Il diritto dell'assegnatario di un'abitazione già adibita a casa
coniugale, si configura come un atipico diritto personale di godimento,
trascrivibile e opponibile a terzi ai sensi dell'articolo 2643 del codice
civile. Con riferimento all'assegnazione della casa coniugale in caso
di separazione o divorzio il nuovo testo dell'articolo 155-quater. del
codice civile dispone che il godimento della casa familiare sia attribuito
tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. La norma
contempla esclusivamente il criterio d'elezione che deve ispirare l'organo
giudicante al momento dell'emissione del provvedimento di assegnazione ma
non indica quali sono i criteri secondari sulla base dei quali deve essere
orientata la scelta in caso di assenza di prole. Tale omissione, forse
scientemente voluta dal legislatore, lascia ovviamente alle Corti di
merito un vasto margine di discrezionalità relativamente all'assegnazione
della casa coniugale.
E' lapalissiano che il Giudice, nel valutare
a quale dei coniugi assegnare la casa coniugale, debba
necessariamente valutare l'esistenza di diritti e titoli sull'immobile in capo ai
coniugi. Qualora uno dei coniugi risulti essere proprietario
esclusivo dell'immobile e non vi sono figli conviventi, la scelta del giudice
sarà presumibilmente orientata verso l'assegnazione della casa al
coniuge proprietario o che vanta sull'immobile un diritto reale di
godimento esclusivo. L'eccezione potrà essere rappresentata, a giudizio
dello scrivente, da situazioni eccezionali, quali gravi patologie a carico
del coniuge non proprietario, che necessiti di assidue cure domiciliari e
che non sia in condizioni di poter lasciare l'immobile senza gravi
pregiudizi per il proprio stato di salute (coesisterebbero in tal caso due
diritti costituzionalmente garantiti quali il diritto alla salute ed il
diritto di proprietà e restando quest'ultimo intatto in capo al detentore
di tale diritto, ben potrebbe ipotizzarsi una limitazione temporanea
nell'esercizio del diritto di proprietà per favorire l'esercizio di un
altro diritto costituzionalmente garantito quale il diritto alla salute).
In assenza di ipotesi eccezionali l'assegnazione della casa risulterà
essere a favore del coniuge proprietario o che vanta diritto reale o
personale di godimento e addirittura qualora il Giudice nel provvedimento
di divorzio non faccia cenno alcuno all'assegnazione dell'abitazione,
l'utilizzo esclusivo della stessa risulterà essere automaticamente a
favore del soggetto proprietario esclusivo. A tal proposito la Corte di Appello di Roma con
sentenza del 26 Gennaio 2005 ha sancito che in assenza di prole minore o
maggiorenne non ancora economicamente autonoma da tutelare a mezzo della
corresponsione del domicilio familiare, il giudice non è tenuto a disporre
in ordine all'assegnazione dell'immobile che rientra naturalmente nella
disponibilità del proprietario. Pertanto deve essere dichiarata la
cessazione della materia del contendere sul capo relativo all'assegnazione
della casa coniugale (vedi anche Cass. Civ. 4753 del 28 marzo 2003 e Cass.
Civ. 2214 del 14 febbraio 2003).
L'assegnazione della casa coniugale non rappresenta infatti una
componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o
al divorzio o un modo per realizzare in mantenimento del coniuge più
debole ma in via prioritaria un provvedimento diretto alla tutela dei
figli minorenni o maggiorenni conviventi e non autosufficienti affinché
questi possano continuare a vivere nell'ambiente domestico e nell'habitat
in cui sono cresciuti e cioè il centro degli affetti, degli interessi e
delle consuetudini in cui si è fino a quel momento espressa e articolata
la vita familiare. Anche la Suprema
Corte con sentenza n. 12309 del 06.07.2004 ha statuito che, "in
materia di separazione e di divorzio, l'assegnazione della casa familiare,
malgrado abbia anche riflessi economici, particolarmente valorizzati
dall'art. 6, sesto comma, della legge n. 898 del 1970 (come sostituito
dall'art. 11 della legge n. 74 del 1987), risulta finalizzata alla
esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere
nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, non potendo essere disposta, a
mo' di componente degli assegni rispettivamente previsti dall'art. 156
c.c. e dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970, allo scopo di sopperire
alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali
sono destinati unicamente gli assegni sopra indicati, onde la concessione
del beneficio in parola resta subordinata all'imprescindibile presupposto
dell'affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni
ed economicamente non autosufficienti, laddove, nell'ipotesi in cui
l'alloggio "de quo" appartenga in proprietà ad uno solo dei coniugi e
manchino figli in possesso dei requisiti anzidetti, il titolo di proprietà
vantato da quest'ultimo preclude ogni eventuale assegnazione dell'immobile
all'altro, rendendo poi ridondante e superflua ogni e qualsivoglia
pronuncia di assegnazione in favore del coniuge proprietario".
Id est risulta chiaro
come il legislatore prima e la giurisprudenza dopo abbiano inteso
attribuire al provvedimento di assegnazione una natura prevalentemente
conservativa dell'ambiente domestico a favore dei figli e non già
un'impropria finalità di forma di contribuzione economica, in quanto
quest'ultima deve realizzarsi esclusivamente mediante la corresponsione di
un assegno periodico o una tantum. E' comunque chiaro come la
concessione del beneficio dell'uso della casa coniugale comporti indubbi
vantaggi economici, specie in considerazione del risparmio monetario a
favore del coniuge assegnatario. L'assegnazione si ripercuote pertanto
necessariamente sull'equilibrio patrimoniale tra i coniugi determinando un
arricchimento del coniuge assegnatario, rappresentato dal risparmio
relativo all'acquisto o all'affitto di un'altra casa, ed un impoverimento
del coniuge non assegnatario, rappresentato dal costo per l'acquisto o per
la locazione di una nuova abitazione.
Nonostante l'assegnazione della casa
coniugale non integri una componente diretta delle obbligazioni patrimoniali
conseguenti alla separazione od al divorzio, od una forma
surrettizia di contribuzione economica, alla Giurisprudenza non è certo
sfuggita ogni opportuna considerazione circa i vantaggi economici,
derivanti al coniuge assegnatario. E' opportuno rilevare come la
lettera dell'articolo 155 quater del codice civile in riferimento
all'assegnazione della casa coniugale, consideri come elemento non
esclusivo ma solo prioritario per effettuare la scelta, l'interesse dei
figli. Questo significa che pur essendovi un criterio di "scelta",
tuttavia, il Giudice non è obbligato a disporre l'assegnazione al coniuge
economicamente più debole (che non vanti sulla stessa diritti reali o di
godimento), neanche se ad egli siano affidati figli minori o con lui
convivano figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti,
qualora l'equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela
di quello più debole possano essere perseguiti altrimenti. (Con sentenza
n. 9071 del 21.06.2001 la S.C. ha cassato una sentenza che aveva sostenuto
la decisione unicamente sulla necessità di garantire l'esigenza del figlio
maggiorenne, incolpevolmente non autosufficiente, a permanere
nell'abitazione originaria, insieme con il padre non proprietario della
casa). Ancora la Corte di Cassazione con sentenza n. 376 del
15.01.1999 ha stabilito che non esiste alcun obbligo a carico del Giudice
di assegnare la casa coniugale al coniuge economicamente più debole,
neanche se a lui siano affidati figli minori o con lui convivano figli
maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti, qualora
l'equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi e la tutela di quello
più debole possano essere perseguiti altrimenti (Cass. Civ. n. 376 del
15.01.1999). In quest'ultimo caso la Corte (pur sotto la vigenza della
vecchia normativa), si è spinta sino ad escludere qualsiasi riferimento
all'interesse dei figli in ordine all'assegnazione della casa coniugale
ponendo l'accento esclusivamente sul diritto di proprietà e sulle
condizioni economiche delle parti e sulla tutela del coniuge debole.
Il
corollario del suddetto principio è rappresentato dall'obbligo da parte
del giudice di indicare, valutare e motivare le ragioni che,
nell'esclusivo interesse della prole, lo inducano ad assegnare la casa
familiare al coniuge con il quale la prole conviva, e tale obbligo assume
sempre maggiore rigore, via via che aumenti l'età della prole, riducendosi
con il passare degli anni la necessità di conservazione dell'ambiente
familiare (Cass. Civ. n. 10797 del 29 ottobre 1998). Tale obbligo di
motivazione assume infatti dimensioni di sempre maggiore puntualità ed
aderenza alla fattispecie concreta, con l'aumentare l'età della prole,
riducendosi con il passare degli anni la necessità di tale
conservazione dell'habitat, con attenuazione del disagio psichico e
materiale che si accompagna al mutamento dell'abitazione. Solo qualora
vi sia una situazione di cointestazione dell'immobile e non vi siano figli
minori o maggiorenni conviventi, la valutazione delle condizioni
economiche dei coniugi sarà presupposto prioritario ai fini
dell'assegnazione della casa coniugale. Cosi la Corte di Cassazione in
sentenza n. 2070 del 23.02.2000: "Nell'ipotesi in cui la casa familiare
appartenga ad entrambi i coniugi, manchino figli minorenni o figli
maggiorenni non autosufficienti conviventi con uno dei genitori, ed
entrambi i coniugi rivendichino il godimento esclusivo della casa
coniugale, l'esercizio del potere discrezionale del giudice non può
trovare altra giustificazione se non quella di, in presenza di una
sostanziale parità di diritti, favorire quello dei coniugi che non abbia
adeguati redditi propri, al fine di consentirgli la conservazione di un
tenore di vita corrispondente a quello di cui godeva in costanza di
matrimonio: da ciò consegue che, laddove entrambi i coniugi comproprietari
della casa familiare abbiano adeguati redditi propri, il giudice dovrà
respingere le domande contrapposte di assegnazione del godimento
esclusivo, lasciandone la disciplina agli accordi tra i comproprietari, i
quali, ove non riescano a raggiungere un ragionevole assetto dei propri
interessi, restano liberi di chiedere la divisione dell'immobile e lo
scioglimento della comunione. Ne consegue anche che, venuta meno la
situazione che giustificava la temporanea compressione del diritto di
comproprietà dell'ex coniuge non assegnatario, questi non può per ciò solo
vantare alcun diritto al godimento esclusivo dell'abitazione della quale è
mero comproprietario ma deve, in mancanza di accordo con l'ex coniuge
assegnatario, proporre una domanda di divisione per lo scioglimento della
comunione".
Ciò sta a significare che l'assegnazione della casa
coniugale cointestata, in presenza di un disequilibrio economico tra le
parti, avrà come fine quello di riequilibrare le rispettive posizioni
economiche, ma nel caso in cui non vi sia un coniuge economicamente più
debole, e non vi siano figli minorenni o maggiorenni conviventi, non
esisterà alcun criterio per poter disporre l'assegnazione ad un coniuge
piuttosto che ad un altro e questo perché non vi è alcuna prevalenza di un
diritto dell'uno su quello dell'altro bensì una condizione di esatta
equivalenza tra i diritti in questione; entrambi i coniugi infatti
risultano titolari di un diritto costituzionalmente garantito quale il
diritto di proprietà e nessuno dei due si trova in una situazione di
svantaggio economico tale da determinare in capo al soggetto più debole il
sorgere di un diritto al mantenimento.
In modo difforme si è invece
espressa la Suprema Corte con sentenza n. 11696/2001 affermando che in
materia di divorzio, l'assegnazione della casa coniugale è finalizzata
esclusivamente alla protezione della prole, e non è prevista in funzione
della debolezza economica di uno dei coniugi, alle cui esigenze è
destinato l'assegno divorzile. Ne consegue che il giudice non potrebbe, in
assenza di figli conviventi, assegnare la casa coniugale, della quale i
coniugi siano comproprietari, a quello fra i due che ritenga
economicamente più debole, onde sopperire a tale squilibrio. A parere
di scrive, questo criterio deve ad oggi essere considerato come
completamento superato in virtù del nuovo testo dell'articolo 155 del
codice civile il quale ribadisce espressamente che il criterio prioritario
per disporre l'assegnazione è quello della tutela della prole; il che
significa che accanto ad un criterio "prioritario" ben possono coesistere
altri criteri da adottare in via subordinata specie quando non vi sono
figli minori o maggiorenni conviventi. Questo sta a significare che, ai
fini dell'assegnazione della casa sulla quale entrambi i coniugi vantino
diritti di proprietà, il giudice potrà anche tenere conto delle condizioni
economiche dei coniugi e le ragioni della decisione a favorire il coniuge
più debole, ed in caso di assenza di figli minori o conviventi potrà
valutare anche le ulteriori finalità volte a consentire un certo
equilibrio tra le condizioni economiche dei coniugi ed al tempo stesso ad
assicurare una soluzione sostanzialmente equa, in quanto correlata alle
ragioni della decisione, nonché a favorire il coniuge più debole.
Tuttavia, come opportunamente osservato dalla Corte di Cassazione
(12428/1991) il giudice non può disporre l'assegnazione a favore del
soggetto non titolare del diritto di proprietà o godimento, ove questi non
abbia la qualità di assegnatario di figli minori o di convivente con i
figli maggiori (non autonomi), atteso che la norma citata, di natura
eccezionale, si fonda essenzialmente sulla necessità di conservare
l'habitat domestico (inteso come il centro degli affetti, degli interessi
e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita della
famiglia). Come testé affermato qualora il Giudice nulla disponga in
ordine all'assegnazione, l'utilizzo della casa coniugale spetterà
automaticamente ed esclusivamente al coniuge esclusivo
proprietario. Rileviamo infine come ai sensi del nuovo testo
dell'articolo 155 del codice civile, il diritto al godimento della casa
familiare viene meno nel caso in cui l'assegnatario non abiti o cessi di
abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga
un nuovo matrimonio.
Autore: Avv. Matteo Santini - tratto dal sito www.ergaomnes.net
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