Corte di Cassazione, sez. II Civile
sent. 3-19/12/2012 n. 23452


Presidente Triola – Relatore Bianchini

Svolgimento del processo

N.B. citò innanzi al Tribunale di Grosseto il fratello E.B., chiedendo che fosse condannato alla rimozione di una veranda a vetri e di tubazioni del gas interrate, poste sul terreno di proprietà esclusiva di essa attrice nonché all'eliminazione di un marciapiede e sovrastante tenda costruiti su un cortile in comproprietà ed infine a rilasciare un box - autorimessa di proprietà comune ma occupato esclusivamente dal germano; evidenziò l'attrice che entrambi esercitavano attività commerciali nei rispettivi fabbricati: essa esponente gestiva un albergo sotto l'insegna "XXXXXX"; il fratello un ristorante.
Costituitosi, E.B. contrastò la fondatezza delle domande, sostenendo di aver usucapito l'area di sedime ove insisteva la veranda e di aver edificato il marciapiede al fine di garantire un miglior uso della cosa comune, al fine di eliminare eventuali infiltrazioni d'acqua; rilevato poi che anche la sorella aveva chiuso con una catena il passaggio attraverso una latistante striscia di terreno, di proprietà comune ed attraverso la quale aveva esercitato da tempo un passaggio, chiese che venisse accertato e dichiarato acquisito in virtù di usucapione il diritto di passaggio sopra indicato, con condanna della congiunta a rimuovere la catena.
L'adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 660/2003, condannò B.E. a rimuovere la veranda e le tubazioni del gas nonché a rilasciare l'autorimessa.
Lo stesso B. propose appello contro detta pronunzia; all'accoglimento di detta impugnazione si oppose la sorella; l'adita Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 123/2006, accolse parzialmente il gravame, accertando l'intervenuta usucapione della porzione ove l'appellante aveva posto la veranda a vetri, respingendo le altre domande di riduzione in pristino.
Il giudice dell'appello - per quello che ancora conserva interesse nella sede di legittimità - pervenne a tale decisione osservando innanzi tutto l'erroneità dell'assunto del Tribunale secondo il quale il possesso del convenuto sarebbe stato inidoneo al fine del decorso del termine per l'usucapione in quanto sarebbe stato acquisito contro la volontà dell'attrice; rilevò in contrario che sarebbe risultato che l'opposizione della predetta si sarebbe manifestata ad anni di distanza dall'inizio dell'utilizzo esclusivo da parte del fratello, così da far ritenere inapplicabile il disposto dell'art. 1163 cod. civ. - che sancisce la non computabilità ai fini della usucapione del solo possesso iniziato con la forza - ed invece utilmente invocabile il principio delineato dall'art. 1165 cod. civ. che, per il possesso successivo, stabilisce che le cause di interruzione seguono le disposizioni generali, in quanto compatibili: nello specifico non vi sarebbe stata né la notifica di una domanda giudiziale da parte del fratello né la perdita della signoria sulla cosa.
A dissimili conclusioni il giudice dell'appello pervenne in ordine alla servitù di gasdotto, sia per l'assenza di prova del periodo durante il quale le tubazioni sarebbero rimaste interrate nella proprietà dell'appellata, sia perché comunque la relativa situazione di fatto sarebbe stata priva della qualità dell'apparenza, necessaria ai fini dell'usucapione.
Quanto poi alla ribadita legittimità dell'occupazione parziale della corte comune, con il marciapiede - assumendo l'appellante che si sarebbe stati in presenza di un uso che non avrebbe precluso analogo utilizzo da parte della comproprietaria, la quale avrebbe potuto costruire anch'essa un marciapiede lungo il lato dello spazio comune prospiciente il proprio fabbricato - la Corte del merito rilevò che la costruzione del manufatto avrebbe alterato la destinazione della corte comune senza consentire un pari uso alla comproprietaria; la previsione poi di un ipotetico analogo utilizzo sullo spazio antistante l'esercizio commerciale di proprietà dell'appellata non avrebbe garantito in ogni caso la legittimità del proprio operato perché avrebbe, nella sostanza, imposto una unilaterale divisione del cespite comune.
In ordine alle tende del ristorante venne ribadita la legittimità della condanna alla rimozione    -di fatto già eseguita- in quanto tali manufatti, insistenti sul ridetto marciapiede, avrebbero contribuito con il medesimo ad ostacolare la fruizione della cosa comune.
Per la cassazione di detta sentenza E.B. ha proposto ricorso, articolandolo in tre motivi, cui ha risposto B.N. con controricorso, contenente ricorso incidentale; la stessa ha anche depositato memoria con allegata sentenza del Tar Toscana n. 4889/2010 in relazione alla contestata legittimità dell'esercizio, da parte del ricorrente, dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande nello spazio occupato dal marciapiede oggetto di controversia.

Motivi della decisione

I ricorsi vanno riuniti essendo diretti contro una medesima sentenza, in applicazione del disposto dell'art. 335 cpc.
- ricorso r.g.n. 30672/2006 -
I - Con il primo motivo viene denunziata la violazione o la falsa applicazione delle norme che condizionano l'acquisto per usucapione delle servitù al requisito dell'apparenza - artt. 1031 e 1061 cod. civ. -, contestandosi il giudizio di insussistenza di tale situazione contenuto nella gravata sentenza: osserva infatti il ricorrente che, sebbene i tubi di adduzione del gas corressero sottoterra nella proprietà della contro ricorrente, tuttavia della loro esistenza sarebbero stati indice sicuro i pozzetti di ispezione ed il contatore del gas, opere ben visibili.
I.a — Il motivo e inammissibile in quanto diretto a far formulare alla Corte un giudizio di merito inibito in sede di legittimità e non già, come invece indurrebbe a pensare la titolazione del motivo stesso, a stimolare un controllo sugli astratti confini applicativi delle norme in questione o, anche, sulla delimitazione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge, oltretutto su elementi di fatto la cui esistenza non emerge dalla lettura della sentenza; va altresì rilevata un'ulteriore causa di inammissibilità del mezzo, laddove non ha affrontato la seconda ratio decidendi recata dalla sentenza di appello, facente leva sulla mancanza di prova della durata del possesso.
II - Con il secondo motivo si fa valere la violazione o falsa applicazione della norma codicistica disciplinante l'uso della cosa comune - art. 1102 cod. civ. — laddove la Corte del merito ritenne che l'edificazione di un marciapiede di appena di due metri di larghezza potesse pregiudicare l'uso della corte comune, estendentesi per oltre trenta metri di profondità, da parte della contro ricorrente.
II.a — Anche questo mezzo è inammissibile in quanto il giudizio della sussistenza di una sottrazione all'uso comune dell'utilità rappresentata dalla superficie del marciapiede rappresenta l'esito di una valutazione di fatto a cui la Corte del merito è pervenuta a seguito di ragionevole e congrua motivazione.
III — Con il terzo motivo si assume consumata la violazione o falsa applicazione dell'art. 1117 cod. civ. laddove la Corte del merito, ordinò la rimozione delle tende, attaccate al muro comune, da considerarsi come muro condominiale, ritenendo applicabile alla fattispecie la interpretazione di legittimità della disciplina codicistica delle parti comuni degli edifici che giudica lecita l'infissione di insegne luminose, tende, vetrine, trattandosi di attività che non impedisce agli altri partecipanti un pari uso della res communis.
III.a — Il mezzo è infondato in quanto censura la valutazione che la Corte distrettuale ha dato dell'incidenza del posizionamento delle tende sull'utilizzo concreto della cosa comune, finendo per sovrapporre una propria valutazione di inidoneità - altrettanto concreta - dei manufatti a ledere l'altrui diritto, a quella operata dal giudice dell'impugnazione; va peraltro messo in rilievo che la censura non centra il punto argomentativo principale posto a base della decisione che è costituito non già dalla semplice valutazione dell'infissione delle tende quanto piuttosto della loro funzione a garantire ricovero ed utilizzo della parte di marciapiede di cui s'era già accertata la illiceità, così che quel giudizio viene esteso alle pertinenze che lo hanno agevolato e reso possibile: tale valutazione non è stata, in quanto tale, sottoposta a critica.
- ricorso r.g.n. 551/2007 -
IV — Con unico motivo di ricorso incidentale parte contro ricorrente denunzia la violazione o la falsa applicazione della norma generale sull'usucapione - art. 1158 cod. civ. - assumendo l'erroneità e la contrarietà alla suddetta norma juris del capo di decisione che ha riconosciuto acquistata per usucapione la proprietà di una veranda a vetri costruita sulla proprietà esclusiva di essa esponente, non tenendo quindi a mente che la contrarietà alle norme urbanistiche che il manufatto presentava non avrebbe consentito di ritenere "pacifico" l'inizio del possesso.
IV.a - Il mezzo in esame presenta dei profili di inammissibilità laddove chiede alla Corte un rinnovato esame sulla legittimità dell'inizio del possesso, allegando una circostanza che non formò oggetto di valutazione in primo grado - ove, come ricordato in sentenza, si ebbe a controvertere se il possesso del fratello potesse dirsi "pacifico", ai fini dell'esclusione del vizio impeditivo ex art. 1163 cod. civ. -; in ogni caso comunque il motivo è anche infondato perché confonde la regolarità urbanistica del manufatto - e quindi la sua suscettibilità ad essere rimosso - con il regime proprietario che involge non solo la costruzione ma prima di tutto l'arca di sedime ove la stessa è posta, non essendo emerso dalla lettura della sentenza di appello che l'acquisto a titolo originario, di cui si chiedeva l'accertamento, riguardasse la proprietà superficiaria.
IV.b - Il richiamo infine alla disciplina di cui alla legge 47/1985 e successive modificazioni - che dichiarano nulli gli atti di trasferimento di immobili privi della concessione o autorizzazione ad edificare o della concessione in sanatoria - non è rilevante al fine di fornire una sponda argomentativa alla tesi esposta nel motivo in esame, atteso che con tali norme si mira a sanzionare l'attività edificatoria e non già gli atti di acquisto della proprietà del terreno ove l'immobile - asseritamente in contrasto con la normativa urbanistica - sarebbe edificato, così che, in via di ipotesi, ben può detta area essere acquisita per usucapione e, contemporaneamente, l'opera edificata essere suscettibile di attività sanzionatoria da parte della pubblica amministrazione.
IV.b.1 - Ne deriva che l'attività di edificazione conserva la sua positiva valutabilità quale dimostrazione di possesso valido all'usucapione anche se il manufatto presenti i pretesi profili di contrarietà alla legge urbanistica — in disparte la considerazione che la parziale riproduzione di una consulenza tecnica di ufficio sul punto neppure sarebbe stata idonea a sancire la assoluta non edificabilità dell'area ma, semmai, la mera pendenza di un giudizio innanzi al TAR instaurato dal ricorrente contro il mancato accoglimento della domanda di sanatoria.
V — Il rigetto di entrambi i ricorsi consente di ravvisare la reciproca soccombenza a legittimazione della compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando le spese.