Novità, applicazione e prassi giurisprudenziale della L. 08/02/06 n. 54: in particolare, il principio della bigenitorialità ed i suoi corollari
La modifica dell'articolo 155 del codice civile, a seguito dell'entrata in vigore della Legge 8 Febbraio 2006 n. 54, ha introdotto come principio cardine, in materia di affidamento dei minori a seguito di separazione personale dei coniugi il cd. "affidamento condiviso dei figli".
La norma si riferisce espressamente alla valutazione prioritaria circa la
possibilità di un affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, che il
giudice deve effettuare al momento dell'emissione dei provvedimenti di cui al
secondo comma dell'articolo 155 c.c.
Sin dai primi commenti gli interpreti
non hanno mancato di sottolineare come la legge in oggetto ponga l'affidamento
condiviso dei figli come regola generale anche in presenza di elevata
conflittualità nell'ambito della crisi familiare considerando, di contro,
l'affido esclusivo, o monogenitoriale, come eccezione, allorquando l'affidamento
ad entrambi i genitori potrebbe rivelarsi pregiudizievole per il minore.
In
realtà, la regola individuata dal legislatore del 2006 costituisce un
precipitato del principio della bigenitorialità nei confronti dei figli
minori, ossia della corresponsabilità di entrambi per quanto concerne la cura,
l'educazione e l'istruzione della prole, anche dopo la separazione, sancito come
diritto del minore ex art. 155, comma 1, c.c., peraltro individuato come
"diritto naturale" consolidatosi nel tempo negli ordinamenti europei ed in
particolare nella Convenzione sui diritti del fanciullo, sottoscritta a New York
il 20 novembre 1989 e ratificata nel nostro Paese con la legge 27 maggio 1991 n.
176, e, in particolare, agli artt. 9 e 18 i quali ribadiscono ". il diritto
del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere
regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a
meno che ciò non sia contrario all'interesse preminente del
fanciullo".
Sotto il profilo del suo significato culturale e sociale il
testo normativo in esame merita pieno apprezzamento non solo perché espressione
di un principio di civiltà ormai da tempo diffuso in quasi tutti i Paesi
europei, ma soprattutto, perché orientato a meglio tutelare il reale
interesse del minore, a mantenere un rapporto "equilibrato" e
"continuativo" con ciascun genitore, con i nonni paterni e materni e con i
parenti di ciascuno dei genitori.
Alla luce delle nuove disposizioni
normative, pertanto, attualmente non solo esiste il diritto di entrambi i
genitori di avere rapporti con i propri figli, in caso di separazione, ma un
tale diritto è garantito anche ai figli. Tale novità porta con sé l'ulteriore
conseguenza che i provvedimenti relativi all'affidamento della
prole ancorché, come in passato, adottati "con esclusivo riferimento
all'interesse morale e materiale" di essa, devono realizzare il diritto cui
sopra si è fatto riferimento.
Può, quindi, affermarsi, che mentre in passato
era sufficiente, per il giudice e per i genitori, nel compiere le relative
scelte, valutare in genere quello che era l'interesse del minore; oggi gli
stessi non possono prescindere dall'attuazione di detto diritto spettante ai
minori.
Ebbene, sotto tale primo profilo, da più parti si è sottolineato come
nella prassi sia necessario, al fine di dare concretezza all'espressione "affido
condiviso"e al principio della bigenitorialità allo stesso sotteso, predisporre
un progetto formativo e/o educativo di vita del minore, che sia
effettivamente rispondente alle sue esigenze e condiviso da entrambi i
genitori.
Detto progetto, lungi dal prevedere unicamente i tempi di
permanenza (quello che prima della Novella del 2006 veniva indicato come diritto
di visita) della prole presso ciascun genitore, dovrebbe definire in che misura
la responsabilità genitoriale verrà condivisa e messa in pratica. Esso dovrebbe,
dunque, riguardare normalmente i più vari aspetti della vita dei figli, quali
l'istruzione, le cure mediche, la comunicazione delle informazioni riguardanti i
figli, le modalità di incontro con i familiari delle rispettive famiglie di
origine, l'educazione ed il rispetto delle regole poste da entrambi i genitori.
In tal senso si è espressa la Corte di Appello di Roma, Sezione Famiglia la
quale, in un provvedimento giudiziale relativamente alla necessità di redazione
di un progetto, nell'ambito di un giudizio in materia di affidamento, ha
invitato entrambe le parti a depositare "un progetto formativo per la tutela
dei minori ai sensi della Legge n. 54/2006".
Ulteriore aspetto emerso
nelle pronuncie giurisprudenziali di merito è quello di aver attuato pienamente
il dettato legislativo, ovvero l'art. 155 bis, comma 1, c.c., nella parte in cui
ha disposto l'affidamento condiviso come criterio generale, non
applicato esclusivamente in presenza di provata inidoneità di uno dei
genitori.
Come prima ricordato, la nuova legge ,sulla base della esperienza
maturata in molti paesi europei prevede, come regola, l'affidamento dei figli ad
entrambi i genitori, anche se il giudice, con parere motivato, può ancora
disporre l'affido esclusivo ad uno di essi. In particolare, quest'ultimo tipo di
affidamento viene disposto solo se l'affidamento all'altro genitore sia
contrario all'interesse del minore, così come la forte conflittualità coniugale
non rappresenta di per sé un sufficiente fattore ostativo all'ipotesi di affido
condiviso.
A tal proposito, la giurisprudenza ha decisamente superato
l'orientamento piuttosto consolidato secondo cui una situazione di forte
conflitto tra i genitori è tanto dannosa per l'educazione dei figli da rendere
preferibile, nel loro interesse, l'allontanamento dalla potestà del genitore non
convivente con essi: "Con l'entrata in vigore della legge n. 54/2006,
l'affidamento ad entrambi i genitori (c.d. condiviso) è divenuto criterio
ordinario preferenziale dell'affidamento dei minori nelle situazioni di crisi e
di disgregazione della convivenza, essendosi prescelta una soluzione esattamente
speculare a quella previgente che privilegiava, invece, l'affidamento
monogenitoriale, e rendeva residuale la possibilità di disporre l'affidamento
congiunto o alternato. Sebbene il legislatore non abbia espressamente formulato
una presunzione, anche relativa, di corrispondenza tra l'interesse del minore e
l'affidamento condiviso, la residualità dell'affidamento monogenitoriale emerge
chiaramente dal disposto dell'art. 155-bis c.c., il quale prevede la possibilità
di affidare il figlio ad un solo genitore qualora l'affidamento (anche)
all'altro sia contrario all'interesse del minore". E ancora: "In tema
di affidamento condiviso, la mera intollerabilità dei rapporti tra i genitori,
il clima di tensione, anche aspra, che eventualmente caratterizza le relazioni
dopo la separazione, l'assenza della volontà di collaborare, non possono, di per
sé, ostacolare l'applicazione di un sistema di affidamento che la legge
privilegia, ponendo quale unico limite l'interesse del minore; diversamente
opinando, sarebbe agevole frustrare le finalità della normativa (ad es., creando
o alimentando situazioni di conflitto), laddove l'interesse del minore è nel
senso di conservare di conservare rapporti significativi con entrambi i genitori
anche dopo la separazione, e proprio a cagione di essa, che inevitabilmente
determina il venir meno della sicurezza costituita, di regola, dalla convivenza
con entrambi i genitori. In questa prospettiva, l'affidamento condiviso dei
figli, ponendo auspicabilmente termine alla spirale delle reciproche
rivendicazioni ed "imponendo" alle parti il perseguimento degli scopi
dell'assetto privilegiato dalla legge, può, anzi, contribuire al superamento di
quella conflittualità e al recupero di un clima di serenità di cui i figli sono
i primi a trarre beneficio"(Trib. Messina, ordinanza 13 dicembre 2006;
Giudice istruttore Lombardo).
La giurisprudenza, così attuando il dettato
legislativo, ha pertanto condiviso le posizioni che in dottrina, pressoché
unanime, erano emerse con riguardo alla non sufficienza, ai fini di negare
l'affido condiviso, dell'esistenza di un contrasto tra i genitori perché, si
osservava, "è evidente che se fosse sufficiente invocare l'esistenza di un
contrasto tra i genitori verrebbe totalmente frustrata la volontà della legge,
certo essendo che non esiste, in pratica, separazione personale dei coniugi non
accompagnata da dissapori reciproci tra di loro"
(Finocchiaro).
L'affidamento esclusivo, per l'effetto, sarà dunque opportuno
laddove sussista una situazione di fatto che per la sua oggettiva gravità
sconsigli l'affidamento condiviso, ancorché non sia necessario che si
verifichino le condizioni per l'adozione dei provvedimenti a norma degli
articoli 330 e 333 c.c..
Ulteriore e non ultimo aspetto, assai delicato,
nella fase di attuazione della legge n. 54/2006 è stato quello concernente il
contributo economico che, salvo accordi diversi liberamente
sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori deve erogare al fine di
provvedere al mantenimento dei figli, "in misura proporzionale al proprio
reddito" ex art. 155, comma 4, nuova formulazione.
Ebbene, la ratio
legis della disposizione in esame deve rinvenirsi nella chiara volontà
legislativa di circoscrivere gli effetti della separazione e del divorzio
esclusivamente ai rapporti reciproci fra i coniugi, non dovendo incidere tali
circostanze sugli obblighi dei coniugi stessi nei confronti dei
figli.
Pertanto, qualora venga disposto l'affido condiviso, entrambi i
coniugi dovranno prendersi cura della prole, anche dal punto di vista
squisitamente economico e con le stesse modalità tenute in costanza del vincolo
coniugale. In realtà, il legislatore della Novella ha voluto evitare il formarsi
di ingiuste rendite di posizione da un lato (in passato accadeva spesso che
l'assegno di mantenimento per la prole venisse invece utilizzato dal genitore
affidatario per esigenze proprie), dall'altro garantire la piena attuazione del
principio, anch'esso fondamentale, sotteso alla nuova legge, di responsabilità
genitoriale che, in parte qua, si attua da parte del genitore, non limitandosi a
rilasciare l'assegno di mantenimento mensile, ma partecipando, anche
quotidianamente alla vita del figlio.
A tal riguardo, la prassi seguita dalla
giurisprudenza è tendenzialmente quella di prevedere un assegno periodico da
corrispondersi al genitore collocatario al fine di realizzare il principio di
proporzionalità previsto dal legislatore. La locuzione "ove necessario",
contenuta nell'art. 155, comma 4, c.c., rimanda al giudice la determinazione
dell'importo dell'assegno periodico di mantenimento. Pertanto, il giudice dovrà
disporre, in mancanza del raggiungimento da parte dei genitori di un accordo
responsabile e, comunque, quando esista tra i genitori una notevole disparità di
reddito che non può essere compensata da una regolamentazione del collocamento
presso il genitore che gode di un reddito maggiore, un assegno periodico di
mantenimento nel rispetto del principio della corresponsabile gestione delle
complessive risorse finanziarie della famiglia.
Da alcuni, pertanto, è stato
rilevato che il passato criterio proporzionale adottato da alcuni Tribunali,
ovvero 1/3 del reddito dell'obbligato in presenza di due o più figli ovvero di
un quarto in presenza di un solo figlio, è stato superato dalla Novella del 2006
che, con riferimento all'entità dell'assegno, realizza la proporzionalità
facendo riferimento ai redditi complessivi di entrambi i coniugi (Commissione
Famiglia I gruppo, Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma).
Costituisce, poi, novità assoluta, "la valenza economica dei compiti
domestici e di cura assunti da ciascun genitore", inserito tra gli elementi
che il giudice deve prendere in considerazione ai fini della determinazione
dell'assegno perequativo, ai quali viene attribuito un valore monetario. Tale
previsione, in realtà, ricalca quello che è il dettato dell'art. 148 c.c., ma
puntualizzandone l'aspetto delle attività domestiche e di cura, e non
più e non solo, la mera capacità di lavoro casalingo. Il legislatore ha, dunque,
voluto sottolineare l'importanza di quelle attività di cura svolte da ciascuno
dei genitori verso i propri figli, in termini di tempo e di impegno, ovvero
contributi meno "immediati" ma parimenti necessari per consentire una sana
crescita della prole.