possono rappresentare un'utilità futura per l'azienda che li ha sostenuti,
ma perdono tale caratteristica per la società conferitaria.
Garanzie sui beni conferiti
Il socio che conferisce beni in natura, ai sensi dell'art. 2254, 1° comma,
c.c., cui rimanda l'art. 2342, 3° comma, c.c., risponde delle garanzie previste
dalle norme sulla vendita.
Le obbligazioni principali del conferente sono
pertanto:
1) quelle di consegnare la cosa alla società conferitaria;
2) quella di farle acquistare la proprietà della cosa o il diritto se l'acquisto non è effetto immediato del contratto;
3) quella di garantire la società dall'evizione e dai vizi della cosa (art. 1476 c.c.).
Diverse invece, rispetto alla vendita, possono essere le conseguenze
dell'inadempimento.
Nell'ipotesi di evizione del bene apportato «il
conferente (oltre al risarcimento degli ulteriori danni) deve corrispondere alla
società una somma equivalente all'intero valore attribuito al conferimento, nel
caso in cui, se si trattasse di vendita, si farebbe luogo alla risoluzione del
contratto, o una somma equivalente alla diminuzione di valore della cosa
conferita nei casi in cui, se si trattasse di vendita, si farebbe luogo invece
ad una riduzione del prezzo, permettendo in questo modo alle azioni sottoscritte
di ritrovare la propria copertura» (Portale, Mancata attuazione del
conferimento in natura e limiti del principio di effettività del capitale nelle
società per azioni, in Riv. soc., 1998, p. 17).
Atteso inoltre
che il conferimento di beni, a cui frequentemente si accompagna l'esclusione del
diritto di opzione, ha luogo quando l'interesse della società lo esige, potendo
consistere nell'apporto di un bene indispensabile per il raggiungimento
dell'oggetto sociale e l'evizione potrebbe impedirne la disponibilità o altri
vizi il normale funzionamento, la circostanza potrebbe tradursi in una causa di
scioglimento della società ai sensi dell'art. 2484, n. 2, per «la sopravvenuta
impossibilità » di conseguire l'oggetto sociale.
Cessione di crediti
Anche la cessione di crediti è soggetta alla procedura di stima prevista
dall'art. 2343 c.c. (Trib. Cassino, 2 febbraio 1990, Le società, 1990,
p. 1098). La valutazione dei crediti deve pervenire a determinare il loro
presumibile valore di realizzo. Devono essere opportunamente svalutati i crediti
ritenuti di dubbia esazione, per difficoltà finanziare del debitore, e i crediti
contestati, quando la ragione del contendere ne metta in dubbio l'esigibilità.
Per i crediti la cui scadenza sia molto lontana nel tempo (oltre l'anno) e non
siano previsti interessi o siano previsti in misura insufficiente, l'importo
deve essere attualizzato.
Il socio che ha conferito il credito risponde come
se avesse espressamente assunto la garanzia della solvibilità del debitore, nei
limiti di quanto ha ricevuto, cioè nel limite delle azioni o quote assegnate in
cambio.
La posizione del socio conferente assume quindi un diverso rilievo
nelle società di capitale rispetto a quella regolata dalla normativa comune
secondo la quale, a norma dell'art. 1267 c.c. «il cedente non risponde della
solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la garanzia». Qui la garanzia
viene comunque a presumersi dovendosi ritenere che non siano ammissibili patti
di esclusione della garanzia.
L'inadempimento del debitore ceduto equivale
per il socio cedente al mancato conferimento e provoca la sua esclusione dalla
partecipazione alla compagine sociale per la quota relativa o il suo obbligo al
versamento per equivalente.
Il particolare rigore con cui deve essere
regolato il conferimento di crediti nelle società di capitale è giustificato
dalla necessità di garantire l'effettività del capitale sociale e
dell'affermazione del principio che non si può assumere la qualifica di socio
senza conferire una quota: venuta a mancare questa, si rende necessario
provvedere in proposito ai fini dell'uguaglianza di diritti e di obbligazioni
che deve esistere tra tutti i contraenti.
Il mancato intervento del socio
conferente al quale dovesse corrispondere l'inerzia degli altri soci, nel caso
che il capitale versato non raggiungesse il limite minimo legale, costituirebbe
causa di scioglimento della società ai sensi dell'art. 2484, n. 4 c.c.
Controllo della stima
La perizia dell'esperto è soggetta ad un controllo successivo da parte degli
amministratori.
La disposizione è contenuta nel 3° comma dell'articolo 2343
c.c., il quale stabilisce che «gli amministratori devono, nel termine di
centottanta giorni dall'iscrizione della delibera nel Registro delle imprese,
controllare le valutazioni contenute nella relazione indicata nel primo comma e,
se sussistono fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima. Fino
a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni corrispondenti ai
conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società
».
Il 3° co. presenta due modifiche di cui una di carattere formale, la
previsione del termine di 180 giorni entro cui effettuare la revisione delle
stime, di fronte ai sei mesi della versione precedente, comportando
evidentemente un cambiamento nella modalità del calcolo del termine; la seconda
riguardante l'eclusione dei sindaci dai oggetti tenuti alla revisione della
stima. Questi ultimi, tuttavia, tenuti alla vigilanza del rispetto della legge,
dovranno accertare che la valutazione non sia tale da compromettere
l'effettività del capitale sociale.
Il controllo sulla relazione dell'esperto
deve riguardare sia il valore finale da attribuire ai beni oggetto del
conferimento, sia i criteri di valutazione seguiti dall'esperto, potendosi
verificare un dissenso sostanziale in questo campo tanto da incidere in maniera
determinante sul risultato.
Per la valutazione di beni particolari per i
quali gli amministratori abbiano una conoscenza tecnica approfondita,
considerata la loro funzione, non è richiesto alcun intervento da parte di
esperti. In caso contrario possono avvalersi di consulenti. In tale ipotesi il
controllo non verrebbe effettuato dai soggetti indicati dalla legge (gli
amministratori). Inoltre la successiva valutazione (fatta da un perito di parte)
potrebbe apparire, sul piano dell'obiettività, di valore segnaletico inferiore a
quella del perito indipendente nominato dal tribunale. Tuttavia lo spirito della
norma, che richiede una successiva perizia che controlli la precedente
predisposta dal perito nominato dal tribunale, sembra rispettato più col ricorso
ad un esperto, le cui risultanze siano fatte proprie dagli amministratori,
piuttosto che con la formulazione di un giudizio incompetente prodotto da parte
di coloro che hanno la carica sociale indicata dalla legge ma non la competenza
sufficiente a svolgere il compito in modo attendibile.
L'obiettivo della
norma è quello di evitare un ingiustificato gonfiamento del capitale e un
annacquamento della garanzia dei terzi: allo scopo serve più compiutamente il
parere di un esperto, da qualunque parte provenga, piuttosto che quello, se meno
qualificato, emanato da un determinato organo.
Nel caso che dal controllo
risulti agli amministratori la necessità di rettificare la stima e
conseguentemente di ridurre il capitale sociale, il risultato del controllo deve
essere comunicata al socio conferente. Il conferente può ricorrere all'autorità
giudiziaria a tutela dei propri interessi, quando ritenga ingiustificata una
valutazione del bene da lui conferito inferiore a quella determinata dal perito
nominato dal tribunale.
Per quanto riguarda l'obbligo per l'assemblea di
provvedere alla corrispondente riduzione del capitale sociale, la legge non
precisa ulteriori obblighi in capo agli organi sociali che hanno effettuato il
controllo. Si ritiene comunque che essi debbano vigilare per accertare che il
provvedimento, che attiene alla garanzia dei terzi, venga assunto.
Non è
disciplinata dalla legge l'ipotesi opposta nella quale il valore effettivo dei
beni conferiti sia superiore al corrispondente valore delle azioni emesse; in
tal caso si deve ritenere che l'errore possa essere fatto valere dal socio
conferente secondo le norme del diritto comune, anche se, in linea di principio,
non si può escludere la legittimità di una sottovalutazione dei conferimenti in
natura, nel senso che, a fronte di un certo valore dei beni, si assegni un minor
valore nominale di azioni.
Se la differenza negativa accertata dal controllo
degli amministratori tra valore dei beni conferiti e importo del capitale emesso
a fronte del conferimento supera un quinto di quest'ultimo valore, il capitale
deve essere corrispondentemente ridotto, previo annullamento delle azioni
rimaste scoperte. Il socio conferente ha la possibilità di coprire con un
versamento in danaro l'importo mancante o recedere dalla società, oltre che,
ovviamente, accettare in contropartita un numero inferiore di azioni o
quote.
Nell'ipotesi che l'aumento di capitale sia stato originariamente
deliberato con un sovrapprezzo e sia emersa una divergenza superiore al quinto a
seguito dei controlli effettuati dagli amministratori, la conseguente riduzione
deve essere applicata «proporzionalmente» sul capitale e sul sovrapprezzo, al
fine di tutelare i legittimi interessi degli altri soci. La conclusione si basa
sull'interpretazione dell'avverbio usato dal legislatore nell'art. 2343 c.c. che
lo ha preferito alla dizione «in misura corrispondente» o simili, dalle quali si
sarebbe desunto che tutta la differenza dovesse gravare sul valore nominale
delle azioni scoperte.
La norma dell'art. 2343 c.c. assume così una duplice
chiave di lettura: oltre alla tutela dei terzi all'integrità del capitale
sociale, provvede alla tutela degli interessi degli altri soci che subirebbero
un ingiusto pregiudizio da un conferimento di valore inferiore, pur essendo, dal
fatto specifico, assolutamente estranei: la riduzione del solo sovrapprezzo -
senza diminuire la partecipazione del socio conferente - diminuirebbe il
patrimonio netto (capitale + sovrapprezzo) di competenza degli altri soci.
La
tutela dello specifico interesse di tutela degli altri soci viene meno quando il
socio è uno solo; nella particolare fattispecie l'unico interesse che merita
tutela è quello del generale interesse dei creditori sociali e la differenza
accertata deve gravare in primo luogo sul fondo sovrapprezzo azioni e,
successivamente, sul capitale nominale (Trib. Casale Monferrato, 14 luglio 1995,
in Riv. notar., 1995, II, p. 1325).
Se la differenza non raggiunge
il quinto, in considerazione dell'opinabilità delle stime, che difficilmente
pervengono a conclusioni identiche, prevale la stima emessa dall'esperto esterno
nominato dal presidente del tribunale e non è richiesta alcuna modifica del
capitale. Le minusvalenze accertate, se inferiori al quinto, vengono
ignorate.
Fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni
corrispondenti al conferimento sono inalienabili e devono restare depositate
presso la società.