Corte Cassazione Sezione II° Civile
27/01/2004 n. 1434
La Corte Suprema di Cassazione - Sezione II
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. Rafaele CORONA - Presidente
Dott. Giandonato NAPOLETANO
- Consigliere
Dott. Salvatore BOGNANNI - Consigliere
Dott. Olindo
SCHETTINO - Consigliere
Dott. Francesca TROMBETTA - rel. Consigliere
ha
pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso proposto da:
C.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI
AMMIRAGLI 114, presso lo studio dell'avvocato GIULIA CASAMASSIMA, difeso
dall'avvocato DONATO ARMENIO, giusta delega in atti;
- ricorrente
-
contro
E.E.S., in persona del SUO legale rappresentante pro
tempore;
- intimato -
e sul 2° ricorso n°. 25223/00 proposto
da:
E.E.S., in persona del Presidente del Consiglio di Amm.ne e legale
rappresentante pro tempore Sig.ra A.M., elettivamente domiciliata in ROMA VLE
ANGELICO 32, presso lo studio dell'avvocato ANTONIO LIUZZI, difesa dall'avvocato
CARLO CATAPANO, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente
incidentale -
contro
C.L. - intimato -
avverso la sent. n. 657/00
della Corte d'Appello di BARI, depositata il 3 luglio 2000;
udita la
relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10 giugno 2003 dal
Consigliere Dott. Francesca TROMBETTA;
udito l'Avvocato Donato ARMENTO,
difensore del ricorrente che ha chiesto accoglimento del ricorso principale,
rigetto del controricorso e ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele che ha concluso per
rigetto ricorso principale e di quello incidentale.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 24 novembre 1984 L.C. conveniva davanti
al Tribunale di Bari la E.S. deducendo che l'autocarro M.B. tipo 9. da esso
istante acquistato dalla società convenuta, presentava inconvenienti di natura
meccanica nell'esecuzione delle manovre, aveva una portata utile inferiore a
quella pattuita e riportata sulla carta di circolazione, nonché un serbatoio
carburante non collaudato. Chiedeva, pertanto, in via principale la risoluzione
del contratto; ed in via subordinata la riduzione del prezzo, con condanna della
società venditrice alla restituzione del supero ricevuto, con rivalutazione ed
interessi nonché, in ogni caso, il risarcimento del danno da accertarsi in corso
di causa. Costituitasi, la società convenuta chiedeva il rigetto della
domanda.
Espletata C.T.U., il Tribunale, con sentenza 7 luglio 1997, preso
atto della rinuncia dell'attore alla domanda di risoluzione, accoglieva per
quanto di ragione la quanti minoris espletata in via subordinata e condannava la
società convenuta al pagamento di L. 18.612.753 oltre interessi legali dal 27
dicembre 1986 al saldo.
Su impugnazione della E.S., la corte di appello di
Bari, con sentenza 3 luglio 2000, accoglieva l'appello e dichiarava
inammissibile la domanda quanti minoris esercitata dal C.
Afferma la Corte
che la scelta ex art. 1492 c.c., fra l'azione redibitoria e quella estimatoria,
quando è fatta con la domanda giudiziale è irrevocabile ed, avendo natura
sostanziale, rende inammissibile l'azione non privilegiata in quanto non più
esistente. Ne consegue, secondo la Corte, che, non è possibile avvalersi di
entrambe le azioni proponendole in via alternativa e subordinando l'una
all'insuccesso dell'altra; e che, data la natura sostanziale della scelta, è del
tutto irrilevante che il venditore abbia accettato il contraddittorio
sull'azione estimatoria, essendogli consentito, nella specie, di sollevare in
appello, in forza dell'art. 345 c.p.c. NON novellato, l'eccezione di
inammissibilità della quanti minoris.
Avverso tale sentenza ricorre in
Cassazione il C. che ha depositato memoria.
Resiste con controricorso la
E.S., che propone ricorso incidentale in ordine alla pronuncia sulle spese
giudiziali.
Motivi della decisione
Deduce il ricorrente principale a motivi di impugnazione:
1)- la
violazione e falsa applicazione dell'art. 1492 c.c., dell'art. 1227 c.c., comma
2° nonché del principio generale della buona fede nelle obbligazioni e nei
contratti desumibili, tra gli altri, dagli artt. 1337, 1366 e 1375 c.c., omessa,
insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia per avere la
Corte d'appello erroneamente ritenuto inammissibile, perché proposta in via
subordinata rispetto all'azione di risoluzione, la azione di riduzione del
prezzo, NONOSTANTE:
A)- l'irrevocabilità della scelta, sancita nell'interesse
del venditore operi solo in caso di revoca effettuata unilateralmente dal
compratore e non quando alla revoca abbia aderito il venditore (come nel caso di
specie in cui all'udienza di p.c., avendo il C. limitato la pretesa alla domanda
subordinata di riduzione del prezzo, la E.E.S.. non ne eccepì l'inammissibilità
ma ne contestò la fondatezza nel merito;
B) l'irrevocabilità della scelta e
la conseguente inammissibilità della domanda subordinata, operi solo nel caso in
cui sussistano le condizioni per l'accoglimento nel merito di entrambe, mentre
nella specie, 1) il possesso e l'uso dell'automezzo dalla data della consegna
(il 1986) erano incompatibili con la volontà di sciogliere il contratto; 2)
l'usura del mezzo per oltre dieci anni precludeva l'azione di risoluzione ai
sensi dell'art. 1492 c.c., comma 3;
3)- l'onere a carico del creditore di
evitare l'aggravarsi dei danni, e la conseguente necessità di continuare ad
utilizzare il mezzo onde evitarne il deprezzamento, rendevano iniquo insistere
nella azione di risoluzione;
C) sia stata omessa ogni indagine sull'adesione
della società resistente alla revoca della domanda di risoluzione all'esistenza
delle condizioni della stessa azione, agli adempimenti degli obblighi ed oneri
di buona fede;
2)- la violazione e falsa applicazione degli artt. 1492 e 1494
c.c. nonché l'omessa, insufficiente motivazione su punti decisivi per avere la
Corte d'appello erroneamente, nel dichiarare inammissibile l'azione di riduzione
del prezzo: A) ritenuto assorbito e superfluo ogni altra questione e quindi
anche l'azione di risarcimento danni, non soggetta viceversa ai limiti di
alternatività ed irrevocabilità di cui all'art. 1492 c.c., commi 1° e 2°; B) non
esaminato, quindi, l'azione di danni del tutto ammissibile, né operato la
distinzione tra le varie voci di danno contenute nella condanna al pagamento di
L. 18.612753 comminata dal Tribunale;
3)- la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1492 e 1497 c.c. per avere la Corte d'appello, NON ravvisando nella
portata utile inferiore a quella pattuita, un difetto di qualità (e non un
vizio) dell'automezzo venduto, erroneamente: A) non applicato l'art. 1497 c.c.
che non riproduce limiti di alternatività ed irrevocabilità di cui all'art. 1492
c.c. B) NON considerato che la domanda di riduzione del prezzo, per difetto di
qualità promesse, si risolve nell'azione di risarcimento danno sempre
proponibile in via subordinata;
4)- la nullità della sentenza e del
procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4 e art. 184 c.p.c. nel testo anteriore alla
legge n. 353 del 1990, per avere la Corte d'appello erroneamente accolto
l'eccezione di inammissibilità della domanda di riduzione del prezzo, sollevata
per la prima volta in appello nonostante si trattasse di eccezione NON
rilevabile d'ufficio;
5) la violazione dell'art. 1362 c.c. per avere la Corte
d'appello, nell'interpretare la domanda, omesso di indagare sulla reale funzione
della stessa e quindi se con la detta domanda il C. avesse, comunque, inteso
perseguire una finalità risarcitoria.
Deduce il ricorrente incidentale a
motivo di impugnazione la violazione dell'art. 91 c.p.c., 1° comma, nonché la
contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5.
Per avere la
Corte d'appello erroneamente:
h)- compensato le spese giudiziali nonostante
la E.E.S.. sia risultata totalmente vittoriosa;
B) contraddittoriamente
ritenuto giustificata la compensazione delle spese pur dichiarando legittima la
sollevazione in appello dell'eccezione di inammissibilità dell'azione quanti
minoris;
C)- omesso di chiarire la sorte delle spese della CTU d'ufficio
anticipate dalla E.E.S..
Va preliminarmente disposta, ex art. 333 c.p.c. la
riunione dei ricorsi principale ed incidentale trattandosi di impugnazioni
proposte avverso la stessa sentenza.
Il ricorso principale è infondato.
Va
esaminato per primo il quarto motivo di ricorso deducendosi con esso un vizio
attinente alla, nullità del procedimento e della sentenza che, ove accolto
renderebbe superfluo l'esame degli altri motivi.
La censura va disattesa in
quanto contrariamente alle affermazioni del ricorrente, l'eccezione di
inammissibilità della domanda di riduzione del prezzo è rilevabile d'ufficio,
costituendo una eccezione in senso lato, perché prospettante un fatto
(l'avvenuta scelta dell'azione di insoluzione con la domanda giudiziale) al
quale la stessa legge attribuisce immediatamente e direttamente una autonoma
efficacia impeditiva dell'azione di riduzione del prezzo senza, quindi che, per
la realizzazione di un tale effetto, necessiti una manifestazione di volontà
dell'interessato.
Passando all'esame del primo motivo di ricorso corretta è
la decisione della Corte d'appello che, in conformità con il dettato dell'art.
1492 c.c., 2° comma ha ritenuto irrevocabile la scelta fatta dal C. con la
proposizione della domanda principale di risoluzione del contratto, alla quale
ha rinunciato in sede di precisazione delle conclusioni.
Come, infatti, hanno
stabilito le S.U. 2565/88 di questa Corte, la cui decisione questo collegio
condivide, l'irrevocabilità della scelta della azione effettuata con la domanda
giudiziale, trova il suo fondamento nel fatto che il riferimento ai vizi di cui
all'art. 1490 c.c., contenuto nell'art. 1492 c.c., non distingue fra vizi più
gravi legittimanti la risoluzione del contratto, e vizi meno gravi legittimanti
la riduzione del prezzo, cosicché in presenza di identiche condizioni di
accoglibilità delle due azioni, le decisioni relative ad entrambe non possono
che essere interdipendenti. In altri termini, la scelta, della domanda di
risoluzione in via principale preclude l'esperibilità della domanda di riduzione
del prezzo in via subordinata, perché disattesa l'azione di risoluzione per
inesistenza dei vizi di cui all'art. 1490 c.c. non è accoglibile la domanda di
riduzione del prezzo proposta in via subordinata per l'inesistenza degli stessi
vizi.
Queste essendo le ragioni poste dalla citata sentenza delle S.U. a
sostegno dell'irrevocabilità della scelta, le stesse ragioni debbono ritenersi
valide anche nella presente fattispecie in cui la rinuncia del C. all'azione di
risoluzione (anziché il rigetto della stessa) lascia presumere l'inidoneità dei
vizi denunciati all'accoglimento dell'azione prescelta e, conseguentemente
l'inidoneità degli stessi vizi a far valere la riduzione del
prezzo.
Trattandosi di irrevocabilità della scelta stabilita per legge, del
tutto irrilevante deve ritenersi l'accettazione del contraddittorio da parte
dell'appellata sulla domanda di riduzione del prezzo, come ininfluenti a
superare la presunzione di cui sopra sono le considerazioni del ricorrente circa
l'opportunità della rinuncia all'azione di risoluzione.
Il motivo, va,
quindi, respinto.
Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, non
avendo la Corte d'appello alcun obbligo di pronunciarsi sulla domanda di
risarcimento danni, né di distinguere tra le voci di danno contenute nella somma
liquidata a favore del ricorrente, in quanto la decisione del Tribunale che ha
respinto la domanda di danni ex art. 1494 c.c. proposta dal ricorrente non è
stata oggetto di impugnazione in sede di appello.
Quanto al terzo motivo di
ricorso la censura è infondata perché anche a voler ritenere proposta da parte
del C. la diversa azione ex art. 1497 c.c. (oltre alla redibitoria ed alla
quanti minoris), la rinuncia ad ottenere la risoluzione del contratto, rimedio
previsto a favore dello acquirente dall'art. 1497 c.c. rende incensurabile la
decisione della Corte d'appello, che ha ritenuto assorbita ogni altra questione
e superfluo l'esame.
Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in quanto
prospetta un vizio nell'interpretazione della domanda mai sollevato nei giudizi
di merito.
Anche il ricorso incidentale è infondato.
La totale
compensazione delle spese di entrambi i giudizi di merito decisa dalla Corte
d'appello nell'esercizio del potere discrezionale a lei riservato non viola
l'art. 91 c.p.c. in quanto in presenza di soccombenza reciproca o di sussistenza
di giusti motivi l'art. 92 c.p.c. consente che le spese del giudizio restino in
tutto o in parte (nel caso di compensazione parziale) a carico della parte che
le ha anticipate, anche se tale parte, considerato l'esito finale e globale
della causa è risultata vincitrice.
Nella specie la Corte d'appello motivando
la decisione con la sussistenza di evidenti ragioni di equità fondate
prevalentemente sulla considerazione che l'eccezione di inammissibilità
dell'azione quanti minoris, poteva essere sollevata nel primo grado di giudizio
dalla società venditrice, ed anzi avrebbe dovuto essere sollevata d'ufficio, ha
voluto trarre dalla valutazione di quel comportamento le ragioni che rendono
opportuna la deroga al principio della soccombenza; valutazione niente affatto
contraddittoria con riferimento alla affermata legittimità per la parte della
sollevazione dell'eccezione in grado di appello, in quanto una cosa è avvalersi
di una facoltà concessa dalla legge al fine di ottenere il rigetto della
domanda; altra cosa è tenere un comportamento che se pure legittimo ai fini
dell'esercizio di quella facoltà, è altresì valutabile siccome concausa
determinante dell'instaurazione di un altro grado di giudizio, quello
d'appello.
La compensazione totale delle spese dei due gradi del giudizio di
merito, decisa dalla Corte di appello, comporta, senza necessità di alcun
chiarimento, che restino a carico di chi le ha anticipate, le spese della
C.T.U.
Il ricorso incidentale va, pertanto, respinto.
Sussistono giusti
motivi per dichiarare compensate le spese del presente giudizio.
P. Q. M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi;
dichiara interamente
compensate fra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma,
il 10 giugno 2003.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio
2004