Corte di Cassazione
Sezione III civile
sentenza 31 maggio 2003 n. 8827
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il giorno 8 agosto 1993, A. B. veniva investito da un'auto di proprietà di L.M. e
riportava lesioni a causa delle quali decedeva il 23.10.1993.
Con atto notificato il 14.1.1994, la madre, T. S., la moglie, E.Z., la figlia, B.B., e i
fratelli, M., V., F. e T. B. convenivano davanti al Tribunale di Brescia il M. e la spa
S.A.I. Assicurazioni, per sentirli condannare in solido al risarcimento di tutti i danni,
patrimoniali e non patrimoniali, da essi subiti, sia iure proprio che iure hereditatis.
I convenuti resistevano.
A seguito della morte di B.B., la madre E.Z. si costituiva per proseguire il processo
quale unica erede.
Il tribunale, con sentenza dell'8.10.1998, dichiarava la colpa esclusiva del M. e
condannava in solido i convenuti a pagare alla Z. la somma di lire 163.210.000, di cui
lire 100.000.000 per danno morale, lire 50.000.000 quale erede della defunta figlia B. per
il danno morale da quest'ultima sofferto, lire 3.850.000 quale unica erede della vittima
per il danno biologico temporaneo sofferto dalla medesima e lire 9.360.000 per esborsi;
alla S. la somma di lire 30.000.000 a titolo di danno morale; ai B. la somma di lire
20.000.000 ciascuno a titolo di danno morale; rigettava la domanda della Z. per il
risarcimento iure hereditatis del danno morale sofferto dalla vittima, quella di
risarcimento del danno biologico patito iure proprio dalla Z. e dalla S. e quella di
risarcimento del danno patrimoniale subito dalla Z..
Proponevano appello gli attori, chiedendo: l'elevazione dell'importo del risarcimento del
danno morale sofferto dalla Z., da B.B. e dalla S.; il riconoscimento alla Z., iure
hereditatis, del danno morale sofferto dall'ucciso e l'elevazione del danno biologico
subito dal medesimo; il riconoscimento del danno biologico o esistenziale subito dalla
moglie, dalla figlia e dalla madre della vittima per la perdita del congiunto; il
riconoscimento alla vedova del danno patrimoniale.
La Corte d'appello di Brescia, con sentenza del 2.1.2001, accoglieva parzialmente
l'appello. La Corte così provvedeva:
- elevava a lire 8.000.000 la liquidazione del danno biologico subito dalla vittima,
richiesto iure successionis dalla Z.;
- riconosceva il danno morale sofferto dalla vittima tra il giorno dell'investimento e
quello della morte, e lo liquidava in lire 25.000.000, in favore della Z., unica erede a
seguito della morte della figlia B.;
- riconosceva la sussistenza, in capo ai congiunti della vittima, del danno biologico iure
proprio, sotto il profilo del danno esistenziale, consistente nella permanente alterazione
dell'equilibrio del nucleo familiare; riteneva in re ipsa la prova del pregiudizio, in
quanto lamentato da congiunti legati alla vittima da stretto rapporto parentale e da
vincolo di convivenza; liquidava, equitativamente, l'importo del relativo risarcimento in
favore della Z., in lire 30.000.000 in proprio ed in lire 10.000.000 quale erede della
figlia B., ed in lire 20.000.000 in favore della S.;
- riteneva corretta la liquidazione in favore dei congiunti del danno morale soggettivo
iure proprio;
- confermava il rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito dalla
Z., sul rilievo che il defunto marito era pensionato, che alla vedova competeva la
pensione di reversibilità e che nessuna prova era stata fornita circa l'esecuzione di
lavori in proprio, quale elettricista, da parte del marito.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Z., anche quale erede della
figlia B., sulla base di unico mezzo.
Ha resistito, con controricorso, la S.A.I., che ha altresì proposto ricorso incidentale,
affidato ad unico mezzo, nei confronti della Z., in proprio e quale erede della figlia, e
della S..
La S. non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza vanno riuniti (articolo 335
c.p.c.).
Ricorso n. 12983/01.
2. Con l'unico mezzo, la ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto (articoli
2056 e 1226 c.c.; articolo 2043 c.c.; articoli 315, 433 e 230bis c.c.; articoli 29, 30 e
32 Cost.) ed omessa motivazione, censura il mancato riconoscimento del risarcimento del
danno patrimoniale subito dalla Z. in conseguenza della morte del marito.
2.1. Il motivo è fondato.
Il totale diniego della sussistenza di un danno patrimoniale subito dalla vedova per la
morte del marito è stato motivato dalla corte d'appello sulla base di due argomentazioni:
a) la vedova ha perduto la quota di reddito che il marito le riservava, ma ha acquisito la
pensione di reversibilità; b) manca la prova che il marito, elettricista pensionato,
svolgesse in proprio dei piccoli lavori in tale qualità.
Il primo argomento è errato, in quanto applica il principio della compensatio lucri cum
damno. Ma tale ipotesi non si configura quando, a seguito della morte della persona
offesa, alla vedova sia stata concessa una pensione di reversibilità, poiché tale
erogazione si fonda su un titolo diverso rispetto all'atto illecito (sentenza 1140/97;
1347/98; 10291/01).
La motivazione risulta quindi errata in diritto. La sentenza va pertanto cassata con
rinvio ad altro giudice che dovrà nuovamente motivare sul punto concernente la
attribuzione alla vedova del danno patrimoniale, tenendo conto del suindicato principio.
Ricorso n. 16386/01.
3. Con l'unico mezzo, la ricorrente incidentale, denunciando violazione ed erronea
applicazione di norme di diritto nonché contraddittorietà della motivazione, censura la
sentenza della corte d'appello nella parte in cui ha accolto la domanda di risarcimento
del danno biologico, sotto il profilo esistenziale, in favore della moglie, della figlia e
della madre della vittima.
Sostiene: che la corte d'appello ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno
esistenziale inquadrandolo nell'ambito del danno biologico, quale lesione del diritto alla
salute tutelato dall'articolo 32 Cost. inteso in senso ampio; che il danno biologico può
trovare adeguato risarcimento solo ove sia data la prova della sussistenza di una
situazione patologica che possa far affermare la violazione del bene salute
costituzionalmente garantito, mentre nessuna prova al riguardo è stata fornita dagli
attori.
3.1. Il motivo è solo in parte fondato e va accolto per quanto di ragione.
3.1.1. La corte d'appello ha accolto la domanda degli attori, formulata come domanda di
risarcimento di danno biologico iure proprio, sotto il profilo del danno esistenziale, sul
rilievo che l'uccisione di un congiunto provoca un pregiudizio al bene salute, da
intendere non ristretto alla mera integrità fisica (e psichica), ma esteso anche al
benessere sociale, come ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza 184/86; che
tale pregiudizio non è coincidente con gli stress emozionali contingenti, ai quali si
addice la previsione dell'articolo 2059 c.c., in quanto consiste nella permanente
alterazione dell'equilibrio del nucleo familiare; che la prova della sussistenza di tale
pregiudizio deve ritenersi in re ipsa, quando è lamentato da stretti congiunti,
conviventi con la vittima.
3.1.2. L'ammissione a risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione di congiunto,
consistente nella perdita del rapporto parentale (con tale espressione sinteticamente lo
designa una ormai cospicua giurisprudenza di merito, che lo inserisce nell'ambito del
cosiddetto danno esistenziale ), compiuta dalla corte territoriale va condivisa nella sua
essenza, anche se necessita di alcune precisazioni.
3.1.3. Il risarcimento del danno non patrimoniale è prevista dall'articolo 2059 c.c.
("Danni non patrimoniali"), secondo cui: "Il danno non patrimoniale deve
essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge". All'epoca dell'emanazione
del codice civile (1942) l'unica previsione espressa del risarcimento del danno non
patrimoniale era racchiusa nell'articolo 185 del c.p. del 1930.
Ritiene il Collegio che la tradizionale restrittiva lettura dell'articolo 2059, in
relazione all'articolo 185 c.p., come diretto ad assicurare tutela soltanto al danno
morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell'animo transeunte
determinati da fatto illecito integrante reato (interpretazione fondata sui lavori
preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza), non può
essere ulteriormente condivisa.
Nel vigente assetto dell'ordinamento, nel quale assume posizione preminente la
Costituzione - che, all'articolo 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo
-, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni
ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona.
3.1.4. Tale conclusione trova sostegno nella progressiva evoluzione verificatasi nella
disciplina di tale settore, contrassegnata dal nuovo atteggiamento assunto, sia dal
legislatore che dalla giurisprudenza, in relazione alla tutela riconosciuta al danno non
patrimoniale, nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di
interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica (in tal senso, v.
già Corte costituzionale, sentenza 88/1979).
3.1.4.1. Nella legislazione successiva al codice si rinviene un cospicuo ampliamento dei
casi di espresso riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale anche al di
fuori dell'ipotesi di reato, in relazione alla compromissione di valori personali
(articolo 2 della legge 117/88: risarcimento anche dei danni non patrimoniali derivanti
dalla privazione della libertà personale cagionati dall'esercizio di funzioni
giudiziarie; articolo 29, comma 9, della legge 675/96: impiego di modalità illecite nella
raccolta di dati personali; articolo 44, comma 7, del decreto legislativo 286/98: adozione
di atti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi; articolo 2 della legge
89/2001: mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).
3.1.4.2. Appare inoltre significativa l'evoluzione della giurisprudenza di questa Suprema
Corte, sollecitata dalla sempre più avvertita esigenza di garantire l'integrale
riparazione del danno ingiustamente subito, non solo nel patrimonio inteso in senso
strettamente economico, ma anche nei valori propri della persona (articolo 2 Cost.). In
proposito va anzitutto richiamata la rilevante innovazione costituita dall'ammissione a
risarcimento (a partire dalla sentenza 3675/81) di quella peculiare figura di danno non
patrimoniale (diverso dal danno morale soggettivo) che è il danno biologico, formula con
la quale si designa l'ipotesi della lesione dell'interesse costituzionalmente garantito
(articolo 32 Cost.) alla integrità psichica e fisica della persona.
Non ignora il Collegio che la tutela risarcitoria del cosiddetto danno biologico viene
somministrata in virtù del collegamento tra l'articolo 2043 c.c. e l'articolo 32 Cost., e
non già in ragione della collocazione del danno biologico nell'ambito dell'articolo 2059,
quale danno non patrimoniale, e che tale costruzione trova le sue radici (v. Corte
Costituzione, sentenza 184/86) nella esigenza di sottrarre il risarcimento del danno
biologico (danno non patrimoniale) dal limite posto dall'articolo 2059 (norma nel cui
ambito ben avrebbe potuto trovare collocazione, e nella quale, peraltro, una successiva
sentenza della Corte costituzionale, la 372/94, ha ricondotto il danno biologico fisico o
psichico sofferto dal congiunto della vittima priM.). Ma anche tale orientamento, non
appena ne sarà fornita l'occasione, merita di essere rimeditato.
Nel senso del riconoscimento della non coincidenza tra il danno non patrimoniale previsto
dall'articolo 2059 e il danno morale soggettivo va altresì ricordato che questa Suprema
Corte ha ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale, evidentemente inteso in senso
diverso dal danno morale soggettivo, anche in favore delle persone giuridiche; soggetti
per i quali non è ontologicamente configurabile un coinvolgimento psicologico in termini
di patemi d'animo (v., da ultimo, sentenza 2367/00).
3.1.4.3. Si deve quindi ritenere ormai acquisito all'ordinamento positivo il
riconoscimento della lata estensione della nozione di "danno non patrimoniale",
inteso come danno da lesione di valori inerenti alla persona, e non più solo come
"danno morale soggettivo".
Non sembra tuttavia proficuo ritagliare all'interno di tale generale categoria specifiche
figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell'ammissione a
risarcimento, in riferimento all'articolo 2059, è l'ingiusta lesione di un interesse
inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione
economica.
3.1.5. Venendo ora alla questione cruciale del limite al quale l'articolo 2059 del codice
del 1942 assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale, mediante la riserva di
legge, originariamente esplicata dal solo articolo 185 c.p. (ma v. anche l'articolo 89
c.p.c.), ritiene il Collegio che, venendo in considerazione valori personali di rilievo
costituzionale, deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne
consegua sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata all'articolo
185 c.p.
Una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il
detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona costituzionalmente
garantiti. Occorre considerare, infatti, che nel caso in cui la lesione abbia inciso su un
interesse costituzionalmente protetto la riparazione mediante indennizzo (ove non sia
praticabile quella in forma specifica) costituisce la forma minima di tutela, ed una
tutela minima non è assoggettabile a specifici limiti, poiché ciò si risolve in rifiuto
di tutela nei casi esclusi (v. Corte costituzionale, sentenza 184/86, che si avvale
tuttavia dell'argomento per ampliare l'ambito della tutela ex articolo 2043 al danno non
patrimoniale da lesione della integrità biopsichica; ma l'argomento si presta ad essere
utilizzato anche per dare una interpretazione conforme a Costituzione dell'articolo 2959).
D'altra parte, il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non
patrimoniale ben può essere riferito, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, anche
alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione
dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente,
ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla
legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale.
3.1.6. Venendo ora ad esaminare la questione della ammissione a risarcimento del danno non
patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella definitiva perdita del rapporto
parentale (con tale espressione sinteticamente lo designa una ormai cospicua
giurisprudenza di merito, che lo inserisce nell'ambito del c.d. danno esistenziale),
osserva il Collegio che il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno
subito in conseguenza della uccisione di un congiunto lamenta l'incisione di un interesse
giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare, la cui tutela ex articolo 32
Cost., ove risulti intaccata l'integrità biopsichica, si esprime mediante il risarcimento
del danno biologico, sia dall'interesse all'integrità morale, la cui tutela, agevolmente
ricollegabile all'articolo 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza
contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo. L'interesse
fatto valere nel caso di danno da uccisione di congiunto è quello alla intangibilità
della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, alla
inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della
persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla
famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli articoli 2, 29 e 30 Cost.
Si tratta di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica,
la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell'articolo 2043, nel cui
ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad un risarcimento (o meglio: ad una
riparazione), ai sensi dell'articolo 2059, senza il limite ivi previsto in correlazione
all'articolo 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in tema di
danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato.
3.1.7. Il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto, consistente nella perdita del
rapporto parentale, si colloca quindi nell'area dell'articolo 2059 in raccordo con le
suindicate norme della Costituzione.
Il suo risarcimento postula tuttavia la verifica della sussistenza degli elementi nel
quali si articola l'illecito civile extracontrattuale definito dall'articolo 2043.
L'articolo 2059 non delinea una distinta figura di illecito produttiva di danno non
patrimoniale, ma, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi
della struttura dell'illecito civile, consente, nei casi determinati dalla legge, anche la
riparazione di danni non patrimoniali (eventualmente in aggiunta a quelli patrimoniali nel
caso di congiunta lesione di interessi di natura economica e non economica).
3.1.8. Per quanto concerne il nesso di causalità, va rilevato che, nel caso in cui la
perdita del rapporto parentale sia determinata dall'uccisione di un congiunto, il medesimo
fatto (uccisione di una persona) lede in pari tempo situazioni giuridiche di soggetti
diversi legati da un vincolo parentale.
L'evento naturale "morte" non causa soltanto l'estinzione della vita della
vittima priM., che subisce il massimo sacrificio del relativo diritto personalissimo, ma
causa altresì, nel contempo, l'estinzione del rapporto parentale con i congiunti della
vittima, che a loro volta subiscono la lesione dell'interesse alla intangibilità della
sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita
familiare.
Si ripropone, in questo caso, il fenomeno della propagazione intersoggettiva delle
conseguenze di un medesimo fatto illecito. Figura nota, della quale la giurisprudenza, in
tema di danni non patrimoniali, ha fatto governo in varie ipotesi, ammettendo a
risarcimento: il danno morale soggettivo da morte di congiunto (sentenze 2915/71; 1016/73;
6854/88; 11396/97); il danno morale soggettivo cagionato da lesione non mortale sofferta
da un congiunto, come statuito, innovando il precedente orientamento restrittivo (di cui
sono espressione le sentenze suindicate), dalla più recente giurisprudenza di questa
Suprema Corte (sentenze 4186/98; 4852/99; 13358/99; 1516/01; Sezioni unite, 9556/02); il
danno consistente nella impossibilità di intrattenere rapporti sessuali a causa delle
lesioni subite dal coniuge (sentenza 6607/86); il danno subito dalla moglie e dai figli di
un infortunato, rimasto in coma profondo, per la lesione dei diritti riflessi di cui siano
portatori, ai sensi degli articoli 143 e 147 c.c. (sentenza 8305/96). Ma ricadono nel
paradigma, sia pur in materia di danni patrimoniali, anche l'ipotesi della lesione del
diritto di credito ad opera di un terzo (secondo quanto affermato nel caso Meroni dalle
Sezioni unite con la nota sentenza 174/71) e del danno patrimoniale subito dai congiunti
della vittima (ai quali viene equiparato il convivente more uxorio: sentenza 2988/94) per
la perdita delle contribuzioni che da quella ricevevano ed avrebbero presumibilmente
ancora ricevuto in futuro, sempre pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza civile
(sentenze 3929/69; 2063/75; 4137/81; 11453/95; 1085/98; ma v. anche Corte costituzionale,
sentenza 372/94).
In questi casi si suole parlare di "danno riflesso o di rimbalzo". Ma la
definizione non coglie nel segno: dovendosi aver riguardo alla lesione della posizione
giuridica protetta, nel caso di evento plurioffensivo la lesione è infatti contestuale ed
immediata per tutti i soggetti che sono titolari dei vari interessi incisi (sentenza
1561/01; Sezioni unite, 9556/02).
Ciò posto, il problema della causalità va affrontato e risolto negli stessi termini in
cui questa Suprema Corte lo ha affrontato e risolto in relazione alle menzionate ipotesi
di propagazione intersoggettiva delle conseguenze di uno stesso fatto illecito.
Al fine di individuare il responsabile dell'evento lesivo (incidente sulle posizioni
giuridicamente protette facenti capo alla vittima priM. ed a quelle che si suole definire
come vittime secondarie) dovrà essere accertato il nesso di causalità materiale
intercorrente tra la condotta dell'uccisore e la morte della vittima priM. alla stregua
delle regole dettate dagli articoli 41 e 42 c.p., secondo i criteri della c.d. causalità
di fatto o naturale, impostati sul principio della condizione sine qua non o della
equivalenza, con il correttivo del criterio della "causalità efficiente" (v.,
per tutte, sentenze 8348/96 e 5923/95, che esprimono un orientamento consolidato).
Una volta risolto il problema dell'imputazione dell'evento (problema che è proprio della
responsabilità extracontrattuale, poiché in quella contrattuale il soggetto responsabile
è di norma il contraente inadempiente: sentenza 11629/99), dovrà invece procedersi alla
ricerca del collegamento giuridico tra il fatto (uccisione) e le sue conseguenze dannose,
selezionando quelle risarcibili, rispetto a quelle non risarcibili, in base ai criteri
della causalità giuridica, alla stregua di quanto prevede l'articolo 1223 c.c.
(richiamato dall'articolo 2056, comma 1, c.c.), che limita il risarcimento ai soli danni
che siano conseguenza immediata e diretta dell'illecito, ma che viene inteso, secondo
costante giurisprudenza (sentenze 89/1962; 373/71; 6676/92; 1907/93; 2356/00; 5913/00),
nel senso che la risarcibilità deve essere estesa ai danni mediati ed indiretti, purché
costituiscano effetti normali del fatto illecito, secondo il criterio della cosiddetta
regolarità causale (sul punto v., da ultimo, Sezioni unite, sentenza 9556/02, in tema di
danno morale soggettivo sofferto dai congiunti della vittima di lesioni non mortali, che
conferma le argomentazioni della sentenza 4186/99).
3.1.9. Circa l'elemento soggettivo, non sembra esatto ritenere che, essendo necessaria la
prevedibilità dell'evento al fine di ritenere sussistente la colpa, il soggetto che ha
posto in essere la condotta che ha causato la morte della vittima priM. non dovrebbe
rispondere del danno subito dai congiunti per difetto di prevedibilità degli eventi
ulteriori, tra i quali rientra la privazione, in danno dei superstiti, del rapporto
coniugale e parentale, e, quindi, per mancanza di colpa.
E' agevole opporre che la prevedibilità dell'evento dannoso deve essere valutata in
astratto e non in concreto; che l'evento dannoso è costituito, in tesi, dalla lesione
dell'interesse all'intangibilità delle relazioni familiari; che tale lesione deve
ritenersi prevedibile, rientrando nella normalità che la vittima sia inserita in un
nucleo familiare, come coniuge, genitore, figlio o fratello.
3.1.10. Per quanto concerne, infine, la prova del danno, osserva il Collegio che il danno
non patrimoniale da uccisione di congiunto non coincide con la lesione dell'interesse
protetto, esso consiste in una perdita, nella privazione di un valore non economico, ma
personale, costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla
definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie
modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita,
privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse
protetto.
Volendo far riferimento alla nota distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza
(introdotta da Corte costituzionale 184/86, che ha collocato nella prima figura il danno
biologico, ma abbandonata dalla successiva Corte costituzionale 372/94), si tratta di
danno-conseguenza.
Non vale pertanto l'assunto secondo cui il danno sarebbe in re ipsa, nel senso che sarebbe
coincidente con la lesione dell'interesse. Deve affermarsi invece che dalla lesione
dell'interesse scaturiscono, o meglio possono scaturire, le suindicate conseguenze, che,
in relazione alle varie fattispecie, potranno avere diversa ampiezza e consistenza, in
termini di intensità e protrazione nel tempo.
Il danno in questione deve quindi essere allegato e provato. Trattandosi tuttavia di
pregiudizio che si proietta nel futuro (diversamente dal danno morale soggettivo
contingente), dovendosi aver riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe
presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l'illecito ha invece reso
impossibile, sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla
base degli elementi obbiettivi che sarà onere del danneggiato fornire.
La sua liquidazione, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in
quanto tali privi di contenuto economico, non potrà che avvenire in base a valutazione
equitativa (articoli 1226 e 2056 c.c.), tenuto conto dell'intensità del vincolo
familiare, della situazione di convivenza, e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la
consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della
vittima e dei singoli superstiti.
Ed è appena il caso di notare che il danno non patrimoniale da perdita del rapporto
parentale, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può
essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest'ultimo, senza che possa
ravvisarsi una duplicazione di risarcimento.
Ma va altresì precisato che, costituendo nel contempo funzione e limite del risarcimento
del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio
effettivamente subito, il giudice di merito, nel caso di attribuzione congiunta del danno
morale soggettivo e del danno da perdita del rapporto parentale, dovrà considerare, nel
liquidare il primo, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che
gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazione
del risarcimento. In altri termini, dovrà il giudice assicurare che sia raggiunto un
giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo
risarcimento.
4. In conclusione, deve affermarsi che è incorsa in errore la corte territoriale
affermando che la prova del danno era in re ipsa.
L'impugnata sentenza va quindi cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado, che
dovrà attenersi ai suenunciati principi (sub n. 2.1. e n. 3.1.10.).
Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d'appello di Brescia,
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie; cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d'appello di Brescia.