Indice
1. Il danno non patrimoniale
2. Il danno esistenziale come danno derivante da lesione dei diritti della personalità
3. Danno esistenziale e danno morale
4. Danno esistenziale e danno biologico
5. Le manifestazioni di danno esistenziale individuate dalla giurisprudenza
6. Danno esistenziale delle persone giuridiche
1. Il danno non patrimoniale
Il termine danno assume nell'ambito della responsabilità aquiliana
un significato anfibologico: da un lato esso rappresenta un elemento costitutivo della
fattispecie di illecito civile ai sensi dell'art. 2043 c.c. (lesione di un interesse),
dall'altro integra l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria e dunque si connota quale
sanzione, quale effetto dell'illecito, corrispondente all'ammanco di utilità subito dal
soggetto passivo.
Il danno non patrimoniale consiste nella lesione di un bene inidoneo a costituire oggetto
di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato ma che costituisce,
pur sempre, un interesse direttamente protetto dall'ordinamento ed in quanto tale può
affermarsi la sua natura di interesse rivestito di valore economico, alla stregua degli
altri interessi immateriali tutelati.
Il danno risarcibile non si identifica in qualunque lesione materiale e naturalistica
patita dalla vittima, ma dipende dalle scelte di valore operate dall'ordinamento giuridico
nella selezione degli interessi protetti e delle conseguenze pregiudizievoli
economicamente rilevanti.
Una prima opzione interpretativa tende ad ampliare la nozione di patrimonio per tutelare i
valori della persona, includendovi ogni valore e utilità economica di cui il danneggiato
possa disporre.
Tale impostazione avrebbe un suo fondamento se si accedesse ad una concezione di danno non
patrimoniale, quale quella enunciata dall'art. 2059 c.c., in cui vadano compresi soltanto
i danni morali subiettivi, quei danni arrecanti un dolore morale alla vittima ed in nessun
modo riguardanti il patrimonio, escludendosi così a priori la distinzione fra danno
morale e danno non patrimoniale.
Diversamente, superando l'equazione danno non patrimoniale - danno morale, sottolineandosi
la maggiore latitudine da attribuire al primo, si potrebbe propendere per una
configurazione di danno comprensiva di qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un
illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaristica basata su criteri di
mercato, non possa essere oggetto di risarcimento, bensì di riparazione.
La giurisprudenza ha seguito questa seconda strada ridisegnando l'intero sistema di
responsabilità civile fino alla enucleazione del danno esistenziale, la cui funzione
dovrebbe essere quella di coprire uno spazio vuoto, ovvero una intera area di danni
attualmente privi di tutela risarcitoria, non catalogabili nella tricotomia danno
biologico-danno morale-danno patrimoniale, propria ormai del nostro sistema risarcitorio.
Il lento cammino, che ha condotto alla espansione dell'ambito del danno risarcibile, ha
avuto la sua tappa fondamentale nell'individuazione e, specialmente, nell'attribuzione di
tutela alla figura del danno biologico. Tralasciando le disquisizioni inerenti alla
qualificazione di questa tipologia di danno, il punto di partenza nella ricostruzione
giurisprudenziale è certamente la sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 della Corte
Costituzionale.
In essa si distingue da un canto il fatto costitutivo dell'illecito civile
extracontrattuale e dall'altro le conseguenze, in senso proprio, dannose del fatto stesso.
Quest'ultimo si compone, oltreché del comportamento (l'illecito è, anzitutto, atto)
anche dell'evento e del nesso di causalità che lega il comportamento all'evento. Ogni
danno è, in senso ampio, conseguenza: anche l'evento dannoso o pericoloso è, infatti,
conseguenza dell'atto, del comportamento illecito. Tuttavia vale distinguere, anche in
diritto privato (specie a seguito del riconoscimento di diritti, inviolabili
costituzionalmente, validi anche nei rapporti tra privati) l'evento materiale,
naturalistico (che, pur essendo conseguenza del comportamento, è momento od aspetto
costitutivo del fatto) dalle conseguenze dannose, in senso proprio, di quest'ultimo,
legate all'intero fatto illecito (e quindi anche all'evento) da un ulteriore nesso di
causalità. Non esiste comportamento senza evento: il primo è momento dinamico ed il
secondo momento statico del fatto costitutivo dell'illecito.
Da quest'ultimo vanno nettamente distinte le conseguenze, in senso proprio, del fatto,
dell'intero fatto illecito, causalmente connesse al medesimo da un secondo nesso di
causalità. Il danno biologico costituisce l'evento del fatto lesivo della salute mentre
il danno morale subiettivo (ed il danno patrimoniale) appartengono alla categoria del
danno-conseguenza in senso stretto. La menomazione dell'integrità psico-fisica
dell'offeso, che trasforma in patologica la stessa fisiologica integrità (e che non è
per nulla equiparabile al momentaneo, tendenzialmente transeunte, turbamento psicologico
del danno morale subiettivo) costituisce l'evento (da provare in ogni caso) interno al
fatto illecito, legato da un canto all'altra componente interna del fatto, il
comportamento, da un nesso di causalità e dall'altro, alla (eventuale) componente
esterna, danno morale subiettivo (o danno patrimoniale) da altro, diverso, ulteriore
rapporto di causalità materiale.
Consegue a questa ricostruzione che la lesione giuridica al bene salute si concreta nel
momento stesso in cui si realizza, in interezza, il fatto costitutivo dell'illecito e,
pertanto, va esclusivamente provato che la menomazione bio-psichica del soggetto offeso in
concreto abbia impedito le attività extra-lavorative. Invece, il danno morale subiettivo
si sostanzia nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso, esso è
danno-conseguenza, in senso proprio, del fatto illecito lesivo della salute e costituisce,
quando esiste, condizione di risarcibilità del medesimo. Afferma, inoltre, la Corte che
il riconoscimento del diritto alla salute (pienamente operante anche nei rapporti di
diritto privato) non è senza conseguenza in ordine ai collegamenti tra lo stesso art. 32,
1° comma della Costituzione e l'art. 2043 c.c: l'ingiustizia del danno biologico e la
conseguente sua risarcibilità discendono direttamente dal collegamento tra gli artt. 32,
1° comma della Costituzione e 2043 c.c.; più precisamente dall'integrazione di
quest'ultima disposizione con la prima.
Se la Corte Costituzionale, affermata l'autonoma tutela del diritto costituzionalmente
garantito alla salute, ne ha garantito dal combinato disposto tra l'art. 2043 c.c. e
l'art. 32 della Costituzione la risarcibilità del danno alla salute prima di quelli in
senso stretto patrimoniali, secondo l'ormai nota formula del danno-evento, non si vede
perché non debba essere risarcito il danno da lesione di altri diritti secondo questo
modello (in questo caso l'art. 2043 c.c. sarà da ricollegarsi direttamente all'art. 2
Cost., fondamento del diritto in questione).
Il sintagma danno ingiusto, quindi, collegherebbe l'art. 2043 c.c. alla lesione di una
situazione soggettiva giuridicamente rilevante che assuma una sua giusta collocazione
nella gerarchia dei valori costituzionali, la cui lesione costituirà un danno ingiusto,
risarcibile ai sensi degli artt. 2043 c.c. e 2 Cost.: ad argomentare diversamente sarebbe
palese la disparità di trattamento per due posizioni ugualmente garantite.
2. Il danno esistenziale come danno derivante da
lesione dei diritti della personalità
Il clima di crescente interesse verso la figura del danno
esistenziale trova un ideale sbocco nell'imprimatur dato dalla Cassazione secondo la
quale:
la vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone
una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2043 c.c. (che non si sottrarrebbe
altrimenti ad esiti di incostituzionalità), "in correlazione agli articoli della
Carta che tutelano i predetti valori", nel senso appunto che quella norma sia
"idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a causa
dell'illecito", attraverso "il risarcimento del danno (che) è sanzione
esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l'ordinamento appresta
per la tutela di un interesse".
Il citato art. 2043 c.c., correlato agli artt. 2 e ss. Costituzione, va così
"necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in
senso stretto patrimoniali ma di tutti danni che almeno potenzialmente ostacolano le
attività realizzatrici della persona umana".
Per cui - essendo le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della
persona pienamente e direttamente, operanti "anche nei rapporti tra privati"
(cd. "drittwirkung") - "non è ipotizzabile limite alla
risarcibilità", della correlativa lesione, "per sé considerata" (n.
184/1986 cit.), ai sensi dell'art. 2043 c.c.: riconoscendo all'attore il ristoro del danno
(non già "morale" da illecito penale, ma) da lesione in sé di suoi diritti
fondamentali, in conseguenza della riferita condotta del suo genitore.
La via da seguire sembra, allora, quella di valorizzare il valore uomo assorbendone la
categoria del danno biologico, nella consapevolezza che "non di sola salute vive
l'uomo" sicché il danno esistenziale rivendica la risarcibilità delle
conseguenze non patrimoniali della lesione di qualsiasi interesse (non solo della salute)
giuridicamente rilevante per la persona.
In altri termini, il danno esistenziale investe la lesione di qualsiasi interesse
giuridicamente rilevante per la persona, risarcibile nelle sue conseguenze non
patrimoniali: ogni interesse afferente alla persona, leso da un atto ingiusto, appare
meritevole di risarcimento, è ciò, anche se non corrisponde al bene-salute, non sia
specificamente menzionato dalla Costituzione o non abbia quale presupposto una malattia
che sconvolga il normale scorrere della quotidianità della vittima.
Superata ormai da anni la questione relativa alla funzione precettiva e non programmatica
dell'art. 2 Cost., con conseguente affermazione della rilevanza costituzionale della
persona umana, in tutti i suoi aspetti, questa norma comporta che l'interprete, nella
ricerca degli spazi di tutela della persona, è legittimato a costruire tutte le posizioni
soggettive idonee a dare garanzia, sul terreno dell'ordinamento positivo, ad ogni
proiezione della persona nella realtà sociale, entro i limiti in cui codesto risultato si
ponga come conseguenza della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità. (
)
La considerazione del diritto alla reputazione quale diritto della personalità consente
nel contempo di individuare il correlativo fondamento giuridico, ancorandolo direttamente
nell'art. 2 Cost.: inteso quale precetto nella sua più ampia dimensione di clausola
generale, "aperta" all'evoluzione dell'ordinamento e suscettibile, per ciò
appunto, di apprestare copertura costituzionale ai nuovi valori emergenti della
personalità, in correlazione anche all'obiettivo primario di tutela "del pieno
sviluppo della persona umana", di cui al successivo art. 3 cpv. (implicitamente su
questo punto Corte Cost. 3/2/1994, n. 13).
Quest'ultima puntualizzazione, che presuppone l'adesione ad una concezione
"monistica" dei diritti della personalità (in questo senso v. Cass. 7/2/1996,
n. 978; Cass. n. 5658/1998), aiuta a definire, senza perplessità, in termini di diritto
soggettivo perfetto, la struttura della situazione soggettiva considerata.
Nell'ambito di questa concezione monistica dei diritti della personalità umana, con
fondamento costituzionale, il diritto all'immagine, al nome, all'onore, alla reputazione,
alla riservatezza non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la
persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione. Trattasi
quindi di diritti omogenei, essendo unico il bene protetto.
Sennonché una volta provata detta lesione, il danno è in re ipsa, in quanto si realizza
una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 c.c., costituita dalla
diminuzione o dalla privazione di un valore (per quanto non patrimoniale) alla quale il
risarcimento deve essere commisurato, come osserva la Corte cost. 27/10/1994 n. 372, sia
pure in tema di danno biologico.
Ciò, pur costituendo un più esatto inquadramento dogmatico degli schemi operativi del
risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 2043 c.c., di valori assoluti della persona
umana, in quanto tale, poiché non viene risarcito il fatto di lesione in sé (cioè,
l'evento) ma la riduzione (o la perdita) di tale valore, che l'evento lesivo ha prodotto,
non contraddice il principio che detto danno è in re ipsa. Infatti con detta formula non
si intende dire che viene risarcita la lesione in sé e non la perdita o diminuzione del
valore leso, secondo gli schemi operativi della conseguenzialità giuridica che, fissati
dall'art. 1223 c.c., sono applicabili anche in tema di responsabilità aquiliana, giusto
il rinvio a detta norma operato dall'art. 2056 c.c.
Si intende solo dire che, provata la lesione della reputazione personale, ciò comporta la
prova anche della riduzione o della perdita del relativo valore. In altri termini non si
contesta la distinzione ontologica tra lesione del valore e conseguenziale perdita o
diminuzione della stessa, ma solo che provata la prima risulta provata anche la seconda.
Trattasi, cioè di una formula sintetica per quanto dogmaticamente probabilmente inesatta,
molto simile a quella che, soprattutto in passato, si è adottata in materia penale in
tema di dolus in re ipsa per alcune specie di reato (soprattutto in tema di falso). Per
quanto anche lì l'espressione non fosse dogmaticamente esatta e fu, sotto questo profilo,
oggetto di accese critiche, in effetti non si voleva con essa significare che l'elemento
soggettivo doloso scomparisse nella sola esistenza del fatto cosciente e volontario, ma
che, provato questo, risultava provato anche il dolo, pur rimanendo lo stesso
ontologicamente differente, giusto quanto previsto dall'art. 43 c.p., dalla mera coscienza
e volontarietà del fatto.
Il nodo da sciogliere, allora, sembra quello dell'esatta collocazione del danno
esistenziale, se fra il danno-evento o fra il danno-conseguenza. Pur a fronte della
(ancora) non chiara distinzione fra i due, possiamo affermare, partendo dal presupposto
che la lesione del bene è strettamente concatenata con le attività realizzatrici, che la
lesione in sé del bene-valore comporterà l'attrazione del danno nel danno-evento,
l'incidenza sulle attività realizzatrici nel danno-conseguenza. Questa prospettiva
rinverrebbe la sua esattezza anche sul piano probatorio allorquando la lesione in sé del
bene-valore non richiederebbe all'attore la prova dell'incidenza negativa (se non la
rilevanza del bene) con la difficoltà della prova (del quantum ?) di tale lesione;
differentemente questi dovrà provare l'incidenza di tale lesione sulle proprie attività
realizzatrici a- reddituali, in caso contrario infatti ci troveremmo di fronte al classico
danno patrimoniale.
Il danno esistenziale, proprio perché sussiste a prescindere da lesioni concrete, ha
consistenza al di là di un'incidenza del fatto-evento su una prospettiva reddituale (a
differenza del danno patrimoniale) e sussiste anche in assenza di comportamenti penalmente
rilevanti.
In ordine al problema della valutabilità di tale danno, la giurisprudenza ritiene che il
ricorso all'equità, ex art. 1126 c.c., costituisca il metodo maggiormente praticabile di
determinazione quantitativa del danno esistenziale risarcibile: il ricorso all'equità,
peraltro, non solo appare possibile e lecito, alla luce della citata fonte normativa, ma
stante la particolare natura del danno risarcibile, oltremodo opportuno, prendendo in
considerazione tutte le specificità del caso concreto (qualità dell'interesse violato,
ripercussioni sulla vita della vittima, eventuali costi da sostenere per superare o,
comunque circoscrivere, le conseguenze dell'illecito, ecc.).
Il danno esistenziale "si allontana" così sia dal risarcimento del danno in
senso classico che dalla riparazione della sofferenza, per valorizzare i costi del
ripristino. Certo questi hanno valenza economica e si inseriscono nel danno-conseguenza,
ma sono tutt'uno con l'evento lesione, quale anello precedente della catena causale, cui
seguono le attività realizzatrici che risultano compromesse.
La categoria del danno esistenziale finirebbe così anche con il risolvere il problema
della gestione dei danni riflessi dei familiari delle vittime.
Il danno esistenziale - consistente, come detto, nell'alterazione della quotidianità non
solo della vittima "diretta" dell'illecito - può caratterizzarsi anche come
danno diretto ed immediato causalmente riferibile, sul piano giuridico, allo stesso
illecito di cui è stata vittima una diversa persona (in questo senso: Cass. 02.02.2001 n.
1516, in AGCSS, 2001, 282). Anche i prossimi congiunti di una persona gravemente offesa da
un reato possano subire danni diretti ed immediati "causalmente riferibili, sul piano
giuridico, allo stesso illecito di cui è stata vittima una persona diversa".
Ciò detto, ben numerosi possono essere gli illeciti di natura civile e penale che possono
dare origine al risarcimento del danno esistenziale: trasmissione di malattie,
discriminazioni sessuali o religiose, costrizione alla prostituzione, abusi sessuali,
furto o danneggiamento di oggetti particolarmente cari, lesione del diritto alla
riservatezza, disastri ambientali, danni da vacanza rovinata, lesioni alla riservatezza e
all'onore, danni conseguenti a lesioni di un congiunto, ecc.
3. Danno esistenziale e danno morale
Il punto focale è distinguere il danno esistenziale dal danno
morale: il primo non ha nulla a che vedere con le lacrime, le sofferenze, i dolori, i
patemi d'animo. Il danno morale è essenzialmente un sentire, il danno esistenziale è
piuttosto un non fare, o meglio un non poter più fare, un dover agire altrimenti, un
relazionarsi diversamente. Esso può essere teleologicamente inteso come la giusta
reazione ai profondi cambiamenti subiti, al di fuori dei danni patrimoniali.
Differentemente nel danno morale i profili patrimoniali non sussistono se non
limitatamente all'esborso patrimoniale, discostandosi la sua funzione dal carattere
risarcitorio (danno patrimoniale), ripristinatorio (danno esistenziale), per assurgere ad
un carattere latamente affittivo. Particolare rilievo merita la riflessione operata
dalla Corte Costituzionale la quale ha affermato che, mentre il danno morale si
esaurirebbe "in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte", il
danno psichico altro non sarebbe che "il momento terminale di un processo patogeno
originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale
soggettivo" e che degenera in un "trauma fisico o psichico". Sembrerebbe
indubbio che la ricostruzione operata dalla Consulta con la sentenza in esame abbia finito
con il ridimensionare il quadro dei danni risarcibili. La Consulta bloccando per un
verso l'espansione del danno biologico e circoscrivendo, per altro verso, i contenuti del
danno morale - nei termini sopra precisati - ha di fatto contribuito a creare una vera e
propria zona grigia di confine tra il danno biologico ed il danno morale.
Ed è proprio in questo contesto che ha trovato ingresso giurisprudenziale la figura del
c.d. danno esistenziale peraltro già da qualche anno delineata e proposta dalla più
attenta dottrina del settore - e che ha avuto il suo primo ed esplicito riconoscimento
dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 7713 del 7/6/2000. Ebbene, con tale termine si
intende qualsiasi danno che l'individuo subisce alle attività realizzatrici della propria
persona.
Il danno esistenziale, in buona sostanza, altro non è che la lesione di qualsiasi
interesse giuridicamente rilevante per la persona, risarcibile nelle sue conseguenze non
patrimoniali. Ovvero, ogni interesse afferente alla persona, leso da un atto ingiusto,
appare meritevole di risarcimento; è ciò anche se non corrisponde al bene-salute, non
sia specificamente menzionato dalla Costituzione o non abbia quale presupposto una
malattia che sconvolga il normale scorrere della quotidianità della vittima.
Tale particolare categoria di danno è risarcibile - se di natura extracontrattuale - ex
art. 2043 c.c. e si pone come terzo rispetto al danno patrimoniale ed a quello morale (pur
condividendo con quest'ultimo la caratteristica della non patrimonialità).
Ciò detto, occorre ulteriormente specificare - onde evitare di incorrere in possibili
confusioni e sovrapposizioni concettuali e contenutistiche - la distinzione che insiste
tra il danno esistenziale di origine psichica ed il danno morale in senso stretto.
Ed invero, il c.d. danno esistenziale di origine psichica consiste in tutte le
alterazioni, generate dalla malattia mentale, della vita quotidiana della vittima in tutte
le sue componenti relazionali (impossibilità di agire, interagire, parlare, camminare,
stare in compagnia, ecc.), mentre il danno morale appartiene alla sfera interiore di chi
ha subito il torto.
4. Danno esistenziale e danno biologico
Nel corso del tempo, si è progressivamente ritenuto di fare
rientrare nell'alveo del danno biologico - pur di fatto mantenendo una loro autonomia
concettuale rilevante, in special modo, in sede di liquidazione del danno - una sequela di
figure risarcitorie, già in precedenza elaborate, tra le quali: il danno estetico, il
danno alla vita di relazione, il danno alla vita sessuale, l'incapacità lavorativa
generica, ecc. (c.d "fenomeno dell'assorbimento").
Nel contempo, al citato fenomeno dell'assorbimento si è andata delineando l'espansione
del concetto giuridico di danno alla salute, con un progressivo allargamento del danno
biologico ben al di là della sua matrice medico-legale. Ed invero, al fine di assicurare
la tutela di alcuni aspetti esistenziali della vita dei singoli danneggiati, che sarebbero
invero rimasti al di fuori della tutela assicurativa dall'art. 2059 c.c., si è cercato di
estendere il concetto di danno biologico oltre i suoi contenuti definitori tipici,
individuando la sussistenza di siffatta categoria pur in assenza di una patologia fisica o
psichica accertata, finendo di fatto con il farla coincidere con quella del danno alla
salute. In realtà, la persona nella sua componente biologica, non esaurisce il
complesso di beni su cui si fonda l'esistenza umana, così come non in tutti gli illeciti
sarà sempre ravvisabile un danno, che interessi aspetti medico legali. A questo proposito
si può osservare che la serenità familiare, la autodeterminazione sessuale, la
personalità, tanto per fare degli esempi, sono beni che possono essere lesi senza che sia
compromessa la validità biologica della vittima, od -all'opposto- la cui lesione può
sussistere accanto a quella del bene salute.
In realtà, la bipartizione danno patrimoniale-danno morale poteva apparire angusta,
talvolta anche l'inclusione del danno biologico può non risultare esaustiva: un
fatto-evento causato da terzi può rivelarsi dannoso quand'anche, non traducendosi nella
concreta e materiale lesione dell'integrità fisio-psichica, sia tuttavia idoneo ad
incidere sulle possibilità realizzative della persona umana: ad essere, dunque, leso
dalla condotta in questione è il diritto allo svolgimento della personalità umana,
considerato globalmente ex art. 2 Cost, o, se vogliamo, qualsiasi diritto comunque
assistito da garanzia costituzionale.
Da quanto detto si desume che il danno esistenziale copre tutte quelle lesioni che, non
riconducibili a danni patrimoniali o biologici in senso stretto, insistono su interessi
giuridicamente protetti e meritevoli di tutela all'interno del nostro ordinamento.
A differenza del danno psichico, che è una patologia e quindi rientra indubbiamente
nell'ambito del danno biologico, sia che costituisca danno autonomo o sia invece una
conseguenza di una patologia fisica, il danno esistenziale si manifesta in rinunce ad
attività quotidiane di qualsiasi genere, in compromissioni delle proprie sfere di
esplicazione personale, insomma in quel non facere che costituisce il presupposto delle
perdite di utilità quotidiane. In relazione al danno morale, invece, non è necessario
provare la sussistenza di una malattia psichica, ma è sufficiente dare dimostrazione,
anche tramite criteri presuntivi, del turbamento e delle sofferenze dell'animo, con questo
di particolare: per distinguere tra danno morale e danno psichico non può costituire
elemento valido la durata nel tempo, data appunto la configurabilità di patologie
temporanee.
In alcune riflessioni giurisprudenziali il danno biologico viene considerato una delle
possibili sfaccettature (insieme al danno estetico, alla vita di relazione, al danno
psichico e via dicendo) del danno esistenziale, assurto a categoria generale ed
onnicomprensiva di danno alla persona.
All'interno del danno esistenziale possono comunque distinguersi il danno esistenziale
puro ed il danno biologico-esistenziale: anche nella sfera esistenziale, infatti, possono
essere presenti componenti "biologiche". Ciò accadrà qualora la limitazione
all'attività realizzatrice della propria persona sia non l'immediata conseguenza
dell'illecito (ho subito l'illecito e quindi non posso fare più: danno esistenziale
puro), ma la conseguenza "mediata" dall'aspetto biologico (sto male) conseguente
l'illecito (sto male a causa dell'illecito subito e quindi non posso fare più), in una
visione cioè dinamica.
Le possibili voci riconducibili a simili categorie sono decisamente ampie, e si incentrano
nella lesione della sfera ontologico-esistenziale, senza interessare aspetti medico
legali, pur se talune figure possono presentare una duplice valenza - con aspetti
rientranti in parte nel danno esistenziale, in parte nel danno biologico- o, come visto,
essere legate per via mediata al danno biologico (gli illeciti risarcibili sotto la
categoria del danno esistenziale, pertanto, e con un'elencazione non esaustiva, sono
riconducibili a manifestazioni di "mobbing", trasmissione di malattie,
discriminazioni razziali, sessuali o religiose, uccisione di animali significativi per
l'individuo, sequestro di persona, costrizione alla prostituzione, violazione del diritto
alla riservatezza, induzione o agevolazione del consumo di droga, abusi sessuali, furto o
danneggiamento di oggetti particolarmente cari, plagio da parte di sette o santoni,
molestie sul lavoro, ingiustizie e vessazioni in ambito scolastico/universitario,
abbandono di persone incapaci, ecc.).
In tali illeciti, infatti, oltre alle tradizionali voci di danno già riconosciute e
rinvenibili caso per caso, possono facilmente individuarsi tipologie di lesioni più
correttamente riferibili alla sfera esistenziale.
Non bisogna, tuttavia, dimenticare che, a differenza del danno biologico - il quale
identificandosi nella concreta lesione suscettibile di accertamento medico-legale, deve
essere provato unicamente con riferimento all'entità, ai fini risarcitori - il danno
esistenziale, pur qualificato "lesione in sé", deve essere specificamente
provato nei suoi stessi presupposti; può sussistere, come si è cercato di chiarire,
anche in mancanza di una lesione, e presentarsi, anzi, come esclusiva ed unica conseguenza
del fatto che si assume lesivo. Non solo ma in termini di politica del diritto sembra
auspicabile che i rapporti fra danno biologico e danno esistenziale nell'ambito della
categoria dogmatica del danno alla persona vadano meglio risistemati solo con una chiara
presa di coscienza del danno esistenziale, pena la messa in discussione delle ormai più
che ventennali certezze in tema di danno biologico.
Certo l'approccio che focalizza l'attenzione sul danno-evento garantisce una condanna
risarcitoria per il semplice fatto che un interesse giuridicamente rilevante sia stato
leso, comportando, quindi, per l'attore, in sede probatoria, una notevole semplificazione,
ma nello stesso tempo non vengono scongiurati i rischi di appiattimento che sono insiti
nel fatto stesso di una gabbia immaginata a priori; Se la categoria del danno-evento
sembra essere consona al danno biologico, che punta alla riparazione della violazione in
sé della salute, sembrerebbe opportuno valutarsi anche un approccio consequenzialisitico
in relazione al danno esistenziale, per poi meglio valutarsi l'incidenza anche sulle altre
attività realizzatrici della persona. Tuttavia, la giurisprudenza ha avvertito un
disagio nel fornire una definizione così ampia:
si rischia lungo questa via di ampliare indefinitamente le frontiere del danno
risarcibile, già arricchito giurisprudenzialmente dalla funzione solidaristica
riconosciuta al danno alla salute e ora innervato da una funzione satisfattivo-punitiva
non ben circoscritta nel nostro ordinamento. L'inconveniente non può però giustificare
l'omissione o la riduzione di tutela, se all'interno del sistema si possa rinvenire una
clausola generale che ne consenta l'adeguamento a valori ormai pacificamente emersi.
In definitiva, è sufficiente che gli organi giurisprudenziali esercitino con prudente
autocontrollo la verifica circa la sussistenza della lesione, la sua afflittività,
l'eventuale riparazione ottenuta per via alternativa (con gli strumenti della rettifica o
dell'inibitoria), per poter senza timore dare ingresso alla tutela risarcitoria.
Giova comunque ricordare che -secondo parte della Dottrina- l'art. 10 c.c. contempla il
risarcimento del danno per violazione del diritto all'immagine, prescindendo dal binomio
patrimonialità-non patrimonialità, ditalché sarebbe restrittivo un orientamento che
negasse il risarcimento nel caso di impossibilità di specifica prova di un danno
emergente o di un lucro cessante.
5. Le manifestazioni di danno esistenziale
individuate dalla giurisprudenza
La stessa consapevolezza del valore persona si rinviene in
molteplici pronunce di merito. In particolare, partendo dal presupposto che la
tripartizione classica del danno ingiusto sia inadeguata ed insufficiente a rappresentare
la complessità e la rilevanza dei legami e dei rapporti che si esplicano nel consortium
familiare che certamente non possono essere inquadrati esclusivamente in un'ottica
strettamente patrimoniale, né in una ricreata sub specie di danno alla vita di relazione,
che la giurisprudenza ha configurato come componente interna del danno biologico e che,
comunque, nell'ambito di una compromissione nei rapporti familiari coinvolgenti aspetti
esistenziali di diverso genere, attribuirebbe rilevanza solo ai nocumenti riflettenti la
sfera esterna dei rapporti sociali. Viene nuovamente valorizzata la clausola aperta
dell'art. 2 della Costituzione nella consapevolezza dei limiti delle tre voci che
costituiscono la tripartizione classica del danno ingiusto, evitando di incappare nel buco
nero dei danni patrimoniali indiretti, consci che in tale categoria non possono essere
ricomprese tutte quelle ripercussioni che non costituiscono un effetto economico negativo
sul patrimonio.
Deve essere ricordato ancora il danno derivante da immissioni rumorose intollerabili
(oltre che di fumi, odori sgradevoli, polvere di vernice) che non va qualificato come
danno biologico in quanto non comporta un'alterazione dello stato di salute o l'insorgere
di una malattia, ma causa un'alterazione del benessere psicofisico, dei normali ritmi di
vita che si riflettono sulla tranquillità personale del soggetto danneggiato, alterando
le normali attività quotidiane e provocando uno stato di malessere psichico diffuso che,
pur non sfociando in una vera e propria malattia, provoca, tuttavia ansia, irritazione,
difficoltà a far fronte alle normali occupazioni, depressione, ecc. Trattasi di danno
esistenziale, consistente nell'alterazione delle normali attività dell'individuo, quali
il riposo, il relax, l'attività lavorativa domiciliare e non, che si traducono nella
lesione della serenità personale, cui ciascun soggetto ha diritto sia nell'ambito
lavorativo, sia, a maggior ragione, nell'ambito familiare. A causa della lesione della
sfera psichica del soggetto si alterano, in misura più o meno rilevante, i rapporti
familiari sociali, culturali, affettivi e nei casi più gravi può anche insorgere una
vera e propria malattia psichica; solamente in tal caso, il danno va qualificato come
biologico in senso stretto. Perché possa ravvisarsi il danno esistenziale, occorre che
sussistano le seguenti condizioni: ingiustizia del danno secondo gli usuali parametri
dell'art. 2043 c.c.; nesso di causalità tra comportamento lesivo e danno che deve
tradursi in un giudizio di proporzionalità o adeguatezza tra il fatto illecito e le
conseguenze dannose; consecutività temporale tra comportamento lesivo e danno.
Il danno alla vita di relazione, così, rivive come danno patrimoniale indiretto: la
compromissione peggiorativa del danneggiato sarebbe risarcibile non in quanto tale, bensì
solo quando sia in grado di incidere sull'esplicazione delle normali attività, di per sé
legate al regolare svolgimento dei rapporti sociali e delle attività ricreative: e se la
attività lavorativa manca o è di difficile quantificazione, o meglio, la lesione del
diritto alla identità personale non va immediatamente a comprometterla, si ricorrerà
alla generica compromissione della "capacità di concorrenza", come elaborata
per il danno alla vita di relazione.
Così, pur nella consapevolezza che concedere danni patrimoniali in base ad un criterio di
natura presuntiva rivela la sua fragile natura di fictio, questa è sembrata alla
giurisprudenza di merito la via più consona per tutelare i diritti inviolabili della
personalità garantiti costituzionalmente e riconosciuti dal diritto vivente.
Le possibili voci riconducibili a simili categorie sono decisamente ampie, e si incentrano
nella lesione della sfera ontologico-esistenziale, senza interessare aspetti medico
legali, pur se talune figure possono presentare una duplice valenza - con aspetti
rientranti in parte nel danno esistenziale, in parte nel danno biologico - o, come visto,
essere legate per via mediata al danno biologico. Al danno esistenziale vanno poi
ricondotte anche altre figure di danno già riconosciute dalla giurisprudenza: tra queste
si evidenziano il danno alla vita di relazione, il danno alla serenità familiare, il
danno alla serenità sessuale, con esclusione degli aspetti medico legali afferenti al
danno biologico. Esse infatti non possono essere ricondotte alla figura del danno
patrimoniale, neanche sub specie del danno indiretto, posto che la loro natura appare
evidentemente diversa, pur essendo suscettibili di una valutazione patrimoniale. Né
possono essere ricondotte al danno morale in senso stretto (risarcibile, ex art. 2059 cc),
o al danno biologico (interessante aspetti medico-legali, anche se, con riferimento a
quest'ultima figura, si è detto, potranno esservi interferenze).
Sono molteplici le manifestazioni esistenziali della persona suscettibili di essere lese e
risarcite alla stregua di danno esistenziale. La giurisprudenza ne ha individuate già
molte ma la casistica è destinata sicuramente ad essere ampliata. In una pronuncia è
stato ritenuto che il diritto reciproco di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con
l'altro coniuge è diritto inerente alla persona: un diritto riguardante, ed avente per
contenuto, un modo di essere, un aspetto dello svolgimento della persona di ciascun
coniuge nell'ambito della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio, formazione
sociale ove si svolge la personalità dell'uomo, i cui diritti inviolabili sono
costituzionalmente riconosciuti e garantiti. Come tale, in quanto diritto della persona,
in un aspetto del suo essere e svolgersi nella famiglia, va equiparato al diritto alla
salute, quale diritto della persona all'integrità fisio-psichica. E come tale diritto,
ove sia leso dal fatto doloso o colposo di un terzo, che, causando all'altro coniuge
l'impossibilità dei rapporti sessuali, lo abbia soppresso, è, allo stesso modo,
risarcibile: quale danno che non è né patrimoniale né non patrimoniale, bensì
menomazione del modo di essere e di svolgimento della persona, in quell'aspetto, di per
sé, ed in quel modo riparabile.
Deve essere, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: "Il comportamento
doloso o colposo del terzo che cagiona ad una persona coniugata l'impossibilità dei
rapporti sessuali è immediatamente e direttamente lesivo, sopprimendolo, del diritto
dell'altro coniuge a tali rapporti, quale diritto-dovere reciproco, inerente alla persona,
strutturante, insieme agli altri diritti-doveri reciproci, il rapporto di coniugio. La
soppressione del diritto, menomando la persona del coniuge, nel suo modo di essere e nel
suo svolgimento nella famiglia, è di per sé risarcibile, quale modo di riparazione della
lesione di quel diritto della persona, qualificabile come danno che non è né
patrimoniale (art. 2056 c.c., in relazione all'art. 1223 dello stesso codice) né non
patrimoniale (art. 2059 c.c., in relazione all'art. 185 c.p.), comunque rientrante nella
previsione dell'art. 2043 c.c.".
Anche gli scompensi sofferti da un prestatore di lavoro il quale rimanga vittima di un
licenziamento ingiurioso sono stati ritenuti dai Giudici di merito danno esistenziale: il
"fenomeno" licenziamento, per altro (ed al di là della fondatezza e liceità
dello stesso) è di per sé evento gravemente destabilizzante della persona per le grandi
e molteplici conseguenze che esso comporta: perdita di guadagno, di professionalità di
relazioni interpersonali, di ruolo sociale (anche all'interno del più circoscritto ambito
familiare), di proiezioni per il futuro.
Un tale avvenimento si connota di effetti ancora più devastanti qualora intervenuto con
modalità e motivazioni di per sé violente e lesive, ingiuste e/o ridicolizzanti.
A tale proposito una giurisprudenza anche recente ha elaborato la nozione di
"licenziamento ingiurioso", ossia quello che venga perpetrato appunto con metodi
disonoranti che comportano umiliazione, annichilimento morale, ecc.
Non ogni licenziamento illegittimo, benché produttivo di danno (ivi compreso il danno
biologico), viene posto in essere in maniera oltraggiosa ed insolente. Al contrario, è in
re ipsa il maggiore e diverso danno che quest'ultimo tipo di licenziamento provoca in una
persona, sia nella sfera della salute (fisica e psichica) che dei sentimenti.
Tale tipo di danno viene considerato danno non patrimoniale, e viene riscontrato: "
nei casi in cui il provvedimento espulsivo, per la forma e la modalità della sua
adozione e per le conseguenze morali e sociali che ne derivano, rappresenti un atto
"ingiurioso", cioè lesivo del decoro, della dignità o dell'onore del
lavoratore licenziato. Tale carattere di ingiuriosità del licenziamento non si identifica
con la mera mancanza di giustificazione dello stesso e va rigorosamente provato da chi lo
adduce che deve altresì dimostrare l' "an" e il "quantum" del
pregiudizio lamentato". (Cass., sez. lav., 1.7.97 n. 5850), ed anche: " Purché
sussista il carattere ingiurioso del licenziamento non è sufficiente il mero difetto di
giustificazione dello stesso, ma occorre la dimostrazione, anche mediante presunzioni
semplici, da parte del lavoratore sul quale incombe il relativo onere in applicazione del
principio di cui all'art. 2697 cod. civ. che il licenziamento, per le forme usate o per
altre peculiarità, abbia cagionato al prestatore un danno ingiusto lesivo cioè
dell'onore, del decoro o di altro bene giuridico che ecceda, tuttavia, le normali
conseguenze pregiudizievoli di qualsiasi licenziamento, anche ingiustificato". (
Cass. 7.2.94 n.1219).
Negli illeciti risarcibili sotto la categoria del danno esistenziale sono riconducibili,
inoltre, manifestazioni di "mobbing". Non a caso il mobbing è stato definito
violenza morale e non a caso il danno esistenziale appare particolarmente congeniale a
tale situazione. È la qualità della vita del lavoratore mobbizzato a risentirne
principalmente, con tutte le conseguenze anche nell'ambito familiare (si pensi al doppio
mobbing del quale si è parlato in precedenza).
Una volta qualificato come danno esistenziale quello che può risultare da una condotta
mobbizzante vediamo di precisarne i contorni negli aspetti salienti con riferimento al
profilo della definizione della natura del risarcimento richiesto.
Posto che all'origine della responsabilità datoriale si può cercare la strada della
responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. o quella del danno aquiliano, ex art.2043
c.c., ci si deve chiedere astrattamente in quale delle due caselle collocare le
conseguenze risarcitorie della nuova figura del danno esistenziale, ovviamente questo nel
caso in cui il danneggiato sia un lavoratore.
Differenza di non poco conto tenendo presente il diverso regime di onere della prova ed il
diverso termine prescrizionale, solo per indicare due differenze più eclatanti.
Un'ammirevole e recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (n.5491/2000) ha chiarito
che il contenuto dell'obbligo ex art.2087: "non può ritenersi limitato al rispetto
della legislazione tipica prevenzione, riguardando altresì il divieto, per il datore di
lavoro, di porre in essere, nell'ambito aziendale, comportamenti che siano lesivi del
diritto all'integrità psicofisica del lavoratore". Si concorda appieno con tale
impostazione in sintonia con una lettura complessiva di tutela del lavoratore prevista dal
nostro ordinamento già nella sua norma fondamentale. Per altro non deve dimenticarsi che
sempre la Corte di Cassazione, nella già ricordata sentenza n. 2569/2001, ha riconosciuto
la tutela sia contrattuale che extracontrattuale in caso di diritti attinenti
all'integrità psico-fisica del lavoratore e in più in generale agli interessi
esistenziali. Da tale considerazione, derivante direttamente dall'obbligo per il datore di
lavoro ex art. 2087 di tutelare non solo sotto il profilo antinfortunistico il lavoratore
ma in un'ottica complessiva di tutela psicofisica oltre che dal combinato disposto degli
art.32 Costituzione e 2043 codice civile, ne consegue che in termini di ripartizione
dell'onere probatorio potrà applicarsi il criterio più favorevole al ricorrente, che
sicuramente è quello che deriva dalla responsabilità contrattuale.
Spetterà, dunque, al datore di lavoro, se vuole evitare profili di responsabilità ogni
volta che il lavoratore abbia subito un danno esistenziale, dimostrare di avere posto in
essere tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità psicofisica del lavoratore,
mentre spetterà al lavoratore, al contrario, come proprio onere probatorio dimostrare la
sussistenza del nesso causale tra l'evento lesivo e il comportamento del datore di lavoro
(così espressamente la sentenza della Corte di Cassazione richiamata n.5491/2000 che
proprio per tale secondo profilo probatorio non ha accolto il ricorso nel caso esaminato).
Come si può immaginare, i giudici di merito, oltre alle ipotesi già illustrate, hanno
costruito un panorama molto vasto di applicazione del danno esistenziale. In particolare:
gli inconvenienti sofferti dagli inquilini di un condominio crollato a seguito di una fuga
di gas; il disagio subito da una donna a seguito del comportamento colposo del
medico ecografista, il quale non riesca a scoprire che il feto, nel grembo della donna
stessa, soffre di gravi malformazioni, sicchè nessun aborto terapeutico avrà luogo, col
risultato che la puerpera cadrà poi in uno stato di grave disagio; i malesseri
patiti da una coppia di persone a causa delle continue minacce di morte, molestie
telefoniche, danneggiamenti, da parte dell'ex convivente di uno dei due. Ancora il
rifiuto da parte della P.A. di accogliere l'istanza di revoca d'ufficio di una
contravvenzione, nonostante la palese illegittimità della stessa; la tardiva
attivazione della propria scheda telefonica, l'attesa per un passeggero della partenza
dell'aereo senza ricevere alcuna informazione da parte della compagnia aerea.
Infine, due recenti pronunce giurisprudenziali, partendo dalla considerazione che il danno
esistenziale consiste nella lesione di valori assoluti della persona umana in quanto tale
- poiché non viene risarcito il fatto di lesione in sé (cioè, l'evento) ma la riduzione
(o la perdita) di tale valore, che l'evento lesivo ha prodotto - hanno affermato che per
effetto dell'illegittimo protesto di una cambiale o per effetto della falsa comunicazione
al datore di lavoro da parte di un terzo di notizie negative attinenti al lavoratore può
verificarsi sia una lesione alla "reputazione commerciale" ed alla
"reputazione professionale del lavoratore", "dalla quale può conseguire un
danno patrimoniale (oggetto di risarcimento), sia una lesione alla reputazione del
protestato (o del lavoratore n.d.r.) quale persona, dalla quale consegue automaticamente
la perdita o riduzione di un valore della persona umana, che dà diritto al risarcimento
del danno".
6. Danno esistenziale delle persone giuridiche
La categoria del danno esistenziale si rivela particolarmente
utile, quale strumento di tutela sia della persona fisica sia di quella giuridica,
qualificandosi come una categoria che tiene conto (e che supera) i limiti delle tecniche
tradizionali di tutela.
A tale riguardo, deve ricordarsi che di posta risarcitoria, quale quella del danno alla
salute, in relazione alle persone giuridiche non può nemmeno tenersi conto, data
l'incompatibilità, prima logica che giuridica, che lega persona giuridica e danno alla
salute. Se si esclude, come è giusto che sia, infatti, la risarcibilità del danno alla
salute all'ente immateriale, è opportuno tenere in considerazione un altro proveniente
dall'analisi del sistema codicistico, rappresentato dal fatto che l'azionabilità del
rimedio risarcitorio trova un gravissimo limite normativo quando l'interesse da risarcire
sia non patrimoniale, poiché all'art. 2059 c.c. si richiede che, come visto, la
possibilità di ricorrere alla tutela risarcitoria risulti da una apposita previsione di
legge. Di fatto, in questo modo ai fini della tutela civile dell'interesse non
patrimoniale è necessario che il comportamento lesivo abbia integrato gli estremi di un
illecito penale, poiché la norma di legge richiesta dall'art. 2059 c.c. idonea a fondare
specificamente la pretesa risarcitoria, viene solitamente ravvisata nell'art. 185 c.p. Se
si tiene poi conto del fatto che gli interessi non patrimoniali sono essenzialmente quelli
attinenti alla persona, emerge allora con chiarezza che questa sorta di doppio binario del
sistema risarcitorio si traduce in una grave limitazione alla tutela civilistica - attuata
sia pure attraverso l'inadeguato strumento risarcitorio - dei diritti fondamentali della
persona sia fisica che giuridica.
Deve, inoltre, essere ricordato che il divieto di analogia in materia penale potrebbe
limitare il risarcimento dello stesso danno morale nei casi in cui sia rinvenibile un
illecito civile e non penale incidente su valori della persona, mentre le conseguenze
dell'atto illecito vanno apprezzate indipendentemente da una loro, pur possibile,
ripercussione sul patrimonio di chi le subisce, rilevando tali riflessi negativi di per
sé, nella misura in cui costituiscono conseguenza della lesione di un interesse
giuridicamente rilevante, il che avviene certamente ogni volta che è leso un diritto
della personalità. L'ammissibilità giuridica del riconoscimento di diritti della
personalità in capo agli enti è ormai consolidato in dottrina e in giurisprudenza.
Una diversa interpretazione è ormai largamente minoritaria, considerata la pacifica
rilevanza della soggettività giuridica anche degli enti di fatto che, elaborata sulle
intuizioni della dottrina tedesca, è stata recepita anche dalla giurisprudenza di
legittimità. Autorevolmente si è sostenuto che tutti i gruppi organizzati siano essi o
non persone giuridiche, sono, ormai, per diritto comune, persone giuridiche.
In relazione alla configurabilità di un danno non patrimoniale in capo a persone
giuridiche pubbliche, la giurisprudenza si è espressa nel senso che:
non sia esatto che esso possa riguardare solo le persone fisiche e non quelle
giuridiche. Una nozione adeguata del danno non patrimoniale porta ad escludere che esso
vada limitato al solo campo delle sofferenze fisiche o morali mentre devono esservi
correttamente inclusi tutti quei danni che non rientrano nella categoria del danno
patrimoniale. Può così raffigurarsi anche un danno non patrimoniale diverso dal dolore,
riferibile quindi alla persona giuridica, quale il danno che incide sulla reputazione, il
danno che deriva dalla divulgazione di segreti o di notizie riservate e simili (
)
poiché il danno non patrimoniale comprende gli effetti
lesivi che prescindono dalla personalità giuridica del
danneggiato, il medesimo è riferibile anche a enti e persone
giuridiche.
Il danno non patrimoniale, ancorché consistente nella lesione di un bene inidoneo a
costituire oggetto di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato,
costituisce un interesse direttamente protetto dall'ordinamento e in quanto tale può
affermarsi la sua natura di interesse rivestito di valore economico, alla stregua degli
altri interessi immateriali tutelati. Il danno non patrimoniale, quindi, si caratterizza
quale lesione di un bene o diritto immateriale appartenente alla persona giuridica.
Per le persone giuridiche pubbliche si è affermata la riconducibilità al danno
esistenziale della lesione all'immagine della P.A. In particolare la Corte dei Conti ha
affermato che - come aveva già avuto modo di precisare, tenendo anche conto di quanto
affermato dalle SS.UU. della Cassazione con la sentenza n° 5668/1997, il danno in
questione non ha nulla a che vedere con il "danno morale" in senso stretto, non
attenendo esso alle sofferenze fisiche o morali, di cui le persone giuridiche non sono
neanche capaci, ma alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell'immagine e
della personalità pubblica, quale danno che reca sempre con sé, se non una
"diminuzione patrimoniale diretta", pure ipotizzabile (soprattutto con
riferimento agli enti pubblici che, operando in regime di mercato, possono subire una
contrazione della loro attività direttamente correlabile al discredito arrecato da propri
dipendenti o amministratori), sicuramente una "spesa necessaria al ripristino del
bene giuridico leso", ossia al ripristino dell'immagine stessa (cfr. sent. nn 501 e
n°628/1998).
Affermata per le persone fisiche, la teoria del "danno-evento" è stata poi
estesa alle persone giuridiche e quindi alle persone giuridiche pubbliche.
In particolare, quanto a quest'ultime, valorizzando le argomentazioni con le quali la
Consulta ha aderito alla concezione del "danno-evento" (ex sent. n°184/1986),
il danno all'immagine della P.A. è stato rapportato all'art. 2043 cc, quale "danno
ingiusto ad uno dei diritti fondamentali della persona giuridica pubblica, ovvero ad una
delle più rilevanti formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità
dell'uomo", ex 2 Cost. (cfr. sent. n°628/1998 di questa Sezione).
Disancorato - per tal via- dall'illecito penale, nell'avvertita considerazione "che
l'art. 2059 c.c. attiene, per il diritto vivente, al solo danno morale in senso
stretto" (cfr. ancora la citata sent. n°628/1998), il danno all'immagine della P.A.
ha finito per rappresentare, nell'area delle persone giuridiche pubbliche, una figura
emblematica di "danno-evento", così come il danno biologico rappresenta una
figura emblematica di "danno-evento" nell'area delle persone fisiche; in
realtà, i rispettivi beni-valori lesi (integrità fisica ed immagine dell'ente pubblico),
rappresentano quelli di maggior rilievo sociale e di più marcato interesse costituzionale
nei rispettivi ambiti di appartenenza ( persone fisiche-persone giuridiche), tanto che per
entrambi può parlarsi a ragione di "danno esistenziale".
L'immagine ed il prestigio della persona giuridica pubblica hanno, infatti, un peso
notevolissimo nell'ambiente sociale, anche perché indici di esercizio delle pubbliche
funzioni effettivamente aderente ai canoni della legalità, del buon andamento e della
imparzialità (ex art. 97 Cost.).
Da questo punto di vista, anzi, ben può dirsi che la specificazione del generale dovere
che tutti i cittadini hanno di essere "fedeli alla Repubblica e di osservarne le
leggi" in quello proprio, dei soli dipendenti pubblici, di "adempire le
pubbliche funzioni con disciplina e onore" (ex art. 54 Cost.) in larga parte è
teleologicamente orientata alla tutela dell'immagine e del prestigio della P.A..
Nel caso di persone giuridiche pubbliche, la responsabilità civile può coincidere con la
responsabilità amministrativa del dipendente pubblico ex art. 28 Cost. Ma mentre la prima
ha, essenzialmente, una funzione risarcitoria e ripristinatoria dello status quo ante, la
responsabilità amministrativa, proprio per l'accennato squilibrio tra i danni possibili e
le limitate capacità risarcitorie dell'agente, normalmente non ha, o può avere soltanto
in parte, una funzione di tal genere ed è in grado di perseguire una funzione
essenzialmente dissuasiva. Infatti, l'essenza della responsabilità amministrativa, a
differenza di quella civile, consiste nella graduazione della condanna sulla base del
grado della colpa dell'agente che risponde solo per dolo o colpa grave.
Avv. Giuseppe Cassano - tratto da www.ergaomnes.it
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