L'assegnazione della casa coniugale nella separazione (dopo la L. 8-2-06 n. 54)
Il diritto dell'assegnatario di un'abitazione già
adibita a casa coniugale, si configura come un atipico diritto personale di
godimento, trascrivibile e opponibile a terzi ai sensi dell'articolo 2643 del
codice civile.
Con riferimento all'assegnazione della casa coniugale in caso
di separazione o divorzio il nuovo testo dell'articolo 155-quater. del codice
civile dispone che il godimento della casa familiare sia attribuito tenendo
prioritariamente conto dell'interesse dei figli.
La norma contempla
esclusivamente il criterio d'elezione che deve ispirare l'organo giudicante al
momento dell'emissione del provvedimento di assegnazione ma non indica quali
sono i criteri secondari sulla base dei quali deve essere orientata la scelta in
caso di assenza di prole. Tale omissione, forse scientemente voluta dal
legislatore, lascia ovviamente alle Corti di merito un vasto margine di
discrezionalità relativamente all'assegnazione della casa coniugale.
E'
lapalissiano che il Giudice nel valutare a quale dei coniugi assegnare la casa
coniugale, debba necessariamente valutare l'esistenza di diritti e titoli
sull'immobile in capo ai coniugi. Qualora uno dei coniugi risulti essere
proprietario esclusivo dell'immobile e non vi sono figli conviventi, la scelta
del giudice sarà presumibilmente orientata verso l'assegnazione della casa al
coniuge proprietario o che vanta sull'immobile un diritto reale di godimento
esclusivo. L'eccezione potrà essere rappresentata, a giudizio dello scrivente,
da situazioni eccezionali, quali gravi patologie a carico del coniuge non
proprietario, il quale necessiti di assidue cure domiciliari e che non sia in
condizioni di poter lasciare l'immobile senza gravi pregiudizi per il proprio
stato di salute (coesisterebbero in tal caso due diritti costituzionalmente
garantiti quali il diritto alla salute ed il diritto di proprietà e restando
quest'ultimo intatto in capo al detentore di tale diritto, ben potrebbe
ipotizzarsi una limitazione temporanea nell'esercizio del diritto di proprietà
per favorire l'esercizio di un altro diritto costituzionalmente garantito quale
il diritto alla salute).
In assenza di ipotesi eccezionali l'assegnazione
della casa risulterà essere a favore del coniuge proprietario o che vanta
diritto reale o personale di godimento e addirittura qualora il Giudice nel
provvedimento di divorzio non faccia cenno alcuno all'assegnazione
dell'abitazione, l'utilizzo esclusivo della stessa risulterà essere
automaticamente a favore del soggetto proprietario esclusivo.
A tal
proposito la Corte di Appello di Roma con sentenza del 26 Gennaio 2005 ha
sancito che in assenza di prole minore o maggiorenne non ancora economicamente
autonoma da tutelare a mezzo della corresponsione del domicilio familiare, il
giudice non è tenuto a disporre in ordine all'assegnazione dell'immobile che
rientra naturalmente nella disponibilità del proprietario. Pertanto deve essere
dichiarata la cessazione della materia del contendere sul capo relativo
all'assegnazione della casa coniugale (vedi anche Cass. Civ. 4753 del 28 marzo
2003 e Cass. Civ. 2214 del 14 febbraio 2003).
L'assegnazione della casa
coniugale non rappresenta infatti una componente delle obbligazioni patrimoniali
conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare in
mantenimento del coniuge più debole ma in via prioritaria un provvedimento
diretto alla tutela dei figli minorenni o maggiorenni conviventi e non
autosufficienti affinché questi possano continuare a vivere nell'ambiente
domestico e nell'habitat in cui sono cresciuti e cioè il centro degli affetti,
degli interessi e delle consuetudini in cui si è fino a quel momento espressa e
articolata la vita familiare.
Anche la Suprema Corte con sentenza n. 12309
del 06.07.2004 ha statuito che" In materia di separazione e di divorzio,
l'assegnazione della casa familiare, malgrado abbia anche riflessi economici,
particolarmente valorizzati dall'art. 6, sesto comma, della legge n. 898 del
1970 (come sostituito dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987), risulta
finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a
permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, non potendo essere
disposta, a mo' di componente degli assegni rispettivamente previsti dall'art.
156 c.c. e dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, allo scopo di sopperire alle
esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali sono
destinati unicamente gli assegni sopra indicati, onde la concessione del
beneficio in parola resta subordinata all'imprescindibile presupposto
dell'affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ed
economicamente non autosufficienti, laddove, nell'ipotesi in cui l'alloggio "de
quo" appartenga in proprietà ad uno solo dei coniugi e manchino figli in
possesso dei requisiti anzidetti, il titolo di proprietà vantato da quest'ultimo
preclude ogni eventuale assegnazione dell'immobile all'altro, rendendo poi
ridondante e superflua ogni e qualsivoglia pronuncia di assegnazione in favore
del coniuge proprietario".Id est risulta chiaro come il legislatore prima e la
giurisprudenza dopo abbiano inteso attribuire al provvedimento di assegnazione
una natura prevalentemente conservativa dell'ambiente domestico a favore dei
figli e non già un'impropria finalità di forma di contribuzione economica, in
quanto quest'ultima deve realizzarsi esclusivamente mediante la corresponsione
di un assegno periodico o una tantum. E' comunque chiaro come la concessione del
beneficio dell'uso della casa coniugale comporti indubbi vantaggi economici,
specie in considerazione del risparmio monetario a favore del coniuge
assegnatario. L'assegnazione si ripercuote pertanto necessariamente
sull'equilibrio patrimoniale tra i coniugi determinando un arricchimento del
coniuge assegnatario, rappresentato dal risparmio relativo all'acquisto o
all'affitto di un'altra casa, ed un impoverimento del coniuge non assegnatario,
rappresentato dal costo per l'acquisto o per la locazione di una nuova
abitazione. Nonostante l'assegnazione della casa coniugale non integri una
componente diretta delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione
o al divorzio,o una forma surrettizia di contribuzione economica, alla
Giurisprudenza non è certo sfuggita ogni opportuna considerazione circa i
vantaggi economici, derivanti al coniuge assegnatario.
E' opportuno
rilevare come la lettera dell'articolo 155 quater del codice civile in
riferimento all'assegnazione della casa coniugale, consideri come elemento non
esclusivo ma solo prioritario per effettuare la scelta, l'interesse dei figli.
Questo significa che pur essendovi un criterio di "scelta", tuttavia, il
Giudice non è obbligato a disporre l'assegnazione al coniuge economicamente più
debole (che non vanti sulla stessa diritti reali o di godimento), neanche se ad
egli siano affidati figli minori o con lui convivano figli maggiorenni non
ancora economicamente autosufficienti, qualora l'equilibrio delle condizioni
economiche dei coniugi e la tutela di quello più debole possano essere
perseguiti altrimenti. (Con sentenza n. 9071 del 21.06.2001 la S.C. ha cassato
una sentenza che aveva sostenuto la decisione unicamente sulla necessità di
garantire l'esigenza del figlio maggiorenne, incolpevolmente non
autosufficiente, a permanere nell'abitazione originaria, insieme con il padre
non proprietario della casa).
Ancora la Corte di Cassazione con sentenza n.
376 del 15.01.1999 ha stabilito che non esiste alcun obbligo a carico del
Giudice di assegnare la casa coniugale al coniuge economicamente più debole,
neanche se a lui siano affidati figli minori o con lui convivano figli
maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti, qualora l'equilibrio
delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela di quello più debole possano
essere perseguiti altrimenti (Cass. Civ. n. 376 del 15.01.1999).
In
quest'ultimo caso la Corte (pur sotto la vigenza della vecchia normativa), si è
spinta sino ad escludere qualsiasi riferimento all'interesse dei figli in ordine
all'assegnazione della casa coniugale ponendo l'accento esclusivamente sul
diritto di proprietà e sulle condizioni economiche delle parti e sulla tutela
del coniuge debole.
Il corollario del suddetto principio è rappresentato
dall'obbligo da parte del giudice di indicare, valutare e motivare le ragioni
che, nell'esclusivo interesse della prole, lo inducano ad assegnare la casa
familiare al coniuge con il quale la prole conviva, e tale obbligo assume sempre
maggiore rigore, via via che aumenti l'età della prole, riducendosi con il
passare degli anni la necessità di conservazione dell'ambiente familiare (Cass.
Civ. n. 10797 del 29 ottobre 1998). Tale obbligo di motivazione assume infatti
dimensioni di sempre maggiore puntualità ed aderenza alla fattispecie concreta,
con l'aumentare l'età della prole, riducendosi con il passare degli anni la
necessità di tale conservazione dell'habitat, con attenuazione del disagio
psichico e materiale che si accompagna al mutamento dell'abitazione.
Solo
qualora vi sia una situazione di cointestazione dell'immobile e non vi siano
figli minori o maggiorenni conviventi, la valutazione delle condizioni
economiche dei coniugi sarà presupposto prioritario ai fini dell'assegnazione
della casa coniugale.
Cosi la Corte di Cassazione in sentenza n. 2070 del
23.02.2000: "Nell'ipotesi in cui la casa familiare appartenga ad entrambi i
coniugi, manchino figli minorenni o figli maggiorenni non autosufficienti
conviventi con uno dei genitori, ed entrambi i coniugi rivendichino il godimento
esclusivo della casa coniugale, l'esercizio del potere discrezionale del giudice
non può trovare altra giustificazione se non quella di, in presenza di una
sostanziale parità di diritti, favorire quello dei coniugi che non abbia
adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un tenore
di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di matrimonio: da ciò
consegue che, laddove entrambi i coniugi comproprietari della casa familiare
abbiano adeguati redditi propri, il giudice dovrà respingere le domande
contrapposte di assegnazione del godimento esclusivo, lasciandone la disciplina
agli accordi tra i comproprietari, i quali, ove non riescano a raggiungere un
ragionevole assetto dei propri interessi, restano liberi di chiedere la
divisione dell'immobile e lo scioglimento della comunione. Ne consegue anche
che, venuta meno la situazione che giustificava la temporanea compressione del
diritto di comproprietà dell'ex coniuge non assegnatario, questi non può per ciò
solo vantare alcun diritto al godimento esclusivo dell'abitazione della quale è
mero comproprietario ma deve, in mancanza di accordo con l'ex coniuge
assegnatario, proporre una domanda di divisione per lo scioglimento della
comunione".
Ciò sta a significare che l'assegnazione della casa coniugale
cointestata, in presenza di un disequilibrio economico tra le parti, avrà come
fine quello di riequilibrare le rispettive posizioni economiche, ma nel caso in
cui non vi sia un coniuge economicamente più debole, e non vi siano figli
minorenni o maggiorenni conviventi, non esisterà alcun criterio per poter
disporre l'assegnazione ad un coniuge piuttosto che ad un altro e questo perché
non vi è alcuna prevalenza di un diritto dell'uno su quello dell'altro bensì una
condizione di esatta equivalenza tra i diritti in questione; entrambi i coniugi
infatti risultano titolari di un diritto costituzionalmente garantito quale il
diritto di proprietà e nessuno dei due si trova in una situazione di svantaggio
economico tale da determinare in capo al soggetto più debole il sorgere di un
diritto al mantenimento.
In modo difforme si è invece espressa la Suprema
Corte con sentenza n. 11696/2001 affermando che in materia di divorzio,
l'assegnazione della casa coniugale è finalizzata esclusivamente alla protezione
della prole, e non è prevista in funzione della debolezza economica di uno dei
coniugi, alle cui esigenze è destinato l'assegno divorzile. Ne consegue che il
giudice non potrebbe, in assenza di figli conviventi, assegnare la casa
coniugale, della quale i coniugi siano comproprietari, a quello fra i due che
ritenga economicamente più debole, onde sopperire a tale squilibrio.
A
parere di scrive, questo criterio deve ad oggi essere considerato come
completamento superato in virtù del nuovo testo dell'articolo 155 del codice
civile il quale ribadisce espressamente che il criterio prioritario per disporre
l'assegnazione è quello della tutela della prole; il che significa che accanto
ad un criterio "prioritario" ben possono coesistere altri criteri da adottare in
via subordinata specie quando non vi sono figli minori o maggiorenni
conviventi.
Questo sta a significare che ai fini dell'assegnazione della casa
sulla quale entrambi i coniugi vantino diritti di proprietà, il giudice potrà
anche tenere conto delle condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della
decisione a favorire il coniuge più debole, ed in caso di assenza di figli
minori o conviventi potrà valutare anche le ulteriori finalità volte a
consentire un certo equilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi ed al
tempo stesso ad assicurare una soluzione sostanzialmente equa, in quanto
correlata alle ragioni della decisione, nonché a favorire il coniuge più debole.
Tuttavia, come opportunamente osservato dalla Corte di Cassazione
(12428/1991) il giudice non può disporre l'assegnazione a favore del soggetto
non titolare del diritto di proprietà o godimento, ove questi non abbia la
qualità di assegnatario di figli minori o di convivente con i figli maggiori
(non autonomi), atteso che la norma citata, di natura eccezionale, si fonda
essenzialmente sulla necessità di conservare l'habitat domestico (inteso come il
centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e
si articola la vita della famiglia).
Come testé affermato qualora il Giudice
nulla disponga in ordine all'assegnazione, l'utilizzo della casa coniugale
spetterà automaticamente ed esclusivamente al coniuge esclusivo
proprietario.
Rileviamo infine come ai sensi del nuovo testo
dell'articolo 155 del codice civile, il diritto al godimento della casa
familiare viene meno nel caso in cui l'assegnatario non abiti o cessi di abitare
stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga un nuovo
matrimonio.
Autore: Avv. Matteo Santini - tratto da www.diritto-in-rete.com