Commento di Marco Minardi alla sentenza Cass. S.U. 11/11/08 n. 26972
(tratto da www.lexform.it)
Finalmente è uscita! L'aspettavamo da tempo, tanto che erano già stati
fissati convegni in tutta Italia, poi rimandati.
Adesso la commenteranno in
tutto il web e in tutte le riviste. Noi di Lexform abbiamo scomposto la sentenza
in domande e risposte. Non sono rielaborate, ma sono proprio le parole delle
Sezioni Unite. Questo per facilitare la lettura.
In sintesi:
- va confermata la teoria della bipolarità del danno;
- il danno non patrimoniale non ha sottocategorie di danno;
- il danno esistenziale non è una categoria autonoma di danno;
- il danno morale transeunte non ha più ragione di esistere;
- in caso di reato, il danno non patrimoniale può essere riconosciuto anche in caso di lesione di diritti non inviolabili della persona purchè giuridicamente rilevanti;
- il danno non patrimoniale contrattuale va risarcito ogni qual volta vi è la violazione di un diritto inviolabile alla persona di rango costituzionale;
- in tali casi non c'è bisogno di cumulare le azioni (contrattuale ed extracontrattuale)
- i danni bagatellari non possono essere risarciti;
- il giudice di pace viola il principio informatore della materia se riconosce come meritevoli di tutela pregiudizi bagatellari;
- in caso di lesione all'integrità psicofisica il danno morale è inglobato in quello biologico;
- non può essere liquidata una voce autonoma di danno alla compromissione della sfera sessuale, in quanto va inglobata nel danno biologico;
- non si può mai parlare di danno in re ipsa;
Che cosa si intende per danno non patrimoniale?
Il danno
non patrimoniale di cui parla, nella rubrica e nel testo, l'art. 2059 c.c., si
identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la
persona non connotati da rilevanza economica.
Che cosa postula il
suo risarcimento?
Il suo risarcimento postula la verifica della
sussistenza degli elementi nei quali si articola l'illecito civile
extracontrattuale definito dall'art. 2043 c.c..
L'art. 2059
delinea una fattispecie distinta di illecito?
No, l'art. 2059 c.c.
non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non
patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei
casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli
elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano
dall'art. 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di
responsabilità oggettiva).
Quali sono gli elementi della
struttura dell'illecito civile?
Gli elementi consistono nella (a)
condotta, (b) nel nesso causale tra condotta ed © evento di danno, connotato
quest'ultimo (d) dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata,
di interessi meritevoli di tutela, e nel (e) danno che ne consegue
(danno-conseguenza, secondo opinione ormai consolidata: Corte cost. n. 372/1994;
S.u. n. 576, 581, 582, 584/2008).
Perchè l'art. 2059 c.c. è norma
di rinvio?
Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di
risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno
non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono
siffatta tutela.
Quali norme prevedono siffatta
tutela?
Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede
la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato ("Ogni reato, che
abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al
risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono
rispondere per il fatto di lui").
Altri casi di risarcimento anche dei danni
non patrimoniali sono previsti da leggi ordinarie in relazione alla
compromissione di valori personali (art. 2 l. n. 117/1998: danni derivanti dalla
privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni
giudiziarie; art 29, comma
9, l. n. 675/1996 (oggi codice della privacy
n.d.r.): impiego di modalità illecite nella raccolta di dati personali; art. 44,
comma 7, d.lgs. n. 286/1998: adozione di atti discriminatori per motivi
razziali, etnici o religiosi; art. 2 l. n. 89/2001: mancato rispetto del termine
ragionevole di durata del processo).
Quali diritti ricevono
altresì tutela?
Per effetto di tale estensione, va ricondotto
nell'ambito dell'art. 2059 c.c., il danno da lesione del diritto inviolabile
alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli
artt. 138 e 139 d.lgs. n. 209/2005, specifica definizione normativa (sent. n.
15022/2005; n. 23918/2006). In precedenza, come è noto, la tutela del danno
biologico era invece apprestata grazie al collegamento tra l'art. 2043 c.c. e
l'art. 32 Cost. (come ritenuto da Corte cost. n. 184/1986), per sottrarla al
limite posto dall'art. 2059 c.c., norma nella quale avrebbe ben potuto sin
dall'origine trovare collocazione (come ritenuto dalla successiva sentenza della
Corte n. 372/1994 per il danno biologico fisico o psichico sofferto dal
congiunto della vittima primaria).
Trova adeguata collocazione nella norma
anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti
inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) (sent. n. 8827 e n.
8828/2003, concernenti la fattispecie del danno da perdita o compromissione del
rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del
congiunto).
Eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del
diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti
inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3
Cost, (sent. n. 25157/2008).
E' corretta la ricostruzione in
termini di bipolarità?
Sì. La rilettura costituzionalmente orientata
dell'art. 2959 c.c., come norma deputata alla tutela risarcitoria del danno non
patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, riporta il sistema della
responsabilità aquiliana nell'ambito della bipolarità prevista dal vigente
codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale
(art. 2059 c.c.) (sent. n. 8827/2003; n. 15027/2005; n.
23918/2006).
Sul piano della struttura dell'illecito, in cosa si
differenziano?
Sotto tale aspetto, il risarcimento del danno
patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando
l'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c. la lesione di qualsiasi
interesse giuridicamente rilevante (sent. 500/1999), mentre quello del danno non
patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei
casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di
danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona
(sent. n. 15027/2005; n. 23918/2006).
Cosa postula la
risarcibilità del danno non patrimoniale sul piano dell'ingiustizia del
danno?
La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul
piano dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione
consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici
casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice,
chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno
specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla
minima tutela risarcitoria.
Ha ancora ragione di esistere il
danno morale transeunte?
NO, La limitazione alla tradizionale figura
del c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La
figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva
fondamento normativo assai dubbio, poiché né l'art. 2059 c.c. né l'art. 185 c.p.
parlano di danno morale, e tantomeno lo dicono rilevante solo se sia
transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela,
poiché la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente
transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo
riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto
danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno
biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al tempo di vita
effettiva: n.19057/2003; n. 3806/2004; n. 21683/2005).
Va conseguentemente
affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale,
la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma
descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di
pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé
considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono
rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del
risarcimento.
In presenza di reato, quali danni patrimoniali
vanno risarciti?
In ragione della ampia accezione del danno non
patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non
patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili
(come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno
biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto,
determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche
quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati
da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il
criterio dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poiché la tipicità, in questo
caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in
ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non
patrimoniali cagionati da reato. Scelta che comunque implica la considerazione
della rilevanza dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della
tutela penale.
Negli altri casi determinati dalla legge la selezione degli
interessi è già compiuta dal legislatore. Va notato che, nei casi previsti da
leggi vigenti richiamati in precedenza, il risarcimento è collegato alla lesione
di diritti inviolabili della persona: alla libertà personale, alla riservatezza,
a non subire discriminazioni.
Il legislatore può ampliare il
catalogo dei casi in cui può essere risarcito il danno non patrimoniale in
assenza di reato?
Sì, non può ritenersi precluso al legislatore
ampliare il catalogo dei casi determinati dalla legge ordinaria prevedendo la
tutela risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi inerenti la
persona non aventi il rango costituzionale di diritti inviolabili,
privilegiandone taluno rispetto agli altri (Corte cost. n. 87/1979).
I diritti predicati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo, ratificata con la legge n. 88 del 1955, quale risulta dai
vari Protocolli susseguitisi, hanno rango costituzionale?
No, poiché
la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi
nascenti da altri Trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11
Cost., il rango di fonte costituzionale, né può essere parificata, a tali fini,
all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento interno (Corte cost. n.
348/2007).
Fuori dai casi determinati dalla legge in quali casi è
data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale?
Fuori dai casi
determinati dalla legge in quali casi è data tutela risarcitoria al danno non
patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della
persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente
qualificata.
Esistono sottocategorie del danno non
patrimoniale?
No, in tali ipotesi non emergono, nell'ambito della
categoria generale "danno non patrimoniale", distinte sottocategorie, ma si
concretizzano soltanto specifici casi determinati dalla legge, al massimo
livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non
patrimoniale.
È solo a fini descrittivi che, in dette ipotesi, come avviene,
ad esempio, nel caso di lesione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), si
impiega un nome, parlando di danno biologico. Ci si riferisce in tal modo ad una
figura che ha avuto espresso riconoscimento normativo negli artt. 138 e 139
d.lgs. n. 209/2005, recante il Codice delle assicurazioni private, che
individuano il danno biologico nella "lesione temporanea o permanente
all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento
medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e
sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente
da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito", e ne danno una
definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati
ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale.
Ed è ancora a fini descrittivi che, nel caso di lesione
dei diritti della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), si utilizza la sintetica
definizione di danno da perdita del rapporto parentale.
In tal senso, e cioè
come mera sintesi descrittiva, vanno intese le distinte denominazioni (danno
morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) adottate dalle
sentenze gemelle del 2003, e recepite dalla sentenza, n. 233/2003 della Corte
costituzionale.
Le menzionate sentenze, d'altra parte, avevano avuto cura di
precisare che non era proficuo ritagliare all'interno della generale categoria
del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario
modo (n. 8828/2003), e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata
dell'art. 2059 c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di
incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del
risarcimento degli stessi pregiudizi), ma come mezzo per colmare le lacune della
tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni
unite condividono.
Il catalogo dei casi in tal modo determinati
costituisce numero chiuso?
NO, la tutela non è ristretta ai casi di
diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione
nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un
processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel
complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi
interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per
l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili
della persona umana.
Nell'ambito della tutela risarcitoria del
danno non patrimoniale, si può inserire, come categoria autonoma, il c.d. danno
esistenziale?
NO, dopo che le sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 hanno
fissato il principio, condiviso da queste Sezioni unite, secondo cui, in virtù
di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., unica norma
disciplinante il risarcimento del danno non patrimoniale, la tutela risarcitoria
di questo danno è data, oltre che nei casi determinati dalla legge, solo nel
caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e cioè in
presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, di danno
esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato
discorrere.
Per quale ragione?
Perché la figura del
danno esistenziale era stata proposta nel dichiarato intento di supplire ad un
vuoto di tutela, che ormai più non sussiste.
In presenza di reato
quali pregiudizi esistenziali sono risarcibili?
In presenza di
reato, superato il tradizionale orientamento che limitava il risarcimento al
solo danno morale soggettivo, identificato con il patema d'animo transeunte, ed
affermata la risarcibilità del danno non patrimoniale nella sua più ampia
accezione, anche il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare
(ma sarebbe meglio dire: nella sofferenza morale determinata dal non poter fare)
è risarcibile.
La tutela risarcitoria sarà riconosciuta se il pregiudizio sia
conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto,
desunto dall'ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali
(come la già citata Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo, ratificata con la legge n. 88 del 1955), e cioè purché sussista il
requisito dell'ingiustizia generica secondo l'art. 2043 c.c. E la previsione
della tutela penale costituisce sicuro indice della rilevanza dell'interesse
leso.
In assenza di reato quali pregiudizi esistenziali sono
risarcibili?
In assenza di reato, e al di fuori dei casi determinati
dalla legge, pregiudizi di tipo esistenziale sono risarcibili purché conseguenti
alla lesione di un diritto inviolabile della persona.
Ipotesi che si
realizza, ad esempio, nel caso dello sconvolgimento della vita familiare
provocato dalla perdita di congiunto (c.d. danno da perdita del rapporto
parentale), poiché il pregiudizio di tipo esistenziale consegue alla lesione dei
diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.).
In questo caso,
vengono in considerazione pregiudizi che, in quanto attengono all'esistenza
della persona, per comodità di sintesi possono essere descritti e definiti come
esistenziali, senza che tuttavia possa configurarsi una autonoma categoria di
danno.
Altri pregiudizi di tipo esistenziale attinenti alla sfera relazionale
della persona, ma non conseguenti a lesione psicofisica, e quindi non rientranti
nell'ambito del danno biologico (comprensivo, secondo giurisprudenza ormai
consolidata, sia del c.d. "danno estetico" che del c.d. "danno alla vita di
relazione"), saranno risarcibili purché siano conseguenti alla lesione di un
diritto inviolabile della persona diverso dal diritto alla integrità
psicofisica.
Ipotesi che si verifica nel caso (esaminato dalla sentenza n.
6607/1986) dell'illecito che, cagionando ad una persona coniugata
l'impossibilità di rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo del
diritto dell'altro coniuge a tali rapporti, quale diritto-dovere reciproco,
inerente alla persona, strutturante, insieme agli altri diritti-doveri
reciproci, il rapporto di coniugio. Nella fattispecie il pregiudizio è
conseguente alla violazione dei diritti inviolabili della famiglia spettanti al
coniuge del soggetto leso nella sua integrità
psicofisica.
Pertanto, in caso di assenza di reato, in quali casi
è risarcibile il pregiudizio esistenziale?
Il pregiudizio di tipo
esistenziale, per quanto si è detto, è quindi risarcibile solo entro il limite
segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento di danno.
Se non si riscontra lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della
persona non è data tutela risarcitoria.
E' accettabile la tesi
secondo cui la rilevanza costituzionale non deve attenere all'interesse leso,
bensì al pregiudizio sofferto?
NO, la tesi pretende di vagliare la
rilevanza costituzionale con riferimento al tipo di pregiudizio, cioè al
danno-conseguenza, e non al diritto leso, cioè all'evento dannoso, in tal modo
confonde il piano del pregiudizio da riparare con quello dell'ingiustizia da
dimostrare, e va disattesa.
Essa si risolve sostanzialmente nell'abrogazione
surrettizia dell'art. 2059 c.c. nella sua lettura costituzionalmente orientata,
perché cancella la persistente limitazione della tutela risarcitoria (al di
fuori dei casi determinati dalla legge) ai casi in cui il danno non patrimoniale
sia conseguenza della lesione di un diritto inviolabile della persona, e cioè in
presenza di ingiustizia costituzionalmente qualificata dell'evento
dannoso.
E' accettabile la tesi secondo cui il danno esistenziale
si identifica con la lezione di qualsivoglia interesse meritevole di
tutela?
NO, la tesi è inaccettabile, in quanto si risolve nel
ricondurre il preteso danno sotto la disciplina dell'art. 2043 c.c., dove il
risarcimento è dato purché sia leso un interesse genericamente rilevante per
l'ordinamento, contraddicendo l'affermato principio della tipicità del danno non
patrimoniale.
E' costituzionale tale
orientamento?
SI, poiché la tutela risarcitoria minima ed
insopprimibile vale soltanto per la lesione dei diritti inviolabili (Corte cost.
n. 87/1979).
In quali casi è possibile superare detti limiti di
tutela?
Il superamento dei limiti alla tutela risarcitoria dei danni
non patrimoniali, che permangono, nei termini suesposti, anche dopo la rilettura
conforme a Costituzione dell'art. 2059 c.c., può derivare da una norma
comunitaria che preveda il risarcimento del danno non patrimoniale senza porre
limiti, in ragione della prevalenza del diritto comunitario sul diritto
interno.
Sono meritevoli di tutela a titoli di danno esistenziale i pregiudizi
consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di
insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che
ciascuno conduce nel contesto sociale?
NO, e non vale, per dirli
risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità
della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad
essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la
lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è
fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale.
Quando si
hanno liti bagatellari?
Con tale formula si individuano le cause
risarcitorie in cui (a) il danno conseguenziale è futile o irrisorio, ovvero,
(b) pur essendo oggettivamente serio, è tuttavia, secondo la coscienza sociale,
insignificante o irrilevante per il livello raggiunto.
In entrambi i casi
deve sussistere la lesione dell'interesse in termini di ingiustizia
costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa in radice (al di
fuori dei casi previsti dalla legge) l'invocabilità dell'art. 2059
c.c.
Qual'è la differenza tra i due casi?
La
differenza tra i due casi è data dal fatto che nel primo, nell'ambito dell'area
del danno-conseguenza del quale è richiesto il ristoro è allegato un pregiudizio
esistenziale futile, non serio (non poter più urlare allo stadio, fumare o bere
alcolici), mentre nel secondo è l'offesa arrecata che è priva di gravità, per
non essere stato inciso il diritto oltre una soglia minima: come avviene nel
caso del graffio superficiale dell'epidermide, del mal di testa per una sola
mattinata conseguente ai fumi emessi da una fabbrica, dal disagio di poche ore
cagionato dall'impossibilità di uscire di casa per l'esecuzione di lavori
stradali di pari durata (in quest'ultimo caso non è leso un diritto inviolabile,
non spettando tale rango al diritto alla libera circolazione di cui all'art. 16
Cost., che può essere limitato per varie ragioni).
La gravità dell'offesa costituisce requisito ulteriore per
l'ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla
persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali
inviolabili?
SI, il diritto deve essere inciso oltre una certa
soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una
certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere
meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di
tolleranza.
Perché?
Il filtro della gravità della
lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di
solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il
risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia
superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile.
Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto
sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza
impone (art. 2 Cost.).
Come vanno accertati i requisiti
suddetti?
Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice
secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato
momento storico (criterio sovente utilizzato in materia di lavoro, sent. n.
17208/2002; n. 9266/2005, o disciplinare, S.u. n. 16265/2002).
I
limiti fissati dall'art. 2059 c.c. possono essere ignorati dal giudice di pace
nelle cause di valore non superiore ad euro millecento, in cui
decide secondo equità?
NO, in quanto la norma, nella lettura
costituzionalmente orientata accolta da queste Sezioni unite, in quanto pone le
regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce
principio informatore della materia in tema di risarcimento del danno non
patrimoniale, che il giudice di pace, nelle questioni da decidere secondo
equità, deve osservare (Corte cost. n. 206/2004).
Il danno non
patrimoniale può essere suddiviso in sottocategorie?
NO, in
conclusione, deve ribadirsi che il danno non patrimoniale è categoria generale
non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In
particolare, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata
"danno esistenziale", perché attraverso questa si finisce per portare anche il
danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pure attraverso l'individuazione
della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui
tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai
fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è
voluta dal legislatore ordinario né è necessitata dall'interpretazione
costituzionale dell'art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela
risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili
secondo Costituzione (principi enunciati dalle sentenze n. 15022/2005, n.
11761/2006, n. 23918/2006, che queste Sezioni unite fanno
propri).
Esiste dunque la categoria autonoma del danno
esistenziale?
NO.
In caso di responsabilità
contrattuale, è risarcibile il danno non patrimoniale?
SI,
l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. consente ora
di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il
risarcimento dei danni non patrimoniali purchè vi sia la lesione dei diritti
inviolabili della persona
E' necessario ricorrere all'espediente
del cumulo di azioni?
NO, se l'inadempimento dell'obbligazione
determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti
con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del
creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere
versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere
all'espediente del cumulo di azioni.
I quali casi non occorre
accertate se in concreto il contratto tenda alla realizzazoine anche di
interessi non patrimoniali?
L?esigenza di accertare se, in concreto,
il contratto tenda alla realizzazione anche di interessi non patrimoniali,
eventualmente presidiati da diritti inviolabili della persona, viene meno nel
caso in cui l'inserimento di interessi siffatti nel rapporto sia opera della
legge.
È questo il caso del contratto di lavoro. L'art. 2087 c.c.
("L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che,
secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie
a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di
lavoro"), inserendo nell'area del rapporto di lavoro interessi non suscettivi di
valutazione economica (l'integrità fisica e la personalità morale) già implicava
che, nel caso in cui l'inadempimento avesse provocato la loro lesione, era
dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale.
La sofferenza
morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio
non patrimoniale?
SI, ma deve tuttavia trattarsi di sofferenza
soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio
non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento
dell'animo, il dolore intimo sofferti, ad esempio, dalla persona diffamata o
lesa nella identità personale, senza lamentare degenerazioni patologiche della
sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del
danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura
intrinseca costituisce componente.
In quali casi si ha
duplicazione del risarcimento?
Determina quindi duplicazione di
risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale
nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo
alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il
giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata
personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro
effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto
leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Egualmente
determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno
morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto
parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita
e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono
che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente
ristorato.
Possono costituire solo "voci" del danno biologico nel suo aspetto
dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno
alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti
relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell'integrità psicofisica, sicché
darebbe luogo a duplicazione la loro distinta
riparazione.
Il pregiudizio alla perdita o compromissione di sessualità va
liquidato separatamente dal danno biologico?
NO, va certamente
incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica,
è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale non
può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo
(diversamente da quanto affermato dalla sentenza n. 2311/2007, che lo eleva a
danno esistenziale autonomo).
Ed egualmente si avrebbe duplicazione nel caso
in cui il pregiudizio consistente nella alterazione fisica di tipo estetico
fosse liquidato separatamente e non come "voce" del danno biologico, che il c.d.
danno estetico pacificamente incorpora.
In caso di morte avvenuta
dopo breve tempo, quale posta va liquidata?
In tali casi, il giudice
potrà invece correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a
ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle
quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante
l'agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela
determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega, nel caso di morte
immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del
danno biologico per la perdita della vita (sent. n. 1704/1997 e successive
conformi), e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia
rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (sent. n.
6404/1998 e successive conformi). Una sofferenza psichica siffatta, di massima
intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del
limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e
dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova
più ampia accezione.
Il danno non patrimoniale, anche quando sia
determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce
danno evento o danno conseguenza?
Costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003),
che deve essere allegato e provato.
Va disattesa, infatti, la tesi che
identifica il danno con l'evento dannoso, parlando di "danno evento". La tesi,
enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata
infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte
con le sentenze gemelle del 2003.
Nel caso di valori alla persona
si può parlare di danno in re ipsa?
NO, è da respingere la variante
costituita dall'affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il
danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento,
che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un
danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.
Come si
accerta il danno biologico?
Per quanto concerne i mezzi di prova,
per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 d. lgs. n.
209/2005) richiede l'accertamento medico-legale. Si tratta del mezzo di indagine
al quale correntemente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento
esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere,
motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non
disporre l'accertamento medico- legale, non solo nel caso in cui l'indagine
diretta sulla persona non sia possibile (perché deceduta o per altre cause), ma
anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della
sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti,
testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle
presunzioni.
Come si provano gli altri
pregiudizi?
Per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi
ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.
Attenendo il
pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova
presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche
l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi
di mezzo di prova di rango inferiore agli altri (v., tra le tante, sent. n.
9834/2002). Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella
concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti
che consentano di risalire al fatto ignoto.
Povero danno morale. Di lui, oggi, rimane ben poco, essendo stato fagocitato dal danno biologico e svilito, negli altri casi, a elemento per la quantificazione dell'intero danno non patrimoniale.
Vediamo perché.
In caso di uccisione del prossimo congiunto si era giunti, dopo tanto penare, ad un orientamento solido in Cassazione. Al prossimo congiunto spettava a titolo di danno non patrimoniale:
- il danno morale;
- il danno da perdita del rapporto parentale;
- (ed eventualmente) il danno biologico, nel caso in cui alla perdita del rapporto conseguiva anche una lesione dell'integrità psicofisica.
Avevamo letto in particolare in Cassazione Civile n. 22884/2007:
- che l'interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, per la definitiva perdita del rapporto parentale, era ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost. e si concretizzava nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia;
- che esso si collocava nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., in raccordo con le suindicate norme della costituzione;
- che esso si distingueva sia dall'interesse al "bene salute", (protetto dall'art. 32 Cost. e tutelato attraverso il risarcimento del danno biologico), sia dall'interesse, all'integrità morale (protetto dall'art. 2 Cost,. e tutelato attraverso il risarcimento del danno morale soggettivo) (Cass. 19/08/2003, n. 12124; Cass. n. 8828/2003).
Nella fattispecie decisa dalla Corte, il giudice di appello aveva liquidato agli attori, rispettivamente in L. 150 milioni per il coniuge e L. 50 milioni per il figlio, il danno "essenzialmente morale e consistente nel dolore per la scomparsa nella loro vita di una presenza familiare importante".
La sentenza era stata pertanto cassata, in quanto nella predetta motivazione non era indicato se il giudice, nella liquidazione dell'unitario danno non patrimoniale, avesse tenuto conto solo delle sofferenze morali degli attori, danneggiati dalla morte del congiunto, o anche (in tutto o in parte) dei profili di danno non patrimoniale derivanti dalla perdita del rapporto parentale, con i conseguenti pregiudizi alla quotidianità della vita, quale si era in precedenza instaurata.
Oggi, se la sentenza delle Sezioni Unite farà giurisprudenza (ma ciò, a mio avviso, non è così scontato) le cose cambieranno. Leggiamo infatti che "determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato".
Ma in pratica cosa cambia?
Prima, il giudice avrebbe dovuto liquidare il danno non patrimoniale tenendo in considerazione sia il danno morale, sia il danno da perdita del rapporto parentale. Non era necessario distinguere in motivazione o in dispositivo gli importi, ma era comunque essenziale dimostrare di avere tenuto conto di entrambi i danni.
Oggi, liquidare 100 a titolo di danno morale e danno da perdita del rapporto parentale, o, peggio, 20 a titolo dell'uno e 80 a titolo dell'altro determina una duplicazione di risarcimenti.
Quindi?
Quindi, se la Corte sarà coerente con il principio affermato, tutte le sentenze che oggi attendono una decisione in Cassazione e che hanno riconosciuto tanto il danno morale, quanto il danno da perdita del rapporto parentale verranno cassate.
Rimane un piccolo spazio in caso di morte avvenuta a breve distanza dalla lesione: in tali casi, affermano le Sezioni Unite, il giudice potrà "riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine". Viene da chiedersi: come si fa ad accertare che la vittima è rimasta "in consapevole attesa della fine"? Dunque il danno morale di chi fino alla fine ha sperato nella salvezza non va risarcito?
Quell'inciso "lucida consapevole attesa della fine" è davvero fuori luogo, inutile, fuorviante. E già mi immagino le battaglie in tribunale: "signor giudice, gli eredi di Tizio non hanno diritto al risarcimento del danno morale, perché il de cujus ha perso subito i sensi prima di morire e dunque non è stato in consapevole attesa della fine!".
Che tristezza.
Stessa sorte subiranno le sentenze (cioè tutte) che hanno riconosciuto il danno morale separatamente dal danno biologico. Affermano le Sezioni Unite che ove siano dedotte degenerazioni patologiche della sofferenza "si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente". Pertanto "determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza".
Insomma, il danno biologico si è fagocitato il danno morale. Ne valeva davvero la pena?
Di certo, qualcuno sta brindando.