L'ASSEGNO DI MANTENIMENTO
È noto che con la sentenza di separazione viene stabilita, tra
l'altro, la misura e il modo con cui il coniuge non affidatario deve
contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei
figli. Sebbene nel linguaggio comune si è soliti parlare
indistintamente di "alimenti" o "mantenimento", i due concetti sono
giuridicamente diversi. Sarà, pertanto, utile fornire una breve
definizione degli stessi: 1. Alimenti: il presupposto è dato da
uno stato di assoluta deficienza dei mezzi di sostentamento, ai
quali si riferisce il concetto stesso di alimenti. La giurisprudenza
di legittimità ha evidenziato che il diritto agli alimenti
presuppone non solo lo stato di bisogno, ma anche l'impossibilità
dell'alimentando di poter provvedere al proprio sostentamento, in
tutto o in parte, tramite lo svolgimento dell'attività lavorativa
(cfr. Cass. 14 febbraio 1990, n. 1099). Pertanto, in difetto di una
pronuncia di addebito, il coniuge separato che non abbia redditi
propri o non sia in grado di procurarseli per motivi validamente
apprezzabili, ha diritto soltanto alla corresponsione degli
alimenti. L'art. 438, cod. civ., nel fissare i criteri di
determinazione della misura degli alimenti, stabilisca che devono
essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e
delle condizioni economiche di chi deve somministrarli, dovendo
essere fissata la misura "con riguardo alla sua posizione sociale".
2. Mantenimento: tale concetto ha una portata più ampia del
primo, essendo relativo alla prestazione di tutto quanto risulti
indispensabile alla conservazione del tenore di vita equivalente
alla posizione economico-sociale dei coniugi. Il mantenimento spetta
al coniuge che non ha avuto responsabilità nella separazione, a
patto che il coniuge onerato non disponga dei mezzi necessari a
mantenere l'antecedente standard di vita ed in proporzione alle
sostanze dell'obbligato (cfr. Cass. 8 maggio 1980, n. 3033).
Recentemente, la Suprema Corte sembra aver abbandonato la tesi
polifunzionale dell'assegno di mantenimento, preferendo connotarlo
in chiave esclusivamente assistenziale (cfr. Cass. 29 marzo 1994, n.
3049, Cass. 20 dicembre 1995, n. 13017) sulla base del presupposto
che la concessione dell'assegno è basata sulla inadeguatezza dei
mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli
stessi a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in
costanza di matrimonio (cfr. Cass. 27 novembre 1992, n. 12681).
L'orientamento restrittivo, comunque, non sembra pregiudicare la
possibilità per il giudice di individuare le singole voci cui il
contributo è destinato, purchè esse rientrino nella ratio del
mantenimento: la Suprema Corte, con sentenza n data 30 luglio 1997,
n. 7127, intervenendo in tema di separazione personale dei coniugi,
ha ritenuto che il giudice abbia facoltà di determinare l'assegno
periodico di mantenimento in una somma di denaro unica o in più voci
di spesa, le quali nel loro insieme e correlate tra loro risultino
idonee a soddisfare le esigenze del coniuge istante, con la
conseguenza che il coniuge obbligato, può essere tenuto a
corrispondere oltre a un assegno determinato in una somma di denaro,
anche altre spese, quali quelle relative al canone di locazione per
la casa coniugale e ai relativi oneri condominiali, purchè queste
spese abbiano costituito oggetto di specifico accertamento nel loro
ammontare e vengano attribuite nel rispetto dei criteri sanciti dal
primo e secondo comma dell'art. 156, c.c.. Limite invalicabile
rimane in ogni caso quello della determinatezza o determinabilità
dell'obbligazione ex art. 1346, c.c.
CRITERI DI DETERMINAZIONE DELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Nella giurisprudenza della Corte di legittimità si trova
costantemente affermato il principio secondo il quale condizione
essenziale per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del
coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia
privo di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli
consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in
costanza di matrimonio, nonché che sussista una disparità economica
tra i coniugi (Cass. 4 aprile 1998, n. 3490; Cass. 14 agosto 1997,
n. 7630; Cass. 27 giugno 1997, n. 5762). Pertanto il giudice
dovrà previamente valutare tale tenore di vita, e soltanto all'esito
di questa operazione, potrà esaminare se i mezzi economici a
disposizione del coniuge che lo abbia richiesto siano tali da
consentirgliene la conservazione indipendentemente dall'assegno. In
caso contrario, dovrà procedersi alla valutazione comparativa dei
mezzi economici di ciascun coniuge al momento della separazione, al
fine di stabilire se tra essi vi sia una disparità economica che
giustifichi l'imposizione dell'assegno, nonché la misura dello
stesso (cfr. Cass. 27/06/97 n. 5762). Il giudice, ritenuto il
diritto all'assegno di mantenimento, al fine di valutare la
congruità dello stesso deve: 1. prendere in considerazione il
contesto sociale nel quale i coniugi hanno vissuto durante la
convivenza, quale situazione condizionante la qualità e quantità dei
bisogni emergenti del coniuge istante; 2. accertare le
disponibilità economiche del coniuge a carico del quale va posto
l'assegno, dando adeguata motivazione del proprio apprezzamento
(cfr. Cass. 30 luglio 1997, n. 7127).
I principali criteri di
determinazione possono così riassumersi : A) proporzione
alle sostanze dell'obbligato: deve considerarsi non solo la
situazione economica al momento della proposizione della domanda
giudiziale, ma anche il complesso della situazione economica, in
relazione alla sua capacità economica nelle varie epoche anteriori
alla decorrenza dell'assegno, con specifico riguardo alla sua
attività lavorativa (cfr. Cass. 29 marzo 2000, n. 3792, secondo la
quale è sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive
situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi). La determinazione
del reddito può aversi per via deduttiva, attraverso l'esame della
dichiarazione dei redditi, sia attraverso l'accertamento compiuto
dagli ufficiali fiscali, sia attraverso la considerazione che il
coniuge pur non risultando avere beni propri o una propria fonte di
guadagno, è tuttavia in grado di condurre una vita agiata. Deve
anche tenersi conto di ciò che l'obbligato riceve dai genitori (cfr.
Cass.26 giugno 1996, n. 5916) durante il matrimonio e che si
protraggono in regime di separazione con carattere di regolarità e
continuità; B) condizioni economiche del
beneficiario: il bisogno del coniuge può essere sia totale
che parziale, cioè dato dalla differenza tra il reddito di lavoro o
patrimoniale del coniuge che deve essere mantenuto e quello di colui
che è tenuto al mantenimento (Cass. 21 aprile 2000, n. 5253). Con
riferimento alle condizioni dell'istante, vengono espressamente
inclusi tra gli elementi che rappresentano un'utilità economicamente
valutabile: 1) l'ottenuto godimento della casa coniugale (Cass.
30.1.1992, n. 961); 2) la disponibilità del prezzo dell'alienazione
di un immobile (Cass. 2.7.1994, n. 6774); 3) i redditi di qualsiasi
natura ed i cespiti in godimento diretto (Cass. 13.1.1987, n. 170).
Quando il coniuge separato costituisca un nuovo rapporto di
convivenza caratterizzata dalla stabilità, è corretto attribuire
rilievo, ai fini della quantificazione del suo diritto al
mantenimento da parte dell'altro coniuge, alle prestazioni di
assistenza che gli vengano corrisposte da parte del convivente more
uxorio, quando esse escludano o riducano lo stato di bisogno, a
condizione che abbiano carattere di stabilità ed affidabilità (cfr.
Cass. 4.4.1998, 3503; conf. Cass. 5.6.1997, n. 5024); C)
altre circostanze ex art. 156, II co., cod. civ.: la norma
contempla quelle situazioni in cui, pur in presenza di una
possibilità di lavoro per il coniuge beneficiario, questi, cui non è
addebitabile la separazione, non può essere costretto a
ridimensionare e a trasformare un sistema di vita, soprattutto
quando, vista l'età in genere matura, non gli è possibile dare
inizio o riprendere una attività lavorativa. Identica la ratio della
sentenza Cass. 12/04/01 n. 5492, laddove spiega che l'assegno
di mantenimento deve essere concesso al coniuge per assicurargli il
pregresso tenore di vita senza costringerlo a tal fine ad alienare
il proprio patrimonio immobiliare. La Cassazione ha anche spiegato
che se prima della separazione i coniugi avevano concordato o anche
solo tacitamente accettato che uno dei due non lavorasse, l'accordo
può conservare efficacia anche durante la separazione, tendendo la
disciplina della separazione ad assicurare il più possibile gli
effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della
convivenza (Cass. 18/08/94 n. 7437). Si è, infatti, affermato che
l'attitudine al lavoro del coniuge separato acquista rilievo non in
senso astratto, quale generica possibilità di reperire e svolgere
una qualunque attività lavorativa, ma soltanto se si traduca in una
effettiva possibilità di svolgere un lavoro retribuito, valutati
tutti gli elementi oggettivi e soggettivi (cfr. Cass.
17.10.1989); D) utilizzazione della casa
familiare: il giudice, nel determinare l'assegno di
mantenimento, potrà contenerne l'ammontare, stabilendo che il
coniuge beneficiario potrà disporre della casa coniugale e del
relativo arredo. L'art. 155, IV co., cod., civ., dispone che
"l'abitazione della casa familiare spetta di preferenza, ed ove sia
possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli"; secondo
autorevole dottrina per casa familiare deve intendersi "luogo o
dimora abituale della famiglia ... e si identifica topograficamente
con la residenza della famiglia" . Circa l'arredo, si ritiene che il
giudice potrà assegnarlo alla moglie salvo quella parte di esso che
è strettamente necessaria al marito cui sia addebitata la
separazione.
IL MANTENIMENTO DELLA PROLE
L'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole grava su
entrambi i genitori e permane anche durante lo stato di
separazione. L'art. 155, VI co., cod. civ., dispone che il
giudice, nell'emanare i provvedimenti relativi al contributo al
mantenimento della prole, deve tener conto dell'accordo dei coniugi,
anche se tale accordo non ha effetto vincolante. Occorre
considerare due situazioni antitetiche:
A) entrambi
i coniugi lavorano: in questa ipotesi tutto si ridurrà a
determinare l'assegno di mantenimento della prole assegnata,
dovendosi prescindere dalla addebitabilità della separazione; il
Tribunale dovrà determinare l'effettivo reddito di ciascuno dei
coniugi, stabilendo in quale misura essi possano contribuire al
mantenimento dei figli. Nell'ipotesi del raggiungimento della
maggiore età di uno dei figli, la giurisprudenza di legittimità ha
sancito i seguenti principi: 1) il coniuge è
legittimato iure proprio (e non capite filiorum) ad ottenere
dall'altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio
divenuto maggiorenne e con esso convivente, se non in grado di
procurarsi autonomi mezzi di sostentamento (cfr. Cass. 16 giugno
2000, n. 8235); 2) il raggiungimento della
maggiore età non è di per sé causa di cessazione dell'onere di
mantenimento salvo l'ipotesi in cui il figlio sia in grado di
procurarsi un reddito che gli consenta di provvede autonomamente
alle proprie esigenze (cfr. Cass. 4 marzo 1998, n. 2392). L'assegno
sarà corrisposto a scadenze periodiche, fissate dal Giudice, che,
tenendo conto della fonte del reddito dell'obbligato, potrà fissare
per semestre o annualmente.
B) soltanto uno dei
coniugi ha un reddito: nella ipotesi in cui l'unico reddito
sia fornito da uno solo dei coniugi, l'indagine si riduce a
determinare la misura dell'assegno tenendo conto della consistenza
economica del genitore e delle esigenze della prole. Per quanto
riguarda il mantenimento dei figli si possono richiamare i seguenti
orientamenti giurisprudenziali: 1) Secondo
l'orientamento prevalente della giurisprudenza di merito il dovere
di mantenimento dei figli da parte del coniuge non affidatario non
si limita a vitto e alloggio, ma comprende una serie di oneri di
educazione ed assistenza che costituiscono a loro volta parametri
per la quantificazione dell'assegno inteso come rata mensile di una
somma annua (cfr. P. Torino 16 novembre
1993); 2) La Suprema Corte ha sottolineato che
la determinazione della capacità reddituale, quale parametro per
l'assegno ai figli, va effettuata considerando ogni forma di reddito
o di utilità di ciascun genitore, compresi quindi gli immobili,
siano essi direttamente abitati o diversamente impiegati (cfr. Cass.
5 ottobre 1992, n. 10926; Cass. 10901/91); la Cassazione ha,
infatti, osservato che l'art. 148, c.c., nell'assumere quale
parametro di riferimento non solo le sostanze dei coniugi ma anche
le loro capacità di lavoro professionale o casalingo, intende
valorizzare anche le potenzialità reddituali e funzionali dei
coniugi stessi. 3) Per la determinazione
dell'assegno di mantenimento dovuto dai genitori in favore di figli
minori o comunque non economicamente autosufficienti, la capacità
economica di ciascun genitore, va determinata con riferimento al
complesso patrimoniale di ciascuno, costituito oltre che dai redditi
di lavoro subordinato o autonomo, da ogni altra forma di reddito o
utilità, quali il valore dei beni mobili o immobili posseduti, le
quote di partecipazione sociale, i proventi di qualsiasi natura
percepiti (cfr. Cass. 3 luglio 1999, n.
6872); 4) Il genitore affidatario ha diritto a
percepire gli assegni familiari per i figli, sebbene titolare del
relativo rapporto di lavoro sia l'altro coniuge (art. 211 L. n.
151/1975), indipendentemente dall'ammontare del contributo per il
mantenimento del figlio fissato in sede di separazione a carico del
coniuge non affidatario, salvo che sia diversamente stabilito in
modo espresso negli accordi di separazione. Gli assegni familiari
per il coniuge, consensualmente o giudizialmente separato, invece,
per mancanza di una previsione analoga all'art. 211 l.cit., spettano
al lavoratore, cui sono corrisposti, per consentirgli di far fronte
al suo obbligo di mantenimento ex art. 143 e 156, cod. civ., con la
conseguenza che se nulla al riguardo è stato pattuito dalle parti in
sede di separazione consensuale, deve ritenersi che nella fissazione
del contributo per il mantenimento del coniuge si sia tenuto conto
anche di questa particolare entrata (cfr. Cass. 2 aprile 2003, n.
5060)
Autore: Avv. Andrea Cevolini - tratto dal sito:
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