Cassazione - Sezioni
Unite Civili
sentenza 6 - 30/03/2007 n. 7880
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 10 maggio 2001, Marco Mari
conveniva in giudizio davanti al giudice del lavoro di Bari la Spa Acquedotto
Pugliese e, premesso di avere lavorato alle dipendenze di quest'ultima dal 1973,
dapprima come consulente professionale e, successivamente, come coordinatore del
servizio studi e programmi sino al 1997, aveva in seguito - all'atto della
trasformazione dell'ente in società per azioni nel maggio 1999 - avuto affidato
l'incarico di «responsabile dell'unità di staff dell' amministratore unico». Dal
1 gennaio 2000 gli era stata conferita la qualifica di dirigente. Con lettera
del 5 dicembre 2000 l'Acquedotto Pugliese gli aveva comunicato l'immediata
risoluzione del rapporto di lavoro, ai sensi dell'articolo 34 del vigente
contratto collettivo della categoria, ma tale licenziamento era illegittimo,
perchè disposto in totale violazione della procedura prevista dall'articolo 7
dello statuto dei lavoratori in quanto non preceduto dalla preventiva
contestazione degli addebiti e senza essere sentito a difesa. In ogni caso il
recesso doveva considerarsi ingiustificato in quanto gli addebiti erano privi di
attendibilità stante, peraltro, i riconoscimenti che nel corso degli anni esso
ricorrente aveva avuto dalla stessa società convenuta. Tutto ciò premesso,
chiedeva che venisse dichiarata la nullità del licenziamento e che la suddetta
società venisse condannata al
ripristino del rapporto di lavoro ed, in via subordinata, che venisse dichiarata
l'ingiustificatezza - del
licenziamento, sempre con condanna dell'indennità di preavviso pari a venti
mensilità nonchè al pagamento di una somma, da determinarsi in via equitativa, a
titolo di risarcimento dei danni per lesione all'immagine e dignità
professionale.
Dopo la costituzione della convenuta, che contestava la
fondatezza della domanda attrice, e dopo che detta domanda era stata rigettata
dal primo giudice, a seguito di gravame del Mari, la Corte d'appello di Bari,
con sentenza del 10 novembre 2003, rigettava l'appello e condannava l'appellante
alle spese del secondo grado.
Nel pervenire a tale conclusione la Corte
territoriale - dopo avere preliminarmente evidenziato che lo stesso Mari aveva
affermato che aveva rivestito la qualifica di dirigente e che mancava ogni prova
con riferimento ad una attribuzione fraudolenta di tale qualifica al solo fine
di privare il lavoratore delle garanzie dell'articolo 18 stat. lav.- evidenziava
come la più recente giurisprudenza, pur ritenendo applicabile l'articolo 7 dello
statuto a tutti i dirigenti, compresi quelli apicali, avesse negato che la
violazione di detta norma potesse comportare una causa di invalidità del recesso
datoriale perchè da esso derivava unicamente la mera non valutabilità dei fatti
non ritualmente contestati con le conseguenze legali e nel caso, appunto, del
licenziamento del dirigente, anche di
quelle contrattuali (consistenti nell'obbligo di versare l'indennità
sostitutiva del preavviso e di quella supplementare, da riconoscersi nel caso di
recesso non assistito da giustificatezza).
Quanto al merito della
controversia i giudici d'appello riconoscevano la legittimità del recesso in
considerazione del fatto che era rimasto accertato che il Mari, nei giorni in
cui era in missione nel Salento, era stato ospite presso l'hotel Costa Brada di
Gallipoli nei giorni dal 23 al 24 agosto 2000 e dal 28 agosto 2000 al 3
settembre 2000 a spese dell'impresa Erroi Bruni, titolare di contratti di
appalto con l'Acquedotto, nel cui ambito il dirigente svolgeva mansioni di
controllo. A fronte di tali fatti il Mari si era limitato a proporre questioni
di carattere soltanto formale, ponendo l'accento unicamente sulla circostanza
che la ditta Erroi non era sottoposta al suo controllo e, comunque, sul fatto
che la sua condotta non aveva favorito la suddetta ditta nè aveva arrecato alcun
danno all'ente. La giustificatezza del provvedimento adottato - scaturente,
comunque, dalla lesione che l'immagine dell'Acqueddotto aveva irrimediabilmente
subito per la condotta di un suo dirigente assorbiva la questione relativa alla
pretesa indennità supplementare, non dovuta proprio in considerazione del motivo
di recesso.
Avverso tale sentenza Marco Mari propone ricorso per cassazione,
affidato ad un duplice motivo.
Resiste con controricorso la Spa Acquedotto
Pugliese.
Ambedue le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 Cpc.
Motivi della
decisione
1. Con il primo motivo di ricorso Marco Mari deduce
violazione di legge per errata e falsa applicazione dell'articolo 10 della legge
604/66, dell'articolo 7 della legge 300/70 e dell'articolo 2697 Cc nonchè
dell'articolo 416 Cpc in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3 e 4 Cpc,
nonchè omissione e contraddittorietà della motivazione, in relazione
all'articolo 360, primo comma n. 5, Cpc. In particolare sostiene il ricorrente
che, in assenza di una mancata contestazione da parte della società ex articolo 416 Cpc, alla sua iniziale
affermazione di non essere un dirigente apicale dell'Aquedotto Pugliese,il
giudice d'appello avrebbe dovuto reputare provato il carattere non apicale delle
mansioni da esso spiegate, dovendo la prova contraria in ogni caso fare carico
sul datore di lavoro. Conseguentemente lo stesso giudice avrebbe dovuto tenere
presente che la regola della licenziabilità ad nutum è applicabile solo al dirigente in
posizione verticistica, le cui mansioni nell'ambito della azienda sono
caratterizzate dall'ampiezza del potere gestorio tanto da potere essere definito un vero e proprio
"alter ego dell'imprenditore", in quanto preposto all'intera azienda o ad un
ramo di particolare importanza in posizione di sostanziale autonomia- in altri
termini dalla non provata natura di dirigente non apicale di esso Mari
conseguiva, da un lato, l'applicabilità dell'articolo 7 dello statuto dei
lavoratori al recesso intimatogli e, dall'altro, l'inapplicabilità del recesso
ad nutum ex articolo 10 della legge
604/66;istituto questo contemplato solo per i dirigenti posti in posizione
verticistica.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione di
legge per errata e falsa applicazione della legge 300/70 e dell'articolo 2 della
legge 604/66 (articolo 360, primo comma, n. 3 Cpc) nonchè omissione e
contraddittorietà della motivazione(articolo 360, primo comma, n. 5 Cpc). In
particolare rileva che la decisione impugnata è affetta da motivazione
contraddittoria perchè dopo avere premesso che la società ha errato nel non
applicare nel caso di specie il disposto dell'articolo 7 dello statuto dei
lavoratori, è poi caduta in evidente logica contraddizione dal momento che, nel
definire privo di giustificazione il recesso datoriale, ha finito per porre a
base della sua decisione i fatti che andavano contestati, ed ha conseguentemente
finito anche per disconoscere il suo diritto all'indennità supplementare, da
esso ricorrente rivendicato nel corso del
giudizio.
Precisa altresì che in ogni caso andava rispettato, come per
il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il principio della
tempestività della contestazione.
2. La controversia è stata rimessa alle Su
a seguito di ordinanza del 9 febbraio 2006 della Sezione lavoro di questa Corte,
che ha trasmesso gli atti al primo Presidente, oltre che per la massima
importanza della sollevata questione, per l'esistenza di un contrasto
sull'ambito di applicabilità dell'articolo 7 dello statuto dei lavoratori,con
riferimento alla categoria dei dirigenti, nonché sulle diverse conseguenze
scaturenti dal ritenere applicabile o meno al recesso dal rapporto lavorativo
degli appartenenti alla suddetta categoria la citata norma statutaria.
3. La
questione che, pertanto, deve essere risolta ripropone la problematica
dell'applicabilità (o meno) al licenziamento dei dirigenti d'azienda delle
garanzie procedimentali previste dall'articolo 7 della legge 300/70.
3.1.
Come è stato ricordato nella suddetta ordinanza articolato si presenta il
panorama giurisprudenziale in materia.
3.2 Con sentenza 6041/95, queste Su
- invertendo una tendenza volta ad
estendere le garanzie procedimentali dei commi 2 e 3 dell'articolo 7 stat. lav.
anche all'area delle libera recedibilità del rapporto di lavoro (pure con
riferimento al periodo successivo alla legge 108/90) e, quindi, anche al
licenziamento dei dirigenti rientrante nella stessa area ex articolo 2 legge 604/66 (cfr. per tutte: Cassazione 1641/95) -
hanno ritenuto inapplicabile ai dirigenti le garanzie previste dalla norma
statutaria "in ragione della natura spiccatamente fiduciaria del rapporto che
esclude la stessa configurabilità del potere disciplinare del datore di lavoro".
A tale riguardo i giudici di legittimità hanno evidenziato che il dirigente di
aziende industriali è "quel prestatore di lavoro che, collocato al vertice
dell'organizzazione aziendale, svolge mansioni tali da caratterizzare la vita
dell'azienda con scelte di respiro globale, e si pone in un rapporto di
collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro dal quale si limita a ricevere
direttive di carattere generale per la cui realizzazione si avvale di ampia
autonomia, ed anzi esercita i poteri dell'imprenditore (del quale è un alter ego) assumendone,anche se non
sempre. la rappresentanza esterna(per cui la suddetta esclusione non si estende
anche al cosiddetto pseudodirigente o dirigente meramente convenzionale,
relativamente al quale le mansioni concretamente attribuite ed esercitate non
hanno le caratteristiche tipiche del rapporto propriamente
dirigenziale".
Alla stregua di tali considerazioni, gli stessi giudici hanno
poi affermato che ove il contratto collettivo applicabile ai dirigenti "non
preveda procedimento e sanzioni disciplinari ma richieda la motivazione del
recesso soltanto ai fini del procedimento arbitrale" devono applicarsi al
licenziamento, oltre che le norme contrattuali, anche le disposizioni di cui
agli articoli 2118 e 2119 Cc rilevando, sempre per quanto riguarda i dirigenti,
che il concetto stesso di "mancanza" è arduo da ricostruire, specificamente con
riferimento alla giusta causa, stante l'ampiezza e delicatezza delle loro
mansioni e rimarcando ancora una volta sul piano sistematico generale la
"specificità e diversità del lavoro del dirigente", che si proietta "in una
tutela specifica, non solo nella formazione del contratto, ma nel corso del
rapporto, sul piano individuale e collettivo, anche in sede di recesso e, poi,
negli aspetti sindacali e previdenziali".
3.3. Sul quadro sviluppatosi a
seguito della suddetta decisione, ed arricchitosi da numerosi pronunziati che ne
hanno condiviso i principi(cfr. ex
plurimis e tra le più recenti: Cassazione, 19903/05;10058/05; 6606/03;
9950/01 e 2192/00, che hanno puntualizzato sul versante processuale che "il
giudizio circa l'applicabilità o meno al dirigente d'azienda delle garanzie
procedimentali di cui all'articolo 7 stat. lav., in caso di suo licenziamento
per motivi disciplinari, involge apprezzamenti di fatto,. diretti a stabilire se
l'interessato appartiene al novero dei dirigenti di vertice dell'azienda, ai
quali non sono applicabili dette garanzie, sicchè la questione non può essere
dedotta per la prima volta in cassazione ove nel giudizio di merito non sia
stato compiuto lo specifico, necessario, accertamento di fatto), si è inserita
la sentenza 5213/03 della Sezione lavoro di questa Corte, che rifacendosi
all'indirizzo prevalente anteriormente al revirement delle Su, ne ha precisato i
contorni.
3.4. Tale pronunzia, seguita poi anche da Cassazione 4614/06, ha
stabilito il principio secondo cui "le garanzie procedimentali dettate
dall'articolo 7, commi secondo e terzo, della legge 300/70 ai fini
dell'irrogazione di sanzioni disciplinari sono applicabili anche in caso di
licenziamento di un dirigente di azienda, a prescindere dalla specifica
posizione dello stesso nell'ambito della organizzazione aziendale, se il datore
di lavoro addebita al dirigente un comportamento negligente o, in senso lato,
colpevole, al fine di escludere il diritto del medesimo al preavviso, oppure
all'indennità c.d. supplementare eventualmente prevista dalla contrattazione
collettiva in ipotesi di licenziamento ingiustificato"; ed ha fatto scaturire
dall'enunciato principio la conseguenza che "la violazione di dette garanzie
comporta non la nullità del licenziamento stesso ma l'impossibilità di tenere conto dei
comportamenti irritualmente posti a base del licenziamento ai fini
dell'esclusione del diritto al preavviso e all'indennità supplementare".
La
suddetta pronunzia si pone, quindi, in contrasto con il prevalente indirizzo,
non solo per avere ritenuto applicabile le garanzie procedurali ex articolo 7 stat. lav. a tutti
dirigenti, ma anche per avere rifiutato, nel pervenire a tale conclusione, una
frammentazione della categoria dei dirigenti tra dirigenti di vertice da una
parte e dirigenti medi o minori dall'altra, la cui differenza anche per momenti
qualificanti del rapporto lavorativo configura passaggio motivazionale
caratterizzante tutte le decisioni del contrario orientamento.
4, Gli approdi
giurisprudenziali facenti capo alla ricordata decisione delle Su e segnatamente
questa pronunzia sono stati in dottrina sottoposti a critiche sotto molteplici
versanti.
4.1. Ed infatti si è al riguardo osservato, con riferimento alla
corrispondenza ai valori costituzionali, che essa si pone in insanabile
contrasto con gli interventi del giudice delle leggi (ed in specie: Corte
Costituzionale 309/92), perchè riesuma una vecchia ed ormai logora nozione di
dirigente, inteso quale alter ego
dell'imprenditore, aprendo di fatto le porte per un contenzioso ancora più
consistente e difficilmente gestibile in sede giudiziaria, in ordine alla reale
portata applicativa del "nuovo" principio giurisprudenziale, e si è aggiunto che
le riserve sulla disposizione interpretata dalle Su sono rafforzate soprattutto
dall'ampiezza dell'estensione che nella giurisprudenza costituzionale ha il
principio "audiatur et altera pars",
come indefettibile garanzia di ogni prestatore di lavoro incolpato di un
addebito prima che il datore di lavoro determini, con un suo atto unilaterale,
conseguenze negative nella sua sfera soggettiva; estensione che anzi ha
travalicato lo stesso ambito del lavoro subordinato toccando la contigua area
del lavoro professionale autonomo.
4.2. In una critica a largo raggio è stato
poi rilevato che i dirigenti di azienda rientrano espressamente nella
catalogazione delle categorie legali dei prestatori di lavoro(articolo 2095 Cc)
e, come tali, partecipano alla disciplina del rapporto di lavoro dettata dal
codice civile e dalle leggi speciali per il prestatore di lavoro subordinato in
generale; ed è stato osservato che, quando invece il legislatore ha inteso porre
delle deroghe alla disciplina comune, ha dettato speciali disposizioni per tale
categoria o per quella più ampia dei personale direttivo, aggiungendosi anche
che non sembra che il plesso normativo di disposizioni derogatorie (richiamato
anche dalle Su) possa arricchirsi di altre deroghe in ragione della mera
peculiarità delle posizioni in azienda del dirigente.
4.3. E nella stessa
ottica, volta a ridurre gli spazi di specialità del rapporto dirigenziale al
fine di renderlo compatibile anche sul piano logico con la regolamentazione di
cui all'articolo 7 stat. lav. , è stato precisato che, quando il venir meno
della fiducia è conseguenza di una condotta del dirigente ritenuta manchevole,
il recesso, accanto alla tipica funzione risolutoria del rapporto, contiene
anche una causa ulteriore costituita dalla funzione dell'atto di irrogare una
pena privata, realizzandosi tale effetto sanzionatorio nella perdita del diritto
all'indennità supplementare prevista dai contratti collettivi della categoria e,
in casi di particolare gravità, del diritto al preavviso ed alla corrispondente
indennità. E, sempre nella stessa direzione, è stato osservato che sia la
parzialità del modello socialtipico dell'alter ego dell'imprenditore sia
l'accentuata fiduciarietà del rapporto può comportare l'allargamento dell'arca
dei comportamenti fedeli ma non l'esclusione della rilevanza disciplinare delle
condotte inadempienti, atteso che nel codice civile non v'è traccia testuale di
deroga, quanto ai dirigenti, dell'applicabilità dell'articolo 2106 Cc, il tutto
senza trascurare di dire che alla luce della impostazione ontologica il potere
disciplinare resta tale, e merita la procedimentalizzazione di cui si discute,
anche se i particolari connotati del rapporto, che nessuno vuole negare, fanno
si che esso venga esercitato se non con la sanzione espulsiva.
5. Queste Su,
ritengono che una interpretazione del dato normativo costituzionalmente
orientata, che voglia rispondere anche a criteri logico - sistematici, induca a
condividere la tesi favorevole ad estendere a tutti coloro che rivestono la
qualifica di dirigenti in ragione della rilevanza dei compiti assegnati dal
datore di lavoro - e, quindi, senza distinzione alcuna tra dirigenti top manager
ed altri (cd. dirigenti "medi" o "minori") appartenenti alla stessa categoria -
l'iter procedurale previsto
dall'articolo 7 stat. lav.
5.1. Il giudice delle leggi, in occasione della
soluzione di numerose questioni costituzionali sollevate sotto vari profili in
ordine all'ambito di applicabilità della suddetta norma statutaria ha proceduto
- per quanto attiene alla individuazione della ratio di tale disposizione - ad
alcune precisazioni di sicura rilevanza nel caso di specie perchè capaci di
orientare la soluzione della problematica in oggetto.
5.2. Ed invero la Corte
Costituzionale al riguardo ha evidenziato: che devono essere assicurate tutte le
garanzie procedurali dell'articolo 7 stat. lav. nel caso di lavoratore investito
dalla più grave delle sanzioni disciplinari ed indipendentemente dal numero dei
dipendenti del datore di lavoro "perchè non vi è dubbio che il licenziamento per
motivi disciplinari, senza l'osservanza delle garanzie suddette, può incidere
sulla sfera morale e professionale del lavoratore e crea ostacoli o addirittura
impedimenti alle nuove occasioni di lavoro che il licenziato deve poi
necessariamente trovare" (Corte Costituzionale, sentenza 427/89); che l'articolo
7, commi secondo e terzo, stat. lav. raccoglie poi il ben noto sviluppo - ad un
tempo sociopolitico e giuridico formale - che ha indotto ad esigere come
essenziale presupposto delle sanzioni disciplinari lo svolgersi di un
procedimento, di quella forma cioè di produzione dell'atto, che rinviene il suo
marchio distintivo nel rispetto della regola del contraddittorio :audiatur et
altera pars; rispetto che tanto più è dovuto per quanto competente
ad
irrogare la sanzione è (non già - come avviene nel processo
giurisdizionale - il giudice, per tradizione e legge, super partes, ma) una pars (Corte Costituzionale sentenza
204/82); che nell'esercizio di un potere disciplinare - riferito allo
svolgimento di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato (di diritto privato o di
pubblico impiego) ovvero di lavoro autonomo e professionale - al principio di
proporzione deve coniugarsi la regola del contraddittorio, "secondo cui la
valutazione dell'addebito, necessariamente prodromica all'esercizio del potere
disciplinare, non è un mero processo interiore ed interno a chi tale potere
esercita, ma implica il coinvolgimento di chi versa nella situazione di
soggezione, il quale - avendo conosciuto l'addebito per essergli stato
previamente contestato - deve poter addurre, in tempi ragionevoli,
giustificazioni a sua difesa, sicché -sotto questo secondo profilo - è
necessario il previo espletamento di un procedimento disciplinare che, seppur
variamente articolabile, sia rispettoso della regola audiatur et altera pars" (cfr. Corte Costituzionale sentenza
220/95).
5.3. Orbene gli enunciati principi mostrano con palmare chiarezza
come la giurisprudenza dei giudici costituzionali si sia caratterizzata - come
si evince peraltro dalla ritenuta applicabilità dell'articolo 7 stat. lav. anche
al rapporto di lavoro domestico sul cui recesso ad nutum non si è mai dubitato
(cfr. sul punto la combinata lettura
delle sentenze 193/95 e 427/89 della Corte Costituzionale già citate, nonchè
Cassazione 5213/03, pure citata) -
per una generalizzata estensione delle procedure di contestazione dei fatti
posti a base del recesso, che trova la sua effettiva ratio non nelle
caratteristiche intrinseche del rapporto di lavoro (cfr al riguardo per l'imprescindibilità
e la compatibilità delle garanzie procedurali con posizioni lavorative pur
aventi caratteri peculiari, Corte Costituzionale 96/1981 per i naviganti
marittimi, e Corte Costituzionale 41/1991 per i naviganti aerei e, sotto altro
versante, anche Corte Costituzionale 193/95 cit. per il lavoro domestico), ma
nella capacità dei suddetti fatti di incidere direttamente, al di là
dell'aspetto economico, sulla stessa "persona del lavoratore", ledendone
talvolta, con il decoro e la dignità,anche la sua stessa immagine in modo
irreversibile. E la capacità espansiva della normativa scrutinata, in ragione
dei motivi ora esposti, ha trovato riscontro espresso ancora in una decisione
della Corte Costituzionale che, seppure di carattere interpretativo - e come
tale non vincolante - ha, proprio con riferimento al dirigente, evidenziato come
lo stesso goda di una stabilità relativa (prevista dal contratto collettivo di
categoria e variabile da impresa ad impresa), nonchè della tutela da riconoscere
ex lege contro fatti suscettibili di
ledere la sua dignità di uomo e di lavoratore (per esempio, licenziamento
intimato senza l'atto scritto; licenziamenti discriminatori; licenziamenti
disciplinari senza osservanza di norme che richiedano il riconoscimento di
garanzie procedimentali) (cfr. in
tali sensi: Corte Costituzionale 309/92).
5.4. Orbene, se il tratto
caratterizzante dell'articolo 7 stat. lav. va individuato, come emerge, dunque,
dai ricordati interventi della Corte Costituzionale, nell'esigenza di garantire
ad ogni lavoratore - nel momento in cui gli si addebitano condotte con finalità sanzionatorie - il diritto
di difesa, e se non è, come si è visto, di certo estranea alla ratio della norma
in esame l'intento di tutelare la "persona" del lavoratore nella
professionalità, nel decoro e nella sua stessa immagine, tutto ciò attesta che
non risponde a consequenzialità logica una lettura restrittiva del dato
normativo che finisca per penalizzare i dirigenti,i quali - specialmente se con
posizioni di vertice e se dotati di più incisiva autonomia funzionale - possono
subire danni, con conseguenze irreversibili per la loro futura collocazione nel
mercato del lavoro, da un licenziamento, che non consentendo loro una efficace e
tempestiva difesa, può lasciare ingiuste aree di dubbio sulla trasparenza del
comportamento tenuto e sulla capacità di assolvere a quei compiti di
responsabilità correlati alla natura collaborativi e fiduciaria caratterizzante
il rapporto lavorativo.
5.5. Ma oltre le considerazioni svolte, l'attuale
assetto normativo delle relazioni industriali e ragioni logico-sistematiche
ostano a che in relazione all'obbligo di contestazione degli addebiti possa
procedersi ad una frammentazione della categoria dirigenziale, al fine di
esimere il datore di lavoro dall'osservare tale obbligo nei confronti dei soli
dirigenti c.d. apicali.
5.6. Come è stato rilevato l'atto di nascita della
figura del dirigente, come qualifica dotata di propria autonomia rispetto a
quella impiegatizia, risale al periodo corporativo, e precisamente al Rd
1130/26 ("Norme per l'attuazione
della legge 563/26 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di
lavoro") che, all'articolo 6 -
riprendendo l'elencazione degli impiegati con funzioni direttive contenuta nel
Rd 1825/1924 - imponeva a tutti "i direttori tecnici e amministrativi e gli
altri capi di ufficio, di servizi con funzioni analoghe, gli institori in
generale e gli impiegati muniti di procura" di far parte di associazioni
sindacali a sè stanti rispetto a quelle degli altri lavoratori "intellettuali e
manuali"; ed all'articolo 34 richiedeva altresi che le associazioni della
categoria, cosi individuata, aderissero alle federazioni delle associazioni di
datori di lavoro.
5.7. L'unicità della definizione legislativa della
categoria, unitamente alla sua formulazione dai limiti non agevolmente
identificabili, hanno favorito durante il periodo corporativo una elaborazione
giurisprudenziale, cui si è ritenuto che abbia fatto riferimento il legislatore
del 1942 nell'individuare "i dirigenti" tra le categorie dei lavoratori di cui
al comma 1 dell'articolo 2095 Cc.
Il superamento del sistema giuridico,
nell'ambito del quale si era, come visto, collocata la disciplina dell'unitaria
categoria dei dirigenti, e la perdurante mancanza di una più completa, se non
esaustiva determinazione normativa della categoria, hanno nel tempo determinato
notevoli incertezze essendosi seguita - come è dimostrato dal panorama
giurisprudenziale di cui si sono in precedenza indicati i passaggi più
significativi - sia la soluzione di equiparare in una ottica unitaria
-segnatamente per quanto attiene all'assoggettamento al potere disciplinare ed a
quello datoriale di recesso - gli alti dirigenti(top manager) ai c.d. dirigenti
convenzionali(dirigenti medi o minori), sia quella opposta di differenziare
nettamente la posizione dei dirigenti apicali dai restanti dirigenti, garantendo
ai primi una tutela differenziata rispetto a quella dei secondi, cui vengono
riconosciute tutte le generali tutele lavoristiche.
5.8. Il tentativo da
parte della dottrina di recuperare margini di maggiore certezza nella
individuazione della categoria dirigenziale si è concretizzata nell'enunciazione
del principio, seguito anche in giurisprudenza (cfr. al riguardo tra le altre
:Cassazione 15351/03; 13193/03), secondo cui la qualifica di dirigente spetta -
come si è visto e come si deve nuovamente ricordare - a colui che, nell'ambito
dell'azienda, abbia un ruolo caratterizzato dall'ampiezza del potere gestorio,
tanto da poter essere definito un vero e proprio "alter ego" dell'imprenditore,
in quanto preposto all'intera azienda o ad un ramo o servizio di particolare
rilevanza, in sostanziale autonomia, posizione di tale da influenzare
l'andamento e le scelte dell'attività aziendale, sia al suo interno che nei
rapporti con i terzi.
6. Il perdurare di opinioni differenziate sollecita
attraverso i compiti di nomofilachia di queste Su - rafforzati dal recente D.Lgs
40/2006 - soluzioni capaci di
assicurare maggiori certezze in una materia di particolare rilevanza per le sue
ricadute non limitate alla loro dimensione economica.
7. Alcune delle esposte
ragioni che fanno propendere per l'estensibilità del disposto dell'articolo 7
stat. lav. a tutti i dirigenti (al di là di qualsiasi differenza riscontrabile
sul piano dei poteri riconosciuti loro dal datore di lavoro) per porsi ciascuno
di essi sempre in una posizione ben distinta dal datore di lavoro - come emerge
anche nella dirigenza pubblica (caratterizzata, ai sensi dell'articolo 5, comma
2, D.Lgs 165/01, per la drastica separazione tra funzioni di indirizzo,
spettanti agli orgarli politici, e "funzioni amministrative gestionali" di
competenza, invece, dei dirigenti) - mostrano la loro utilità anche per la
soluzione dell'altra problematica
che questa Corte è chiamata ad affrontare, quella cioè riguardante le
conseguenze scaturenti dalla mancata (o non corretta) applicazione della
disposizione statuaria.
7.1. È stato da più parti affermato che il giudice
non può sovrapporre una nozione ontologica della categoria dirigenziale a quella
emergente dalla contrattazione collettiva, che può qualificare come dirigenti
anche lavoratori che occupino posizioni in parte diverse da quelle di più
elevato spessore contenutistico proprie del c.d. alter ego dell'imprenditore. In una
visione più generale è stato anche denunziato un superamento dei tradizionali
criteri definitori della qualifica di dirigente, dovendosi prendere atto che
l'articolazione della moderna organizzazione del lavoro ha portato con sé anche
una evoluzione della prassi aziendale e della contrattazione collettiva, che ha
cosi compreso nella figura dirigenziale dipendenti che, seppure privi dei poteri
degli alti dirigenti, assumono tuttavia ampie responsabilità gestionali per
l'alta qualificazione sul piano tecnico,scientifico e professionale che li
colloca ugualmente in una posizione di vertice nel mercato del lavoro. E sempre
nella stessa direzione, volta ad assegnare la dovuta rilevanza alle complesse e
numerose strutture in cui si dividono sovente i vari rami dell'impresa - e che
necessitano di una costante collaborazione tra i preposti - è stato poi
precisato che sono veri e propri dirigenti anche quelli c.d. minori, sempre che
però rientrino nella previsione e definizione della contrattazione collettiva,
che ne può differenziare -
nell'ambito dell'autonomia negoziale propria delle organizzazioni
sindacali - pure la disciplina attraverso una modulazione delle tutele
rescissorie sulla base del grado di rappresentatività, di autonomia e di
responsabilità in concreto riconosciuto.
7.2. A tale riguardo la
giurisprudenza di legittimità ha statuito sin da tempo risalente che l'articolo
2095 Cc, pur prevedendo le categorie fondamentali di inquadramento dei
lavoratori subordinati, consente alle associazioni di determinare
contrattualmente le mansioni specifiche comprese nell'una o nell'altra categoria
e, nell'ambito della stessa categoria, di porre una differenziazione per gradi e
qualifiche ai sensi dell'articolo 96 disp. att. Cc, secondo l'importanza
dell'impresa, sicchè al fine di stabilire la qualifica spettante al prestatore
di lavoro, in relazione alle mansioni svolte, è necessario fare riferimento in
primo luogo al contratto collettivo, dovendo ritenersi che le indicazioni nel
medesimo contenute, in quanto esprimono la volontà delle associazioni stipulanti
e la loro specifica esperienza nel settore produttivo e nella relativa
organizzazione aziendale "assumono valore vincolante e decisivo anche per quanto
riguarda la classificazione di determinate mansioni specifiche nell'una o
nell'altra categoria"(così: Cassazione 47/1983 e, più di recente,
Cassazione 6448/02 che, a proposito
di un comandante di nave, ha
considerato dirigente chi è qualificato tale dal contratto collettivo).
7.3.
La stessa giurisprudenza ha rimarcato poi -sempre con espresso e diretto
riferimento alla categoria dei dirigenti - che in ragione della specifica
esperienza delle associazioni sindacali per quanto concerne i settori produttivi
e la relativa organizzazione aziendale ed in conformità al disposto degli
articoli 2095 e 2071, secondo comma, Cc, la determinazione delle qualifiche e
delle mansioni dei lavoratori costituisce attribuzione primaria della
contrattazione collettiva, con la conseguenza che, nel caso di licenziamento di
un dipendente inquadrato come dirigente secondo la disciplina collettiva, è da
escludere l'applicabilità delle norme della legge 604/66, in quanto l'articolo
10 della stessa legge limita l'operatività delle proprie disposizioni ai
prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio ai
sensi dell'articolo 2095 Cc, e quest'ultimo espressamente richiama la fonte
tipica costituita dalla contrattazione collettiva(cfr: Cassazione 2637/81, nonché
Cassazione 1836/92 e per riferimenti all'articolo 2095 Cc anche Cassazione
14738/99; Cassazione 3056/98) ; ed
ha espressamente rilevato infine - per quanto riguarda la delimitazione della
categoria dirigenziale - che nelle organizzazioni aziendali complesse può
sussistere una pluralità di dirigenti di diversi livelli, con una graduazione
dei loro compiti (ferma restando l'esistenza di una particolare qualità,
autonomia e discrezionalità delle loro mansioni), sicchè non può ritenersi
perfettamente adeguata in tutte le situazioni la formula riassuntiva di alter
ego dell'imprenditore a connotare la figura del dirigente (cfr Cassazione 5213/03 cit.; Cassazione
12860/98; 1899/94).
8. La diffusa consapevolezza che la specialità della
funzione dirigenziale trova, come è stato efficacemente osservato forme di
estrinsecazioni molteplici e non sempre riassumibili a priori in termini
compiuti, ed ancora la estrema labilità dei confini tra la figura di dirigente e
quella professionale di impiegato con funzioni direttive e quadro di livello più
elevato (tra i quali è stabilito generalmente che vengano inquadrati i
lavoratori che "siano preposti ad attività di coordinamento di servizi, uffici,
enti produttivi, fondamentali dell'azienda o che svolgono attività di alta
specializzazione ed importanza ai fini dello sviluppo e della realizzazione e
degli obiettivi aziendali") inducono a ritenere che la categoria dei dirigenti
debba essere identificata alla stregua di quanto stabilito dalla contrattazione
collettiva, non solo -come detto - per quanto stabilito dall'articolo 2095 Cc ma
anche per ben comprensibili ragioni logicosistematiche.
8.1. Ed invero,
non può negarsi che attraverso le scelte classificatorie delle organizzazioni
sindacali si pervenga all'utile risultato, in ragione della specificità delle
diverse imprese e della loro spesso variegata articolazione in settori
produttivi differenziati, di determinare l'attribuzione della qualifica
dirigenziale a quanti ad essi vengono preposti e, nello stesso tempo, si rende
possibile modulare, pur nella unitarietà della categoria, le tutele a seconda
del grado di autonomia, indipendenza e responsabilità in concreto ricollegabile
a ciascun tipo di preposizione.
9. Per concludere sul punto mentre la
diversità contenutistica tra posizioni dirigenziali non legittima alcuna
differenza di disciplina in ordine alla doverosa e generale assoggettabilità dei
fatti causativi del recesso alla procedura ex articolo 7 stat.lav., a livelli di
disciplina contrattuale nulla osta, di contro, a che si introduca - con il
consenso delle organizzazioni sindacali - in luogo dell'uniformità. di
disciplina una divaricazione nelle tutele a secondo del diverso grado di
rilevanza dei poteri a ciascun dirigente demandati.
10. La proliferazione nei
sensi esposti della categoria dirigenziale - in buona misura correlata, come è
giusto ribadire, all'attuale assetto delle imprese (caratterizzato sovente,
soprattutto per le imprese di grandi dimensioni e con diffusa ramificazione nel
territorio e nel mercato, da una molteplicità di centri decisionali dotati di
propria autonomia gestionale) nonché al processo tecnologico ed alle continue
innovazioni(richiedenti un personale particolarmente qualificato, talora
decisivo per le stesse sorti dell'impresa) - si configura come l'esito finale
dell'evoluzione della figura del dirigente indotta, come è stato perspicuamente
evidenziato, proprio dalla contrattazione collettiva e dalla prassi sindacale,
che hanno portato al riconoscimento della qualifica dirigenziale a lavoratori in
possesso di elevate conoscenze scientifiche e tecniche o, comunque, dotati di
tale professionalità da collocarsi nel mercato del lavoro in condizioni di
particolare forza pur non essendo investiti di quei poteri di direzione in
mancanza dei quali non appare appropriato il richiamo alla nozione di alter ego dell'imprenditore.
11. Il
necessitato accrescimento della categoria scrutinata non può però spingersi sino
al punto di includere in essa i c.d. pseudodirigenti, cioè quei lavoratori che
seppure hanno di fatto il nome ed il trattamento dei dirigenti, per non
rivestire nell'organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza
analogo a quelli dei c.d. dirigenti convenzionali (dirigenti apicali, medi o
minori), non sono classificabili come tali dalla contrattazione collettiva - e
tanto meno da un contratto individuale - non essendo praticabile uno scambio tra pattuizione di benefici
economici (e di più favorevole trattamento) e la tutela garantistica ad essi
assicurata, al momento del recesso datoriale, dalle leggi 604/66 e
300/70.
12. All'esito dell'iter argomentativo sviluppato può fissarsi,
dunque, il seguente principio di diritto:"Le garanzie procedimentali dettate
dall'articolo 7, commi 2 e 3, della legge 300/70 devono trovare applicazione
nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente - a prescindere dalla specifica
collocazione che lo stesso assume nell'impresa - sia se il datore di lavoro
addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente (o in senso lato
colpevole) sia se a base del detto recesso ponga. comunque, condotte
suscettibili di farne venir meno la fiducia. Dalla violazione di dette garanzie,
che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, ne
scaturisce l'applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione
collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione, non
potendosi per motivi, oltre che giuridici, logico sistematici assegnare
all'inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che
la stessa contrattazione fa scaturire dall'accertamento della sussistenza
dell'illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del
recesso".
12.1. E che queste debbano essere le ricadute di un recesso che,
per non essere rispettoso dell'iter procedurale di cui all'articolo 7 stat. lav.
, importi la non valutabilità dei fatti non ritualmente contestati, è stato, di
recente, ribadito da questa Corte di cassazione con la già citata sentenza
5213/03. Questa decisione, infatti, dopo avere al riguardo affermato
testualmente come il giudice delle leggi "con la sentenza 398/94 (interpretativa
di rigetto di una puntuale questione di costituzionalità) ha rilevato che le
conclusioni cui era pervenuta la giurisprudenza ordinaria, oltre che coerente
con le decisioni della Corte Costituzionale, doveva ritenersi adeguatrice ai
precetti costituzionali", ha poi rilevato come il pronunziato dei giudici
costituzionali facesse, "riferimento, evidentemente, al rilievo secondo cui
sarebbe illogico attribuire all'inosservanza delle garanzie procedimentali
conseguenze diverse e più gravi di quelle derivanti dall'accertamento della
sussistenza dell'illecito disciplinare"(cosi in motivazione sempre : Cassazione
5213/03 cit.).
13. Le argomentazioni svolte offrono le coordinate per la
soluzione della controversia sottoposta all'esame di queste Su.
13.1 E invero
l'applicabilità da un lato dell'articolo 7 stat. lav. ad ogni dirigente e
l'identità sul piano degli effetti di
un licenziamento non preceduto dalla procedura contestativa a quello
privo di giustificatezza" (cfr. per
la non equiparabilità del licenziamento privo di giustificato motivo ex articolo 3 della legge 604/66 al
licenziamento privo di "giustificatezza", per il quale può rilevare qualsiasi
motivo di licenziamento, purchè apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a
turbare il legame di fiducia con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra
l'ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente cfr. per tutte: Cassazione 17039/05 cui
adde Cassazione 13719/06; 10113/02;
14974/00) inducono ad accogliere - in un ottica decisoria volta ad
esaminare congiuntamente i due motivi del ricorso in ragione della loro
connessione ed interdipendenza sul piano logico-giuridico che ne' impone una
trattazione unitaria - il ricorso del Mari, essendo,da un lato, non controverso
tra le parti che il recesso datoriale non è stato preceduto dalla contestazione
degli addebiti allo stesso Mari,e non potendosi dubitare, dall'altro, che
quest'ultimo ricoprisse, per i compiti assegnatigli e per l'elevata funzione
svolta (di "dirigente responsabile dell'unità di staff dell'Amministratore Unico
dell'Acquedotto Pugliese") , una posizione che -come ha precisato l'impugnata
sentenza - lo poneva in stretto e diretto contatto con il titolare dei poteri
gestori del suddetto Ente, del quale era il primo collaboratore e del quale non
poteva non godere di totale fiducia.
13.2. In tale contesto fattuale - del
quale in questa sede di legittimità non è consentita alcuna rivisitazione -
meritano accoglimento le censure del ricorrente. Con dette censure, infatti, con
le quali - deducendosi un vizio di motivazione e contestualmente una violazione
di legge (in relazione alla portata ed alle ricadute scaturenti da una non
corretta applicazione dell'articolo 7 stat. lav.) - viene addebitata alla
sentenza impugnata di avere, dopo il riconoscimento dell'applicabilità
dell'articolo 7 stat.lav. al Mari, quale dirigente dell'Acquedotto, tenuto
ugualmente conto, con una contraddittorietà logico-giuridica, dei fatti posti a
base del recesso, al fine di negare al suddetto Mari il trattamento economico
previsto dalla contrattazione collettiva nel caso di ingiustificato recesso,
finendo in tal modo per considerare e valutare, come accertati e sanzionabili,
addebiti in relazione ai quali non si è avuto alcun contraddittorio (per la
statuizione che nell'ipotesi di licenziamento di dirigente senza il rispetto
delle garanzie procedurali di cui all'articolo 7 stat. lav. siano dovuti oltre
che l'indennità di mancato preavviso anche le indennità aggiuntive previste per
le ipotesi di licenziamento ingiustificato cfr :Cassazione 12902/97, che evidenzia
l'equiparabilità della mancanza di giusta causa alla mancata contestazione dei
fatti che avrebbero potuto integrarla atteso che, diversamente opinando, per
sottrarsi alla erogazione delle suddette indennità aggiuntive sarebbe
sufficiente intimare il licenziamento al dirigente senza contestargli alcun
addebito).
14. Per concludere il ricorso va accolto nel sensi e nei limiti
sopra precisati e la impugnata sentenza va cassata.
Ai sensi dell'articolo
384 Cpc essendo necessari nuovi accertamenti di fatto, per quanto attiene
all'esame delle pretese economiche avanzate in giudizio dal Mari, la causa va
rimessa in sede di gravame ad un diverso giudice, che si designa nella Corte
d'appello di Lecce, che nel prosieguo della presente controversia dovrà
attenersi agli enunciati principi.
15. Al giudice di rinvio va rimessa anche
la statuizione sulle spese del presente giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d'appello di Lecce anche per le spese del presente giudizio di
cassazione.